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31-05-2013, 17.54.08 | #32 | |
Ospite
Data registrazione: 26-12-2012
Messaggi: 111
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
E non ti chiedi come mai tanti,tantissimi dopo avere superato la guerra,prigionia,povertà...... o dopo 40 anni di lavoro....si suicidano?? Semplice non hanno più uno scopo nella loro vita.Come candele son già spente dentro. Scusa la riflessione da questo estrapolato commento del tuo discorso ma ci tenevo a sottolineare che tante volte i suicidi sono suicidi di corpi già morti...l'anima invece torna libera.Con questo ASSOLUTAMENTE non posso approvare un suicidio x capriccio o per far sentire in colpa le persone ..perchè credetemi ci sono anche questi.....Sul resto tengo a me i miei pensieri più profondi. Grazie |
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31-05-2013, 19.55.46 | #33 | |||
Ospite abituale
Data registrazione: 21-02-2008
Messaggi: 1,363
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
Sono le tante problematiche che insorgono ed opprimono, che inducono notti insonni, stress e depressione e distorcono il sistema dei nostri normali valori che inducono al suicidio. Citazione:
L'incremento di suicidi avviene invece, oggi, fra coloro che di scopi da perseguire ne avrebbero troppi e non sanno come risolvere. Il piccolo imprenditore, ad esempio, che resta senza lavoro, senza ordini, oberato dai debiti, non sa come farvi fronte, non sa come pagare i propri dipendenti, ne sente il rimorso e comincia a pensare di esserne responsabile, di aver portato al disastro tante famiglie, di aver sbagliato tutto, di non aver saputo come condurre gli affari, si incolpa di tutto, entra in depressione e si suicida! Al confronto la povertà è niente! Chi si appella alla razionalità o alla lucidità del pensiero del suicida, che qundi deciderebbe della propria vita con cognizione di causa...non sa che cosa si dice...che poi è anche vero che nessuno sa cosa pensi nei momenti decisicvi un vero suicida...non sa cosa si dice ...magari negli ultimi istanti il suicida si puo' anche pentire..ma è oramai è fatta: difficile, infatti, che chi sfugge al suicidio ripeta il gesto! Comunque il suicida, pensa così di cavarsi di impiccio, di sfuggire ai martellanti pensieri che gli rintronano in testa...e sicuramente lui sfugge! Ma i guai non scompaiono...semplicemente cadono in testa ai poveri eredi! Quindi il suicida si può comprendere, possiamo averne pietà, ma è un perdente..uno che sfugge alle proprie responsabiltà arrendendosi...oltre al fatto che non ne avrebbe il diritto! Come si evince dal primo paragrafo di questo post, che il vivere è sempre stato difficile,...anzi, in passati periodi, assai piu' difficile che non ora e non possiamo trovare la scusa che è la società attuale che ci opprime... Invero siamo sempre noi che dobbiamo afrontarne gli ostacoli e risolvere anche perchè la società, in prima o seconda...o anche millesima persona, ecc... siamo sempre noi...la società la facciamo noi! Troppo spesso dimentichiamo che ogni lasciata è persa!...fin da piccoli ...fin dal primo giorno che mariniamo la scuola...o andiamo a scuola impreparati...o anche oggi, esprimendo semplicemente un voto..persino astenedoci... contribuiamo, bene o male, a fare la società! E se la società è sbaglita siamo sempre noi che l'abbiamo fatta e dobbiamo impegnarci a farla meglio...non fuggire! Inutile dire che fuggiamo perchè la vita non ha senso..la vita non ha senso proprio perchè crediamo sia disponibile la scappatoria del fuggire, dell'arrendercsi, del suicidarsi!...è una tentazione! Se solo non fuggissimo allora sì che la vita acquisirebbe un senso! Citazione:
Piuttosto, pur per ragioni diverse, ritengo il suicidio inconcepibile...e, comunque, che siamo laici o credenti, possiamo pensare che è sempre un disvalore...checchè ne dicano i filosofi. Invito a leggere e meditare due o tre post avanti il pensiero del filosofo..(Soren, mi pare)....che pone alla pari la razionalità e capacità di giudizio di chi, pur colpito, fa appello ad ogni sua capacità, si eleva al di sopra e s'ingegna di risolvere e sopravvivere,...a contribuire e a migliorare e salvare.... a confronto con la situazione razionale o irrazionale o di pura pulsione di chi cede allo sconforto e si sottrae. Credo che non possiamo essere neutri e che i due casi non debbano, non possono, essere considerati alla pari: da un lato abbiamo la ragione che lotta per sopravvivere...dall'altro abbiamo solo una incontrollata e soggettiva pulsione che si abbandona. Dobbiamo tenere conto che la società non ha solo colpe..e che il responsabile, nel bene è nel male, è sempre l'individuo...diversamente ogni sistema giuridico è finito!...non potremmo piu' attribuire nè colpe nè meriti. Del resto mi pare, a voler sottilizzare, che anche in cielo i peccati o le virtù sono di esclusiva pertinenza del singolo!...non è che si manda all'inferno o in paradiso una società intera...non siamo piu' ai tempi di Sodoma e Gomorra...per quanto, anche allora, qualcuno fu salvato...o erano i soliti raccomndati? Ultima modifica di ulysse : 01-06-2013 alle ore 17.30.10. |
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31-05-2013, 20.43.47 | #34 |
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Messaggi: 2,614
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Penso conosciamo tutti la storiella della volpe e l’uva, vero?
Beh, penso non ci sia storiella più intramontabile di questa. L’uva è ciò che vorremmo e l’inganno che fa dire alla volpe che l’uva non sia matura è la nostra ostinatezza mentale che non vuole comprendere che le cose sono a risposta del nostro agire. Se non maturiamo noi l’uva sarà sempre acerba. Il demiurgo demente è il sonno della ragione: il figlio del caso e della pena. Detta in altri termini, se non accendiamo la mente la mente resta al buio. E al buio è causato l’andare a sbattere: non è opera del caso ma è una pena. Sino a quando Eros e Thanatos non saranno realizzati assieme la mente sarà al buio; sino a quando Eros e Thanatos resteranno ad indicare realtà separate volere non giungerà a potere. Desiderio e Sacrificio(=Rendere Sacro) sono inseparabili. Il Creatore e Il Distruttore sono la medesima Sostanza. La sostanza dello spazio -la tendenza unificante- (che è la sostanza delle facoltà percettive) appare come esperienza, la sostanza del tempo -la tendenza disgregante- (che è la sostanza delle facoltà trascendenti) appare come esistenza, la sostanza della mente (substrato alla facoltà dell’individualità) appare come coscienza. Spazio-tempo-coscienza sono il medesimo volto, la medesima Sostanza, la medesima Realtà. Il principio del tempo, il distruttore è il principio stesso dell’esperienza del piacere, rappresentato come simbolo nella realizzazione dell’unione sessuale (Shiva per gli Indù). La sostanza dell’apparenza di demoni e dèi è la sostanza del Reale. Non adoriamo i simboli ma la sostanza che si cela ed al contempo si realizza attraverso i simboli. Nella consapevolezza che ciò che appare è strettamente avviluppato a ciò che è si realizza il Senso. Quando il Senso è colto i “cinque veleni sono le cinque saggezze”. Chi non coglie che la radice dell’apparenza è la radice dell’illuminazione "vaga nei mondi del non senso e dell’oblio", mira la distruzione senza vederla. Nella scissione interiore il senso è velato. “ O incantevole viso! Non ho mai affermato che un’illusione possa essere adorata. E’ il supporto consapevole dell’illusione che merita di esserlo. Le parole ‘illusione’, ‘energia’ e altre simili cercano soltanto di indicare un livello particolare dell’essere. Con l’adorazione dell’immensità si cerca di indicare un sostegno per parole come ‘illusione’. “ (Siddhanta Tantra) |
31-05-2013, 23.12.50 | #35 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-01-2011
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
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01-06-2013, 03.59.39 | #36 |
Ospite abituale
