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09-06-2013, 09.27.46 | #52 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
La disperazione nasce dal non vedere una possibilità di scelta. Stoicamente anche di fronte all'ineluttabilità del destino c'è una possibilità di scelta: si può combattere una lotta vana contro il destino oppure abbandonarsi ad esso, correggendo ciò che si può correggere ed accettando il resto come effetto di una volontà cosmica. La fiducia dell'uomo in se stesso nasce dalla sua fiducia che nella verità della natura ci sia giustizia. Tolta questa fiducia resta la disperazione. |
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09-06-2013, 12.43.40 | #53 | ||
Moderatore
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
L'io in fondo appare solo quando insieme al sentire, all'agire, al pensare appare una possibilità di scelta sul modo di quel sentire, di quell'agire, di quel pensare, resa possibile dalla consapevolezza di quello stesso sentire. E' il sentire consapevole di se stesso che apre alla possibilità di un diverso sentire e l'io è ciò che vuole attuare questa scelta, perché è in potenza libero, anche se di fatto la scelta può essere impossibile e in tal caso l'io vorrà l'impossibile, ma comunque si sentirà autorizzato a volerlo con i mezzi di cui sa di poter disporre, in primo luogo il suo corpo, la sua mente, la modulazione delle sue emozioni e con le facoltà specifiche che a questi mezzi attribuisce. Citazione:
Ma sotto questo diverso apparire è sempre la necessità di quel foglio bianco che prima o poi traspare e che non può essere cancellata, tant'è che il gioco delle rappresentazioni diventa alla fine solo la favola scritta da un'idiota e quella necessità presenta all'io tutta l'illusione insensata della sua libera volontà, dunque la tragica delusione a cui è inevitabilmente destinato. Dopotutto credo che il suicida per disperazione (ma non sempre, non necessariamente) con il suo atto voglia ribadire la sua libera volontà, per quanto impossibile essa gli appaia e per questo ne avverte tutto il peso, la fatica immane di continuare a supportarla nonostante ogni necessaria evidenza. Illudendosi di poter annientare se stesso, egli si illude di affermare ancora una volta e nel modo più radicale la volontà del proprio io contro la Necessità che inesorabilmente la nega. Rifiuta la propria esistenza come ultimo disperato scampo per poter assurdamente ancora esistere. Non si avvede che nella necessità è compresa anche la libertà di un diverso apparire e quindi di ogni diverso significare, non si avvede che il bianco inesorabile di quel foglio non è la totale assenza di ogni altro colore, ma la presenza necessaria di ogni colore, compreso il suo, e in questo non avvedersi vuole farsi niente per essere tutto, perché ha fede che tutto sia solo niente. |
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12-06-2013, 23.06.02 | #54 | ||
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Conoscete la barzelletta dello scienziato e della pulce?
