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30-08-2012, 13.25.03 | #62 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Il tempo esiste?
Citazione:
Sembra che il movimento nel tuo immaginario sia una ultima "appendice" per comprendere lo spazio/tempo. Il moto è invece la primo indiscutibile, imprescindibile realtà da cui originano le altre: possiamo dire che è il moto in certo senso che da luogo allo spazio, il tempo poi non è che una relazione fra questi due. Se immagini una ipotetica immobiilità, la categoria tempo non ha alcun senso. E' il moto, se vuoi il big bang, la messa in moto della materia. Prima del moto della materia lo spazio semplicemente non è. Bisgna cercare di uscire dall'ottica newtoniana per la quale si immagina uno spazio "fisso", una cornice o una scena tridimensionale entro la quale avviene il moto. Insomma è il moto l'origine di tutto ... per così dire. Non badare troppo a come ho espresso questa idee perchè ho solo voluto provocare una intuizione. Ultima modifica di Giorgiosan : 30-08-2012 alle ore 15.17.56. |
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30-08-2012, 21.06.14 | #63 | ||||
Ospite abituale
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Riferimento: Il tempo esiste?
Citazione:
La prima distinzione, da cui seguono tutte le altre, è quella tra Essere e Divenire, dove l’Essere è ciò che abita il presente, mentre il Divenire è la condizione a cui l’Essere deve sottostare. Dopo di che, nello sforzo di comprendere l’Essere lo si scompone in oggetti distinti, mentre il senso del Divenire, con le cause e gli effetti, emerge nella suddivisione degli stati che questi oggetti assumono nel tempo. La razionalità comprende solo le relazioni nello spazio e nel tempo, tra gli oggetti che riesce a distinguere, ma gli è incomprensibile l’oggetto in sé nella sua spazio-tamporalità. Di modo che essa, per capire sempre più la Realtà, deve scomporre ancor più finemente gli oggetti a cui è giunta, operando sia spazialmente sia temporalmente. L’oggetto in sé resta però sempre inaccessibile. Oggetto in sé, che è però il fondamento che dà concretezza a questa stessa interpretazione razionale della Realtà. Secondo me, sia Parmenide sia Eraclito vogliono mettere in guardia dal considerare l’oggettività in sé come Verità assoluta. Parmenide si muove nella direzione dell’Essere, portandone alle estreme conseguenze la concezione razionale, mentre Eraclito esaspera il Divenire fino a mettere in crisi “ciò che è”. In entrambi si tende all’assoluto, che traspare però solo nella dissoluzione delle oggettività. Così almeno io ritengo di interpretare frammenti di Eraclito come i seguenti: “Immortali mortali, mortali immortali, viventi la morte di quelli e morenti la vita di questi” “Nello stesso fiume entriamo e non entriamo, siamo e non siamo” Citazione:
E pure Kant, ne sono convinto, ha ancora molto da dare. Non solo per quel che ha detto, ma, soprattutto per quello che non ha detto, e che traspare nelle inevitabili antinomie e tautologie nel suo onesto sforzo di giungere a comprendere con l’esclusivo uso della ragione. Citazione:
La situazione è tragica. E mi sa tanto che non si può tornare indietro, alle verità assolute che consolavano il vivere. Tuttavia, sono convinto che sia anche un’occasione unica, perché è proprio quando non vi è più nulla cui aggrapparsi che possiamo riuscire a trarre da noi stessi ciò che davvero conta. Donati a noi stessi. Questa è la nostra situazione. Dipende tutto da noi e, allo stesso tempo seppur assurdamente, niente possiamo senza aiuto. Citazione:
Il mito è infatti sintetico, perché intuizione ancora non chiarita dalla razionalità. Parliamo perciò dell’oggi. Non è proprio questa nostra situazione, che tu stesso consideri tragica, dovuta all’intendere Realtà ciò che è data per scontata dalla razionalità? A che altro se no? La razionalità fa piazza pulita di ogni Trascendenza, e l’assoluto è necessariamente trascendente. Tuttavia, il dramma non è in quest’azione purificatrice, che non può che essere benvenuta se ciò che vogliamo è la Verità, ma nell’errore di sostituire la Trascendenza con “la verità razionale dell’esserci”. Nell’esserci non vi è alcuna Verità assoluta! Non disprezzerei comunque i miti, la filosofia nasce da essi, e a essi sempre ritorna per trovare nuova linfa. Lo stesso Eraclito, così come Parmenide, si situano nel passaggio tra mito e filosofia. Laddove la razionalità prende il sopravvento, ma dove ancora si odono gli echi di ciò che fu solo intuito. Essi appartengono a quel Periodo Assiale nel quale Jaspers individua la presa di coscienza dell’Essere da parte dell’umanità. Confido che noi si stia per entrare in nuovo periodo assiale, dove diverremo finalmente coscienti dell’Esistenza. L’alternativa? Non oso neppure immaginarmela… |
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01-09-2012, 09.11.29 | #64 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Il tempo esiste?
