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Vecchio 02-02-2006, 17.22.54   #21
visechi
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Si procede per fraintendimenti.

Citazione:
la mia prima imprecisione e` che ho usato il termine 'teologia negativa' mentre avrei dovuto scrivere 'teologia pessimista'. poi, naturalmente, alcuni vedono come via d'uscita al pessimismo teologico (cioe` non riesco a parlare di dio) la teologia negativa (definire dio per negazioni).
si`, comunque tale pessimismo e` presente tanto nei credente quanto nei non credenti: i primi usano questa argomentazione per rendere dio piu` inneffabile (e quindi meno confutabile), mentre i secondi per mostrare che non esiste (o meglio: tale termine non ha referente). (gli stessi neopositivisti negarono la significanza delle proposizioni religiose, e non erano certo teisti.)
Quel che tu definisci teologia pessimista è proprio l’asserto, il postulato, la conclusione cui approda la speculazione teologica apofatica, cioè la teologia negativa. Tu, nell’affermare che la teologia negativa definisce Dio per negazioni, mischi un po’ i concetti, fuorviando la comprensione di chi ti legge. La definizione di Dio per mezzo di negazioni fa sempre parte della medesima ‘ripartizione’ teologica – positiva… katafatica – che giungerebbe a speculare intorno alla divinità non attraverso asserzioni positive, ma per mezzo di negazioni (Dio non è limitato, Dio etc…).
I due termini, scevri da ogni connotazione morale, indicano solo la possibilità, ovvero l’impossibilità di poter giungere ad una qualche definizione e conoscenza compiuta della divinità. L’una rimarca così l’ineffabilità divina, con tutte le complicanze connesse a questa visione, l’altra, di converso, la sua prossimità e permeabilità alla gnosi.
Da qui la confusione.


Citazione:
ci sono due sensi distinti di 'dio e` dentro di noi'. il primo e` un eliminativismo psicologista (esiste solamente la sensazione/immagine che abbiamo di dio), mentre la seconda dice che esiste qualcosa e questo qualcosa e` dio e risiede dentro di noi. la prima posizione la posso capire (`e intilleggibile), mentre la seconda e` molto oscura. inoltre se tu riferiresti questo, allora dio non sarebbe piu` quell'inneffabile che si vuole sostenere. per di piu` un'emozione non interpretata non avra` contenuto conoscitivo, non perche` possieda un contenuto che non vogliamo innalzarlo normativamente a conoscenza, ma perche` una emozione non interpretata (ho comunque dei forti dubbi persino se esistano emozioni non concettualizzate) e` solo un'emozione e non ha la forza espressiva per affermare esistenze di qualsiasi genere.

Conosco e comprendo il concetto che hai voluto esprimere in questo frangente, ma, nel mio precedente post, tendevo ad evidenziare il fatto che l’apofatismo, cioè l’impossibilità di conoscenza, non investe solo la teologia, ma anche altre branche dello scibile umano. Non inerisce solo al Creatore, ma, così attestano certe specializzazioni d’alcune discipline che si occupano dell’uomo, anche altri settori della conoscenza… nella fattispecie, nell’esempio da me citato, della disciplina che s’interessa della conoscenza del profondo di ciascuno di noi. Puoi ben intravedere quanto siano collaterali e percorrano strade parallele due discipline che discettano l’una intorno alla conoscenza divina – teologia – e l’altra intorno alla conoscenza del profondo dell’uomo – psicoanalisi -, eppure ciascuna traccia percorsi speculativi che non sempre s’intersecano.

Citazione:
no ho detto che questo e` quello che un pessimista (teologico) deve sostenere, ed infatti ho argomentato che questa posizione non e` sostenibile per lui. non ho ritenuto che un pessimista dice questo.


Ok! Qui probabilmente avevo frainteso. Non ho idea di cosa sia un pessimista teologica, ma un teologo apofatico, ribadisco, mai si sognerebbe di affermare di poter conoscere il finalismo della Creazione. L’apofatismo, ciò che tu definisci pessimismo teologico, è alieno da qualsiasi teleologia.

Citazione:
i miei intenti - nel passo che stiamo entrambi citando - erano semplici: sostenere che la posizione del pessimista teologico non e` sostenibile e che vi sono posto per argomentazioni in filosofia della religione. (anch'io per di piu` sono agnostico, ma filo ateo, ma prima di ritenersi cosi`, e di cercare di argomentare qualcosa, bisogna riconoscere la significanza dei discorsi teologici.)

in definitiva, il mio obiettivo e` il pessimismo teologico, cioe` far notare che questo si convuta da solo.


