ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS |
21-12-2013, 20.49.10 | #25 |
Ospite abituale
Data registrazione: 14-12-2012
Messaggi: 381
|
Riferimento: Qual è il senso del vero nome delle cose
@ Maral
Dunque, vediamo un pò di specificare meglio. Mi sono andato a riprendere un vecchio articolo del "Corsera", in cui Severino rispondeva al filosofo tedesco M. Gabriel nel contesto della discussione sul cosiddetto: "Nuovo Realismo". Nell'articolo, Severino afferma di condividere, con Gabriel, che può esservi: "apparizione di un mondo senza che appaia questo o quell'individuo". C'è da dire che Gabriel specifica quell'"apparizione" con: "appartenenza di un oggetto a un campo di senso" (Severino interpreta il "campo di senso" con: "contesto"). Ora, è corretto se io interpreto il pensiero di Severino (lascio stare quanto di altro afferma Gabriel, perchè anche per me egli ha un punto di vista troppo "oggettivistico") con: "qualcosa c'è anche senza qualcuno che la interpreta"? Naturalmente, ciò non vuol dire che tu non abbia perfettamente ragione quando affermi l'inseparabilità della parola e della cosa. Solo che io penso che tale inseparabilità sia solo a livello gnoseologico, non a livello "cosmologico". E' chiaro che anche quando dico: "qualcosa" (c'è) io mi muovo sul piano gnoseologico, che è quello in cui la parola "qualcosa" è inseparabile dalla cosa "qualcosa" (l piano in cui l'"in sé" diventa necessariamente "per sé"). L'assurdità della mia posizione consiste nel fatto che non posso non solo "dire", ma neppure pensare a qualcosa senza che questo qualcosa diventi un interpretato, cioè un "per sé". Nonostante l'assurdità di questo, è forse assurdo pensare che: qualcosa c'è anche senza qualcuno che la interpreta? E tuttavia questo qualcosa "che c'è" c'è solo all'interno di un "apparire", ovvero all'interno di un "contesto". E quindi no, la Sfinge non ti avrebbe certo sbranato (visto che solo per il tramite della parola avresti potuto rispondere). Un sentito augurio di buon Natale mauro |
22-12-2013, 11.06.00 | #26 |
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
Messaggi: 1,314
|
Riferimento: Qual è il senso del vero nome delle cose
Mauro, non è assurdo pensare che qualcosa c'è anche senza qualcuno che la interpreta, è assurdo pensare che "qualcosa c'è anche senza qualcuno che la interpreta" non sia un pensiero che vuole quanto dice per i motivi che ha di volerlo (e magari sarebbe interessante capirli). Nel momento in cui si dice che qualcosa c'è anche senza qualcuno che la interpreta lo si pensa e lo si dice, dunque si sta interpretando, si sta rappresentando soggettivamente il mondo per cui il mondo che esiste senza nessun interprete è ancora un mondo frutto dell'interpretazione di un interprete e ogni verifica di corrispondenza con una fantomatica realtà in sé sarà solo una verifica di coerenza con la propria interpretazione e il proprio pensiero nel senso in cui è detto e pensato. Severino, che per questo è certo debitore a Hegel, distingue il pensiero concreto dell'astratto dal pensiero astratto dell'astratto (Hegel direbbe la ragione dall'intelletto). Il pensiero concreto dell'astratto prende il mondo, lo distingue dall'interprete e sceglie di occuparsi del mondo o dell'interprete come cose separate che reciprocamente sono escludibili, ma sa che questa è una finzione. il pensiero astratto dell'astratto invece vuole che non sia una finzione, ossia vuole che esista davvero solo il mondo che ha pensato come astratto o solo l'interprete come effettive realtà fondanti di tutto per cui una sola di esse sta all'origine escludendo radicalmente l'altra.
