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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 25-06-2011, 15.59.54   #41
Giorgiosan
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Riferimento: la filosofia in Internet

Siamo tutti maestri ed allievi al tempo stesso.

Ritengo che quello che ho detto sia abbastanza ovvio, non scomoderei la saggezza, neppure fra virgolette....magari il buon senso.

Non so cosa sia il dogmatismo personalmente, nel senso che non sono vincolato o condizionato, né pragmaticamente né teoricamente ad alcun dogma, per me conta il rinvenimento della verità o l'edificazione della mia verità. Da qualunque parte venga e qualunque affermazione "risuoni" come tale alla mia mente ed alla mia coscienza la integro nel mio sistema di verità.

Ognuno ha la sua verità e tutti sono portatori di una verità, la loro individuale verità....non che ognuno abbia una parte della verità e che questa possa essere ricomposta per intero mettendo insieme tutte le tessere del puzzle...e poi magari imporla ad altri.............. .

Le scienze sono dogmatiche, le religioni, le istituzioni, le ideologie ecc. ecc.... ma la fede non può essere svalutata o valutata da questa categoria perchè la fede nasce da una esperienza e come tale non può essere contraddetta né negata da alcuno altro, né da alcun teorema.
Una non-esperienza invece cosa vale? Mah...

Ovviamente questa è la mia opinione.

Ultima modifica di Giorgiosan : 26-06-2011 alle ore 01.05.29.
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Vecchio 11-09-2011, 16.59.47   #42
LeggereDeleuze
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Riferimento: la filosofia in Internet

Heidegger e` stato maestro nel mostrarci come l'analisi di una parola possa esplicitare aspetti "preconsci" delle strutture che ci compongono. Senza avere la presunzione di essere Heidegger (mi piacerebbe : D), penso che sia d'obbligo, in questa discussione, esaminare la polisemiosi della parola filosofia nell'italiano corrente. Infatti, penso che "filosofia" abbia oggi due significati non riducibili l'uno all'altro (e su questa possibile riducibilita` probabilmente molti non saranno d'accordo), sebbene profondamente collegati.
1) filosofia come "pensare profondo", inteso in senso molto generale, e possibile a chiunque, in quanto non abbisogna di conoscenze specifiche. Se non sbaglio, un tempo l'espressione "fare filosofia" (in questo primo significato) si traduceva: filosofeggiare.
2) filosofia come nell'espressione: "storia della filosofia". Qua il significato e` molto piu` preciso ed una persona che volesse parlare di filosofia in questo senso, dovrebbe necessariamente avere dimestichezza di un vocabolario specifico. Se non sbaglio, un tempo l'espressione "fare filosofia" (in questo secondo significato) si traduceva come: filosofare.
Questa opposizione tra filosofare e filosofeggiare ci mostra come i due significati di "filosofia" abbiano una differenza sostanziale e non si situino come due valori di una stessa scala.
Penso che un tenere conto di questa distinzione possa chiarificare e semplificare una discussione come quella di questo post.

Piu` nello specifico, penso che su internet abbia prevalso, per la sua stessa natura democratica, l'aspetto filosofeggiante della filosofia. Questo da un lato ha precluso (parzialmente) nella discussione in rete l'importante apporto della storia della filosofia. D'altra parte pero`, ha reso piu` democratica la discussione stessa.

Se in totale la perdita sia stata compensata da una maggiore ricchezza d'opinioni e` una opinione molto personale che potrebbe avere qualche validita` generale solo se associata ad analisi percentuali (che dubito fattibili, visto che dovrebbero riferirsi ad ipotetiche "quantita` di varieta` di punti di vista"), ovvero che dovrebbe riferirsi all'internet "as a whole", come direbbero gli americani.

La mia opinione personale e` che la ricchezza della storia della filosofia non possa essere compensata da un maggiore afflusso di persone e quindi di punti di vista. Il motivo e` semplice: tutti i contemporanei sono simili tra loro, o almeno mediamente piu` simili delle differenze tra filosofi che potrebbero essere incontrate nella storia della filosofia (che, non dimentichiamolo, ha migliaia di anni). Ora: e` chiaro che per comprendere a fondo queste differenze storiche sarebbe necessario apprendere "as well" il vocabolario specifico della storia della filosofia. Come sappiamo infatti (e qui si torna ad Heidegger), non si puo` tradurre esattamente una parola antica in termini correnti, perche` la parola antica suppone una visione del mondo (Weltanschauung) radicalmente diversa da quella sottintesa dal corrente linguaggio moderno. Non resta che imparare quelle parole come casi specifici, che ci aiutano ed anzi ci permettono di afferrare il punto di vista del filosofo che analizziamo.

