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02-02-2006, 17.47.21 | #22 | |||
Moderatore
Data registrazione: 18-05-2004
Messaggi: 2,725
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Bene, iniziamo a comprenderci
Per eliminare (spero) totalmente i fraintendimenti su teologia negativa (apofatica) e teologia pessimista, chiarisco qual è il tema che volevo trattare. Ciò sui cui volevo parlare è quello che afferma Yam che (se ho ben capito) la conoscenza e il linguaggio sono inadatti per dio. questa faccenda è estremamente importante ed è preliminare a qualsiasi esercizio di filosofia della religione, e per questo che è preliminare ad ogni altra cosa (anche alla prova ontologica). Citazione:
la differenza c'è ma (forse) come dici tu non è grande. un conto è dire 'dio' è un termine che non ha significato, un'altra cosa è dire che dio non esiste. Citazione:
non è tanto la dimostrabilità razionale/logica che importa qui. il mio discorso è antecedente e riguarda il significato dei termini utilizzati nelle dimostrazioni. Citazione:
posso condividere che - prendendo il dio della tradizione occidentale - dio sia un essere misterioso, anche perchè (se esistesse) possiederebbe capacità inimmaginabili: quindi dio non è del tutto comprensibile. ma la tesi che dio è radicalmente inconoscibile e indescrivibile cade in un'autoconfutazione. condivi queste mia tesi? poi, una volta mostrata l'autocontraddittorietà di tale posizione, si può iniziare a parlare e argomentare da agnostico, ateo, tesita, o semplicemente parlare. epicurus |
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02-02-2006, 21.32.13 | #23 |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-04-2002
Messaggi: 1,150
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Dal punto di vista del ragionamento puro, quindi, indipendentemente da qualsiasi interferenza esogena dovuta all’esperienza, credo che le cose potrebbero essere così come da te delineate.
Ad onor del mio agnosticismo, trattengo qualche riserva per quel che attiene all’aspetto sostanziale e dell’esperienza di Dio. Si tratterebbe di un’aporia insita nel ragionamento stesso, perché per poter sostenere questa tesi lapidaria è necessario aver compiuto un escursus argomentativo di carattere gnoseologico di tale portata – se si opera nell’ambito della serietà ed onestà intellettuale – da implicare la conoscenza di ciò che in epilogo verrebbe ad essere disconosciuto. L’autoconfutazione sarebbe così ‘predicata’ nel processo argomentativo necessario per giungere alla confutazione (impossibilità di conoscenza), la quale non dipenderebbe così dall’impossibilità di pervenire alla conoscenza e descrivibilità di Dio. In pratica, le premesse e l’intero corpus argomentativo, approdando alla conoscenza ‘dell’impossibilità’, inficiano e rendono contraddittorio l’epilogo. Per poter affermare in maniera concludente l’impossibilità di conoscere e descrivere Dio sarebbe necessario argomentare in maniera tale che l’argomentazione medesima trattiene in sé proprio quanto in conclusione negherebbe. Tale processo o meccanismo autoelidente credo abbia una sua ragione d’essere e di manifestarsi esclusivamente in relazione al concetto di Dio, mentre non dovrebbe trovare fondamento alcuno per quanto attiene al mondo fenomenico. Ciò perché l’uno ha caratterizzazioni infinite, il mondo fenomenico (buchi neri, Big Bang, fisica quantistica e via discorrendo), invece, è caratterizzato da finitezza. Ciò in astratto è quanto dovrebbe determinarsi nel corso di una disputa teologica. Di diverso tenore e con approdi ben dissimili se alla disputa teologica – puro raziocinio – dovessimo connettere le interferenze tenute fuori in precedenza. Di fronte al Luminoso, all’ineffabile, all’incommensurabile le parole si traducono in afasia, non essendo in condizione di rendere compiutamente un’esperienza interiore, cioè il tramestio conseguente ad un’esperienza sì tanto pervasiva dell’animo umano. Ma credo che questo non interessi l’attuale livello cui è giunta la discussione. Se non altro abbiamo sgombrato il campo da incomprensioni di carattere filologico. Ed ora che siamo forse approdati ad un punto di convergenza, come si procede? Bye |
03-02-2006, 19.05.32 | #24 | |
Moderatore
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Messaggi: 2,725
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Citazione:
arrivati a questa convergenza, che era necessaria per parlare della prova ontologica, non ci resta che parlare di tale prova. secondo me non prova assolutamente nulla, tu che ne pensi? (forse è una domanda stupida, dato che sei agnostico come me ) epicurus |
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15-02-2006, 10.27.18 | #26 |
ospite sporadico
Data registrazione: 05-01-2004
Messaggi: 2,103
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Sono assoluamente ignorante di filosofia (e di molto altro) ma chissà che leggendo ed interagendo non impari qualcosa....