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Forse proprio avere affrontato tante battaglie rende a questa gente il ciclo vitale che si svolge all'interno di mura sicure, miserevole ed indesiderato. Voglio semplicemente dire che chi ha conosciuto "gloria" ( la felicità dell'esistenza, la sua compiutezza ) non può più accettare di vivere nella miseria ( di ciò che percepisce come tale ). Attraverso l'autodeterminazione del fato si dà nuovo senso alla propria vita. Peccato che chi ha invece non ha conosciuto altro che la ripetizione tende a non comprendere la grandezza del gesto. Onestamente non comprenderò mai la condanna del suicidio ( come del resto la condanna della vita da parte del suicida: entrambe sono manifestazione dell'identica volontà ). Sia chiaro non credo che il suicidio sia cosa buona ma nemmeno cattiva, è situazionale. Se chi lo compie ha già vissuto e compiuto il proprio "senso", o con questo vi arriva, allora non ci vedo altro che realizzazione e compiutezza. Se il motivo del suicidio invece è la presa d'atto dell'impossibilità della propria realizzazione, ci vedo una resa, anche se pur sempre razionale ( mi chiedo anche se ciò che comunemente si definisce irrazionale non sia perché ci si rifiuta di comprendere per chiusura mentale - come se chi si arrendesse al proprio fallimento fosse un deviato invece che uno stanco di esso... ci si permette così, attraverso l'emarginazione del soggetto, di non doversi sottoporre ad un esame di coscienza... spesso aiutati da un pregiudizio negativo sull'atto ). Devo ammettere che forse il motivo più valido per cui frequento questo forum è lo stesso per cui mi piace leggere di filosofia, mi dà qualcosa da pensare nei più disparati momenti evitando di ricadere nella noia o in pensieri deleteri. Ho riflettuto un po' oggi sulla questione... per quanto creda che la vita abbia valore ( solo finché si è vivi del resto ) non vedo come condannare moralmente il gesto del suicidio se questo è dovuto ad una insostenibilità della vita o ad un dolore esistenziale. Personalmente, non avendo firmato nessun contratto sociale pre-nascita, non vedo perché la possibilità di determinare la mia morte debba essere vista di cattivo occhio: perché sono una risorsa per la mia società ? perché sono stato educato, si è investito sul mio futuro ? ma se queste cose non le ho decise io di primo acchito, mi sono state imposte, l'una come l'altra, allora questo "dovere di vivere" è più blasfemo che sacro: è segno di schiavitù, di imposizione, di "prepotenza". Non vedo perché un individuo dovrebbe continuare a vivere contro la sua volontà o agire in modo contrario alla sua indole se questa gli dice che è ora di finire - qualunque sia il suo momento nell'arco vitale. Per cui do ragione di certo a Maral quando dice che il suicidio può anche intendersi ( se chi lo compie lo fa per questo ) come espressione ( massima, tra l'altro ) della propria libertà di scelta e non come scelta imposta dalla disperazione di una vita di miseria e schiavitù intellettuale, oggi forte come mai prima: ancora quotandolo... Mi pare che se in passato si pretendeva l'obbedienza fisica lasciando però libera la mente, oggi si faccia il contrario: puoi fare quello che ti pare... a patto però che la pensi come vogliamo noi. Il suicidio è socialmente inaccettabile perché significherebbe una cultura sbagliata, mentre il potente da sempre vuole che la cultura ed i sistemi che lo hanno reso e lo mantengono tale rimangano invariati e per cui, percepiti come giusti. Così in un epoca in cui la potenza è data dal denaro ( una volta entrambe erano segno della posizione - oggi entrambe potenza - pardon, potere - e posizione sono invece segno del denaro... con qualche coimplicazione magari ) non si vuole assolutamente che il sistema su di esso basato venga delegittimato di funzionalità. Il suicidio essendo disfunzionale viene chiamato "irrazionale" in quanto non comprensibile su suddette basi. Invece io lo trovo cosa molto razionale e giusta, quando la vita diventa o un tormento od una noia, se a causa di queste si perde o la volontà di vivere o il senso di questa ( in chiave ultima due manifestazioni della stessa )... Per quanto rimanga fondamentalmente convinto che la vita abbia valore: ma questo può anche significarsi col "meno".