Un discorso simile puo` essere fatto per il linguaggio dei filosofi moderni, che non si limita ad aumentare l'efficienza espressiva di concetti esprimibili anche col linguaggio corrente (come fa, ad esempio, la matematica per la fisica classica [almeno in alcuni casi. Questo esempio e` incidentale e serve a far capire, non ho intenzione di discuterlo]). Il linguaggio filosofico moderno apre orizzonti concettuali radicalmente nuovi sul mondo, attraverso l'invenzione di vere e proprie funzioni concettuali: basti vedere i neologismi di Heidegger, Deleuze etc.etc. Ad un certo livello, quindi, le possibilita` espressive e la ricchezza concettuale sono possibili solo attraverso la produzione di nuove parole, che tutti devono conoscere. Qua si potrebbe fare un richiamo all'ordine Simbolico di Lacan, che non ha certo una funziona espressiva, ma struttura il soggetto inconscio.

Mi spiace per la lunghezza dell'intervento ma mi sembrava necessaria una chiarezza per evitare i ripetuti fraintendimenti che ho notato leggendo i post precedenti. Spero che qualcuno abbia avuto la voglia di leggere fino a qui.
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Vecchio 11-09-2011, 21.45.28   #43
Il_Dubbio
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1) filosofia come "pensare profondo", inteso in senso molto generale, e possibile a chiunque, in quanto non abbisogna di conoscenze specifiche. Se non sbaglio, un tempo l'espressione "fare filosofia" (in questo primo significato) si traduceva: filosofeggiare.
2) filosofia come nell'espressione: "storia della filosofia". Qua il significato e` molto piu` preciso ed una persona che volesse parlare di filosofia in questo senso, dovrebbe necessariamente avere dimestichezza di un vocabolario specifico.

Faccio una domanda ingenua:
Se per pensare profondo non ci vuole una conoscenza specifica, se uno invece conoscesse la storia della filosofia, come sarà il suo pensiero? Profondissimo?

Sarebbe come dire che Kant non pensava profondissimo perchè non conosceva il pensiero di Heidegger?
Sarebbe come dire che solo il pensiero dell'ultimo filosofo sarà sprofondato nel più profondo del fondo?

Ora mi immagino infatti già l'ultimo filosofo, nascente fra diecimila anni, che per sprofondare davvero nel più profondo del fondo, dovrà leggersi di seguito tutto ciò che è stato elaborato (come farà? Forse saranno milioni di trattati! Qual è la media di libri che un uomo può leggere in una vita? Ci sarà il bignami anche fra diecimila anni?).

Ma il finale potrebbe rivelarsi davvero esilarante se durante l'ultimo suo respiro pensasse: aveva ragione Platone.
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Vecchio 11-09-2011, 23.01.24   #44
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Heidegger e` stato maestro nel mostrarci come l'analisi di una parola possa esplicitare aspetti "preconsci" delle strutture che ci compongono. Senza avere la presunzione di essere Heidegger (mi piacerebbe : D), penso che sia d'obbligo, in questa discussione, esaminare la polisemiosi della parola filosofia nell'italiano corrente. Infatti, penso che "filosofia" abbia oggi due significati non riducibili l'uno all'altro (e su questa possibile riducibilita` probabilmente molti non saranno d'accordo), sebbene profondamente collegati.
1) filosofia come "pensare profondo", inteso in senso molto generale, e possibile a chiunque, in quanto non abbisogna di conoscenze specifiche. Se non sbaglio, un tempo l'espressione "fare filosofia" (in questo primo significato) si traduceva: filosofeggiare.
2) filosofia come nell'espressione: "storia della filosofia". Qua il significato e` molto piu` preciso ed una persona che volesse parlare di filosofia in questo senso, dovrebbe necessariamente avere dimestichezza di un vocabolario specifico. Se non sbaglio, un tempo l'espressione "fare filosofia" (in questo secondo significato) si traduceva come: filosofare.
Questa opposizione tra filosofare e filosofeggiare ci mostra come i due significati di "filosofia" abbiano una differenza sostanziale e non si situino come due valori di una stessa scala.
Penso che un tenere conto di questa distinzione possa chiarificare e semplificare una discussione come quella di questo post.