Se ho capito bene la prova ontologica è che determinando che una qualsiasi cosa esiste ne devono esistere tutte le sue forme. Sbaglio? Correggetemi... questo mi sembra di aver capito nel primo post... ma potrei sbagliare.. Se è come ho capito io... non sarebbe più semplice spostare il discorso su:" Sono in grado/capace di pensare una cosa che non esiste?" perdonate la mia ingenuità |
16-02-2006, 00.56.24 | #27 | |
iscrizione annullata
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Messaggi: 728
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Caro Uno,
Citazione:
provo a sintetizzarti il senso della "prova ontologica", in un linguaggio adeguato alla sensibilità moderna. Allora: eccomi qua, a metà del cammino, più o meno, a soffermarmi sul senso di tutto ciò che sto facendo. Intendo: il senso, le ragioni che dò alle mie azioni, i motivi ultimi e intimi che ispirano le mie azioni ed intenzioni. Percorro cerchi di interpretazioni intorno a me stesso: cerchi di senso che sono sempre più vasti. Dietro la mia vita, insomma, penso che c'è la specie, e al di là di essa la vita intera su questo pianeta. E oltre questo, il fatto stesso che vi sia questo pianeta e le Leggi che ne hanno consentito o prodotto l'esistenza... Penso all'universo nel suo complesso e mi chiedo: perchè vi è tutto, e perchè, invece, non potrebbe essere che nulla fosse mai stato, assolutamente nulla, in nessun luogo...? Vedo che una scelta, dunque, è stata compiuta. Ma da cosa, da che cosa o da chi? Allora, provo a immaginarlo. Quali capacità, quali proprietà avrà quell'ente da cui dipende la scelta, da cui dipende il tutto, da cui dipende l'universo, da cui dipende la mia galassia, da cui dipende il mio sole e la mia terra, da cui dipende il mio esserci in mezzo a tutto questo? Considero e riconsidero, ed ecco che trovo che, tra tutte le caratteristiche che tale Ente deve possedere, la più ovvia ed immediata è il fatto che esso "deve" esistere. Perchè? Semplice: poichè se il mio pensiero esiste, ed è dal mio pensiero che tutta questa riflessione scaturisce, e il mio pensiero mi conduce a qualcosa che lo oltrepassa... Beh, come minimo, questa "cosa", la quale lo oltrepassa, deve possedere tutte le proprietà del mio pensiero stesso. Deve possederne anche altre: ma, per prudenza, non pretendo di definirle. Ora, non è forse evidente che il mio pensiero esiste? Certo, perchè se non esistesse, io non potrei congetturare neppure il fatto che possa non esistere. Di conseguenza: questo ente, che deve possedere tutte le proprietà del mio pensiero, avrà anche questa, ossia la proprietà di esistere. Ti piace, caro Uno? Mi hai seguito senza annoiarti? L'ho tradotto in termini moderni, adatti a chi si ponga a riflettere su tali questioni nell'atmosfera e con gli strumenti concettuali di questo "piccolo" tempo. Non ti pare che sia comprensibile il fatto che essa abbia convinto decine di generazioni ? Ed i migliori uomini di quelle generazioni...: quelli che, a stento, noi potremmo sperare di imitare. Ultima modifica di Weyl : 16-02-2006 alle ore 00.57.33. |
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16-02-2006, 09.57.09 | #28 |
ospite sporadico
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Grazie Weyl ... allora avevo capito bene anche se nel post introduttivo era più ingarbugliata.
Non mi sono annoiato...anzi... e mi hai aiutato a capire che anche se i termini a volte complicano le cose (come succede pure in altre "discipline") la filosofia tutto sommato è semplice. Al di la dell'Ente "supremo" ti/vi sei/siete posti il problema su qualsiasi tipo di pensiero? Voglio dire oltre al fatto che se di una cosa ne esiste il pensiero, già esiste nel pensiero... il che ad un materialista potrebbe non soddisfare... mai pensato (il materialista probabilmente non si soddisferà comunque... ma è interessante per me) che qualsiasi cosa che riusciamo ad immaginare esiste in qualche forma o modo,ed in qualche tempo e spazio? Poi posso comprendere che se io riuscissi ad immaginare per esempio un un luogo che non è in questo spazio/tempo potrebbe essere di poca utilità per la mia vita e quella altrui... detta in soldoni potrei essere un fantasticatore.... il che poi dal mio punto di vista apre un'altro sbocco... la differenza tra il fantasticatore e l'intuitivo-creativo (perdonami/temi i termini forse non dei più precisi ) è solo la capacità di direzionare coscientemente tale flusso di informazioni in base ad un input iniziale. |
16-02-2006, 09.59.40 | #29 | |
Moderatore
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Citazione:
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16-02-2006, 10.36.36 | #30 |
ospite sporadico
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Wow... meno male che sarà morto, se no potrebbe chiedermi i diritti di autore
Ok ho capito che sarà meglio che stia alla larga da questa sezione... non fa per me... sono abituato a sperimentare... cosa che credo esuli dalla filosofia... e far per esempio discorsi o esempi tipo di quel chimico che avedno ua visione di un... serpente? (mi sembra ma potrei sbagliare) ha intuito la formula di una molecola mi sa che mi farebbe infilare in un ginepraio.... perchè poi mi si direbbe che tra i due non c'è nesso alcuno che solo l'associazione mentale del chimico ha reso possibile la cosa... mentre io nella mia pazzia penso che abbia visto l'archetipo in forma simbolica di quella molecola... quindi ha visto quella molecola anche se in un altra forma (in questo caso ad un livello più vicino alla radice ma non sempre è così) ... non sapeva che esisteva... ma esisteva... oppure l'ha partorita? Esisteva potenzialmente ma non in modo manifesto.... Ok ok sparisco... |