Ripartiamo da qui… dal pessimismo teologico.
Mi pare di poter comprendere che un pessimista teologico non sia poi troppo diverso da un ateo: una persona che negherebbe l’esistenza di Dio. La negazione dell’esistenza di Dio, essendo Dio ineffabile ed indimostrabile tanto in positivo quanto in negativo, è una posizione atea e fideistica allo stesso tempo. Sia il fedele, colui che si affida alla fede per asserire e testimoniare l’esistenza del Creatore, che il non credente, o ateo, colui che ne negherebbe l’esistenza, non potendo in alcun modo, attraverso la logica e la razionalità, dimostrare in maniera inopinabile ed universale il contenuto della propria asserzione, devono, necessariamente, appellarsi alla propria fede, sia questa di tenore positivo (Dio esiste), che negativo (Dio non esiste). La teologia apofatica, a parer mio - ma qui temo proprio d’incorrere in un’eccessiva semplificazione che non rende giustizia alla complessità dell’argomento -, è sostanzialmente fideistica, anche se sublima la fede attraverso un sentire intimistico; nel senso che, pur marcando nella sua speculazione l’immane distanza esistente fra capacità conoscitive, che siano indubitabili ed inopinabili (episteme), e il Creatore, si affida ad un sentire che lo colloca su un livello certamente diverso rispetto al fedele tout court, approssimandolo non tanto alla conoscenza e comprensione di Dio e dei sui insondabili misteri, ma piuttosto al suo respiro. Dio è e resta pur sempre alterità. Si tratterebbe di un ‘sentire’ di diverso colore e contenuto rispetto a quello del semplice fedele – la mistica, pur essendo in taluni casi apofatica (Giovanni della Croce), mai negherebbe l’esistenza di Dio pur affermando e conclamando la sua ineffabilità -.
Il discorso muta, e non potrebbe essere altrimenti, se ci si relaziona con un ateo che, aprioristicamente o a seguito di un ragionamento, comunque mai concludente, approda alla convinzione che Dio sia solo un’immagine, forse eidetica, ma pur sempre irreale dell’universo mondo da noi esperito.
Bye
visechi is offline  
Vecchio 02-02-2006, 17.47.21   #22
epicurus
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Bene, iniziamo a comprenderci

Per eliminare (spero) totalmente i fraintendimenti su teologia negativa (apofatica) e teologia pessimista, chiarisco qual è il tema che volevo trattare. Ciò sui cui volevo parlare è quello che afferma Yam che (se ho ben capito) la conoscenza e il linguaggio sono inadatti per dio.

questa faccenda è estremamente importante ed è preliminare a qualsiasi esercizio di filosofia della religione, e per questo che è preliminare ad ogni altra cosa (anche alla prova ontologica).

Citazione:
Messaggio originale inviato da visechi
Ripartiamo da qui… dal pessimismo teologico.
Mi pare di poter comprendere che un pessimista teologico non sia poi troppo diverso da un ateo: una persona che negherebbe l’esistenza di Dio.

la differenza c'è ma (forse) come dici tu non è grande. un conto è dire 'dio' è un termine che non ha significato, un'altra cosa è dire che dio non esiste.

Citazione:
La negazione dell’esistenza di Dio, essendo Dio ineffabile ed indimostrabile tanto in positivo quanto in negativo, è una posizione atea e fideistica allo stesso tempo. Sia il fedele, colui che si affida alla fede per asserire e testimoniare l’esistenza del Creatore, che il non credente, o ateo, colui che ne negherebbe l’esistenza, non potendo in alcun modo, attraverso la logica e la razionalità, dimostrare in maniera inopinabile ed universale il contenuto della propria asserzione, devono, necessariamente, appellarsi alla propria fede, sia questa di tenore positivo (Dio esiste), che negativo (Dio non esiste).

non è tanto la dimostrabilità razionale/logica che importa qui. il mio discorso è antecedente e riguarda il significato dei termini utilizzati nelle dimostrazioni.

