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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 30-04-2013, 09.33.28   #31
maral
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Riferimento: Il caos nella metafisica

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Il fatto Maral è che le cose che esistono possiedono una modalità, una soggettività, per cui si può anche dire che ciò che è distinguibile da qualcos'altro esiste. Se l'Essere è distinto dal non-essere allora entrambi avrebbero un modo d'Essere e il nulla sarebbe qualcosa.

Tu stesso parli dell'Essere come di "un tratto", ma "un tratto" è qualcosa di particolare cioè di distinguibile, se ne stai effettivamente parlando, da qualcos'altro. Se non riesci a distinguerlo da qualcos'altro non ne stai parlando, ma se vuoi distinguerlo dal non-essere dovrai ammettere che il non-essere è qualcosa, quella cosa distinta dall'Essere. Potrai allora trattare l'esistenza come un attributo e dovrai cercare un principio, come per gli altri attributi, che ne gestisca l'attribuzione. Per esempio una maglietta è rossa se si ritrova in certe condizioni che non dipendono dalla rossezza ma che ne causano la manifestazione, così l'essere "esistente" dovrà dipendere da un principio superiore all'Essere come nell'ipotesi Plotiniana. Secondo me questo è un buon argomento se si pensa l'Essere come un attributo, cioè, in generale, come qualcosa di distinguibile da qualcos'altro (ma io non credo che ciò sia possibile).


Un saluto maral!
Infatti il Non Essere è, se non fosse l'Essere sarebbe inconcepibile, ma essendo nella sua contraddizione appartiene all'Essere e non viceversa. Possiamo anche dire che se il Non Essere non fosse nemmeno l'Essere sarebbe, ma entrambi sono (Altrimenti sarebbe negata la tautologia in sé vera che l'Essere è) dunque il Non essere, poiché è, è un aspetto dell'Essere continuamente rigettato al di fuori dell'Essere stesso.
Sei d'accordo?

Nota a margine: alla luce di queste osservazioni trovo sempre meno assurda l'idea di interpretare l'espansione fisica dell'universo nel nulla proprio come la rappresentazione metaforica del processo dialettico logico mentale tra Essere e Non Essere. Una sorta di cosmologia Hegeliana...
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Vecchio 30-04-2013, 19.37.32   #32
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Riferimento: Il caos nella metafisica

Maral:
Infatti il Non Essere è, se non fosse l'Essere sarebbe inconcepibile, ma essendo nella sua contraddizione appartiene all'Essere e non viceversa. Possiamo anche dire che se il Non Essere non fosse nemmeno l'Essere sarebbe, ma entrambi sono (Altrimenti sarebbe negata la tautologia in sé vera che l'Essere è) dunque il Non essere, poiché è, è un aspetto dell'Essere continuamente rigettato al di fuori dell'Essere stesso.
Sei d'accordo?


Non capisco come qualcosa che esiste possa essere gettato fuori dall'Essere; sicuramente però se ne può parlare nel senso di ciò che sfugge, un non-essere realtivo, che è sempre quella cosa di cui non abbiamo cognizione.



Nota a margine: alla luce di queste osservazioni trovo sempre meno assurda l'idea di interpretare l'espansione fisica dell'universo nel nulla proprio come la rappresentazione metaforica del processo dialettico logico mentale tra Essere e Non Essere. Una sorta di cosmologia Hegeliana...

Effettivamente il dispiegamento dell'universo potrebbe essere lo svelamento costante dell'Essere che, metaforicamente, getterebbe via la non conoscenza di sé (il non-essere) esplicitando sempre di più le sue forme implicite (cioè non ancora svelate) ma comunque "esistenti".

Questo è il modo in cui riesco a interpretarti.


Tra l'altro ho letto un libro di Donatella Di Cesare, tale "ermeneutica della finitezza", in cui viene analizzata, tramite il confronto con Platone, Gadamer (=> suo maestro), Derridà, Hegel e Heiddeger, questa situazione di un limite che quando viene raggiunto si è pure già spostato, come il tuo non-essere sempre rigettato (si parla proprio di questo in realtà). La finitezza corrisponde semplicemente alla condizione di questa delimitazione contratta dalla "soglia mobile", vista pure come l'altro di cui ci "appropriamo" (questa parola è anche troppo forte ovviamente) tramite il dialogo.
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Vecchio 20-05-2013, 22.29.53   #33
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Maral:
Non capisco come qualcosa che esiste possa essere gettato fuori dall'Essere; sicuramente però se ne può parlare nel senso di ciò che sfugge, un non-essere realtivo, che è sempre quella cosa di cui non abbiamo cognizione.
A me la cosa pare abbastanza chiara: se il Non Essere è positivamente la contraddizione dell'Essere, in quanto è questa contraddizione appartiene all'Essere che comprende tutto quanto è, ma in quanto sua contraddizione non può in esso restare e quindi ne viene rigettato per essere poi recuperato in quanto è e così via.
O ancora: il Non Essere è ciò che non è, dunque essendo (ciò che non è) è e appartiene all'essere, ma in quanto (è) ciò che non è deve necessariamente collocarsi fuori dall'Essere.
Per questo il limite dell'Essere viene continuamente oltrepassato dall'Essere stesso.
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Vecchio 22-05-2013, 11.55.55   #34
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Riferimento: Il caos nella metafisica

