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17-05-2008, 10.14.43 | #13 |
Ospite abituale
Data registrazione: 23-02-2008
Messaggi: 286
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Riferimento: I "criminali": chi sono, cosa rappresentano, come trattarli
Gyta dice delle cose di estremo buon senso ma pure molto scontate. Chi non potrebbe essere d'accordo con lei/lui?
L'errore più pacchiano che alcuni qui dentro potrebbero fare, sarebbe credere che persone che hanno scritto le cose che ho scritto io nel mioprecedente intervento o che ne pensano altre addirittura peggiori, siano completamente sorde ai ragionamenti esposti da Gyta o che addirittura non arrivino a concepirli. Non è così. Quelle persone non mancanodi umanità tolleranza o comprensione. Anche loro vorrebbero risolvere tutti i problemi attraverso l'educazione e il miglioramento per tutti della condizione ecomica. Però forse sono più pragmatiche e meno idealiste. O forse solo più disilluse. Non sono mostri, non sono razzisti, non sono xenofobi, non sono fascisti. Sono solo stanchi e vogliono delle soluzioni immediate, non solo futuribili. |
17-05-2008, 11.06.21 | #14 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 08-06-2005
Messaggi: 697
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Riferimento: I "criminali": chi sono, cosa rappresentano, come trattarli
Citazione:
Per carità, le carceri non sono sparite in Finlandia, ma è in atto una revisione del sistema carcerario. Accanto alle carceri chiuse ci sono istituzioni aperte che permettono a chi sta scontando una pena di lavorare e di continuare a mantenere la famiglia. Se leggi l'inglese puoi leggere la documentazione in Internet. |
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17-05-2008, 11.29.17 | #15 |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-12-2005
Messaggi: 542
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Riferimento: I "criminali": chi sono, cosa rappresentano, come trattarli
Ecco qualcosa di specifico e locale che potrebbe pero' servire a comprendere la situazione degli immigrati in generale e la tendenza alla criminalita':
Negli anni 60 si e' notata in Israele una forte percentualita' di giovani criminali originari dal Marocco. Studiando le fonti di questo inadattamento i sociologi lo spiegarono cosi': nel corso delle generazioni gli ebrei marocchini trovandosi isolati culturalmente tanto dalla popolazione araba, quanto dai colonialisti francesi, ambirono all'appartenenza alla Francia, ma non venendone accettati svilupparono complessi di ripulsione e vittimizzazione. Con la migrazione in Israele percepirono una simile frustrazione di fronte ai veterani d'origine europea, e reagirono infrangendo le leggi. Penso che questa esperienza possa essere valida anche nel caso degli immigrati in Europa provenienti dalle ex colonie francesi e britanniche. Noi la nominiamo "crisi di passaggio", ma naturalmente le reazioni possono essere piu' acute e durature se al migrante non e' concesso di rimanere e la sua posizione non e' regolarizzata. |
17-05-2008, 18.58.00 | #16 | |
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Data registrazione: 02-02-2003
Messaggi: 2,614
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Citazione:
Secondo me il "trattamento autoritario e/o punitivo" continua ad essere figlio del "bastone e della carota", e solo a quel modo di procedere ed intendere è necessario! Quando si è seri, profondamente seri e rispettosi, la comprensione dell'accaduto si sostituisce al pentimento ed al perdono. Ma spesso tale serietà viene attribuita impropriamente ai buoni mentre altro non è che un comportamento profondamente sano ed equilibrato, che non abbisogna di vittimismo per riscattare l'immagine di se stesso. Essere disillusi è l'altra faccia del vittimismo, purtroppo.. Essere coscienti e costruttivi non è essere futuribili se non nella modalità in cui ogni pensiero getta di per se stesso le basi anche nel futuro. Gyta |
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19-05-2008, 00.40.56 | #17 | |
Ospite
Data registrazione: 19-06-2007
Messaggi: 25
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Riferimento: I "criminali": chi sono, cosa rappresentano, come trattarli
Citazione:
grazie per sorvolare sulla mia scrittura così poco piacevole le mie considerazione vengono dalla realtà Per me sono costatazioni ho avuto varie esperienze che esporre qui non mi sembra cosa giusta ma dalle quali credo di aver imparato qualcosa cioè che importanza è l apparenza, in realtà non importa a nessuno se ti droghi se spacci se uccidi o rubi l importante è il non far rumore e se fai rumore allora interviene lo stato che ti chiude in una cella lontano dal mondo per non farti più sentire da chi sta fuori Ora molti diranno o penseranno tra loro che questo modo di pensare è un già sentito scontato e basso ma se molti la pensano così questo dovrebbe far riflettere poi forse sarebbe il momento di chiarire quella che secondo me fin dall inizio è stata una generalizzazione chi si intende per deviato,criminale? |
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20-05-2008, 10.28.51 | #18 |
like nonsoche in rain...
