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04-01-2004, 15.26.47 | #23 |
Ospite abituale
Data registrazione: 19-11-2002
Messaggi: 474
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Come sedurre al "bene" chi si vuole "male"?
Il problema, secondo me, sta nel fatto che chi si fa "del male", per effetto di una coazione a ripetere generata da automatismi molto radicati nel tempo, ha del "volersi bene" una nozione solo teorica, non sperimentata, non vissuta. Mentre ha invece imparato ad adattare con flessibilità il suo "volersi male" a tutte le situazioni vecchie e nuove ci si presentano.
Come deve avvenire, come deve articolarsi, nei fatti, questo salto qualitativo dalla "teoria" del "volersi bene" alla "pratica" di esso? A mio parere è questa mancanza di appigli concreti, e non teorici, a cui ancorarsi nella fase per così dire di "transizione", che alla fine in genere vanifica ogni astratta volontà di cambiamento... Ultima modifica di irene : 04-01-2004 alle ore 15.32.40. |
07-01-2004, 17.17.53 | #25 |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-04-2002
Messaggi: 1,150
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Esistono i flash emotivi dovuti ad eventi traumatici che seppur noti non consentono di porre riparo a situazioni che generano sofferenza. Esistono condizioni emotive radicate in esperienze traumatizzanti vissute che inibiscono la possibilità di sedurre al bene il male di vivere. Non tutto è liscio e filiforme. Anche l'introspezione e la conoscenza di sé e delle proprie reazioni possono soccombere al cospetto di ricordi ferali ed incubi concreti, senza con ciò scivolare necessariamente nella patologia. La vita è un crogiolo di esperienze, alcune tendono ad innalzare, altre ad inibire. Anche il rapporto con il prossimo, con gli affetti, è spesso causa di frustrazioni che non aiutano a dipanare una matassa che con lo scorrere del tempo diviene sempre più intricata, e l'autoanalisi, o la riflessione su sé stessi, seppur utile a far emergere le ragioni della crisi, spesso non è utile a districarle, perché si lotta contro due forze che agiscono in osmosi: quella intima, spesso cogente, che si scontra o s'innesta in quella esterna, dovuta all'individuo con cui si è in relazione. Non tutto ciò che di doloroso si esperisce promana direttamente dall'individuo attore, spesso è solo un'acquisizione esterna che incide anche in maniera considerevole sulla propria capacità di costruirsi migliori. L'uomo non è un individuo isolato, l'individualità di ciascuno di noi, la nostra personalità e il nostro sentire entrano quotidianamente in contatto con il sentire e l'individualità altrui, in un interscambio continuo, talvolta proficuo, altre volte no. Questo interscambio è spesso fonte di 'disarmonie' nel comportamento, giusto perché una relazione, e l'uomo vive di relazioni, è un processo dinamico che si costruisce attraverso la continua incessante modulazione del proprio essere in rapporto a coloro con cui si entra in contatto. In definitiva, la personalità, che si estrinseca attraverso il proprio modo di rapportarsi nel mondo, non è un monolito immutabile, ma funziona un po’ come una fisarmonica che si espande a determinate condizioni, in altre si contrae e alle volte smette di produrre melodie.
Concludendo, non sempre l'autoriflessione porta ad un miglioramento di sé stessi, anche se comunque aiuta, perché è meglio conoscere che ignorare. |
07-01-2004, 18.13.59 | #26 | ||
può anche essere...
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messaggio inviato da visechi
Citazione:
Citazione:
totalmente d'accordo con te. Non basta l'autoanalisi: anche se aver chiaro il problema è già un bel passo avanti, quante volte capita di capire un problema e non riuscire a risolverlo! Riprendo anche la tua metafora della fisarmonica dicendo che, secondo me, dal momento che siamo esseri intelligenti, dovremmo essere in grado di imparare a suonare volontariamente questa benedetta fisarmonica, in modo da riuscire, nel trovarci di fronte i diversi spartiti, a suonarli perfettamente, ed eventualmente riuscire a modificarli correggendone le stonature. Ecco, diciamo che questo sarebbe proprio l'ideale! Ma non so quale intelligenza potrebbe riuscirci effettivamente bene...a leggere la realtà come un'intricato problema da risolvere, capirlo grazie all'intelligenza e, trovata la soluzione, metterla in atto con un comportamento adeguato...mah...però c'è chi riesce ad avvicinarsi a questo obiettivo più di altri, di questo sono convinto. |
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07-01-2004, 18.20.36 | #27 |
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Sono dell'idea che sia un buon passo già il rendersi conto del problema, anche se non si riesce a risolvere.
L'essere coscienti e ciò che più auguro a ciascun essere umano, anche se a volte non è poi così comodo. Quando si ha la cognizione di un problema ci si avvia verso un miglioramento, magari non del problema stesso ma dell'accettazione dello stesso. e non è un piccolo passo! |
07-01-2004, 22.28.51 | #28 | |
può anche essere...
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Citazione:
credo che a volte potrebbe addirittura coincidere con la soluzione del problema stesso: ad esempio, se una persona non accetta un lato di sè che però fa parte di lui, si proverà in tutti i modi a comportarsi sostituendo questo suo lato che rifiuta con quello che gli piacerebbe invece avere, ma dal momento che le cose che ci riescono peggio son proprio quelle che non possiamo per nostra stessa natura fare, questi comportamenti innaturali non possono che creargli ulteriori problemi. Per questa persona il lato negativo di sè che rifiuta rappresenta il problema, ma è in realtà la sua non accettazione che gli crea problemi...arrivando ad accettarlo potrebbe magari accorgersi che quello che credeva essere un difetto irrimediabile si inserisce invece in perfetta armonia con il suo vero modo di essere, e con questo ritrova la serenità interiore (per quanto sia possibile). |
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08-01-2004, 21.50.25 | #29 | |
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visechi
nn commuoverti però Citazione:
segnatela sul muro..... per una volta la penso proprio come te bella discussione....continuate please...... |
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09-01-2004, 09.55.13 | #30 |
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Si Rubin, spesso quello che si ritiene un problema è solo una caratteristica.
Spesso diviene un problema solo perchè viene paragonato a modelli che non ci sono congeniali. In questo il processo di accettazione può portarci a capire, con maggior serenità, ciò che va bene per noi veramente e non perchè è confacente a schemi non decisi da noi. Non mi stancherò mai di dire che finchè le nostre azioni non sono prevaricanti nei confronti degli altri non hanno nulla che possa essere contestato. Partendo da questo, stando un po' a guardare, magari arriviamo pure a comprendere che quella cosa che ritenevamo negativa, non lo è poi nella realtà dei fatti. Ci vuole un po' di pazienza, specialmente verso noi stessi, non stare sempre lì ad autogiudicarci, ma guardarci con un po' di affetto, anche verso quelle parti di cui non andiamo proprio fieri. |