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12-12-2005, 11.43.58 | #7 | |
like nonsoche in rain...
Data registrazione: 22-09-2005
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Citazione:
Le tue conclusioni, come puoi ben comprendere, sono dunque infondate: parti da un assioma "dubbioso", per poi giungere alla necessità di una qualche verità assoluta. Il tuo secondo post è farcito da ragionamenti di questo tipo: "ci deve pur essere...", "... sul perchè esistiamo...", "al di fuori di noi il tutto esiste...", "ci deve essere un'unica verità" ecc... Non che questi ragionamenti siano "sbagliati", ma qui mi interessa parlare delle cosiddette "certezze assolute"; i tuoi ragionamenti costituiscono, invece, il tuo modo di vedere la realtà e dunque, necessariamente, le tue convinzioni "assiomatiche", dalle quali parti per spiegarti tutto il resto, non possono certo considerarsi "verità assolute"...... non so se mi hai capito..... Nel primo post ho tentato sommariamente di far capire l'irragionevolezza e l'inopportunità dell'aggettivo "assoluto", quando questo viene associato ai termini verità o certezza; la domanda: "ma allora dovrà esserci pure un qualcosa di assoluto?" è una domanda senza senso, non perchè noi non possiamo rispondervi (in questo caso avrebbe comunque senso), ma poichè NOI siamo impossibilitati a parlarne! La verità, ho già detto, è un concetto che si dà e vive esclusivamente all'interno di un certo sistema formale, di rappresentazione, linguistico ed è puramente illogico estenderlo al di fuori di questo, se non con pensieri di tipo assiomatico o dogmatico, nel senso di pensieri di cui è impossibile mostrare la fondatezza. Per fare un esempio io potrei tranquillamente presupporre che esista Dio, creatore dell'universo come una verità assoluta al di sopra ed al di fuori delle nostre rappresentazioni o meglio al di fuori di ogni sistema di rappresentazione, ma come comprendi bene, lo posso fare solo con un atto dogmatico, creando un'assioma apposito dal quale partire per spiegarmi il resto. Posso, però, pure partire dall'assioma che dio non esista ed andare avanti in modo egualmente buono. In questa discussione intendo, tuttavia, prescindere il più possibile da assiomi siffatti! Forse qui non ci siamo intesi per quello che riguardano le "certezze assolute"; dunque, tentate di fornirmene una definizione, se siete convinti dell'opportunità del suddetto concetto. Siete proprio tutti d'accordo che il cogito cartesiano sia infondato? Speravo in una opposizione più accanita! |
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12-12-2005, 12.22.41 | #8 |
like nonsoche in rain...
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Per criticare un altro poco il cogito di Cartesio vorrei fare questa considerazione, anche perchè mi sono accorto di un post interessante di Weyl che potrebbe fare al caso mio:
"Non consideriamo il : "Penso, dunque sono" come un'affermazione. Consideriamola un suggerimento: un'induzione a provare a pensarlo. Provateci: "penso di esistere, il mio pensiero è il pensiero di esistere, ... in questo pensiero, sento o non sento di esserci?" Se lo sento: coincido con esso, sono come sospeso nel mio constatarmi. Se non lo sento: è questo non sentire qualcosa di diverso da un pensiero,...? E se lo è: come posso accorgermene? Se non lo è: questo, in quanto pensiero, non suggella il fatto che io, pensando, sono dentro, SEMPRE, la possibile consapevolezza di esistere?" Ora "cogito ergo sum", secondo me, fa passare sotto silenzio il soggetto del cogitare ovvero: l'io! E che cos'è mai questo misterioso "io"? Tralasciando le varie teorie psicologiche, l'io non è altro che un pensiero, una rappresentazione di "noi stessi" creata dalla coscienza; quest'ultima è indubbiamente già coscienza di "essere" ovvero di "esistere" e dunque il successivo "sum" è semplicemente superfluo! Il cogito ergo sum è una scintilla......; quando si spegne, quello che rimane è la convinzione cosciente dell'io che ha pronunciato quella frase, ma se a monte non vi sono le operazioni della coscienza, tra le quali una delle principali è la creazione dell'io, non sarebbe neanche possibile pensare il "penso dunque...". La scintilla cartesiana è, dunque, ridotta ad un "io, già pensiero di essere (cosciente), penso di essere" e la memoria stessa di aver pronunciato queste parole mi alimenta il pensiero di essere (cosciente). Forse sarebbe più corretto dire: "mi sento cosciente dunque sono un essere cosciente"........ ; non che questa possa essere una certezza assoluta, ma almeno, ristretta così, mi sembra più corretta, ma non esclude di certo la possibilità del solipsismo! ps. Ripensandoci meglio la mia versione fa schifo lo stesso! |
12-12-2005, 15.14.38 | #10 | |
Moderatore
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Citazione:
Concordo di certo sul fatto che non abbia senso parlare di "verità assolutamente inconfutabili e autolegittimative". Ti incollo qui una parte (qui rilevante) di mio intervento fatto sull'altro topic sulla certezza: E' vero che non può esserci dubbio che noi stiamo pensando, ma non condivido che tale certezza possa fondare tutte le altre nostre credenze (tipo la credenza che ho due mani). Il fatto è che - come molti filosofi ormai sostengono - il linguaggio è intrinsecamente pubblico: a sostengo di ciò c'è (a) l'argomentazione wittgensteniana sull'impossibilità di un linguaggio privato, (b) l'argomentazione, sempre di Wittgenstein, secondo la quale seguire la regola non è un fatto (almeno solamente) interno, e cioè che il capire il significato delle parole e usare il linguaggio in modo adatto non è solamente un fatto mentale interno, da qui si passa a (c) l'esternalismo semantico inaugurato da Putnam. Però non condivido di certo il fatto che la maggior parte delle nostre credenze possano essere false (come che il mondo esterno non esista). Inoltre se il pensiero non è autosufficiente - come tento di argomentare velocemente sul mio pezzo quotato - è proprio perchè esso necessita di un ambiente esterno: quindi il silopsismo deve essere falso. In ultima analisi, penso che il silopsismo sia il risultato di una ingenua teoria del significato. Un'ultima cosa. Ho quotato quel tuo pezzo perchè penso che tu sia un gravissimo errore considerare la verità come qualcosa che appartiene solamente ai linguaggi formali. Prima di tutto perchè non prende in considerazione che i concetti di verità e derivati sono indispendabili per le nostre pratiche sociali, inoltre perchè quello di verità formale non può che essere un derivato di quella 'ordianaria' e deve la sua intelligibilità a quest'ultima. epicurus |
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