Piu` nello specifico, penso che su internet abbia prevalso, per la sua stessa natura democratica, l'aspetto filosofeggiante della filosofia. Questo da un lato ha precluso (parzialmente) nella discussione in rete l'importante apporto della storia della filosofia. D'altra parte pero`, ha reso piu` democratica la discussione stessa.

Se in totale la perdita sia stata compensata da una maggiore ricchezza d'opinioni e` una opinione molto personale che potrebbe avere qualche validita` generale solo se associata ad analisi percentuali (che dubito fattibili, visto che dovrebbero riferirsi ad ipotetiche "quantita` di varieta` di punti di vista"), ovvero che dovrebbe riferirsi all'internet "as a whole", come direbbero gli americani.

La mia opinione personale e` che la ricchezza della storia della filosofia non possa essere compensata da un maggiore afflusso di persone e quindi di punti di vista. Il motivo e` semplice: tutti i contemporanei sono simili tra loro, o almeno mediamente piu` simili delle differenze tra filosofi che potrebbero essere incontrate nella storia della filosofia (che, non dimentichiamolo, ha migliaia di anni). Ora: e` chiaro che per comprendere a fondo queste differenze storiche sarebbe necessario apprendere "as well" il vocabolario specifico della storia della filosofia. Come sappiamo infatti (e qui si torna ad Heidegger), non si puo` tradurre esattamente una parola antica in termini correnti, perche` la parola antica suppone una visione del mondo (Weltanschauung) radicalmente diversa da quella sottintesa dal corrente linguaggio moderno. Non resta che imparare quelle parole come casi specifici, che ci aiutano ed anzi ci permettono di afferrare il punto di vista del filosofo che analizziamo.

Un discorso simile puo` essere fatto per il linguaggio dei filosofi moderni, che non si limita ad aumentare l'efficienza espressiva di concetti esprimibili anche col linguaggio corrente (come fa, ad esempio, la matematica per la fisica classica [almeno in alcuni casi. Questo esempio e` incidentale e serve a far capire, non ho intenzione di discuterlo]). Il linguaggio filosofico moderno apre orizzonti concettuali radicalmente nuovi sul mondo, attraverso l'invenzione di vere e proprie funzioni concettuali: basti vedere i neologismi di Heidegger, Deleuze etc.etc. Ad un certo livello, quindi, le possibilita` espressive e la ricchezza concettuale sono possibili solo attraverso la produzione di nuove parole, che tutti devono conoscere. Qua si potrebbe fare un richiamo all'ordine Simbolico di Lacan, che non ha certo una funziona espressiva, ma struttura il soggetto inconscio.

Mi spiace per la lunghezza dell'intervento ma mi sembrava necessaria una chiarezza per evitare i ripetuti fraintendimenti che ho notato leggendo i post precedenti. Spero che qualcuno abbia avuto la voglia di leggere fino a qui.

Scusa ma non condivido le conclusioni di questa argomentazione, in particolare se è vero che una totale democratizzazione della filosofia incrementa molto la percentuale di chi si limita a filosofeggiare senza grosse basi teoretiche, di contro questa piattaforma "paritaria" potrebbe ridare voci a chi, nella realtà filosofica determinata dalla gerarchia istituzionale, è in partenza penalizzato, non per mancanza di conoscenza ma per circostanze fattuali (ad es: un professore e un alunno raramente dialogheranno su di un piano di supposta parità).
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Vecchio 11-09-2011, 23.49.54   #45
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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Faccio una domanda ingenua:
Se per pensare profondo non ci vuole una conoscenza specifica, se uno invece conoscesse la storia della filosofia, come sarà il suo pensiero? Profondissimo?

La risposta e` assai semplice: no, non sara` profondissimo. L'uso delle virgolette attorno a "pensiero profondo" stava ad indicare appunto (in modo, ammetto, non formalmente corretto ma pensavo comunque comprensibile) un tono ironico. Penso infatti che una persona senza conoscenza della storia della filosofia userebbe l'espressione "pensare pensieri profondi" per indicare qualcosa di diverso da un filosofo; questo proprio per il diverso uso del linguaggio. Come ho detto, tra le due cose c'e` una differenza sostanziale, non quantitativa. Non capisco come tu, a fronte di questa mia ben chiara precisazione, sia arrivato alla conclusione che io proponevo una differenza quantitativa (a livello di profondita` di pensiero) tra le due attivita`.

