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16-04-2012, 16.16.21 | #62 | ||
Moderatore
Data registrazione: 18-05-2004
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Riferimento: Giustificazione Epistemica
Citazione:
Qui la puoi trovare la mia tesi un po' più pulita e riordinata (anche se sostanzialmente uguale): qui. Questa mia tesi, chiamata inizialmente "coerentismo realista" e poi ribattezzata "coerentismo gerarchico", è nata per risolvere alcuni noti problemi filosofici di altre teorie rivali (problemi tipo: scetticismo radicale, impossibilità di dialogo costruttivo, status dei fondamenti della conoscenza, etc.). L'idea è che abbiamo questo corpus di credenze strutturato da vincoli di "coerenza" dove la periferia riguarda credenze su esperienze dirette mentre il centro riguarda credenze più generali e astratte. Questo sistema continua ad essere in attrito con la realtà esterna, con ciò che percepiamo, e questo attrito modifica continuamente le credenze più periferiche e raramente quelle più centrali. E, naturalmente, le credenze più centrali non sono state messe lì da noi in modo intenzionale ma si sono guadagnate quel posto seguendo la nostra storia di sviluppo da infanti a persone mature in base alle nostre esperienze. Citazione:
p.s. Il problema di Gettier è molto interessante ed ha creato non pochi grattacapi ai filosofi. Tuttavia non è propriamente rilevante per questa discussione perché esso è un problema per il concetto di conoscenza, mentre qui è discusso il concetto di giustificazione epistemica. |
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17-04-2012, 16.12.27 | #64 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
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Riferimento: Giustificazione Epistemica
Citazione:
Una delle cose che mi è venuta in mente mentre rileggevo la teoria di epicurus, è la differenza fra generazioni. Oppure fra gruppi di individui simili ma diversamente distribuiti. Faccio l'esempio che mi è venuto in mente. Ci sono mamme e ci sono donne senza figli. Le credenze, fra questo gruppo di individui simili, dovrebbero essere diverse se queste donne hanno figli oppure non ci li hanno. Ugualmente una differenza dovrebbe esserci fra mamme giovani e mamme meno giovani. Fra mamme di paese e mamme di città. Fra mamme del sud e mamme del nord. Fra mamme madri o sposate, fra mamme con genitori o senza genitori... ecc. Insomma, mi sono chiesto, come avviene il dialogo fra due mamme? E' sufficiente che siano soltanto mamme per circoscrivere così un gruppo di individui all'interno del quale, trovare quel nucleo "duro" di credenze? Se invece la proposta è quella di ribadire che due teste non si metteranno mai d'accordo perchè sono diverse... allora di quale giustificazione epistemica si sta parlando? Lo scopo qual è? |
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18-04-2012, 11.18.40 | #65 | |
Moderatore
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Riferimento: Giustificazione Epistemica
Citazione:
la vedrei cosi': ...una credenza e' giustificata quando i fondamenti primi di quella credenza non poggino sopra niente altro che non sia una proposizione Vera , cioe' , logicamente indimostrabile come Vera all'interno di se' stessa, e logicamente indimostrabile come falsa all'esterno di se' stessa ,ma etichettabile unicamente come positivamente ( da "positum" )Vera, e quindi ...fideisticamente "data" come Vera; in conclusione ,una credenza e' giustificata quando possa logicamente dimostrarsi che essa poggi unicamente sulla forza della fede. Da notare che ,se una credenza poggi sopra una verita' dimostrabile come tale all'esterno di se' stessa ,quella stessa verita' esterna diventera' interna e costitutiva di quella stessa credenza e cosi' via fino a giungere ad una Verita' fondante e non fondata da null'altro che la fede. |
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29-04-2012, 15.54.54 | #66 |
weird dreams
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Messaggi: 483
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Riferimento: Giustificazione Epistemica
E che ne dite della tesi del funzionalismo proprio? :