Citazione:
La teologia apofatica, a parer mio - ma qui temo proprio d’incorrere in un’eccessiva semplificazione che non rende giustizia alla complessità dell’argomento -, è sostanzialmente fideistica, anche se sublima la fede attraverso un sentire intimistico; nel senso che, pur marcando nella sua speculazione l’immane distanza esistente fra capacità conoscitive, che siano indubitabili ed inopinabili (episteme), e il Creatore, si affida ad un sentire che lo colloca su un livello certamente diverso rispetto al fedele tout court, approssimandolo non tanto alla conoscenza e comprensione di Dio e dei sui insondabili misteri, ma piuttosto al suo respiro. Dio è e resta pur sempre alterità. Si tratterebbe di un ‘sentire’ di diverso colore e contenuto rispetto a quello del semplice fedele – la mistica, pur essendo in taluni casi apofatica (Giovanni della Croce), mai negherebbe l’esistenza di Dio pur affermando e conclamando la sua ineffabilità -.

posso condividere che - prendendo il dio della tradizione occidentale - dio sia un essere misterioso, anche perchè (se esistesse) possiederebbe capacità inimmaginabili: quindi dio non è del tutto comprensibile. ma la tesi che dio è radicalmente inconoscibile e indescrivibile cade in un'autoconfutazione. condivi queste mia tesi?

poi, una volta mostrata l'autocontraddittorietà di tale posizione, si può iniziare a parlare e argomentare da agnostico, ateo, tesita, o semplicemente parlare.


epicurus
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Vecchio 02-02-2006, 21.32.13   #23
visechi
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Dal punto di vista del ragionamento puro, quindi, indipendentemente da qualsiasi interferenza esogena dovuta all’esperienza, credo che le cose potrebbero essere così come da te delineate.
Ad onor del mio agnosticismo, trattengo qualche riserva per quel che attiene all’aspetto sostanziale e dell’esperienza di Dio.
Si tratterebbe di un’aporia insita nel ragionamento stesso, perché per poter sostenere questa tesi lapidaria è necessario aver compiuto un escursus argomentativo di carattere gnoseologico di tale portata – se si opera nell’ambito della serietà ed onestà intellettuale – da implicare la conoscenza di ciò che in epilogo verrebbe ad essere disconosciuto. L’autoconfutazione sarebbe così ‘predicata’ nel processo argomentativo necessario per giungere alla confutazione (impossibilità di conoscenza), la quale non dipenderebbe così dall’impossibilità di pervenire alla conoscenza e descrivibilità di Dio. In pratica, le premesse e l’intero corpus argomentativo, approdando alla conoscenza ‘dell’impossibilità’, inficiano e rendono contraddittorio l’epilogo.
Per poter affermare in maniera concludente l’impossibilità di conoscere e descrivere Dio sarebbe necessario argomentare in maniera tale che l’argomentazione medesima trattiene in sé proprio quanto in conclusione negherebbe.
Tale processo o meccanismo autoelidente credo abbia una sua ragione d’essere e di manifestarsi esclusivamente in relazione al concetto di Dio, mentre non dovrebbe trovare fondamento alcuno per quanto attiene al mondo fenomenico. Ciò perché l’uno ha caratterizzazioni infinite, il mondo fenomenico (buchi neri, Big Bang, fisica quantistica e via discorrendo), invece, è caratterizzato da finitezza.

Ciò in astratto è quanto dovrebbe determinarsi nel corso di una disputa teologica.
Di diverso tenore e con approdi ben dissimili se alla disputa teologica – puro raziocinio – dovessimo connettere le interferenze tenute fuori in precedenza.
Di fronte al Luminoso, all’ineffabile, all’incommensurabile le parole si traducono in afasia, non essendo in condizione di rendere compiutamente un’esperienza interiore, cioè il tramestio conseguente ad un’esperienza sì tanto pervasiva dell’animo umano.

Ma credo che questo non interessi l’attuale livello cui è giunta la discussione.
Se non altro abbiamo sgombrato il campo da incomprensioni di carattere filologico.
Ed ora che siamo forse approdati ad un punto di convergenza, come si procede?
Bye
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Vecchio 03-02-2006, 19.05.32   #24
epicurus
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Messaggio originale inviato da visechi
Ed ora che siamo forse approdati ad un punto di convergenza, come si procede?
Bye

arrivati a questa convergenza, che era necessaria per parlare della prova ontologica, non ci resta che parlare di tale prova.

secondo me non prova assolutamente nulla, tu che ne pensi? (forse è una domanda stupida, dato che sei agnostico come me )


epicurus
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Vecchio 07-02-2006, 21.27.09   #25
Pensierostupendo
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Dipende quale Dio la tua mente ha costruito...oggi abbiamo molte divinitä..espresse in qualitä piü o meno condivisibili.
Pensierostupendo
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Vecchio 15-02-2006, 10.27.18   #26
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Sono assoluamente ignorante di filosofia (e di molto altro) ma chissà che leggendo ed interagendo non impari qualcosa....
Se ho capito bene la prova ontologica è che determinando che una qualsiasi cosa esiste ne devono esistere tutte le sue forme.
Sbaglio? Correggetemi... questo mi sembra di aver capito nel primo post... ma potrei sbagliare..