In sintesi, lo scienziato stacca ad una ad una ogni zampetta alla pulce intimandole ad ogni nuova amputazione di saltare, giunto all’ultima zampetta la pulce non salta più e lo scienziato così conclude la sua relazione sul caso: “La pulce senza zampe diventa sorda”. Se amputiamo ogni nostro senso e giungiamo a concludere che la vita fondamentalmente non ha.. senso e che ogni comprensione è fondamentalmente un inganno e che ad una più approfondita analisi infine non può che essere lo scherzo di un qualche demone dal dubbio gusto dell’umorismo ci comportiamo come quello scienziato. Citazione:
come possiamo al contempo sostenere che ogni colore, ogni rappresentazione non sia che una favola scritta da un idiota? Citazione:
che altro non è che il potere stesso dell’essere (e del suo dispiegarsi)? Ho sempre più il sospetto che il cosiddetto trauma del taglio del cordone ombelicale siano veramente in pochi ad averlo superato, mentre i più continuano a contemplare l’interdipendenza (condizione di questa vita) come una minaccia e una condanna alla propria autonomia di individui. Ma siamo sicuri che in tutto questo non ci stiamo comportando come quello che analizza e mira al dito anziché alla luna? Nella stragrande maggioranza degli indirizzi volti alla realizzazione di un determinato livello spirituale e di saggezza le passioni vengono eluse, rimosse, per lo più bandite o nella migliore delle ipotesi sublimate. E che anche tu, Maral, la volta scorsa ebbi a dirmi come la distanza sia metro indispensabile alla comprensione filosofica. Dal canto mio continuo a credere che alla comprensione (reale) sia esclusivamente necessaria una profonda consapevolezza ed autocoscienza. La distanza è simulazione; la distanza risulta essere una sorta di simulazione; altro è l’immersione nella luce della consapevolezza. Il problema alla radice non è dunque proprio la nostra carenza nell’arte di amare? Vorremmo immergerci senza bagnarci, conoscere senza mutare. Spesso amiamo per metà e ci stupiamo che l’amore “così ottenuto” non sia eterno. La stessa metà che ci farà giungere a dire che in fondo in fondo questa vita non ha alcun senso. Dividi et impera o come dice più propriamente l’i ching è necessario distinguere per poter giungere a comprendere. Distinguere è consapevolezza, non è essere al di là delle parti; non è distanza ma immersione che presuppone la consapevolezza dell’immersione affinché non risulti con-fusione anziché com-prensione. Certi comportamenti degli umani talvolta mi rammentano quello di quel bambino che dopo aver fatto a pezzi la propria bambola “preferita” piange disperato sino a consumarsi ogni lacrima e vorrebbe tanto tornare all’attimo prima di distruggerla, solo che gli adulti hanno invece paradossalmente disimparato la disperazione, anzi fondano circoli e tradizioni per preservare l’ “arte” dell’amputazione. Distruggere e poi cercare un senso è far radicare la pazzia nell’uomo. Astenersi dalle passioni e credersi saggi è la morte dell’interiorità. Ciò che è inautentico porta alla morte interiore. Se il nostro amare è a metà non avremo metà dell’amore ma qualcosa di altro che con l’amare non c’entra nulla. Se il nostro toccare è a metà non avremo metà del toccare ma qualcosa che con il toccare non c’entra nulla. Se il nostro ragionare è sino ad un certo punto non giungeremo a comprendere sino ad un certo punto ma non comprenderemo affatto. Per questi e non per altri motivi le persone non si incontrano, le anime non si comprendono, e le vite si credono nell’aridità compiute. Quando non intendiamo vedere nessuna visione ci mostrerà ciò che intendiamo rifiutare. Nella migliore delle ipotesi resteremo come quel bambino coi cocci in mano in procinto di seppellirli. E la storia si ripeterà di simulazione in simulazione sino a quando stanchi crederemo di aver conosciuto tutto della vita (e della sofferenza e dell’amare), tutto pur di non ammettere che l’arte di amare ha necessità di essere appresa, conosciuta. |
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13-06-2013, 08.25.14 | #55 | |||
Ospite abituale
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
Ritengo che l'essere consapevoli debba essere innanzitutto un essere consapevoli dei propri limiti La consapevolezza reale è quella che corrisponde sia al nostro senso interno che a quello esterno. La consapevolezza credo consista nell'essere coscienti di avere queste due prospettive - interna ed esterna – e che a seconda che la nostra attenzione sia concentrata sull'una o sull'altra, cambia totalmente il mondo in cui viviamo Citazione:
Io credo sia essenzialmente questione di adattamento, non si può prescindere da questa fondamentale legge di natura: "O ti adatti o muori" Il bambino (o l'uomo) fa a pezzi il giocattolo nel tentativo di imporre il suo potere su di esso, poi il suo pianto e la sua disperazione consistono nel rendersi conto (o nel non rendersi conto) che non tutto ciò di cui avvertiamo il bisogno è da conquistare con la forza E' un tentativo di adattamento ad un bisogno fallito che provoca frustrazione. Nel migliore dei casi si impara la lezione ( non si può avere tutto ciò di cui si sente bisogno oppure non tutto si conquista con la forza), nel peggiore dei casi la frustrazione dilaga e può provocare scompensi psichici Citazione:
Sembra una critica allo stoicismo. Io ho l'abitudine di dare di tanto in tanto un'occhiata all'ansa, mi piace tenermi aggiornato sulle notizie. Ogni tanto poi vengo scosso da fatti di cronaca inquietanti, l'ultimo l'ho letto pochi istanti fa. A Roma padre e figlio litigano in strada con un'altro uomo per una banale questione di viabilità. L'uomo solo accoltella il ragazzo, il padre per vendicarsi spara in testa all'uomo uccidendolo, Arriva l'autoambulanza per soccorrere il giovane ferito, parenti e amici dell'uomo ucciso cercano di impedire i soccorsi prendendo a sassate l'autoambulanza ed aggredendo e ferendo i soccorritori. In uno schema: lite banale-impulso feroce-vendetta-guerriglia urbana. Il tutto in pochi istanti e senza una ragione importante. Gli stoici pensavano che le passioni fossero l'origine di ogni male, siamo proprio sicuri di dargli torto? Siamo davvero convinti di poter avvallare i nostri sentimenti senza il vaglio della ragione? |
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13-06-2013, 23.05.30 | #56 |
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Ho parlato di passione e di arte di amare: la violenza non è passione.
La violenza è solo l’altra faccia della morte interiore. A mio avviso non abbiamo una prospettiva interna ed una esterna ma un’unica visione che usiamo (inderogabilmente) in entrambe le direzioni. Ciò che cogliamo in noi, a mio avviso, è ciò che cogliamo nell’altro, nel bene e nel male. Non è possibile “adattarsi” a qualcosa senza che quel “qualcosa” non venga da noi in qualche modo inteso. La nostra risposta è relativa alla nostra comprensione, alla nostra visione interiore che si riflette al di fuori. Il bambino spesso rompe un oggetto nel tentativo di smontarlo, tenta di interagire con le forze nascoste del gioco mettendo alla prova le proprie a tentativi e prendendo atto della risposta alle sue forze sul giocattolo. La disperazione relativa allo smembramento del giocattolo esprime il suo profondo dispiacere verso una violenza non voluta, il suo sconforto nel non trovare l’anima nascosta dentro la carcassa sezionata. Ora sarebbe disposto a tornare alla finzione precedente dove l’integrità del giocattolo ripropone la segretezza di un’anima e di un’interazione svolte su di un piano differente da quello grossolano. E’ la sua particolare danza di ascolto fra le differenti forze di senso che lo abitano e attraverso le quali cerca di conoscere il mondo. L’adulto procede nel medesimo senso, nel medesimo modo ma a differenza del bambino può iniziare a cristallizzare il senso di impotenza provato in una negazione del desiderio di potere, fermando in tal modo una possibile e reale crescita e conoscenza delle proprie forze e capacità. Non è adattamento ma rinuncia a compensazione di un senso di inferiorità che non ha trovato modo di esprimersi e svilupparsi in una interazione matura, in una possibile interazione simbiotica fra le forze in atto. Allora la disperazione è negata non è compresa, non è sviluppata. La stessa con-fusione fra passione e violenza ne è l’esempio più evidente, come evidente è la con-fusione fra l’amare come interazione e l’amore come passività. Sempre sono negate alcune forze in gioco che non comprese e sviluppate portano ad una visione ed una interazione di stampo passivo, anche la violenza, per quanto se ne possa dire, è fondamentalmente risposta di radice passiva poiché limita l’azione a re-azione. Il fatto che esista un mondo inconscio non significa affatto che questo mondo inconscio non sia bagaglio di memoria conscia cristallizzata, anzi. Potremo proprio intendere l’inconscio come quella parte indiscussa del nostro procedere sordo. La mente inconscia non è al di là del nostro interagire, è attraverso la consapevolezza conscia per l’appunto che goccia a goccia apportiamo materiale a quello cristallizzato rendendolo più robusto o indebolendolo attraverso una differente esperienza di forze del nostro interagire. Quel “o ti adatti o muori” che tu CVC porti in causa non è che la deleteria voce non ascoltata di quell’antico imperativo cristallizzato della negazione di potere. |
14-06-2013, 07.07.11 | #57 | ||||
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
Le passioni sono i moti passivi e irrazionali dell'anima che ci dominano. La violenza è un attributo della passione. Chi commette atti violenti è in preda all'ira o alla cupidigia o alla paura o al dolore o ad altre passioni. Citazione:
Il problema dell'osservarci dall'interno è che partiamo dal nostro stato soggettivo e lo usiamo come modello dello stato soggettivo degli altri Citazione:
Citazione:
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14-06-2013, 16.56.58 | #58 |
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Brevemente..