Una credenza* è giustificata se è prodotta dalla funzione propria (dunque adattiva) di 'facoltà' cognitive (processi c.) che lavorano nell'ambiente che, in un certo senso, le ha generate (ambiente sul quale esse si sono formate/evolute). * Che è fondamentalmente una disposizione (di 'alto livello'. Similmente a come istinti e risposte più semplici/automatizzate sono disposizioni biologiche o di più 'basso livello'); la mia conclusione è che credere significa sostanzialmente tentare un approccio (credere 'qualcosa' riguardo a 'x' significa tentare un approccio nei confronti di quell' 'x'; definire una propria disposizione nei confronti di 'x'). (Mentre una proposizione è la proposta di un approccio (o di una disposizione)). Chiaramente la funzione propria dei processi cognitivi è quella di fornire approcci adeguati (o disposizioni adeguate) (adattivi/e) alla 'varietà' di un ambiente specifico. Ciò mi suggerisce che il prossimo passo dovrebbe riguardare una profonda analisi del concetto di 'adattamento' e 'funzionamento'. Ultima modifica di z4nz4r0 : 29-04-2012 alle ore 20.24.38. |
30-04-2012, 10.15.10 | #67 |
Ospite
Data registrazione: 28-04-2012
Messaggi: 4
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Riferimento: Giustificazione Epistemica
Giustificare epistemicamente una credenza?Assolutamente impossibile!Una qualunque credenza è,per sua stessa natura,un qualcosa in cui si può riporre fiducia o meno a seconda delle nostre propensioni,delle nostre idee,della nostra coscienza e della nostra sensibilità!Come diceva Hume,una credenza è il risultato di un'impressione o di un'idea,dove per idea il filosofo scozzese intende un'impressione illanguidita.In effetti,pensandoci bene,che cos'è una credenza propriamente detta se non un baleno,un guizzo,un barlume,un'ispirazione che giunge alla mente di un uomo e poi da questi viene diffusa ad altri individui?!Non importa quante persone condividano una data credenza,la sua veridicità rimarrà sempre scientificamente indimostrabile.Pertanto non si può parlare di giustificazione epistemica di una credenza in quanto,come chiarisce l'eloquente attributo "epistemica"(dal greco "episteme","scienza"),tale tipo di giustificazione riguarda solamente gli asserti scientifici.Un asserto scientifico,com'è risaputo,dev'essere supportato da evidenze empiriche(esperimenti)osservab ili da tutti,ripetibili e,soprattutto, falsificabili.Sicché possiamo epistemicamente giustificare una legge,una teoria,un teorema o una qualsivoglia argomentazione scientifica derivata da asserti che soddisfino,oltre alle severe regole della logica formale e della matematica,anche i sopraddetti requisiti epistemologici dell'esperimento. Dopo tutto,credenza deriva dal verbo credere e nessuno può imporre ad alcuno cosa credere in quanto credere è,per così dire, un atto di fede,svincolato dalla logica scientifica
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30-04-2012, 11.59.38 | #68 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Giustificazione Epistemica
Citazione:
Il taglio che epicurus ha voluto dare alla discussione parte da questa frase di inizio post. Non stiamo cioè parlando di una generica "teoria della conoscenza", ma sulla (a quanto pare) razionalità delle credenze. Volevo far notare solo che anche il termine razionale ha una definizione che si fonda su una credenza. Se qualcuno mettesse in dubbio la fondatezza della definizione dovrebbe farlo fondando il suo ragionamento su qualcosa che a sua volta si dirà ispirato alla "razionalità". La mia conclusione è che la razionalità non si può fondare sulla razionalità. Un ragionamento razionale è scelto (tra i ragionamenti) come il ragionamento più evidente. E' il principio di evidenza ad essere quindi a fondamento della giustificazione epistemica. In questo modo la teoria di epicurus ha ancora un senso, visto che il "nucleo" di forti credenze si basano tutte su quel principio prese ad una ad una. Il cambiamento di credenza consiste nel sovrapporre una credenza ad un'altra in modo tale una sola risulti evidente. Il principio di cambiamento può essere così dipendente da un'altra credenza. Ad esempio: la credenza che gli organismi viventi (e quindi anche gli uomini) tendano a sopravvivere può essere sovrapposta alla credenza che l'uomo sia libero di non