Ultima modifica di Soren : 01-06-2013 alle ore 12.09.09. |
03-06-2013, 08.31.26 | #38 |
Ospite abituale
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Mi viene in mente una scena del film Novecento di Bernardo Bertolucci. Il vecchio patriarca rintronato va nella stalla e fa delle prove per vedere se è ancora efficiente sessualmente. Vedendo che tutte le prove danno esito negativo decide di impiccarsi ad una trave della stalla. Quando il figlio lo trova, invece di essere turbato o affranto, inizia ad imprecare e sbotta: " Ecco! Quando uno smette di lavorare inizia a pensare, e poi a forza di pensare finisce con il fare queste cavolate."
Forse il nostro pensiero è diventato troppo astratto, tanto da diventare un qualcosa di separato ed autonomo rispetto al concreto, tanto che finiamo con il perderci dal legame che ci stringe indissolubilmente ad esso. Succede che perdiamo persino l'istinto di sopravvivenza. Ogni nostra azione può essere considerata come manifestazione dello spirito di sopravvivenza: mangiare, il sesso, il lavoro, la fede, la filosofia. Eppure in un momento di estrema astrazione da noi stessi, decidiamo di distaccarci dal nostro istinto alla vita. Bisogna però considerare che l'uomo non è il solo animale a ricorrere al suicidio, anche altri animali quando sono oppressi dal dolore si lasciano morire. Potrebbe forse trattarsi di una semplice questione di dolore o piacere. Oramai siamo talmente evoluti da pensare di evitare il dolore, ci sono gli anestetici, gli psicofarmaci, quando nel concreto le cose vanno male ci si rifugia nel virtuale, ci sono professionisti che risolvono a pagamento ogni nostro problema. Quando tutto questo non basta, allora la disperazione non vede altro rimedio che la dipartita anticipata, senza pensare al dolore che si reca ai propri cari ed, anzi, tante volte il suicidio viene scientificamente studiato per fare provare rimorso agli altri. Come dire "mi suicidio, ma in realtà mi hai ucciso tu." Mi si darà ancora dell'antiquato, ma penso che bisogni tornare a studiare i precetti contro la sofferenza, perchè non c'è psicofarmaco o strizzacervelli che tenga: vivere è anche soffrire, che piaccia o meno. E chi è preparato alle avversità perchè le ha pensate in anticipo ha anche la forza di affrontarle, chi è preso alla sprovvista cade più facilmente nella disperazione |
03-06-2013, 22.20.51 | #39 | |
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
Non credo che il suicidio sia dettato da un venir meno dell'istinto di vita, non lo è né quando è dovuto alla disperazione (e a quella forma di dolore che accompagna la disperazione), né in quella forma nella nostra cultura assai più rara, che è il suicidio dettato dalla percezione del senso di compiutezza della propria vita e non lo è nemmeno nel caso in cui sia compiuto per una sorta di vendetta o punizione contro il mondo, o contro il suo Demiurgo. C'è, soprattutto nel suicidio per disperazione o per vendetta, l'affermazione estrema della piena libertà dell'io che non riesce a tollerare la distanza tra il suo progetto e la necessità da lui non decidibile secondo la quale si svolge la sua vita. Venendo a mancare il proprio progetto in cui l'io, nucleo di una volontà che si autoprogetta, identifica se stesso, il soggetto si autoelimina come un peso troppo inutile e gravoso e vede in se stesso la negazione del suo più profondo voler essere. Penso insomma che per suicidarsi occorra essere ben vivi, fin troppo vivi (e forse gli psicofarmaci che evitano il suicidio funzionano proprio in quanto ottundono la propria piena vitalità e offuscano, insieme al dolore, la volontà dell'io). Dopotutto lo stesso morire è un atto che appartiene in ogni senso alla vita e il voler morire è l'affermazione della completa gestione della propria vita, in ogni atto coscientemente compiuto. Così cancellandosi, l'io si afferma davvero fino in fondo contro l'inevitabilità degli eventi. |
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04-06-2013, 08.36.25 | #40 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?