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Sarebbe come dire che Kant non pensava profondissimo perchè non conosceva il pensiero di Heidegger?
Sarebbe come dire che solo il pensiero dell'ultimo filosofo sarà sprofondato nel più profondo del fondo?
Vedi sopra.
Comunque anche qua annoto un pensiero: per l'attivita` del filosofare, penso, non vi e` generalmente una competizione in "profondita` di pensiero". Anzi, se consideri la filosofia postmoderna, noterai come gli obiettivi dei discorsi filosofici siano sempre piu` specifici e meno generali. I pensieri di filosofi tra loro diversi sono, anche per questo, incomparabili in "profondita`" (proprio perche` questa categoria di "profondita`", in filosofia, ha un significato diverso che non nel parlare comune).

Voglio, per maggiore chiarezza, fare un paragone con la scienza per poi mostrare le differenze. I primi scienziati sicuramente erano persone molto dotate nell'osservazione empirica. Newton conosceva la fisica dei suoi tempi, e questa conoscenza preliminare gli ha evitato di riconstatare quel che i fisici prima di lui avevano gia` riportato su carta. A sua volta, Einstein conosceva la fisica Newtoniana, e per questo ha potuto superarla.
A loro volta, i filosofi ricercatori evitano di ripetere le stesse teorie e superano ogni volta i loro precessori proprio perche` li conoscono. Ma, a differenza della fisica, la filosofia non ha un oggettivo avanzamento. Ogni nuova teoria esprime qualcosa che c'e` di nuovo nel mondo, per come e` visto dal filosofo che, appunto, filosofa. Se ci fosse un oggettivo avanzamento come si spiegherebbe che ancora oggi si studia il pensiero di Aristotele?

In altre parole, Heidegger ha potuto pensare quel che ha pensato proprio perche` prima di lui ha vissuto Kant. Ma questo non invalida in assoluto la filosofia Kantiana, che anzi continua ad essere studiata.

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Ora mi immagino infatti già l'ultimo filosofo, nascente fra diecimila anni, che per sprofondare davvero nel più profondo del fondo, dovrà leggersi di seguito tutto ciò che è stato elaborato (come farà? Forse saranno milioni di trattati! Qual è la media di libri che un uomo può leggere in una vita? Ci sarà il bignami anche fra diecimila anni?).

Ma il finale potrebbe rivelarsi davvero esilarante se durante l'ultimo suo respiro pensasse: aveva ragione Platone.
Se l'ultimo filosofo ipotetico vivesse in una societa` diversa da quella in cui viviamo ora, probabilmente avrebbe da proporre una nuova filosofia. Questo non sminuirebbe le filosofie che lo precederebbero.
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Vecchio 12-09-2011, 00.00.35   #46
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Originalmente inviato da danielebv
se è vero che una totale democratizzazione della filosofia incrementa molto la percentuale di chi si limita a filosofeggiare senza grosse basi teoretiche, di contro questa piattaforma "paritaria" potrebbe ridare voci a chi, nella realtà filosofica determinata dalla gerarchia istituzionale, è in partenza penalizzato, non per mancanza di conoscenza ma per circostanze fattuali (ad es: un professore e un alunno raramente dialogheranno su di un piano di supposta parità).
Sono perfettamente d'accordo con te
In particolare, vorrei far notare che un alunno, ovvero una persona davvero interessata agli aspetti teoretici, in poco tempo acquisira` il vocabolario specifico di cui si parlava qui, potra` filosofare ed interpretare i testi originali dei filosofi.
Il problema a livello pratico pero`, non e` questo. Infatti, se quelli che ora filosofeggiano fossero gli alunni, in poco tempo (ovvero: il tempo per loro di imparare) la quantita` di persone che filosofano sarebbe maggiore di quella di coloro che filosofeggiano.
Il problema si pone nei filosofeggianti improvvisati e sporadici, che erano coloro ai quali mi riferivo quando dicevo che "pensano di pensare profondamente". Uno studente di filosofia credo non abbia la baldanza di definirsi "pensatore profondo" dopo essere stato messo davanti a testi di Hegel etc.etc.
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Vecchio 12-09-2011, 23.42.50   #47
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La risposta e` assai semplice: no, non sara` profondissimo. L'uso delle virgolette attorno a "pensiero profondo" stava ad indicare appunto (in modo, ammetto, non formalmente corretto ma pensavo comunque comprensibile) un tono ironico. Penso infatti che una persona senza conoscenza della storia della filosofia userebbe l'espressione "pensare pensieri profondi" per indicare qualcosa di diverso da un filosofo; questo proprio per il diverso uso del linguaggio.