sopravvivere. Non esistendo un approccio razionale assoluto al problema vincerà quella più evidente. La giustificazione alla credenza evidente avviene attraverso un processo "razionale" che consiste nel aumentare e sovrapporre altre credenze in modo che nasca (olisticamente) un'ultima credenza. Questo processo è chiaramente lungo e complesso. Più semplice è aumentare le credenze (per esempio con la conoscenza), è più semplice far nascere una credenza che prima non c'era aumentando la conoscenza (qui per conoscenza si intende qualsiasi cosa, da un libro, ad una esperienza visiva o ad una laurea). Essa è tanto ben riuscita quanto più si renda meno necessario minare una credenza precedente (un bambino per esempio ha meno preconcetti, su di lui è più semplice quindi costruire un nuovo concetto). La cosa più difficile è l'evento contrario cioè fare in modo di dedurre una credenza da una precedente. Si ha solo un modo per demolire una credenza, incominciare a sovrapporre ad una credenza che si ritiene precedente a quella da scardinare, con un'altra credenza. Potrebbe non bastare demolire una sola credenza, in quanto la credenza da scardinare si poggia ancora su altre credenze non ancora demolite. Del resto funzionano in questo modo anche le teorie scientifiche, che se lungamente sperimentate non cadono improvvisamente solo perchè una parte della teoria è stata falsificata. E' chiaro che qui non si fa distinzioni fra credenza scientifica o credenza di altro genere. Il funzionamento dovrebbe essere identico. |
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03-05-2012, 21.52.51 | #69 | |
Moderatore
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Riferimento: Giustificazione Epistemica
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Ciao zenzero. Provo a spiegare perché sostengo una versione internalista della giustificazione cercando di mostrare i problemi di due famose teorie esternaliste della giustificazione: il funzionalismo proprio e l'affidabilismo. Il funzionalismo proprio, ci spiega Plantinga, asserisce che una credenza è giustificate per me se (1) è stata prodotta in me da facoltà cognitive che lavorano propriamente (funzionano così come esse devono funzionare, non soggette ad alcuna disfunzione) in un ambiente cognitivo che è appropriato per i miei tipi di facoltà cognitive, e (2) sussiste un’alta probabilità statistica che una credenza, prodotta a queste condizioni, risulti vera. Un problema centrale è capire quali fattori rendono appropriato un ambiente cognitivo. Un ambiente cognitivo è appropriato se è quello per il quale le mie facoltà cognitive sono state “progettate” da Dio o dall’evoluzione o da entrambi. Plantinga afferma infatti: “Una cosa (un organismo, un organo, un sistema, un artefatto) funziona propriamente quando funziona in accordo col suo progetto, e il progetto di una cosa è una specificazione del modo in cui quella cosa funziona quando funziona propriamente”. Il progetto naturalmente deve essere un buon progetto, cioè che produce credenze vere. E’ per questo che viene imposta la condizione (2) che è sostanzialmente la tesi dell’affidabilismo. Quindi il funzionalismo proprio è da considerarsi un’estensione della teoria affidabilista. Ernest Sosa richiama l’attenzione su un caso di gemelli autistici, psicotici e gravemente ritardati presente in “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” del neurologo Oliver Sacks. I due gemelli erano privi delle più elementari capacità matematiche. Un giorno, tuttavia, una scatola di fiammiferi cadde, spargendo tutto il contenuto a terra. Immediatamente, i due gemelli gridarono “111”. Il numero di fiammiferi era esatto e Sacks chiese loro come avessero potuto contare così rapidamente i fiammiferi. Loro risposero che non avevano contato, semplicemente avevano visto il 111. Secondo il funzionalismo proprio i gemelli non sono giustificati a credere che i fiammiferi fossero 111 perché chi è autistico, psicotico e gravemente ritardato non ha facoltà cognitive che lavorano propriamente (o almeno le facoltà matematiche). Tuttavia, se sapessimo che sistematicamente i gemelli sono in grado di dire il numero di fiammiferi, allora sarebbe sbagliato sostenere che tali loro credenze non sono