Data registrazione: 22-09-2005
Messaggi: 1,770
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I "criminali": chi sono, cosa rappresentano, come trattarli
Credo che le nostre maschere sociali ci impongano di comportarci in un certo modo, al meno di fronte a noi stessi ed al nostro super-io. La nostra parte ombra finiamo per proiettarla, appiccicarla addosso a questa o quella persona, questo o quel criminale (Zanna ho generalizzato apposta, per mostrarne l’errore, il paradosso... non so se si era capito); criminali, “deviati” da allontanare quanto più possibile dalla nostra vista, come scrive Zanna: «non importa a nessuno se ti droghi se spacci se uccidi o rubi, l’importante è il non far rumore e se fai rumore allora interviene lo stato che ti chiude in una cella lontano dal mondo per non farti più sentire da chi sta fuori».
Le carceri esistono per questo. Per segregare una parte di noi stessi. Lontane, seppur magari ce le abbiamo ad un chilometro da casa. Inaccessibili, misteriose, non vogliamo sapere ciò che vi avviene dentro, come vivono le persone, come stanno stipate (a Bologna più di un migliaio di persone per 500 posti disponibili) e come, quelle detenute per piccoli reati, finiscano per “imparare il mestiere”. «La prigione è l’università del crimine» affermava non mi ricordo chi. Non possiamo deviare, non ci è concesso nelle nostre società bigotte e borghesi, salutiste, perbeniste, igieniste, uniformi e conformi. Il “diverso” è colui da allontanare poiché anche in noi è ben presente questa componente, questa forza deviante e centrifuga, ma la morale dominante ci impone di reprimerla e finiamo per appiccicarla addosso al rom, che seguitiamo a far vivere nei ghetti, addosso alla persona che si droga, che seguitiamo ad emarginare, addosso al ragazzetto “anarchico”(-?-) che sfascia una vetrina... ... oh, no, mio figlio non è così... ... e poi ci sorprendiamo quando "brave persone", perdono l'"autocontrollo", ovvero quel meccanismo di repressione e scoppiano, compiendo atti anti-sociali, sino all'omicidio. "Ucciso per un parcheggio"... sembra assurdo... ma è capitato... eppure non ci si chiede veramente il perchè. Sono come le morti sul lavoro. Un incidente, un malore, un capogiro, casualità, nessun colpevole... Ma quale casualità... Avevo posto una domanda: perché ci pare strettamente necessario il trattamento autoritario e punitivo? Sembra una domanda talmente assurda ed ingenua che non abbisogna nemmeno di parole, vero? Beh, credo che dove stia l’”ingenuità”, lì stia pure tanto da scavare. Solo Gyta ed in parte Zanna hanno tentato di fornirmi una risposta. La «com-prensione», è bellissima questa parola, “prendere con”, abbracciare; Frollo afferma non manchi neanche a coloro che vorrebbero soluzioni più “pragmatiche” e meno idealiste, soluzioni pratiche, “qui ed ora” e non sempre futuribili. Ammetto che il termine “pragmatico” suscita le mie ire. Purtroppo viviamo in un’era in cui ai primi posti sta l’utilità, il guadagno, il progresso infinito, il puntare ad uno scopo come unico significato delle nostre vite (ed era questo il punto fondamentale dell’articolo su L’Espresso citato nella discussione sull’anarchismo, indipendentemente dal marxismo dell’autore, e non bisogna essere tali per comprendere che Sarkozy e Berlusconi sono due buffoni, nel senso etimologico della parola). Qui il discorso è esattamente il medesimo della somministrazione delle anfetamine ai bambini “iperattivi”. Esattamente lo stesso. Lì tante persone giustamente scandalizzate... e qui? Viviamo e cresciamo i nostri figli con il mito della velocità, del progresso e con il fatto che sia giusto sottomettere a questi valori ogni cosa, persino la salute