Anche quando si dice o si pensa che la cosa in sé è qualcosa di cui non possiamo mai dire nulla (ossia non possiamo mai dare ad essa alcun significato) stiamo comunque dicendo qualcosa, stiamo prendendo la cosa per sé come cosa in sé e di nuovo stiamo dando rappresentazione e quindi per non cadere nell'intellettualismo falsificante dobbiamo considerare che la posizione che mostriamo è posizione dell'interprete che pensa il mondo anche quando lo pensa impensabile. Ma non è assurdo pensare l'impensabile (anzi spesso è indispensabile), è assurdo pensare che pensare l'impensabile non sia un pensarlo. Contraccambio di cuore i tuoi auguri, ciao Mario |
22-12-2013, 11.48.11 | #27 |
Ospite abituale
Data registrazione: 16-07-2010
Messaggi: 405
|
Riferimento: Qual è il senso del vero nome delle cose
0xdeadbeef:
Nonostante l'assurdità di questo, è forse assurdo pensare che: qualcosa c'è anche senza qualcuno che la interpreta? E tuttavia questo qualcosa "che c'è" c'è solo all'interno di un "apparire", ovvero all'interno di un "contesto". L'unica assurdità per me è credere che le cose, anche al di fuori delle interpretazioni umane siano al di fuori di contesti. Per questo nego la cosa in sé, in quanto nessuno, neanche un oggetto al di fuori del pensiero umano, può aspirare ad avere delle modalità di essere se non calato in un contesto che io chiamo cotesto delimitante. I nomi indicano l'apparire, per questo non ha neanche senso chiedersi che nome possa avere un oggetto al di fuori d'uno specifico apparire o contesto. Ciò che crea tanta ambiguità e incomprensione è che si lega l'apparire (che è in realtà il realizzarsi d'un contesto in generale) alla sola coscienza umana, per cui sembra che negando una specificità d'essere delle cose al di fuori dell'apparire, si stia affermando che gli enti siano solo ciò che all'uomo pare; allora, si afferma, se non guardo la luna la luna non esiste; ma ovviamente la luna non esisterà, se non la osservo Io, nel modo in cui appariva nel mio campo di senso (contesto), ciò non toglie che essa, espropriata da qualsiasi contesto, non potrà affatto mostrarsi in un certo modo e il suo essere, se ha senso qualcosa del genere, rimarrà del tutto indeterminato o indistinto. Per questo un vero nome delle cose non esiste, ogni cosa dipende dal contesto e non possiede -di per sé- delle caratteristiche che poi adeguerebbe al contesto. In questo Maral, dovrebbe capirmi più d'ogni altro perché una minima variazione di forma porta un ente a non essere più lo stesso; allora non è che un oggetto è lo stesso se calato in contesti diversi; ogni contesto lo modificherà rendendolo un'altra cosa e il nome di queste cose sarà di volta in volta appropriato allo specifico apparire. |
22-12-2013, 22.50.13 | #28 | |
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
Messaggi: 1,314
|
Riferimento: Qual è il senso del vero nome delle cose
Citazione:
"Si dice di Dio "Nessun nome può nominarti. Ciò vale per me: nessun concetto mi esprime, niente di quanto viene indicato come mia essenza mi esaurisce: sono solo nomi" (la frase è di Stirner, tratta dalla sua opera "L'unico e la sua proprietà"). Certo il vero nome, inteso come nome che in sé esaurisce l'essenza di ciò che nomina non può esistere (e non solo di Dio, di me, ma anche di ogni cosa). Ciò non toglie che possa esistere un nome appropriato che non esaurisce in sé ogni significato di quella cosa, ma che è il suo proprio giusto nome come è il rosso il giusto colore di questa mela per come essa è rossa. E se è vero che ogni minima variazione di forma porta a un ente diverso ciò non toglie che ogni ente diverso non possa avere l'unico giusto nome che gli compete e che solo a lui allude, proprio come 1,0000...0 ha un nome diverso da 1,0000...1. |
|
24-12-2013, 11.56.35 | #29 |
Ospite abituale
Data registrazione: 16-07-2010
Messaggi: 405
|
Riferimento: Qual è il senso del vero nome delle cose
Maral:
Certo il vero nome, inteso come nome che in sé esaurisce l'essenza di ciò che nomina non può esistere (e non solo di Dio, di me, ma anche di ogni cosa). Ciò non toglie che possa esistere un nome appropriato che non esaurisce in sé ogni significato di quella cosa, ma che è il suo proprio giusto nome come è il rosso il giusto colore di questa mela per come essa è rossa. E se è vero che ogni minima variazione di forma porta a un ente diverso ciò non toglie che ogni ente diverso non possa avere l'unico giusto nome che gli compete e che solo a lui allude, proprio come 1,0000...0 ha un nome diverso da 1,0000...1. Certamente d'accordo. |
24-12-2013, 15.01.13 | #30 |
Ospite abituale
Data registrazione: 14-12-2012
Messaggi: 381
|
Riferimento: Qual è il senso del vero nome delle cose
@ Maral e Aggressor
L'affermazione di Maral per cui si vuole quanto si dice per dei motivi che "sarebbe interessante capire (dice Maral)" mi ha fatto riflettere molto. Mi sono allora andato a ricercare un'articolo di A. Camus (un pensatore verso il quale ho una specie di "venerazione") in cui, commentando un libro di B. Parain, filosofo del linguaggio, egli afferma: "c'è un interrogativo fondamentale che deve vertere sul valore stesso delle parole che pronunciamo: si tratta di sapere se il nostro linguaggio sia menzogna o verità". Ecco, credo sia questo il motivo per cui mi interrogo sul "qualcosa" che c'è, ed è "oltre" l'interpretazione (che è necessaria, concordo con voi) che il soggetto dà di essa. Come faccio a dire che un qualcosa è vero o è falso se questo qualcosa è il frutto di un'interpretazione? Perchè, e questo è il concetto centrale della riflessione di Camus, se ogni "oggetto" è il frutto di una interpretazione, allora ogni enunciato (ma il linguaggio stesso) sarà "per sé", ovvero assolutamente estraneo ad ogni giudizio di verità o falsità che, su di esso, potrà essere affermato. Dice Camus: "si tratta di sapere se non siano prive di senso anche le nostre parole più giuste, se il linguaggio non esprima la solitudine definitiva dell'uomo in un mondo muto". Non è forse a questo che si riferisce Leibnicht nel post: "L'equivalenza del bene e del male"? E' questo, io trovo, il punto. Mi sembrerebbe superfluo continuare a discutere (mi riferisco soprattutto a quanto sostiene Aggressor) di questioni sulle quali c'è una sostanziale concordanza di vedute. Tanti auguri ancora. |