giustificate. Quindi pare che la condizione (1) del funzionalismo proprio non sia necessaria e che tutto gravi sulla condizione (2), come dire: il funzionalismo proprio è scorretto, non ci rimane che l’affidabilismo. In generale, possiamo fantasticare sull’esistenza di un essere umano che non è stato causato né da un progetto divino né da un processo come l’evoluzione, ma che tuttavia egli è un essere umano perfettamente nella norma. Ogni credenza di tale essere umano non sarebbe giustificata se il funzionalismo proprio fosse corretto. Ciò è assurdo. L’affidabilismo afferma che una credenza è giustificata per P se e solo se la credenza è prodotta da un processo cognitivo, o da un metodo, affidabile, ovvero da un processo o metodo che tende a produrre molte credenze vere. Quindi è vero che non ci rimane che l’affidabilismo? Sbagliato! CASO A: la persona P viene collegata a Matrix. Secondo l’affidabilismo fino a quando P è collegato a Matrix ogni sua credenza che si forma in Matrix non è giustificata. D’un tratto P diviene un essere totalmente irrazionale. P ha tutte le evidenze per credere che di fronte a lui ci sia una sedia e nessuna evidenza per tesi avversarie, non può essere che sia una credenza non giustificata. CASO B (basato sull’idea di Bonjour): P crede di possedere poteri di chiaroveggenza, malgrado non disponga di ragioni pro o contro tale credenza. Un giorno a P salta in mente l’idea che il Presidente della Repubblica d’Italia si trovi a Parigi. I presunti poteri di chiaroveggenza di P indicano che la sua idea è corretta, così P inizia a credere che il presidente è a Parigi. In effetti quel giorno il presidente è a Parigi, a un meeting segreto. Per questioni di sicurezza nazionale e grazie ai servizi segreti, tutti i mass-media riportano una grande moltitudine di falsi gossip sulle vacanze del presidente nelle spiagge sarde. Vengono prodotti persino falsi video per supportare tutte queste informazioni. P ammassa una spaventosa mole di evidenze a favore del fatto che il presidente è in Sardegna, tuttavia continua a credere che si trovi a Parigi. A sua insaputa, i poteri di chiaroveggenza di P sono affidabili e la credenza che il presidente sia a Parigi è prodotta da tale capacità. Per l’affidabilismo la credenza di P è pienamente giustificata, tuttavia questo deve essere falso, dato che P non si cura minimamente di tutte le evidenze a favore del contrario. Questi due casi mostrano che l’affidabilismo non è né una condizione necessaria né una condizione sufficiente per una teoria della giustificazione epistemica. Sia l’affidabilismo sia il funzionalismo proprio sono delle teorie esternaliste della giustificazione. Io sostengo che nessuna teoria esternalista può essere una teoria decente della giustificazione. L’esternalismo della giustificazione sostiene che i fattori rilevanti per determinare se una credenza è giustificata o ingiustificata sono da cercare solo nel mondo “là fuori”. Se a prima vista l’esternalismo sembra legittimo o addirittura affascinante, ha il grande difetto che rende la giustificazione qualcosa di assolutamente inconoscibile e misteriosa per l’uomo. Come posso giustificare, infatti, la credenza “tale processo è affidabile”? La risposta corretta e ovvia è che si cercano ragioni a favore di tale credenze e ragioni contro e si verifica quale parte ha maggior forza. Ma questo approccio non ha senso per l’esternalista. Come si è visto nel CASO A e nel CASO B, per l’esternalista non sono minimamente importanti le prove a favore o a sfavore di una tesi, l’importante è che il processo che porta a credere a tale tesi sia affidabile! Io posso credere alle teorie più incredibili possibili e se qualcuno mi chiedesse “ma che prove hai a sostegno di ciò?” potrei rispondere tranquillamente “nessuna, embè?!”. Per l’esternalismo il contraddittorio personale ed interpersonale è irrilevante. Mi pare che tutto questo sia insostenibile. Valute prove e controprove e su questo basare le ragioni o contro-ragioni per le proprie credenze è la parte centrale della giustificazione epistemica, cioè della razionalità. Inoltre, mi pare che la giustificazione epistemica sia un concetto (almeno in parte) normativo, essendo legata alla responsabilità intellettuale. Se uno scienziato continua a collezionare prove a favore di una ipotesi I, egli ha un obbligo intellettuale di seguire tali prove e credere in accordo con esse. Tuttavia, solo se un soggetto ha un controllo sulla formazione delle proprie credenze, accettandone di nuove o rigettandone di vecchie se si accumulano sufficienti prove, si può parlare di responsabilità intellettuale. Questa concezione ha senso solo entro una teoria internalista della giustificazione, mentre nell’esternalismo non v’è spazio per le prove. |