Maral:
A me la cosa pare abbastanza chiara: se il Non Essere è positivamente la contraddizione dell'Essere, in quanto è questa contraddizione appartiene all'Essere che comprende tutto quanto è, ma in quanto sua contraddizione non può in esso restare e quindi ne viene rigettato per essere poi recuperato in quanto è e così via.
O ancora: il Non Essere è ciò che non è, dunque essendo (ciò che non è) è e appartiene all'essere, ma in quanto (è) ciò che non è deve necessariamente collocarsi fuori dall'Essere.
Per questo il limite dell'Essere viene continuamente oltrepassato dall'Essere stesso.


Ma se è oltrepassato deve al contempo non essere oltrepassato perché, come dici, [il non-essere] si ripresenta sempre come limite dell'Essere. Così sembra che tutto il discorso si muova nella contraddizione, in quanto si affermano verità contrastanti. Inoltre la mia disposizione in generale si stà spostando verso una sorta di pragmatismo, non vedo l'Essere come qualcosa che esiste, vedo proprietà, forme ecc.. Se vogliamo usare la parola Essere come un attributo, allora l'Essere non esiste perché non partecipa dell'esistenza, altrimenti non dovremmo neanche dire che questo o quello esiste, ma descrivere semplicemente come le cose sono fatte.


Un saluto amico maral
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Vecchio 23-05-2013, 22.00.35   #35
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Ma se è oltrepassato deve al contempo non essere oltrepassato perché, come dici, [il non-essere] si ripresenta sempre come limite dell'Essere. Così sembra che tutto il discorso si muova nella contraddizione, in quanto si affermano verità contrastanti. Inoltre la mia disposizione in generale si stà spostando verso una sorta di pragmatismo, non vedo l'Essere come qualcosa che esiste, vedo proprietà, forme ecc.. Se vogliamo usare la parola Essere come un attributo, allora l'Essere non esiste perché non partecipa dell'esistenza, altrimenti non dovremmo neanche dire che questo o quello esiste, ma descrivere semplicemente come le cose sono fatte.
La contraddizione è solo apparente poiché si risolve con riferimento a due contesti diversi, ma non separati e dunque entrambi reciprocamente ammissibili, entrambi riferibili all'essere. In quanto è (ed è perché è il solo sfondo su cui l'essere può apparire tale) il non essere è compreso nell'essere, ma in quanto esso davvero significa ciò che non è esso è fuori dall'essere. I contesti diversi, ma correlati (preceduti da quell' in quanto che stabilisce le due diverse prospettive di considerazione) tra loro non in contraddizione sono il significare onnicomprensivo dell' essere e il conseguente insignificare totale del del non essere. In quanto l'essere significa tutto, significa pure il non essere che è il suo opposto, ossia significa anche il non significare, lo comprende, ma appunto poiché lo significa come insignificante lo comprende come altro da sé, dunque fuori da se stesso. Sarebbe invece contraddittorio dire che l'essere è il non essere, ma qui stiamo dicendo che l'essere resta ciò che è e il non essere resta ciò che non è, il non essere è quindi davvero ciò che l'essere dice che sia, pertanto non può restarci (Allo stesso modo Severino afferma risolvibile il famoso paradosso di Russell senza ricorrere a pseudo soluzioni come quella dei tipi logici).
E' vero poi che l'Essere non lo vedi e in realtà vedi le cose che sono, ma non lo vedi in quanto esso è una pura astrazione che tuttavia esiste, così come non vedi il colore rosso, ma vedi cose che sono diversamente rosse. In tal senso l'essere è sì un attributo di tutte le cose che concretamente diversamente sono, come il rosso è un attributo di tutte le cose che si manifestano concretamente diversamente rosse, ma ciò non toglie che l'essere, per quanto astrazione, proprio come astrazione possa venire entificato facendolo emergere dalla contrapposizione con il suo opposto, proprio come il colore rosso può essere entificato nel suo astratto significato dal suo contrapporsi a tutti i colori parimenti astratti che rossi non sono.
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Vecchio 25-05-2013, 15.40.39   #36
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Riferimento: Il caos nella metafisica