Non che che intenda fare polemiche sterili, ma il problema secondo me è che il "filosofo", quando pretende di usare un linguaggio comune a tutti i filosofi, si sente un po' come uno scienziato, e così si inorgoglisce, ma rimane comunque uno scienziato di serie B.

Il discorso sarebbe davvero lungo e tedioso; dovrebbe ripartire dal concetto di significato e passare in rassegna tutte le stesse parole usate da ogni filosofo per poi controllare che abbiano lo stesso significato per tutti. Solo così si dimostra che tutti i filosofi usano lo stesso linguaggio.
Ora dimostrami che usano tutti lo stesso linguaggio.
Ho diversi dubbi che qualcuno ci riesca e se qualcuno ci riuscisse non se ne avrebbe alcuna prova.

Questa mia critica si basa sul presupposto che taluni concetti sono comprensibili non perchè si è filosofi, ma perchè si comprendono. Non è detto quindi che tutti i filosofi comprendano taluni concetti allo stesso modo.
Per cui il linguaggio non sarà mai comune; cade così uno dei presupposti secondo cui i filosofi tra di loro usano un linguaggio comune.
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Vecchio 13-09-2011, 01.28.51   #48
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Non che che intenda fare polemiche sterili, ma il problema secondo me è che il "filosofo", quando pretende di usare un linguaggio comune a tutti i filosofi, si sente un po' come uno scienziato, e così si inorgoglisce, ma rimane comunque uno scienziato di serie B.

Il discorso sarebbe davvero lungo e tedioso; dovrebbe ripartire dal concetto di significato e passare in rassegna tutte le stesse parole usate da ogni filosofo per poi controllare che abbiano lo stesso significato per tutti. Solo così si dimostra che tutti i filosofi usano lo stesso linguaggio.
Ora dimostrami che usano tutti lo stesso linguaggio.
Ho diversi dubbi che qualcuno ci riesca e se qualcuno ci riuscisse non se ne avrebbe alcuna prova.

Questa mia critica si basa sul presupposto che taluni concetti sono comprensibili non perchè si è filosofi, ma perchè si comprendono. Non è detto quindi che tutti i filosofi comprendano taluni concetti allo stesso modo.
Per cui il linguaggio non sarà mai comune; cade così uno dei presupposti secondo cui i filosofi tra di loro usano un linguaggio comune.

Quando mi riferivo a "diverso uso del linguaggio" ne parlavo, naturalmente, nella misura in cui cio` e` significativo ai fini di questo topic. Sarebbe una ingenuita` di cui davvero non merito d'essere accusato, il pensare che tutti i filosofi abbiano in mente lo stesso identico significato quando utilizzano lo stesso significante! Del resto, neanche tra i non-filosofi puo` avverarsi un tale accordo, eppure si puo` tranquillamente dire che parlino lo stesso linguaggio.
Ma allora, fai giustamente notare, che valore ha il loro parlare un particolare linguaggio? In che senso lo fanno? Beh, prima di tutto lo fanno in quanto filosofi. Se un filosofo deve chiedere alla moglie di passargli un pezzo di pane, non comincera` un discorso sull'analitica trascendentale; eppure, in certi ambiti, un discorso fatto da un filosofo risulta del tutto incomprensibile ad un filosofeggiante senza conoscenze teoretiche. Invece, qualsiasi studente di filosofia potra` fare riferimento al concetto di "circolo ermeneutico" senza tema di essere completamente frainteso da un altro studente. Certo, i due non avranno in mente esattamente lo stesso concetto, ma riusciranno probabilmente ad intendersi. La questione e` molto pratica: se ti e` mai capitato di leggere un testo di Heidegger, avrai notato che dopo poco sei stato costretto ad acquisire il suo dialetto filosofico. Ebbene: hai acquisito una parte del linguaggio filosofico. Ti e` parso di capire i ragionamenti che Heidegger faceva? Allora, hai capito anche il suo linguaggio.
I filosofi di branche uguali usano lo stesso linguaggio, per capirsi fra loro. Certo, non lo usano tutti nello stesso modo, ma questo, ripeto, non vale per nessun linguaggio.