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04-05-2012, 14.00.51 | #70 |
weird dreams
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Riferimento: Giustificazione Epistemica
Ho letto anch’io il libricino della Vassallo, mi è piaciuto, ma è concepito per dare una panoramica generale, sta al lettore approfondire/riflettere/contribuire su quelle teorie che a colpo d’occhio trova più interessanti (come da bravi filosofi abbiamo fatto; tu con coerentismo e fondazionalismo ed io con funzionalismo). Ciò detto, non adoro la formulazione di Platinga, è per questo che nel mio precedente intervento ne ho data brevemente una mia. In modo particolare trovo superfluo e addirittura sviante esplicitare la “condizione”* (2) che è piùttosto una conseguenza. E poi cosa è mai una ‘credenza vera’ se non una disposizione ‘buona’/adatta/funzionale (…in qualche misura; poiché il vero è tale nella misura in cui funziona) e quando mai una disposizione così derivata non è in buona misura funzionante se si escludono i remoti casi di ‘anomalie’ ambientali?
*Tra l’altro le condizioni dello stesso Platinga sono proposte (dalla citazione) come sufficienti ma non come necessarie (e già questo basterebbe a delegittimare i contro esempi proposti, quello sull’anomala generazione di Virginia e quello sui gemelli autistici). Abbiamo il termine ‘giustificazione’ il problema è definire qualcosa di rilevante o qualche concetto ben utilizzabile che tale termine può prestarsi a rappresentare. ‘Normalmente’ (poiché anche qui si tratta di un ragionamento abduttivo) se una credenza è adeguata allora è l’output di processi (‘cognitivi’) adatti (e adattanti o adattivi se preferite). Viceversa l’output di processi che sono quel che sono in funzione dell’ambiente al quale ‘orchestralmente’ rispondono è funzionale proprio per la sua natura, ed è in ragione di ciò che io lo dichiaro “giustificato” – usando questa parola per distinguere un concetto che mi sembra utile, rilevante e con il pregio di essere chiaro; e quindi usandola nel modo più funzionale. Riguardo al contro esempio degli autistici, il fatto è che saper astrarre a colpo d’occhio il numero di molti fiammiferi ammucchiati a terra* (ovvero essere ‘coscienti’ di ‘questo numero’) non è normalmente una cosa così vantaggiosa da potersi considerare come un risultato di processi plasmati da pressioni evolutive. (Quindi direi piuttosto che l’autismo non è giustificato - secondo l’uso che propongo di questo termine - dall’evoluzione). *Fiammiferi che comunque normalmente vengono percepiti e processati tutti ma senza usare la quantità di risorse necessarie appunto per astrarne il numero; risorse che sono invece distribuite in maniera più, diciamo, pragmatica e ‘giustificata’ (a parte il caso degli autistici appunto). (So bene, Epicurus, che ti risulta difficile digerire questo uso di ‘giustificazione’ dal tuo punto di vista; ma se non dai per scontato di sapere che cosa vuol dire ‘essere razionali’ forse alla fine non avrai bisogno di rimettere . Divagando … nello sfondo voglio richiamare un po’ di logica fuzzy per tenere in conto che un concetto, con la sua funzione, non è adeguato ad un contesto in maniera assoluta ma solo in una certa misura che sfuma al di fuori di quel contesto prototipico per il quale appunto ci siamo formati quel concetto. Pensando ad esempio al paradosso del sorite, alla fuzzy-formulazione A: c’è una misura in cui un insieme di granelli è ‘un mucchio’; preferisco la più esplicativa fuzzy-mejo-formulazione B: c’è una misura in cui il concetto intuitivo di mucchio si (o ci) adegua ad un contesto dato (o, usando altre parole: c’è una misura in cui l’intuizione ‘mucchio’ è/ci adatta ad un dato contesto). |