Il termine <programma/re> di ispirazione cibernetica lo trovo fuorviante (e per certi versi pure pericoloso) quando parliamo della mente umana. Non comprendo come ci possano essere due differenti visioni dall’interno all’esterno e viceversa, essendo la medesima persona a vedere attraverso la propria mente-esperienza. Posso comprendere se mi dici che in ognuno di noi coesistono differenti possibilità nel valutare come rispondere alle circostanze ma il sentire è unitario, ciò che proviamo se ci ascoltiamo senza ipocrisie è unitario. La differenza è frutto di calcolo prospettico non di naturalezza di ciò che siamo interiormente (la nostra maturità interiore, la nostra comprensione interiore, la nostra visione interiore, il nostro sentire interiore autentico ). Il sentire muta quando muta la qualità dell’ascolto alle voci interiori. Allora la nebbia delle visioni limitate man mano può diradarsi lasciando spazio ad una visione più profonda accompagnata da un sentire corrispondente. La passione, a mio avviso, non è moto passivo frutto dell’irrazionalità ma risposta naturale al nostro porci non passivo ma creativo verso la vita. La passione in un certo senso si impara attraverso il coltivare una linea diretta al sentire profondo. La violenza, sempre a mio avviso, è risposta ad un senso profondo di impotenza, frutto della mancanza di ascolto profondo al nostro essere. |
15-06-2013, 22.04.57 | #59 | |
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
Passione è in ogni caso patire ove il soggetto di questo patire è sempre e solo l'io nel suo desiderare, ciò che crede di amare, ma in realtà vuole solo possedere, anche in quella forma particolare di possesso che è la conoscenza. E' per questo desiderio che la passione comunque distrugge e separa e poi ricucisce ciò che ha distrutto per poter nuovamente distruggere. E' per questa volontà che non conosce tregua che l'io esige sempre nuove passioni, nuovi patimenti, illusioni che continuamente finiranno sempre deluse. La passione esalta l'illusione di un io che solo in tal modo può volere. Porsi a distanza significa allora porsi a distanza dal proprio io, vederlo da fuori, non per ucciderlo, ma per oltrepassarlo e oltrepassandolo comprenderlo nel gioco meraviglioso e atroce che la necessità dell'essere a ogni istante intesse ritraendosi per poter apparire come soggetto e oggetto distinti, ma in realtà da sempre e per sempre uniti nell'essente |
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16-06-2013, 09.08.05 | #60 | |
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
Credo di comprendere ciò che vuoi dire ma non condivido il linguaggio attraverso il quale esprimi la tua sintesi. E’ vero che passione ha la comune origine in patire ma pathos sta a delineare il cuore differente di un moto che descrive l’esperienza dell’integrità dell’animo umano dove la volontà traduce l’esperienza provata (=perciò passiva) in atto di partecipazione spodestando di fatto il soggetto oggettualizzato in soggetto agente. Pathos come fuoco di unione profonda fra agape ed eros. Dovremmo dire: vivo o sono vissuto? E in tal caso, da chi (sono vissuto)? Eros è desiderio (come pulsione verso qualcosa/qualcuno) o il desiderio (puro > essere-in) è eros? Agape è vaglio razionale dell’ego o sacri-ficio (rendere sacro)? Non è forse ciò che oggi intendiamo drammatico inteso un tempo alla radice come l’agire stesso? Quanti colori allora a delineare ciò che è tutt’altro che vento di un’unica forza. Non ci accorgiamo come le molteplici, infinite parole non sono che riflessi di un antico primordiale vagito, l’eco di un suono, di una voce sottostante sempre presente ad esprimere in realtà un’unica esperienza inesprimibile ? 