Citazione:
Io penso che spesso all'uomo capiti ciò che succede al sonnambulo, che cammina tranquillo nel sonno e poi all'improvviso si sveglia e si accorge di essere in piedi sul cornicione. Il fatto è che si è sull'orlo del baratro, ma cosa ci ha condotto qui? Per certo la nostra volontà, ma è una volontà addormentata, che non comprende la gravità delle proprie scelte se non quando è troppo tardi. La mia critica non vuole essere riferita tanto al singolo che è la vittima di questa situazione, il quale è avversato dalla sorte e si trova in una situazione in cui il mondo che fino a prima gli consentiva di sopravvivere in modo dignitoso, ora gli toglie il lavoro, ora la casa, ora gli nega un piccolo finanziamento che gli permetterebbe perlomeno di andare avanti e continuare a sperare. E quando si chiede il perchè di tutto questo, la sconcertata risposta sta nell'avidità di chi ha speculato e speculato, e tirato la corda fino a quando non si è spezzata. La mia è una critica rivolta alla società sonnambula che sogna per anni di poter concedere credito senza garanzie, che mette nelle mani degli uomini beni che non si possono permettere, che vende case dietro la sola garanzia di una busta paga, che si dedica alla speculazione su teoremi finanziari invece di incentivare chi vede nel lavoro un valore. Confesso di sentirmi un pò pungere la coscienza nell'essere troppo critico nei confronti di chi, in fondo, è solo una vittima. Ho visto nei programmi in tv gente che è ridotta in condizioni simili rispetto a quelle di chi si è suicidato. Hanno confessato di aver pensato anche loro al suicidio, loro comprendono certamente meglio di me chi ha compiuto quel gesto. Io per quanto posso voglio cercare di comprendere questo stato d'animo, perchè penso che possa essere solo questione di fortuna se è toccato a loro e non a me. E se dovesse un giorno capitare a me voglio averci riflettuto bene prima. Osservando le persone in quelle condizioni ci si accorge che, pure nella loro disperazione, sono perfettamente lucide, sanno spiegare coerentemente le cause della loro situazione. Loro sono desti. E' la nostra società che cammina nel sonno e non si accorge che perchè ci sia speranza occorre che il lavoro torni ad avere la sua dignità. E' vergognoso che, mentre c'è gente vogliosa di lavorare costretta all'immobilità, alla tv continuino a sfilare spot di giochi on line, che si prospettino improbabili vincite al superenalotto per compensare la mancanza di un salario. E' vergognoso che nel nostro paese ci sia un sistema tributario che frustra le intenzioni della libera impresa con tasse assurde che non fanno altro che incoraggiare l'evasione fiscale. E' vergognoso che le banche, che hanno provocato tutto questo, non siano giudicate da nessuno ed anzi godano pure degli aiuti statali. E' soprattutto vergognoso che l'individuo sia messo in questa condizione in cui non giova più nemmeno l'antico adagio "fai il lavoro che sai, che se non diventi ricco almeno camperai". Ritengo singolare che il nostro sistema economico si consideri figlio di Adam Smith quando dice che "l'egoismo del singolo diventa un vantaggio per la collettività" e non riconosce le parole dello stesso autore quando dice che "il lavoro è la misura reale di tutte le cose". Se le banche non servono più per finanziare il lavoro, allora qual'è il loro valore e la loro utilità? Preservare il capitale dei grandi magnati? Tanto vale che scomparissero allora. Almeno si imparerebbe a fare definitivamente a meno di loro |
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