Un saluto a tutti.
Mi sono appena iscritto e vorrei esprimere una mia riflessione su questo argomento che è il più controverso e difficile che l'uomo possa trattare.
Più che immaginare quello che ci possa essere dopo la morte, vorrei condividere con voi la riflessione su chi siamo noi e quindi cos'è di noi che, eventualmente, può sopravvivere alla morte del corpo fisico.
Tutti noi diciamo io sono..... Ma io sono che cosa?
Ogni volta che dobbiamo rispondere a questa domanda, siamo costretti a darci degli attributi. Io sono stanco, allegro, irritato, pensieroso, buono, cattivo ecc. ecc..
Non riusciamo a pensare a noi stessi svincolati da qualcosa che, in realtà, non ci appartiene di diritto, ma è una componente aleatoria e mutevole di quello che realmente è il nostro essere.
Dunque noi siamo qualcosa che c’è per un breve momento e muore il successivo.
Questa catena di esseri, ognuno con un proprio carattere e una propria personalità, è legata da un “ricordo”, ma sappiamo bene come, questo ricordo sia aleatorio e non del tutto affidabile.
La psicoanalisi insegna che noi non ricordiamo l'evento, ma il ricordo dell'evento.
In poche parole noi ricordiamo l’ultimo ricordo di un evento successo a un individuo che non era quello che è ora.
Quell’individuo è morto, come sono morti tutte le personalità mutevoli che ci hanno rappresentato nel corso dei nostri giorni e dei nostri anni.
Quindi noi chi siamo? E cosa resta se ci si spoglia dei nostri attributi momentanei e morituri?
Resta il “sentirsi d’essere” che mai potrà cessare né morire perché è una struttura della vita come principio universale e cosmico insondabile.
Questo principio cosmico si appoggerà a degli attributi in una fase della sua espressione limitata per poi procedere a svincolarsi da questi ed esprimersi autonomamente oltre l’attributo.
Quello che muore, allora, è l’attributo, non l’individuo, e finchè noi ci identificheremo con l’attributo, dovremo accettare che si deve morire.
Per fortuna, secondo me, noi siamo oltre l'attributo.
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