'Sono', 'Sono-conosco', 'Sono-faccio'. Il colore è dell’oggetto o del soggetto? Allora se non è di nessuno dei due, di chi è? 'Sono-Sono' (io-tu) -allora siamo in due. 'Sono-conosco', 'Sono-faccio'. Noi, divisi nei nomi e nelle cose, indossiamo ed indossati. Buddha se la cava con un “tathata”. A mio parere il significato di passione liberato dalla sovrastruttura del pensiero filosofico di eredità stoica e moralista riemerge come sentimento attivo dell’arte di sperimentare la piena interiorità vitale, identificativo dell’anima come atto continuo di profonda presenza, non più quindi come punto di confluenza sul quale forze non ben identificate del cosmo terminano e muovono a loro piacimento. Accennavo all’inizio sul linguaggio relativo alla tua esposizione del pensiero intorno all’io. Pur comprendendo la sintesi attraverso cui descrivi la presenza mentale come danza continua in una sorta di balletto di distanza e di coscienza dall’io non ne condivido di massima la chiave esplicativa. Secondo il mio modo di intendere su di alcuni argomenti il movimento interiore non è di allontanamento dall’io ma di coscienza profonda del sentire che pur constando di esperienza mentale e percettiva non certo è realtà di un’entità identificativa mentale chiamata a puro titolo esemplificativo “io”. Se c’è danza c’è identificazione pertanto per giungere al punto di esperienza diretta o coscienza percettiva è necessario l’allontanamento disidentificativo al fine di poter ri-accogliere senza pre-concetti l’esperienza stessa di essere. Se la coscienza di essere assolutamente priva di limiti è ciò che sentiamo ci percorra non vi alcuna necessità di allontanarsi né riavvicinarsi ad una centralità che è profondamente libera di suo. Se confondiamo la sfera mentale con quella esperienziale e percettiva allora la centralità di “io” a richiamo di un equilibrio diventa essenziale. Per il resto il sentimento che mi pare imbeva sottostante le tue parole lo percepisco fondamentalmente in sintonia col sentimento di piena presenza interiore. So che la strada dell’accoglimento profondo al pathos inteso però come forza esperienziale potente, una contemplazione che diviene visione creativa e trasformatrice (dell’interiorità e del reale) richiede una profondissima conoscenza di sé ed una altrettanto profonda fede, fiducia, nelle proprietà, nelle qualità soggiacenti l’animo e la psiche umana. Un tragitto che comporta una continua messa in gioco della totalità delle forze ed una lucidità intellettuale ed emotiva altrettanto emergenti. Una educazione -in senso socratico del termine- non quindi un’oppressione o un dirigere volontario ma una lucidità coltivata costantemente volta all’emersione pura dell’unione dei principi archetipi dell’intelligenza, i caratteri complementari, d’altronde in una lettura realmente ampia e profonda ben rappresentati nella sintesi dell’unione sessuale. In questo percorso esperienziale l’io non è che l’anima o il <luogo> attraverso cui si realizza l’unione profonda della natura intima del reale. Imbevuti di questa “essità” ben lungi dal trattare il senso come mera scintilla di acquisizione percettiva creatrice di giochi schiavizzanti non troverebbe posto il desiderio di una morte come reclamo ad una pace altrimenti irreale. |
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