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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
01-04-2008, 07.32.42 | #6 |
Ospite abituale
Data registrazione: 10-06-2007
Messaggi: 1,272
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Riferimento: Nietzsche e l'eterno ritorno
Penso che sia molto difficile razionalizzare Nietzsche (e non credo che egli avrebbe accettato volentieri di essere citato fra i tanti nomi delle enciclopedie filosofiche): bisogna prenderlo così com’è. E come il suo potere d’esprimersi si manifestava in maniera compiuta nell’aforisma, così il suo pensiero vive in idee folgoranti ed effimere, illuminanti e anche criticabili o assurde: quasi – vorrei dire - in urli di belva o in mugolii, ripensamenti e singhiozzi patetici.
Quanto all’eterno ritorno, ci vedrei una specie di ripudio di sé, di autocorrezione lancinante e improvvisa, se mettiamo questo in rapporto col Nietzsche dissolutore, il trapassatore, sì, perfino l’uccisore di dio: il superamento di tutti i valori viene per così dire capovolto nell’accettazione perpetua di tutti i valori, in quello schiacciare la storia in un sigillo che sembra valorizzare tutti e nessuno. Perché evidentemente schiacciare la storia significa alla fine annullarla. Ma davanti a Nietzsche non sarei sicuro di nulla (e tanto meno lo giudicherei il filosofo dell’ermeneutica come era di moda fino a poco tempo fa). E il cosiddetto nichilismo nietzschiano? Forse è questo il suo nichilismo: pensare o non pensare, essere o non essere Nietzsche o – se questa non fosse una domanda cattiva - essere o non essere considerato pazzo? |
01-04-2008, 08.43.55 | #7 |
Ospite di se stesso
Data registrazione: 29-03-2007
Messaggi: 2,064
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è poesia...non filosofia...
AL MAESTRALE
Io ti amo, Maestrale fragoroso, Cacciatore di nubi, che uccidi la tristezza e spazzi il cielo! …… Via coloro che turbano i cieli, e chiamano le nubi….. Con lo spirito libero di tutti gli spiriti muggisce qual tempesta la mia felicità! Noi danzeremo in mille e mille modi, e libera si chiami l’arte nostra, Gaia la nostra scienza. La Gaia Scienza |
01-04-2008, 09.30.14 | #8 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 17-07-2007
Messaggi: 128
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Riferimento: Nietzsche e l'eterno ritorno
Citazione:
...in effetti Nietzsche, se si fa eccezione della prima opera che ci ha lasciato, è il filosofo più enigmatico degli ultimi tempi...lo chiamerei l'Eraclito dei tempi moderni...è così duttile che si presta a miriadi di interpretazioni differenti, è facile estrapolarne un passo e gettare una nuova luce su aspetti mai considerati prima...il suo pensiero è sempreverde e credo che lo si possa leggere anche tra mille secoli e trovarvi ancora vette inesplorate del pensiero e del sentimento... sul concetto di a-moralità della storia concordo...il carattere ultimativo della volontà esclude il riferimento di questa a idee ulteriori...la volontà è autonoma nel senso che obbedisce ad una logica e ad una legge interna, si esaurisce solo in sè stessa e mai in altro...la storia non è subordinata ad alcuna idea di progresso lineare, la storia è un uroboro, un serpente che si morde la coda...un concetto del tempo che affonda le radici nella cultura pagana e pre-cristiana, il tempo espresso nella ciclicità del divenire... |
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01-04-2008, 10.10.52 | #9 |
Ospite abituale
Data registrazione: 16-10-2005
Messaggi: 749
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Riferimento: Nietzsche e l'eterno ritorno
Ragazzi, e molto più semplice di quanto sembri, almeno il concetto di base.
L'eterno ritorno parte da questa premessa: SE la MATERIA e finita. E il Tempo e INFINITO allora TUTTO ciò che e successo ricapiterà ancora, e ancora e ancora. Poichè per quante combinazioni ci possano essere nell'universo (e Sono veramente tante) COn un tempo infinito a disposizione e una materia finita prima o poi si ripesenterà la configurazione attuale, e ancora, e ancora all'infinito. |
01-04-2008, 10.50.58 | #10 |
Ospite abituale
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Messaggi: 1,150
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Riferimento: Nietzsche e l'eterno ritorno
<<Così volli che fosse>>.
