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02-02-2005, 16.46.06 | #25 | |
Moderatore
Data registrazione: 18-05-2004
Messaggi: 2,725
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Citazione:
certo trudina, tu metti in luce un fatto che la nostra discussione non aveva rivelato: la nostra morale non e` un sistema monolitico, immutabile e generato dal nulla, bensi` e` un sistema molto complesso (fortemente dipendente dal contesto), mutabile e (come tu evidenzi giustamente) interagiente con le altre morali, di altri individui. Ogni morale e` correlata con le altre. epicurus |
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02-02-2005, 20.12.48 | #26 |
Ospite abituale
Data registrazione: 26-06-2004
Messaggi: 367
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Caro Epicurus
certo, hai ragione. Infatti sia che la forma sia “tutti devono….” sia che sia “x è giusto (senza condizioni)” non si troverà mai un fatto che vi corrisponda. Ma questo è già implicito nella grammatica di questi concetti. La forma dei principi morali è proprio fatta in modo tale che non può in nessun modo essere verificata. E questo è un motivo per rifiutarne il fondamento.
Io preferisco prendere la questione del fondamento da un altro punto di vista. Cioè più “classicamente filosofico” forse (chiedendo il perche). Infatti, se la forma è: “tutti devono …..”, la domanda sarà sempre, è perché mai? E la risposta sarà un certo tipo di antropologia e ontologia che deve essere sottoposta ad analisi per la eventuale decostruzione del principio morale. E qui salta fuori tutto. Tipo “l’uomo è per natura cattivo”, l’uomo è una creatura di dio” quindi “tutti devono….”. Ma anche alla forma “x è giusto” segue la domanda, perché mai? E qui la risposta sarà un “perché sì”, cioè un vero e proprio punto in cui la riflessione non può che arrestarsi in modo obbligato e arbitrario, venendo meno anche la giustificazione del fondamento. Oppure la risposta è “perché così x, y, z”, e questo è bene. E perché è bene? E la risposta è sempre “perché sì”. Fondamento misterioso. Ma forse a questo punto la questione è: che forma ha un valore? Quelli “metafisici” hanno principalmente la forma dei principi morali come sopra, e i problemi sono tanti. Ma se valore è "ciò che conta", come la classica domanda “quali sono i tuoi valori” sottintende, allora la questione non si pone più da un punto di vista di proposizioni morali, bensì di quelle che tu chiami proposizioni empiriche, volendo mantenere buona questa distinzione. Si dice spesso per un valore, “la vita è un valore dell’essere umano”, o “L’amicizia è per me un valore”, o semplicemente “x è un valore”. I valori si esprimono spesso con questa forma. Il significato di queste proposizioni sottintende il concetto di valore, come ciò che conta. Queste sono proposizioni empiriche. Allora se si vuole porre la questione in termini verificazionisti, alcune sono false, e alcune sono vere. “la vita è un valore dell’essere umano” è falsa, perché come dicevi tu ci sono molte eccezioni. Per questo dico, il fondamento di questa proposizione, correggendomi rispetto a prima, è forse la verità dell’antropologia che ne sta a fondamento. Dunque se è vero che in ogni essere umano c’è un forte e imprescindibile sentimento di simpatia nei confronti del suo simile, allora “la vita è un valore dell’essere umano” è vera e fondata. In altri termini “la vita è un valore dell’essere umano e di ogni essere umano”. La condivisibilità è il fondamento. Ma c’è un problema anche riguardo a queste proposizioni: ogni volta che si dice com’è l’uomo e quali sono i suoi valori si verifica storicamente qualcosa, in modo nascosto e lento, che ridimensiona questa credenza, e questo è l’essere stesso che è intrinsecamente storico (nello spazio e nel tempo). Ecco perché non ci può essere fondamento “assoluto” neanche per questi giudizi. Ci saranno valori veri relativamente a persone, a criteri, a epoche, e a culture, ad aperture storiche. Ma questi non sono già più i giudizi morali di cui tu parli; lì sono pienamente d’accordo, anche se tenderei a ricondurli alla visione del mondo che li origina, senza liquidarli perché non verificabili. Scusate la lunghezza Un saluto |
02-02-2005, 20.23.35 | #27 |
Ospite abituale
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Preciso una cosa sulla quale orse non sono stato chiaro:
Quando dico che il valore dipende dal contesto non intendo che un certo contesto culturale ha generato certi valori mentre contesti diversi ne hanno generati altri. Con il termine contestuale intendo che un valore si esprime a fronte dell’evento nel quale avviene e che il suo valore non esiste indipendentemente dall’evento. Per esempio la gemma più preziosa del mondo non ha nessun valore per un uomo perso nel deserto mentre, per lui, ne avrebbe immensamente una fontana. Viceversa per il barbone che si abbevera alla fontana dell’angolo di via Quindici, l’acqua della fontana ha poco valore, mentre ne avrebbe una gemma preziosa. |
02-02-2005, 20.35.15 | #28 |
Ospite abituale
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Certo Vanlag
ma credo sia la stessa cosa. Anche i valori in un contesto storico si originano con la stessa dinamica, solo più ampia e meno percepibile forse. Ciò che prima aveva valore, oggi non lo ha più, e forse un giorno lo riavrà. Esattamente come tutti i vari neo-...ismi, che rinascono. Cambiano i conesti, siano essi situazioni particolari, episodi, culture, epoche, e cambiano i valori. Come un uomo è nel deserto per una volta, così popoli ci vivono da sempre, e con i diamanti ci giocano a biglie. Io generalizzerei senza problemi. O no? Ciao! |
02-02-2005, 21.09.31 | #29 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 08-04-2002
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Citazione:
Non si può più generalizzare se accetti che sia il contesto reale del momento a determinare, di volta in volta, il valore, perché in questo caso, il valore, è un potenziale inespresso, che si mostra per la durata di un evento. Il valore deve apparire e scomparire coi singoli eventi di cui il soggetto ed il valore sono due delle tre parti costituenti principali. (Stò restituendo piena dignità ai valori soggettivi). |
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03-02-2005, 13.18.59 | #30 |
Ospite abituale
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Certo, credo di aver capito il tuo discorso.
Ma io dicevo che il discorso valido per una singola persona, nella situazione del deserto o nella situazione di un familiare gravemente malato ad esempio, di seguire un valore mutevole nel contesto e non irrigidito a priori, si può estendere a contesti più ampi, e addirittura ad epoche storiche e contesti socio-culturali, senza problemi. Anzi che così sia, è proprio un fatto. Con la conseguenza che, se noi abbiamo questo valore, e loro quest’altro, significa che non sono scritti su nessuna tavola sacra dal momento che essi trovano la loro origine in contesti sempre diversi, anche se ampi, storici e percepibili solo con delle genealogie. La conseguenza di questo “relativismo di fatto” è che viene anche meno il problema di cambiare il valore a seconda delle situazioni. Cioè in altri termini è come ci venisse consentito di farlo, senza sentirci “peccatori”. Un saluto |