Maral:
ma ciò non toglie che l'essere, per quanto astrazione, proprio come astrazione possa venire entificato facendolo emergere dalla contrapposizione con il suo opposto, proprio come il colore rosso può essere entificato nel suo astratto significato dal suo contrapporsi a tutti i colori parimenti astratti che rossi non sono.

Ma il rosso è una modalità d'essere come tutti gli altri attributi, l'Essere non è una modalità di essere; il che vuol dire che se posso riconoscere degli attributi per la differenza della loro forma lo stesso non può avvenire con l'Esistenza che nella sua onnicomprensione una forma non ce l'ha.

Se quando parlo del rosso posso tenermi saldo su una percezione che ho avuto lo stesso non accade per l'essere in quanto mai lo vedo delimitato da qualcosa che non c'è.
Qualsiasi suono può essere entificato e si può ammettere che un'altro suono denoti qualcos'altro che è l'opposto, ma se dietro i suoni c'è un riferimento fenomenico (qualcosa che effettivamento hai percepito) allora le parole denoteranno quel fenomeno (acquistando così il loro contenuto conoscitivo), altrimenti non significheranno nulla. Se le cose non stessero così non saprei quale sarebbe la differenza tra rumore e parola, tra parola che indica qualcosa e semplice ammasso di lettere. Ovviamente ci sono cose che non si vedono e di cui si parla, se ne parla però tramite descrizioni che finiscono per rifarsi a ciò di cui si è avuto cognizione diretta.


Se l'essere partecipa di tutte le forme non può darsi come nessuna di quelle in particolare, ma così elimina già la possibilità che possa distinguersi da qualcos'altro. Identifico l'essere e il non-essere semplicemente perché entrambi non portano ad alcun riferimento formale, alcunché di riconoscibile, solo si dice che sono uno l'opposto dell'altro, così però si deve ammettere che non significhino nulla più di questo <<due cose opposte>>.



Maral:
I contesti diversi, ma correlati (preceduti da quell' in quanto che stabilisce le due diverse prospettive di considerazione) tra loro non in contraddizione sono il significare onnicomprensivo dell' essere e il conseguente insignificare totale del del non essere.

Se c'è qualcosa di buono nell'essere è proprio la sua capacità di restare tale qual'è a dispetto del sistema di riferimento.

"In quanto significa ciò che non-è" => <<in quanto significa>> [già è] , <<ciò che non-è>> = [qualcosa che non-è qualcosa]. Trovo davvero difficile poter dire che tramite qualche enunciato ci si possa riferire sensatamente al non-essere. In ogni caso sembra che tu ti riferisca a queste cose come a degli universali del tipo platonico, qualcosa che alla fine esiste per sé. Se non la pensi così, dovrai allora ammettere che è superfluo usare simili parole per etichettare gli enti visto che un ente inesistente non potrà mai essere indicato. Ma se non si può attribuire l'inesistenza dobbiamo capire che senso ha attribuire l'esistenza; credo che sarebbe come voler parlare del colore in un posto dove vige un solo colore. Mi pare che si usi spesso dire <<questo esiste>> e <<questo non esiste>> solo perché si restringe il senso di esiste; magari con <<questo non esiste>> si vorrebbe semplicemente dire <<questa cosa è solo nella mia mente>>.


Sei stato molto chiaro nell'esposizione comunque, e su simili questioni ho ancora da dover riflettere! Ciao!
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Vecchio 25-05-2013, 23.48.40   #37
and1972rea
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Riferimento: Il caos nella metafisica

