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09-04-2008, 16.06.47 | #55 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Lo scandalo
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Non contesto alla vita il suo perenne ed inesausto beccheggiare fra l’un segno e il suo opposto polo; né ad essa, alla Natura, disputo il diritto d’essere come effettivamente si mostra: eccessivamente parca e frugale nel donare le sue grazie in certe latitudini, smodatamente generosa ed opulenta in altre; non mi sconvolge troppo o tanto neppure che necessità, fato o caso vogliano ch’essa ritrovi e mantenga il suo armonioso equilibrio solo nella compensazione fra assenze ed eccessi, tralasciando di gettare uno sguardo alla particolarità che compone il tutto, ove son ben presenti gli scompensi. Quel che al nume o alla natura rifiuto con tutto me stesso è appunto l’abnorme – ovverosia qualcosa che è oltre la norma, smisuratamente al di là della norma – rappresentato dalla deformità che, gratuitamente, infierisce sull’innocenza. Questo no! Proprio non posso o voglio perdonarlo (molto dostoevskijano), né alla natura né ad un eventuale Dio. Nella deformità che avvinghia un corpo innocente non rilevo alcuna ragione, neppure quella pretesa dalla necessità dell’equilibrio; solo un infierire gratuito che genera sofferenza gratuita, che poco serve alla compensazione, e qualora fosse pretesa dall’armonia generale, sarebbe in ogni caso da ricusare, da maledire, da rifiutare. Il dolore di un innocente non è l’altro polo – quell’estremo – del filo teso fra l’eccessiva munificenza e la smodata assenza, utili per il calcolo computistico del rinnovato e mai perduto equilibrio cosmico; non è l’antipode del bello noumenico; è privazione di grazia, di vita, di gioia, di prospettiva, d’essere; tutte cose o grazie usurpate dall’eccessiva, tracimante, non arginabile presenza del dolore gratuito, dell’abnormità arbitraria, della bestemmia insensata, dell’accanimento immotivato. In cuor mio rifiuto con tutto me stesso che, in nome ed in ossequio all’arbitrio dell’equilibrio naturale, possano e debbano nascere ‘mostri’ che per il solo essere tali inducono dolore in coloro che, avviliti nel profondo del proprio animo, gli si fanno intorno. Ancor più maledetta siano la natura o il nume quando a danno di pochi (mai troppo pochi – circa cinque milioni al minuto) perpetrano l’estremo e più cocente dileggio di privarli della norma (entro ragionevoli canoni che il buon senso suggerisce ai più), ‘beneficiandoli’, in un sommo vituperio, del senno di riconoscersi ‘mostri’. Allora il danno è ancor maggiore: alla sofferenza del prossimo si somma quella del disgraziato – tutto ciò senza una ragione che sia anche di conforto per il disgraziato -, perché, senza dubbio, di vera disgrazia (privazione di grazia) si tratta, sempre che non si voglia dubitare anche di ciò. Tu osservi l’universo e ne valuti la complessiva armonia sottostante e sovrastante (i due limiti estremi entro cui si esprime il polemos) il suo reboante moto; io, invece, molto più umilmente, mi limito ad osservare la natura che ci circonda, quella che con i miei sensi posso udire, vedere, toccare, fiutare e gustare. Troppo distanti i remoti spazi interstellari, ove si cela la divina trascendenza (chissà perché l’immaginario collettivo la colloca sempre nei cieli), per sollecitare le mie ansie e le mie inquietudini; queste, entrambi, sono incalzate e incitate sufficientemente dalle cose mondane, dagli obbrobri che la natura – madre e matrigna – ha copiosamente sparso per i quattro punti cardinali del nostro impareggiabile pianeta. Tutto ciò va ben oltre il polemos greco, si colloca certamente oltre l’eterno polemos presente nella natura; la deformità dipinta sul volto trasfigurato di un bambino è il trasparire di una condizione extra naturale, extra territoriale, al di fuori dei territori disputati dall’affannoso ansito della vita. Quest’acme patogena esige la parola, anche urlata e rabbiosa, giacché il tacere sarebbe sterile adagiarsi e conformarsi all’extraterritorialità della natura, al suo essere apolide. So bene che non sortisce effetto alcuno, ma se non altro tiene tesa la corda del mio sentimento, impedendole di adagiarsi in comode contemplazioni estatiche e ieratici alleluia, che son racimolo d’un animo negletto al cuore, il quale, aduso alla proterva intemperanza creatrice del nume o della natura, non aduna più quel sano singulto da opporre a sì tanta malcelata ingiustizia. A nulla servono le accorate querimonie, so bene, ma suscitano pietas e carithas, le quali, mentori del cuore, impediscono all’animo che s’inaridisca, diventando