mentale dei futuri uomini. Quelli –ormai- “deviati”, i criminali, quelli sono irrecuperabili, gettiamoli via lontano, in un fosso, in un ghetto, mandiamoli in prima linea a morire (discussione in cultura e società di qualche giorno fa), buttiamo via le chiavi delle prigioni! E costruiamo delle altre! Orsù! E così facendo esorcizziamo e gettiamo via con loro una nostra parte ombra, oscura, quella che vorrebbe deviare, che vorrebbe liberarsi da queste catene sociali, da questi meccanismi repressivi in cui noi stessi ci costringiamo a vivere. Non ci accorgiamo che colui che “delinque” è nient’altro che un fallimento della nostra organizzazione, delle nostre società, di quei falsi miti di progresso per i quali immoliamo decine di esseri umani ogni giorno... ma per cosa, signori, per cosa? Chi ci impone come vivere? Chi o cosa ci impone l’impossibilità di “fermarci” a riflettere? I morti sono tutti uguali e non esistono popoli od uomini che non abbiano la dignità di essere trattati come tali! Cosa stiamo portando avanti? Quale idea? Queste domande riguardo al “senso” le ho poste anche nella parallela discussione sull’anarchismo, ma non ho ricevuto risposte. Perché reputiamo impossibile ed “idealistico” ciò che afferma Gyta, sulla vita dignitosa ed umana di ognuno? Perché va contro il nostro pragmatismo e realismo? Lo so, queste sono domande complesse che ci impongono di rivedere il senso stesso che abbiamo attribuito alle nostre vite ed al rapporto con la realtà. Antonio |
20-05-2008, 12.39.35 | #19 |
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Riferimento: I "criminali": chi sono, cosa rappresentano, come trattarli
perché ci pare strettamente necessario il trattamento autoritario e punitivo? [quote]
In criminologia una delle ipotesi sul compito delle prigioni e' quella di servire da spauracchio alla gente "perbene". La societa' ha bisogno dei criminali per funzionare normalmente, ha bisogno del trattamento autoritatario e punitivo per dissuadere dai "cattivi istinti". Mi viene in mente a questo proposito il libro di Saramago sulla "Cecita' ", dove al momento che tutti perdono la vista [il controllo] scoppia il caos e tutti agiscono violentemente, tutti diventano criminali. Che ti sia chiaro Nexus :questa e' un'interpretazione e non un'opinione, e questo te lo dico vedendoti molto involved nel problema. Io stessa avendo lavorato per anni con giovani carcerati credo fermamente nella riabilitazione e nel potere del calore umano. |
20-05-2008, 14.52.31 | #20 |
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Riferimento: I "criminali": chi sono, cosa rappresentano, come trattarli
Anni fa' ho preparato un lavoro accademico sul tema, comparando gli ospiti di un carcere giovanile con coetanei studenti liceali. Non si e' trovata differenza alcuna nella capacita' di empatizzare.
Esistono però alcune categorie di criminali che si caratterizzano proprio per un bassissimo livello di empatia, non hanno alcuna capacità di identificarsi con gli altri ed agiscono in modo freddo e spietato; è sbagliato, a mio avviso, affermare che chi commette dei crimini sia umanamente "uguale" a chi agisce nella legalità, perchè non sempre è così: esistono casi di persone davvero malvage, il cui recupero è estremamente difficile se non perfino impossibile. Inoltre attualmente nel sistema giudiziario vi è una tendenza eccessiva a trovare giustificazioni e attenuanti anche per i reati più gravi;si parla allora di seminfermità mentale, di attimi di follia e via con queste ridicole giustificazioni che portano a scandalosi sconti di pena, che fanno sì che il detenuto sia spinto a ripetere gli atti delinquenziali, approfittando del buonismo delle istituzioni. |