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03-03-2014, 11.25.52 | #22 |
Moderatore
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"
Credo- e mi si perdoni se assumo questo tono da moderatore in una discussione che io ho introdotto- che quando ci si sente scossi, possa essere molto utile rallentare e rifletterci sopra.
Anche in ragione di questo mi ero astenuto dal commentare l'ultimo intervento di and1972rea in quanto, pur dissentendo, trovo molto comprensibile il suo modo di sentire, ossia trovo del tutto comprensibile che una persona avverta come insopportabile l'accostamento tra "il lavoro rende liberi" all'ingresso del un campo di sterminio e il significato di riscatto e liberazione che il lavoro acquisisce nella storia cristiana. E' ovvio che poi alla luce di un tale sentire assai comprensibile, la frase posta all'ingresso del campo non può che essere di totale derisione al suo stesso significato qualunque cosa dica o non dica in buona o cattiva fede chi l'ha voluta affiggere. D'altra parte sono del tutto d'accordo con green&grey pocket quando asserisce l'importanza di una spiegazione che dia conto di quella frase proprio per come si è sviluppato il significato del lavoro in funzione della libertà nella storia dell'Occidente, storia di una razionalità che ha dato luogo sia alla proclamazione dei diritti individuali compreso il diritto al lavoro, sia ai campi di sterminio, certo intesi, almeno nella versione di campi di lavoro, come strumenti di cura e recupero di uno stato di salute sociale. Negarlo sarebbe assurdo, separare questi due elementi facenti entrambi capo alla medesima razionalità sempre tanto missionaria e curativa dell'Occidente significa rendersi ciechi a future e pure presenti ripetizioni di obbrobri simili a quelli del passato. Credo infatti che resti il compito principale del pensiero filosofico ravvisare i legami tra i significati per meglio comprenderli. Invece è diversa la mia posizione sul discorso della libertà generata dal lavoro, perché ritengo che sia del tutto vero che il lavoro rende alla libertà, proprio in quanto impegno che si è capaci di realizzare senza alienarsi (fatto salvo le note di acquario69 che sottolineano giustamente quanto possa essere sottile la linea di confine tra alienazione e non alienazione nel lavoro). E' certamente una libertà egoistica (come è poi il senso originario della libertà sempre riferito solo all'io, perché solo l'io concepisce la libertà e la riflette sugli altri): l'io con il suo lavoro dimostra a se stesso il proprio valore indipendente e autosufficiente, ma questo egoismo pienamente autosufficiente non è isolato in sé, ma dà luogo alla possibilità del superamento di se stessi volgendo liberamente la propria opera a cura dell'altro (un altri concreto e reale, non un altro concettualizzato e astratto). Ecco che allora la libertà da affermazione della completezza autosufficiente dell'io autosufficiente diventa libera (perché liberamente scelta) responsabilità verso gli altri e il proprio lavoro può diventare autentica offerta agli altri, dunque apertura a una dimensione che va oltre il me medesimo. Ma questo è un passaggio che a mio avviso può essere attuato solo se si è raggiunto prima il senso della propria piena libera autosufficienza, perché non ci può essere alcuna offerta verso chi si dipende per propria insufficienza né ci può essere alcuna autentica offerta verso gli altri se gli altri sono posti a soddisfazione del proprio stato di bisognosi. Mi auguro che questo mio intervento sia di spunto per ulteriori riflessioni, senza che getti altra benzina sul fuoco di eventuali sia pure comprensibili polemiche. |
03-03-2014, 12.35.58 | #23 | ||||
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"
Citazione:
Certo non è troppo felice l’accostamento.. Non credo però si intendi negare -perlomeno mi è sembrato- alcuna responsabilità verso i crimini commessi.. Ci si chiede, penso, cosa mai accomuna sotto quella frase differenti ideologie ed intendimenti.. Come sempre non basta una semplice citazione per giungere al cuore di un senso profondo qualora vi sia questo senso profondo.. Citazione:
Ma qual è, se c’è, il rapporto fra lavoro e libertà? Cosa dice a noi quella massima? La citazione che riporti di Andrea può essere fraintesa solo se esclusa dal contesto del suo intervento.. Almeno così io leggo chiaramente che qualunque ipotesi di riferimento ad un’etica cristiana della massima citata, accarezzata o argomentata da un qualsiasi di quei carnefici non avrebbe validità alcuna poiché fondata a monte sulla distorsione malata del senso dell’essere.. Infatti penso che la massima “la verità vi renderà liberi” ha un senso ben preciso in riferimento alla conoscenza spirituale, altro è la citazione intorno al lavoro che renderebbe liberi.. Citazione:
del mondo interiore che determina ogni azione e sentire.. Il senso del lavoro è fondamentalmente il senso del potere intrinseco all’uomo, quello del dono “magico” dell’inter-essere, dell’azione.. Poter essere il tramite, divenire il tramite.. La medesima presa di coscienza del potere di essere interconnessione.. Nell'esplicazione di sé, però. Direi quindi che la libertà si realizza nel momento in cui questo potere di espressione di “trasformazione” di sé (tramite sé) attraverso la coscienza viene per l’appunto vissuto come mezzo profondo e sacro di espressione del proprio sé, della vita interiore.. Molto lontani dalla situazione in genere che traduce il lavoro in azione passiva e finalizzata non alla vita ma al suo sostentamento, alla sua mercificazione, insomma. Citazione:
perché il corpo necessita comunque di tempo necessario al prendere coscienza dei condizionamenti in atto.. ed abbastanza energia affinché la mente possa essere perlomeno lucida.. Se hai fame o sei schiacciato dai debiti diventa molto più difficile trovare lo spazio per direzionarsi ad una conoscenza interiore intesa a comprendere le dinamiche fondamentali che dirigono tutto il sentire sotterraneo, anche quello del surclasso dei debiti.. Come affermi in altre parole “affinché quell'interrelazione sussista è necessario che l'ente sussista come ente, ossia in piena autonomia e il lavoro garantisce la capacità di questa autonomia” Un’autonomia, aggiungo io, che possibilmente non rechi in sé quegli stessi germi di quella finalità volta alla mercificazione delle menti.. Comprendo che per essere comprensibili queste mie poche parole intorno alla questione sono di fatto alquanto limitate.. per ora solo queste mie riflessioni di getto.. |
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03-03-2014, 16.55.33 | #24 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"
** scritto da green&grey pocket:
Citazione:
** scritto da jador: Citazione:
"La libertà consiste nel rendersi responsabili di fronte alla verità" (Benedetto XVI), ed è ciò che vive e sperimenta l'amico-muratore, fin quando la sua verità: "sono uno schiavo libero", non lo tradirà e se lo tradirà. Altro che la libertà non esista. |
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03-03-2014, 17.09.32 | #25 |
Ospite abituale
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
X green & gray pocket
Meno orripilante sarebbe essere più precisi nel riportare ciò che dicono gli altri. Non ho detto che in assoluto la vittima è più libera del carnefice, ma semmai che lo è se è libera da sentimenti di cupidigia e odio. Io preferisco essere vittima di una tortura ma libero da quei sentimenti impuri che in una posizione di forza viziata da meschine e crudeli bramosie. Questo era il senso, e se lo trovi orripilante, io trovo orripilante che tu lo trovi orripilante. |
05-03-2014, 08.09.22 | #26 | |
Ospite
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"
Citazione:
A parer mio il 90% delle persone che lavorano lo fanno soltanto per assicurarsi l'accesso ai beni di prima di necessità ed a quelli desiderati. Se ognuno avesse una casa, da mangiare, da vestire e la tecnologia a disposizione non so quanti lavorerebbero. Il lavoro è un compromesso per vivere in società. A meno che il lavoro non sia una vocazione(come dovrebbe essere per tutti) un piacere, come per il musicista suonare, ma per chi nel proprio lavoro fa ciò che davvero gli piace, incondizionatamente da quanto guadagna, non avrà lavorato un giorno della sua vita. Purtroppo per le esigenze sociali e di produzione questa è solo una piccola minoranza, mentre gli altri sono obbligati a ricoprire i ruoli disponibili per assicurarsi una quota del denaro