Voglio aggiungere un'altra considerazione. Parlare di "diverso linguaggio" nel senso in cui ne ho parlato io significa dire che questo diverso linguaggio apre diverse prospettive sul mondo. Infatti, i dialetti filosofici postmoderni formulano delle funzioni concettuali che, heideggerianamente, sono strumenti per interpretare il mondo (o meglio, strumenti che modificano la visione del mondo stesso). Chiunque abbia studiato un pochino di filosofia sapra` che ogni nuovo autore influenza la percezione della realta` di chi lo studia. Questo ci suggerisce che ogni nuovo autore letto amplia e modifica il linguaggio (filosofico) che struttura la nostra visione "astratta" della realta`. Poi, che tutti coloro che leggono un certo autore vengano ristrutturati nello stesso identico modo e` secondario: si puo` comunque dire con sicurezza che apprendono un linguaggio filosofico.
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Vecchio 13-09-2011, 23.57.41   #49
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Quando mi riferivo a "diverso uso del linguaggio" ne parlavo, naturalmente, nella misura in cui cio` e` significativo ai fini di questo topic. Sarebbe una ingenuita` di cui davvero non merito d'essere accusato, il pensare che tutti i filosofi abbiano in mente lo stesso identico significato quando utilizzano lo stesso significante! Del resto, neanche tra i non-filosofi puo` avverarsi un tale accordo, eppure si puo` tranquillamente dire che parlino lo stesso linguaggio.
Ma allora, fai giustamente notare, che valore ha il loro parlare un particolare linguaggio? In che senso lo fanno? Beh, prima di tutto lo fanno in quanto filosofi.

Ho piacere del fatto che il mio appunto sia stato "compreso"; si, qualche volta ci si intende anche fra noi
La nota negativa è che la risposta non mi soddisfa.
Apro una parentesi con i due punti (: oppure anche così dovrebbe andar bene: ( tutti noi usiamo un linguaggio comune per comprenderci, ma non siamo filosofi. Mentre i filosofi pur usando un linguaggio comune sono filosofi.
Allora mi chiedo qual è la differenza fra un linguaggio comune di filosofo e un linguaggio comune di persone comuni?
Io risponderei con: la differenza fra significati. Ok! Ma perchè quello dei filosofi è un linguaggio da filosofo e il linguaggio "comune" fra gli uomini non lo è? Potrebbe funzionare l'idea che il linguaggio dei filosofi è un tipo di linguaggio specifico di una certa area di persone che comunicano fra loro. Ma anche questo non soddisfa, anche il linguaggio che cerchiamo di creare in questo ambiente è specifico. Tu pensa a chi mi conosce, o conosce il linguaggio di altri che hanno già scritto un buon numero di post. Dopo un po' che ci si conosce è normale incominciare ad usare un certo specifico linguaggio che magari si è già discusso. Nonostante tutto questi non sono filosofi? Chiudo parentesi )

Ci sono due tipi di insoddisfazione:
1) i filosofi usano un linguaggio non comune per parlare di cose comuni. Per quale motivo, invece, le persone comuni non possono dichiararsi filosofi se usano un linguaggio comune su problemi che restano comuni? Per caso i filosofi parlano di cose non comuni? Parlano fra loro di extraterrestri? Sono di un altro mondo?
No, mi sembra che anche tu abbia affermato che i filosofi moderni si interrogano su problemi moderni. Per cui, anche se usassero un linguaggio diverso, i problemi rimangono comuni.
2) la specificità del linguaggio deriva da una specificità di conoscenze. Un filosofo "generico" dovrebbe perciò avere una generica conoscenza di linguaggi specifici. Questo è il motivo per cui il filosofo per fare filosofia non dovrebbe solo conoscere il suo linguaggio, ma dovrebbe conoscere specificatamente tutti gli altri linguaggi, altrimenti non potrà mai comprendere null'altro che il suo linguaggio..che diventerà fine a se stesso.