siliceo, la quale silice, in questo caso, strano a dirsi, non reca memoria dell’immane fortuna di non essere visitati dall’handicap (come ama dire un mio caro conoscente). Qual è il canone, domandi a me? Non saprei indicartelo con indefettibile certezza, ma so di certo che l’handicap, feroce fiera che nega la vita all’ultima dea, non è di quella sporta. Mi dici che in assenza della norma manca il termine di riferimento per desumerne l’abnorme? No! L’handicap è l’abnorme; non ha necessità, per essere tale, d’alcun catalogo che, poiché assente dall’indice, non menzionandolo lo indica come eccezione, dicendo di esso in ragione del suo non essere inventariato e con ciò lo canonizza fra le abnormità; l’handicap non è termine di paragone, men che meno è semplice disformità, è aberrazione della natura, suo traviamento, rifiuto della forma, e noi, all’informe, non possiamo consentire assuefazione… parlarne impedisce la sua ‘routinizzazione’, giacché è eccezione. Del bene lascio che altri ispirati cantori, ben più facondi di me, parlino a profusione… lo so vedere, quando c’è, anche apprezzare, ma a che vale una voce che si accodi al canto corale che tante lodi ha sciolto al cielo, profondendosi in mille ringraziamenti e incensamenti? Son certo che l’assenza del suono mio non si scorgerà fra i tanti serafici gorgheggi che ogni dì sono sciolti al cielo. |
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09-04-2008, 16.09.37 | #56 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Lo scandalo
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Se Dio esiste e il male esiste; se Dio è creator di tutto, ma non del male; ne deriva che se il male è, qualcuno deve pur aver istillato nella creazione questo vulnus purulento (parlo del male cui son più avvezzo trattare, quello radicale e quello gratuito). Se l’uomo è – e l’uomo è, senza impelagarci in complesse filosofie che negano tutto, anche se stesse -, e il male è, non essendo quest’ultimo creato da Dio, il quale abbiamo assunto che sia, il male deve essere istituito dall’uomo, il quale, innegabilmente, se Dio è – pur di ascrivergli una qualche, seppur minima, opera creatrice, diversamente che creatore sarebbe, di che? -, deve (l’uomo) essere stato necessariamente creato da Dio. Se Dio è, necessariamente dobbiamo riconoscerlo onnisciente e onnipotente, almeno in guisa tale da poter creare l’uomo diverso da come l’ha forgiato (meno sensibile al richiamo del male, quello radicale, insito nel suo animo, quest’ultimo da Dio voluto in quella determinata foggia e di quella qualità), non desumi anche tu che, avendo l’uomo posto in essere il male, seppure quest’ultimo non sia direttamente creato da Dio, lo sia almeno come responsabilità mediata dalla sua creazione? In ultima analisi, se è l’uomo ad aver istituito il male, è Dio che ha voluto che così fosse. Fra l’altro, chiunque avesse dato vita al male, chiunque ne fosse la sua scaturigine, volendo pur affrancare Dio da una responsabilità diretta ed essendo il male quel che più e meglio contrasta il bene – essenza che alcuni testi sacri dicono essere precipuamente divina -, non pensi anche tu che tale scaturigine abbia una forza e un potere tale da mettere in serio dubbio l’onnipotenza divina e disputare a Dio il suo trionfo, che sempre i medesimi testi sacri dianzi citati collocano in un futuro escatologico? Non pensi tu che l’eschaton possa essere una dimensione terrifica ove si assisterà all’annichilimento d’ogni bene? Non pensi tu che tutto ciò confuti, con buonissime ragioni, ogni baldanzosa soteriologia, sia essa di matrice cristiana, giudaica, islamica o d’ispirazione orientale? Tutto ciò, ovviamente, sempre che il male non sia opera di Dio, come sospetterei io se credessi in Dio; diversamente, come ben fai notare tu, anche l’uomo, creatore del male, è un Dio: quello del male... e tanti libri ispirati avrebbero semplicemente mentito…. Ma, a questo punto, Gesù dove e come lo collochi? Citazione:
Tutto ciò cosa? Evidentemente, il senso della terra, l’adesione alla natura vissuta e percepita dalla classicità greca in guisa di daimon, il deus sive natura spinoziano… tutto ben presente nella tradizione della Grecia classica. Quel che manca a certa spiritualità pseudo panteista (guai farlo notare), monca di substrato teoretico e di pensiero pensato criticamente, è il senso del tragico, anch’esso, e forse ancor più, intridente la percezione del sacro del costume greco. Mi domando, perché attingere a piene mani – anche inconsapevolmente - da una tradizione affascinante quel che più si confà alla propria esigenza di crearsi una dottrina suffragata dall’esperienza storica e filosofica altrui, tralasciando parti sostanziali che, difettando, rendono monco e aporetico l’intero corpus spirituale cui si aderisce, a parer mio acriticamente? Il Polemos Greco, nutrimento indispensabile del tragico, con maestria cantato da Eschilo e Sofocle, impregna la Natura; la terra stessa trasuda polemos, tragedia. L’eroe greco è il diapason che scandisce il ritmo cui si confà il moto oscillatorio fra natura e spirito, fra diritto e istinti, fra vox clamans istillata dal nume nelle profondità dell’animo e doveri esogeni, istituiti come risposta all’esigenza di un ordine cui conformarsi. Si tratta, però, di un ordine estraneo, alieno all’animo umano, che, essendo sostanzialmente tramestio, rifugge ogni tentativo di sistematizzazione; in definitiva, si tratta di dar sfogo a quella naturale disputa fra fra kosmos e kaos, fra ossequio ai doveri sociali e pietas. Eppure s’è troppo e troppo spesso inclini a cantar le lodi volte al bello, all’armonia – quanti panegirici estatici son cantati qui dentro -, disconoscendo l’ansia, l’angoscia esistenziale, che tanto dicono del sommovimento intimo inalienabile e inarretrabile che pervade l’essere. |
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09-04-2008, 16.10.27 | #57 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Lo scandalo
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Ciao |
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09-04-2008, 17.08.42 | #58 | |
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Riferimento: Lo scandalo
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10-04-2008, 08.33.28 | #59 |
Ospite abituale
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Riferimento: Lo scandalo
Poiché con questo prolungato grappolo di risposte e contro-risposte ho paura che sia vicino il fatidico OT, mi limito a considerare il penultimo messaggio di Noor, che in fondo sembra risolvere il problema e cancellare - appellandosi al Tao - lo scandalo di un mondo che può essere giudicato cattivo e fa indignare le anime belle….Perché, dice Noor, la morale è un’invenzione umana, una inutile grinza che guasta quell’ordine naturale che è rappresentato dal Tao, al quale dovremmo tutti obbedire lasciando da parte le nostre inutili e orgogliose pretese morali.
Stupidi gli uomini che a un certo momento della loro storia hanno voluto riporre le pietre e le clavi per godersi qualche insulsa ora d’amore; stupidi gli uomini che hanno voluto inventare leggi e guardiani di leggi invece di lasciare che ognuno seguisse la sua natura e si servisse a piacere dei beni che offre la vita; stupidi gli uomini che non si sono stesi sulla riva del fiume a guardare le sue scherzevoli onde invece di affannarsi a sarchiare, seminare e far crescere alberi i cui frutti avrebbero poi dovuto difendere con le unghie e coi denti. Insomma stupido questo voler cambiare le belle leggi della natura e immaginare inesistenti diritti umani, fabbricare regole e tavole delle leggi e persino immaginare che siano imposte da un inesistente Dio. Il Tao, questo è il vero Dio, che avrebbe lasciato le cose come stanno e, tanto per dirla tutta – non avrebbe neppure sconvolto la pace sublime del nulla con un mondo che è soltanto caos, contaminato da esseri che hanno voluto lasciare perfino l’ultima chance che loro si offriva di rimanere scimmie e si sono auto-certificati sapienti….. Lo scandalo? Togli la morale, e lo scandalo non esiste più. |
10-04-2008, 10.26.22 | #60 | |
Ospite di se stesso
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Riferimento: Lo scandalo
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però, più che stupido,l'uomo ,in quanto essere ancora in divenire nella sua evoluzione,è inconsapevole delle sue vere facoltà,ad esempio nel non cogliere che non siamo esattamente quel corpo che ci rappresenta..(lasciando perdere,comunque certe rappresentazioni cristiane d'una Eternità da venire). Ben vengano però le ore d'amore ,le leggi ,le civiltà,la morale,il progresso insomma..(ma chi le nega?),ho anzi detto che ,se ben sfruttate sono utili.Sarebbe moralismo il farlo...dicevo solo che non è utile mettersi contro le Leggi dell'Universo. Il Tao,ma possiamo pure chiamarlo Peppinello,è saper osservare quell' Ordine Segreto ,vedere quell 'Ologramma Infinito..e nella consapevolezza di ciò,saperlo accettare,cioè diventarlo. Il punto è che l'uomo vecchio non può far altro che idealizzare l'Oltreuomo,proiettarsi in esso con la mente,progettare un'ideale,proiettarvisi,ma questo non è mai vera trasformazione della coscienza. ciao |
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