e garantirsi l'accesso alle risorse. "Il lavoro rende liberi" è uno slogan, una frase fatta che ha ben poco su cui poggiarsi, complice la società che l'ha generata. Io la continuerei così: "Il lavoro rende liberi di acquistare ciò che produciamo" che metaforicamente si rifà ad un induzione d'una dipendenza controllata (a livello sociale) dal consumo al giorno d'oggi ed alla uniformità in passato. Vedi appunto i nazisti che col lavoro volevano plasmare gli individui per loro "sbandati" dalla normalità (sinonimo di = il gruppo più numeroso). Lavorare è bene per il proprio sostentamento in un ambiente sociale, ma la complicazione burocratica e della suddivisione del mercato economico e dei ruoli ha fatto sì che ciò che significava lavorare (come l'agricoltore o il panettiere per la famiglia ed il paese) oggi ha tutt'altro significato e collocazione, così come è cambiato soprattutto l'incentivo ed il motivo per lavorare. In una società come quella odierna se il lavoro continuerà a mancare e ad appiattirsi si andrà incontro alla disperazione ed alla "schiavitù" poichè pur di procurare il necessario a vivere si accetterà di esser parte e servo di un meccanismo molto più grande che può cambiare i suoi ingranaggi/persone come e quando vuole, vista l'abbondanza di disoccupazione a tenere i salari bassi. Ma ciò che più mi sorprende è come queste persone/schiavi continuino a pensare nell'ottica d'una società che li schiavizza e non come un gruppo nuovo che si possa creare la propria di società, un loro modo di vivere, la loro comunità libera dalle necessità indotte. Purtroppo però potrai notare che creare una società alternativa sarebbe quasi impossibile in un mondo dove le risorse, i beni, i servizi e i territori sono in mano all'unica società esistente. Bisognerebbe che ci sia una rivolta degli schiavi o che abbiano la pazienza di riniziare a coltivare la terra per conto proprio e ripartire pian piano da zero, uniti e compatti, con le buone o con le cattive. Ci son due modi di far fallire un governo: uno è con la rivoluzione, l'altro è con il boicottaggio. Ma preferisco guardare ad un futuro dove i beni siano d'accesso a tutti quelli che ne hanno bisogno, così come la tecnlogia, rivedendo completamente il modo di gestire le risorse ed il lavoro e quindi anche le menti e la consapevolezza di quelle persone che le gestiscono egoisticamente. Che esista almeno una possibilità, grazie al Lavoro su se stessi? |
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07-03-2014, 20.05.12 | #27 |
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"
Non credo Mymind che il lato positivo del lavoro sia solo nello svolgere l'attività che ci esprime in senso spirituale, pur essendo questo aspetto importantissimo per non sconfinare nell'alienazione, ma che consista pure nella capacità che offre il lavoro (qualsiasi lavoro) per una propria autosussistenza.
Se tutti i bisogni venissero soddisfatti, come in una sorta di perpetua meravigliosa infanzia, l'essere umano finirebbe con il perdere radicalmente il suo stesso senso esistenziale che è dato dal senso di poter sostenere da solo con le proprie capacità una dimensione di libera autonomia esistenziale. In questo senso il lavoro ci rende liberi, perché a mezzo di esso ci scopriamo in grado di essere da soli capaci di soddisfare i nostri bisogni senza dipendere dalle concessioni di qualcun altro (o qualcosa d'altro come il progresso tecnico). |
07-03-2014, 22.25.57 | #28 | |
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
Citazione:
Mi sento in dovere di dire che concordo pienamente! Anch' io trovo orripilante il preferire la fortuna (la buona sorte) nella disonestà e nel vizio alla sfortuna (la mala sorte) nell' onestà e nella virtù (ma in realtà essere onesti e comportarsi bene non può mai essere vera malasorte, in qualsiasi circostanza). |
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08-03-2014, 01.04.37 | #29 | |
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
Citazione:
Il problema non è tanto nell'onestà, che uno potrebbe anche condividere, ma nel fatto che essa è "pretesa": nel momento stesso in cui si è vittima della reificazione, di cui ha parlato primo levi, la vittima non si sente più vittima. (questo è ancora un uomo? si chiede...insomma non è più nemmeno vittima onesta!) Stessa cosa per le future scienze psichatriche, che al di là del loro statuto pscicologico rischiano di ingenerare una sorta di oggettivazione dello "stato di malattia". Non sto parlando di problemi gravi dell'identificazione primaria, cioè laddove scompare anche il senso dell'io. Sto parlando di posizioni depresse, che invece che essere curate come cause e quindi risolte in nuove letture esistenziali (come le intendeva freud), vengono lette come sintomi biologici.(e dunque essere ebreo per i nazisti e liberale per i russi veniva considerata una malattia biologica) L'effettiva cura degli psicofarmaci non esiste, essi sono solo forme lenitive. Forme che appunto colpiscono solo il sintomo. Queste sono problematiche serie, e non sto alludendo al fatto che possano tornare di gran benificio a chi soffre (e di fatto lo sono). Dico solo che l'orrore nasce quando l'intellettualizzazione delle formule mediche viene scambiata con delle scelte politiche. Quando si parla dell'importanza del giorno della memoria, non è perchè abbiamo prese le parti del popolo ebraico, ma perchè quell'evento storico è avvenuto quando nessuno poteva aspettarsi sarebbe avvenuto. (ovviamente non sto parlando degli scrittori più sensibili ma di quella borghesia illuminata che viene conosciuta come "felix austria"). La domando che sta dietro la mia insofferenza e la mia discussione, è se si è capito Auschwitz o no. Il tema del lavoro è centrale, ma fin quando parliamo di autosussistenza a me vien da ridere. Possiamo ancora parlare di sussistenza in un mondo dove l'80% del lavoro è terziario?? Un mondo dove sono le banche e la finanza a decidere? Perchè non parliamo invece del fatto che il lavoro è quasi una istanza di normalità statale, e cioè chi non lavora è considerato come un reietto e anzi no, io direi come un malato. perchè il fatto di non lavorare deve essere per forza sinonimo di incapacità di stare al mondo. Francamente di reale e di critico questo mondo non ha nulla, credo intendesse questo lacan, e io lo seguo. Inoltre: Purtroppo la propria identità l'uomo l'ha persa già nel 900, di quale onestà si sta parlando dunque? Riferita a quale uomo? Non sto dicendo che la tensione all'onestà deve, dunque, venire meno, la speranza fa parte dell'uomo, ma del fatto che quella tensione se non tiene conto dell'aberrazione del concetto di lavoro, risulterà compromessa alla radice della sua costituzione come idea. Colui che ha sganciato la bomba atomica, ha semplicemente detto eseguivo ordini. Ma nessuno di noi dice nulla. Lui non sapeva. Lui si sentiva onesto esattamente come il soldato che ubbidiva agli ordini dell'ufficiale nazista. E' questo il punto! Perchè lui non sapeva di essere disonensto? La risposta che in questo secolo si sta provando a dare, è perchè lui non aveva eseguito un lavoro intellettuale. Da qui (e non solo) la frase che sempre più spesso (spero) si sentirà dire:" il lavoro è solo intellettuale." Riassumendo chi decide se essere onesto o meno? chi decide che quell'uomo che subisce una tortura è ancora un uomo capace di onestà. Siccome vedo che ci sono credenti in questo forum, perchè gesù si sente abbandonato dal padre, mentre torturato? Non era egli forse sicuro della sua onestà? Ci sono dei messaggi incommensurabili nella tradizione cattolica, intuizioni radicali sulla verità dell'uomo. Ma spesso vengono dimenticate...e allora il sacrificio dell'innocente forse non è una cosa così facile, così indolore...è una questione metafisica che deve fare conto della fisica biologica, vedasi le tecniche di manipolazione mentale dei terroristi afgani.(vedasi i film della Bigelow per intenderci). E' per questo che accettare il martirio per me rimane una barbarie intellettuale. la tecnica ha superato l'uomo di gran lunga e i nuovi problemi etici sono qualcosa su cui difficilmente si riesce a parlare. Mi spiace per il mio intervento precedente...ovviamente conosco l'osticità che la complessità ingenera, un pò alla Servillo non stato capace di amare abbastanza. |
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08-03-2014, 09.19.56 | #30 | ||
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
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