Quest’enunciato tradisce in modo emblematico la nozione di “Eterno ritorno”, cui si collega quella di “Amor fati”, entrambe di derivazione stoica – l’intera filosofia, o visione, di N. risente enormemente del pensiero greco, se non altro per la concezione tragica della vita che la classicità greca riversò nel pensiero dell’Occidente. V’è da dire che dello stoicismo conserva alcuni tratti, mentre per altre coloriture se ne discosta alquanto -. “L’eterno ritorno dell’uguale” che spezza l’armonia del Cosmo è la condizione dimensionale indispensabile per l’avvento del nuovo uomo. Il riproporsi ciclico delle stagioni e degli eventi rende necessario la resa alla necessità, al destino ineluttabile rappresentato dall’Aurora dell’Oltreuomo, il quale è la promessa, l’Evangelo privo di Dio e salvezza escatologica di chi ha sognato e profetizzato un mondo finalmente sgombro di false speranze. L’Amor Fati è appunto l’abbandono a quest’ineluttabilità scandita dallo scorrere ciclico del tempo che dischiude un destino da amare, anche se impregnato di sofferenza da non negare, da non rifuggire, da non celare sotto la coltre di vana spiritualità… addirittura sofferenza da bramare. L’eroicità del Superuomo nell’accettazione tragica (nell’accezione classica… “Non io, bensì così vollero gli dei” - Iliade) del proprio destino (Amor fati) è molto simile al rapporto dialettico che la Grecia classica instaurò nei confronti della Vita e del Tempo, di Cronos. Il Tempo di N. si sviluppa in una dimensione circolare, chiusa, non lineare. Il volere riecheggia dal passato, da un tempo mitico e viene all’uomo per coniugarsi con il Fato, e quest’ultimo giunge a lui, cogliendolo per strada, per recargli il volere, quel particolare volere, che è potenza di volontà, o meglio volontà di potenza: “così vuole la mia volontà creatrice, il mio destino.” . Fato e volontà si conformano e insieme, assentendo l’uno all’altra, ”creano” il divenire, l’attimo fuggente che diviene. Non v’è più dunque un’armonia cosmologica che intessa la storia per l’uomo, bensì un’ebbrezza voluttuosa che si genera nel caos, o un caos che pullula nell’ebbrezza delle passioni. Questa è, con ogni dovuta evidenza, voluttà. L’Amor fati non è un semplice conformarsi al destino, ovvio che in definitiva di ciò si tratta; è creazione e volontà creativa che si coniugano con il Fato; è Fato che si congiunge alla volontà. Il ”matrimonio mistico” , che si celebra nella pagine dell’opera di N., è di ben altro tenore rispetto a quello esoterico officiato nei saggi di spiritualità. V’è passione, un amore rosso e cruento come vivido sangue che ribolle. N. postula un confluire di destino e volontà di vita. Le due matrici si conformano l’una all’altra, e non per volere di un Dio, o per via di un recupero di una coscienza superiore o a seguito di un complesso procedimento introspettivo o meditativo – niente di più estraneo dal pensiero di N. –, bensì per causa di un “ritorno”, di un rivisto, di un rivissuto che celebra il fastigio della volontà. L’Amor fati è così un “volere che così fosse”, i cui termini opposti che lo inscrivono sono da recuperare nell’impossibilità per la volontà stessa di infrangere lo scorrere del momento (cosa che neppure la geniale follia di N. potè negare) e, dall’altra parte, dall’ineluttabilità del Fato, del destino, fra le cui braccia siamo sospinti. La volontà è però libera; questa volontà, che è comunque convogliata verso un destino ineluttabile – il suo destino –, è al tempo stesso la massima espressione di libertà. Ma come potrebbe essere intravista o presentita una libertà che si esplichi nell’ambito di un tempo lineare, teleologico, escatologico ove il destino l’attende per compiere l’evento, se non postulando un “eterno ritorno dell’uguale”? Z. non nega lo scorrere del tempo. Egli danza nel suo fluire, nel divenire. Da qui il suo celeberrimo “Così volli che fosse”, il suo “Amor fati”, il suo bramare la sofferenza che impregna il tempo e la vita, la sua tragicità esistenziale nell’eterna disputa fra la dionisiaca ebbrezza delle passioni da preservare e coltivare, espandere e glorificare e quanto reso necessario dal momento, dall’attimo stesso. La vita, sebbene sia dissoluzione e disfacimento, si rigenera eternamente proprio nella decomposizione, nello sfacelo, ricomponendosi nella sua magnificenza. La sofferenza è parte della vita, poiché la rigenera, non nel senso caldeggiato dalla religiosità deistica, che, in ultima analisi, si traduce in una sua negazione o in un suo trascendimento: la sofferenza è amata. La Vita, pur nella sua ciclicità, è divenire, impermanenza; il Superuomo, conforme alla Vita, a differenza dell’Illuminato, è un uomo del divenire, totalmente immerso nell’impermanenza, intriso di transizione. La volontà di vita, sospinta in una danza folle dall’ebbrezza delle passioni, è la creatrice dell’attimo transeunte che si origina nel caos. Ciao |