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Originalmente inviato da Soren
Apro questo topic per cercare di chiarirmi una questione che mai sono riuscito a circoscrivere completamente, cioè la questione dello spazio filosofico del caso, quale sia la sua giusta posizione nella mappa concettuale del mondo ( per me, è la metafisica. mi si perdoni, forse, l'ovvietà del pensiero ), e per cercare di dare il mio contributo a quella che reputo una delle questioni più interessanti e sottovalutate nella suddetta materia.
Vorrei dunque iniziarla con un'esposizione sistematica e positiva ( cioè affermando solamente ) del mio pensiero a riguardo, così da rendere possibile fin da subito esprimere una critica solida.
Il caso è sempre stato uno dei miei argomenti filosofici, se non il, mio preferito. E' in fondo l'antitesi della causalità, cioè il dipendere di uno stato da uno precedente. Cioè caso è qualcosa che esprime un "in sé" perché è autoregolato secondo una norma propria che norma non però non può essere, o si annullerebbe nella sua essenza di "non dipendente da altro" ( da qui, una certa vuotezza intrinseca nell'elemento. ).
Stando a questa definizione di caso, io trovo che sia impossibile non relegarne lo spazio alla metafisica, cioè aldilà della serie di cause ed effetti, e di non imparentarlo concettualmente con l'essere "dei filosofi".
Ora, attraverso Nietzsche e Schopenhauer, sono arrivato all'idea che questo concetto abbia il suo spazio metafisico esattamente dove il secondo collocava la volontà: cioè aldilà del velo di maya "principium individuationis" che frammenta l'orientaleggiante "uno e tutto" di partenza, quello che credo corrisponda pressoché all'essere parmenideo.
Da qui vorrei lasciare la parola a voi e proseguire magari un'altra volta. Che idea avete voi di "caso" ?
Semplicemente, il caso e' l'alibi che la nostra sete di conoscenza usa per placare l'arsura delle proprie fauci ingorde, ed e' la toppa che il nostro intelletto cuce sopra cio' che gli sfugge in ordine ai fenomeni della Natura; sopra cio' che rimane inspiegato torna sempre il caso, ma sotto potrebbe scorrere cio' che di sconosciuto resta spiegabile alla ragione.
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Vecchio 26-05-2013, 20.16.03   #38
Soren
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Riferimento: Il caos nella metafisica

Citazione:
Semplicemente, il caso e' l'alibi che la nostra sete di conoscenza usa per placare l'arsura delle proprie fauci ingorde, ed e' la toppa che il nostro intelletto cuce sopra cio' che gli sfugge in ordine ai fenomeni della Natura; sopra cio' che rimane inspiegato torna sempre il caso, ma sotto potrebbe scorrere cio' che di sconosciuto resta spiegabile alla ragione.

Non credo tu abbia compreso una premessa fondamentale al discorso che è di considerare il caso non come risultato di un equazione con incognite ( tipo qualunque causa-sistema di cause di cui non sappiamo tutto ), cioè come incognita naturale, ma come mero ente logico "esterno" alla serie di cause, appunto perché come dici tu nella meccanicità della natura non c'è spazio per questo.
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Vecchio 27-05-2013, 01.41.47   #39
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Riferimento: Il caos nella metafisica

Citazione:
Non credo tu abbia compreso una premessa fondamentale al discorso che è di considerare il caso [..] come mero ente logico "esterno" alla serie di cause
(Soren)

Scusa, ma come reputi possibile che vi possa essere un ente (logico o illogico )
che al di fuori di un sistema possa definirlo (ovvero interagisca!)
A me pare una direzione non mistica né di possibile indagine simbolica..
tanto che anche il solo parlarne –dati i presupposti da te dichiarati- non è fattibile.

Oppure stai suggerendo che si può ben parlare di 'qualcosa'
col quale non esiste rapporto o contatto alcuno?


[[ ..Anche se quel “esterno” lo mettiamo fra virgolette..]]
gyta is offline  
Vecchio 27-05-2013, 11.24.30   #40
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Riferimento: Il caos nella metafisica

Riguardo al tema principale io credo che il caso non esista nella sua forma assoluta, per il fatto che qualcosa di assolutamente informe riuscirebbe a scatenare un effetto determinato. Se una cosa del genere può esistere senza che partecipi almeno di un indirizzo causale, allora credo che qualsiasi cosa potrebbe accadere in qualsiasi momento e sarebbe più probabile che io esploda tra qualche secondo piuttosto che continui a seguire il senso del sistema di cui faccio parte. Tuttavia, come ho già detto altrove, non trovo nemmeno soddisfacente il determinismo assoluto percui mi trovo ad affermare una realtà che deve essere come la libertà, qualcosa di non assolutamente determinato ma neanche privo di indirizzo causale. Il probabilismo è qualcosa del genere, ma non credo che, per esempio, la causalità costringa la particella a muoversi entro un range di azione e il caso poi ne determini il percorso preciso, piuttosto immagino che le due istanze siano sempre mescolate e che dunque la particella subisca il rigore di una sensatezza che non la costringe, però, entro vincoli assoluti.
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