Io ora ho tentato (secondo me) di fare filosofia... ho parlato in modo specifico del linguaggio che usa il filosofo e ho tracciato la differenza con il linguaggio che parlano altre entità (religiose, scientifiche, politiche, economiche...) di matematica, di fisica, di biologia, di astronomia, di teologia ecc. ecc.
Prova a dirmi cosa invece suggerisce Heidegger a questo proposito (che citi, ma che per me è sconosciuto).

La cosa sarebbe interessante, perchè se Heidegger non conoscesse tutte le forme di linguaggio esistenti, potrebbe cadere nello stesso tranello che si vorrebbe far cadere tutti noi. Il rappresentante di uno di questi specifici linguaggi potrebbe dire cioè: tu non conosci in modo specifico il nostro linguaggio per cui cui non ne puoi parlare in modo specifico. Ovvero la tua filosofia è fuori luogo.
A questo punto a che serve un linguaggio specifico fra filosofi, se i filosofi non conosco tutti i linguaggi specifici?
Se sostenessimo infatti che i linguaggi servono per trasferire informazioni specifiche,e se le cose da conoscere fossero celate all'interno di specifici linguaggi, un filosofo dovrebbe assolutamente conoscere tutti i linguaggi possibili. Quindi la la sintesi di questo mio ragionamento dice esattamente il contrario: un filosofo non si riconosce perchè usa un linguaggio specifico, ma per il fatto che, dopo aver conosciuto tutti i linguaggi specifici, ne crea uno comune.
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Vecchio 15-09-2011, 11.43.58   #50
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Innanzitutto grazie per la risposta; qua offri una critica molto meglio argomentata che nei precedenti post, il che permette di chiarire a me stesso certi aspetti: e` cio` che da un senso al mio esser qui!

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Ho piacere del fatto che il mio appunto sia stato "compreso"; si, qualche volta ci si intende anche fra noi
La nota negativa è che la risposta non mi soddisfa.
Apro una parentesi con i due punti (: oppure anche così dovrebbe andar bene: ( tutti noi usiamo un linguaggio comune per comprenderci, ma non siamo filosofi. Mentre i filosofi pur usando un linguaggio comune sono filosofi.
Allora mi chiedo qual è la differenza fra un linguaggio comune di filosofo e un linguaggio comune di persone comuni?
Io risponderei con: la differenza fra significati. Ok! Ma perchè quello dei filosofi è un linguaggio da filosofo e il linguaggio "comune" fra gli uomini non lo è? Potrebbe funzionare l'idea che il linguaggio dei filosofi è un tipo di linguaggio specifico di una certa area di persone che comunicano fra loro. Ma anche questo non soddisfa, anche il linguaggio che cerchiamo di creare in questo ambiente è specifico. Tu pensa a chi mi conosce, o conosce il linguaggio di altri che hanno già scritto un buon numero di post. Dopo un po' che ci si conosce è normale incominciare ad usare un certo specifico linguaggio che magari si è già discusso. Nonostante tutto questi non sono filosofi? Chiudo parentesi )

Ti sei dato una buona risposta (quello filosofico e` il linguaggio specifico di un settore di studi) ma la hai criticata con una argomentazione beno buona! Certo, dopo del tempo delle persone si conoscono e cominciano ad utilizzare dei termini comuni. In alcuni casi, potrebbero addirittura inventare nuove parole per esprimere loro concetti! Ma, che necessita` ci sarebbe di dare un nome a questo "proto-linguaggio" che usano fra loro? Questo uso non li rende piu` filosofi di quanto li renderebbe cardiologi! E questo per un motivo semplice: non si collega alla storia della filosofia. Di questo ne parlavo nel primo post (cito: filosofia come nell'espressione: "storia della filosofia").

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Ci sono due tipi di insoddisfazione:
1) i filosofi usano un linguaggio non comune per parlare di cose comuni. Per quale motivo, invece, le persone comuni non possono dichiararsi filosofi se usano un linguaggio comune su problemi che restano comuni? Per caso i filosofi parlano di cose non comuni? Parlano fra loro di extraterrestri? Sono di un altro mondo?
No, mi sembra che anche tu abbia affermato che i filosofi moderni si interrogano su problemi moderni. Per cui, anche se usassero un linguaggio diverso, i problemi rimangono comuni.