Se è come ho capito io... non sarebbe più semplice spostare il discorso su:" Sono in grado/capace di pensare una cosa che non esiste?"

perdonate la mia ingenuità
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Vecchio 16-02-2006, 00.56.24   #27
Weyl
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Caro Uno,

Citazione:
Messaggio originale inviato da Uno
Sono assoluamente ignorante di filosofia (e di molto altro) ma chissà che leggendo ed interagendo non impari qualcosa....
Se ho capito bene la prova ontologica è che determinando che una qualsiasi cosa esiste ne devono esistere tutte le sue forme.
Sbaglio? Correggetemi... questo mi sembra di aver capito nel primo post... ma potrei sbagliare..

Se è come ho capito io... non sarebbe più semplice spostare il discorso su:" Sono in grado/capace di pensare una cosa che non esiste?"

perdonate la mia ingenuità

provo a sintetizzarti il senso della "prova ontologica", in un linguaggio adeguato alla sensibilità moderna.

Allora: eccomi qua, a metà del cammino, più o meno, a soffermarmi sul senso di tutto ciò che sto facendo.
Intendo: il senso, le ragioni che dò alle mie azioni, i motivi ultimi e intimi che ispirano le mie azioni ed intenzioni.
Percorro cerchi di interpretazioni intorno a me stesso: cerchi di senso che sono sempre più vasti.
Dietro la mia vita, insomma, penso che c'è la specie, e al di là di essa la vita intera su questo pianeta. E oltre questo, il fatto stesso che vi sia questo pianeta e le Leggi che ne hanno consentito o prodotto l'esistenza...
Penso all'universo nel suo complesso e mi chiedo: perchè vi è tutto, e perchè, invece, non potrebbe essere che nulla fosse mai stato, assolutamente nulla, in nessun luogo...?
Vedo che una scelta, dunque, è stata compiuta.
Ma da cosa, da che cosa o da chi?

Allora, provo a immaginarlo.
Quali capacità, quali proprietà avrà quell'ente da cui dipende la scelta, da cui dipende il tutto, da cui dipende l'universo, da cui dipende la mia galassia, da cui dipende il mio sole e la mia terra, da cui dipende il mio esserci in mezzo a tutto questo?

Considero e riconsidero, ed ecco che trovo che, tra tutte le caratteristiche che tale Ente deve possedere, la più ovvia ed immediata è il fatto che esso "deve" esistere.
Perchè?
Semplice: poichè se il mio pensiero esiste, ed è dal mio pensiero che tutta questa riflessione scaturisce, e il mio pensiero mi conduce a qualcosa che lo oltrepassa... Beh, come minimo, questa "cosa", la quale lo oltrepassa, deve possedere tutte le proprietà del mio pensiero stesso.
Deve possederne anche altre: ma, per prudenza, non pretendo di definirle.
Ora, non è forse evidente che il mio pensiero esiste?
Certo, perchè se non esistesse, io non potrei congetturare neppure il fatto che possa non esistere.
Di conseguenza: questo ente, che deve possedere tutte le proprietà del mio pensiero, avrà anche questa, ossia la proprietà di esistere.


Ti piace, caro Uno?
Mi hai seguito senza annoiarti?
L'ho tradotto in termini moderni, adatti a chi si ponga a riflettere su tali questioni nell'atmosfera e con gli strumenti concettuali di questo "piccolo" tempo.
Non ti pare che sia comprensibile il fatto che essa abbia convinto decine di generazioni ? Ed i migliori uomini di quelle generazioni...: quelli che, a stento, noi potremmo sperare di imitare.

Ultima modifica di Weyl : 16-02-2006 alle ore 00.57.33.
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Vecchio 16-02-2006, 09.57.09   #28
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Grazie Weyl ... allora avevo capito bene anche se nel post introduttivo era più ingarbugliata.
Non mi sono annoiato...anzi... e mi hai aiutato a capire che anche se i termini a volte complicano le cose (come succede pure in altre "discipline") la filosofia tutto sommato è semplice.

Al di la dell'Ente "supremo" ti/vi sei/siete posti il problema su qualsiasi tipo di pensiero? Voglio dire oltre al fatto che se di una cosa ne esiste il pensiero, già esiste nel pensiero... il che ad un materialista potrebbe non soddisfare... mai pensato (il materialista probabilmente non si soddisferà comunque... ma è interessante per me) che qualsiasi cosa che riusciamo ad immaginare esiste in qualche forma o modo,ed in qualche tempo e spazio?
Poi posso comprendere che se io riuscissi ad immaginare per esempio un un luogo che non è in questo spazio/tempo potrebbe essere di poca utilità per la mia vita e quella altrui... detta in soldoni potrei essere un fantasticatore.... il che poi dal mio punto di vista apre un'altro sbocco... la differenza tra il fantasticatore e l'intuitivo-creativo (perdonami/temi i termini forse non dei più precisi ) è solo la capacità di direzionare coscientemente tale flusso di informazioni in base ad un input iniziale.

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Vecchio 16-02-2006, 09.59.40   #29
epicurus
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Anselmo d'Aosta:
Capitolo 2. 1. Dunque, o Signore, tu che dai l'intelletto della fede, concedimi di intendere, per quanto tu sai essere utile, che tu esisti come crediamo, che tu sei quello che crediamo. Ora noi crediamo che tu sia qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore. 2. O forse non esiste qualche natura siffatta, poiché l'insipiente ha detto in cuor suo: Dio non esiste (Sal 14, 1 e 53, 1)? Ma certamente quel medesimo insipiente, quando ode ciò che io dico, cioè qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, intende ciò che sente dire; e ciò che intende è nel suo intelletto, anche se egli non intende che ciò esiste. 3. Altro infatti è che una cosa esista nell'intelletto e altro intendere che una cosa esista. Infatti quando il pittore premedita ciò che sta per fare, egli lo ha nell'intelletto, ma non intende ancora che esiste ciò che non ha ancora fatto. Quando poi lo ha dipinto, egli non solo lo ha nell'intelletto, ma intende anche che esiste ciò che ha già fatto. 4. Dunque anche l'insipiente deve convincersi che almeno nell'intelletto esiste qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, poiché egli lo intende, quando lo sente dire, e tutto ciò che intende esiste nell'intelletto. Ma certamente ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore non può esistere nel solo intelletto. Infatti, se esiste nel solo intelletto, si può pensarlo esistente anche nella realtà e questa allora sarebbe maggiore. 5. Di conseguenza se ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore esiste nel solo intelletto, ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore è ciò di cui può pensarsi una cosa maggiore. Questo evidentemente non può essere. Dunque, senza dubbio, qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore esiste sia nell'intelletto sia nella realtà. Capitolo 3. 1. Questa cosa dunque esiste in modo così vero che non si può pensare che non esiste. Infatti si può pensare che esista qualcosa che non si può pensare non esistente; ma questo è maggiore di ciò che si può pensare non esistente. Dunque, se ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore può essere pensato come non esistente, ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore non è ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore. E ciò è contraddittorio. Dunque qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore esiste in modo così vero che non si può pensare non esistente. [...]
3. Perché dunque "l'insipiente ha detto in cuor suo: "Dio non esiste"" (Sal 14,1 e 53,1), quando è così evidente alla mente razionale che tu esisti più di ogni altra cosa? Perché, se non perché è stolto e insipiente?
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Vecchio 16-02-2006, 10.36.36   #30
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Wow... meno male che sarà morto, se no potrebbe chiedermi i diritti di autore
Ok ho capito che sarà meglio che stia alla larga da questa sezione... non fa per me... sono abituato a sperimentare... cosa che credo esuli dalla filosofia... e far per esempio discorsi o esempi tipo di quel chimico che avedno ua visione di un... serpente? (mi sembra ma potrei sbagliare) ha intuito la formula di una molecola mi sa che mi farebbe infilare in un ginepraio.... perchè poi mi si direbbe che tra i due non c'è nesso alcuno che solo l'associazione mentale del chimico ha reso possibile la cosa... mentre io nella mia pazzia penso che abbia visto l'archetipo in forma simbolica di quella molecola... quindi ha visto quella molecola anche se in un altra forma (in questo caso ad un livello più vicino alla radice ma non sempre è così) ... non sapeva che esisteva... ma esisteva...
oppure l'ha partorita? Esisteva potenzialmente ma non in modo manifesto....
Ok ok sparisco...

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