Certo, ma prendiamo un esempio per chiarire il mio punto di vista: uno psicoanalista parla di depressione. Subito dopo, da un'altra parte, un contadino parla di depressione. Hanno usato le stesse parole? Puo` darsi che lo abbiano fatto in buona misura, se parlano la stessa lingua. Hanno parlato della stessa cosa? No, evidentemente. La struttura mentale sottesa al discorso dello psicoanalista e` diversa da quella del contadino, almeno per questioni di competenza diretta dello psicoanalista. Applica lo stesso discorso al filosofo: i problemi magari sono gli stessi, ma le strutture mentali sono diverse, per cui i significati sono diversi.
Tu dirai: cosa qualifica quindi univocamente il filosofo, visto che esistono teorie filosofiche molto diverse? Ancora una volta, ti rispondo: filosofia come nell'espressione "storia della filosofia".

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2) la specificità del linguaggio deriva da una specificità di conoscenze. Un filosofo "generico" dovrebbe perciò avere una generica conoscenza di linguaggi specifici. Questo è il motivo per cui il filosofo per fare filosofia non dovrebbe solo conoscere il suo linguaggio, ma dovrebbe conoscere specificatamente tutti gli altri linguaggi, altrimenti non potrà mai comprendere null'altro che il suo linguaggio..che diventerà fine a se stesso.
Non credo di avere capito bene questa argomentazione. Non ho chiaro cosa intendi per filosofo generico.
Pero` forse non ho chiarito bene un punto: per linguaggio non intendo una cosa personale, intendo una cosa ampiamente condivisa! E il linguaggio stesso porta con sé le conoscenze che lo riguardano. Del resto noi conosciamo la maggior parte del mondo attraverso la descrizione linguistica che ne abbiamo avuto.

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Io ora ho tentato (secondo me) di fare filosofia... ho parlato in modo specifico del linguaggio che usa il filosofo e ho tracciato la differenza con il linguaggio che parlano altre entità (religiose, scientifiche, politiche, economiche...) di matematica, di fisica, di biologia, di astronomia, di teologia ecc. ecc.
E` qui che le nostre opinioni differiscono profondamente. Io non penso che questa sia filosofia, perche` non la stiamo collegando storicamente, stiamo analizzando molto genericamente dei problemi senza chiarificarne la rilevanza nella tradizione filosofica. Se approcciassimo la questione in modo molto piu` sistematico, avremmo un piglio piu` prettamente filosofico. Questa che stiamo facendo ora e` come un chiarimento preliminare di alcuni aspetti concettuali, ma non la definirei filosofia.



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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Prova a dirmi cosa invece suggerisce Heidegger a questo proposito (che citi, ma che per me è sconosciuto).
Ahime`, non conosco la posizione di Heidegger su questo particolare problema.

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
La cosa sarebbe interessante, perchè se Heidegger non conoscesse tutte le forme di linguaggio esistenti, potrebbe cadere nello stesso tranello che si vorrebbe far cadere tutti noi. Il rappresentante di uno di questi specifici linguaggi potrebbe dire cioè: tu non conosci in modo specifico il nostro linguaggio per cui cui non ne puoi parlare in modo specifico. Ovvero la tua filosofia è fuori luogo.
Ma Heidegger ha creato un suo linguaggio partendo dalla prospettiva storica della filosofia a lui antecedente. Non ha certo parlato di biologia, o psichiatria, o fisica. Lui conosceva il linguaggio specifico della fenomenologia, da cui e` partito.

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
A questo punto a che serve un linguaggio specifico fra filosofi, se i filosofi non conosco tutti i linguaggi specifici?
Se sostenessimo infatti che i linguaggi servono per trasferire informazioni specifiche,e se le cose da conoscere fossero celate all'interno di specifici linguaggi, un filosofo dovrebbe assolutamente conoscere tutti i linguaggi possibili. Quindi la la sintesi di questo mio ragionamento dice esattamente il contrario: un filosofo non si riconosce perchè usa un linguaggio specifico, ma per il fatto che, dopo aver conosciuto tutti i linguaggi specifici, ne crea uno comune.
Un filosofo usa il linguaggio specifico della filosofia, ma nell
'atto di creare la sua filosofia, puo` modificare questo linguaggio e, se il filosofo diventa storicamente significativo, questi suoi apporti al linguaggio devono essere memorizzati dai futuri filosofi.
LeggereDeleuze is offline  

 



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