Citazione:
Per Eraclito l'Assoluto è l'uno, la cui oggettività è data dall'essere presente in tutte le cose "tutte le cose escono da una cosa e una cosa da tutte le cose, ma le molte cose hanno meno realtà dell'una che è Dio" La costruzione dei concetti è ciò che ci permette di oggettivare l'esperienza, nei concetti si cerca l'universale delle cose. La scomposizione degli oggetti è un'operazione analitica che serve per vedere sotto quale categoria o concetto si trova l'oggetto in questione La razionalità per Popper è la ricerca costante dell'errore. In questo senso la realtà non può essere ciò che è dato per scontato dalla razionalità. Anzi tale razionalità non da niente per scontato Per i greci la tragedia aveva un effetto catartico, purificatorio. Ma la tragedia è un'imitazione della realtà. E un'imitazione rimane sempre un'imitazione. Del resto nelle rappresentazioni teatrali i protagonisti hanno sempre lo stesso carattere in tutte le situazioni, nella vita reale non è così. L'alienazione del disagio esistenziale ha per me cause razionali, ciò non significa che sia la razionalità la causa di tale alienazione ma bensì l'uso che si fa della razionalità Prendiamo ad esempio la concezione dominante nella società ed economia attuale che l'egoismo del singolo sia mosso da una mano invisibile che porta tale egoismo a ad essere un vantaggio per l'intera comunità. E' un'idea viziosa secondo me, perchè se il singolo si arricchisce aumenta si l'economia in generale creando più occupazione, più consumo eccetera. Ma non cambia il meccanismo che chi ha il capitale lo aumenta e chi possiede unicamente il proprio lavoro deve correre per star dietro ad una produttività di capitale che più aumenta più diventa difficile da aumentare. Ciò perchè il fine di questo meccanismo è l'aumento del capitale e non la soddisfazione del bisogno che viene usata come mezzo per produrre il capitale. Io ho un'ipotesi, e se l'alienzazione esistenziale derivasse dall'aver voluto applicare i metodi delle scienze naturali alle scienze cosiddette umanistiche? Chi ha mai potuto dimostrare che l'economia, la sociologia e la psicologia siano discipline da impostare su rigorose relazioni matematiche come la fisica e la chimica? Chi può stabilire che il mercato sia la veramente il provvidenziale regolatore dell'economia? La differenziazione del lavoro, parole di Adam Smith, produce individui stupidi. Il mercato regola la differenziazione della produzione così che ognuno possa produrre un unico prodotto, ci penserà il mercato a rendere eterogenea l'offerta. Ma la stupidità che si viene a creare con la differenziazione chi la regola? Nessuno, anzi quanto più l'individuo diventa stupido e tanto più diventa un buon consumatore di beni inutili. Questo post si interroga sull'esistenza del tempo, io ho fatto una distinzione fra il tempo della scienza ed il tempo della coscienza che non possono essere la stessa cosa. Mi rifaccio a Bergson. Come ho detto la scienza ha bisogno di unità di misura omogenee, la coscienza ha bisogno di un tempo eterogeneo. L'alienazione nasce, questa è la mia ipotesi, quando l'uomo vuole fare diventare omogeneo anche il tempo della coscienza. E' il lavoratore che diventa una macchina svolgendo per otto ore al giorno un lavoro che gli fa compiere sempre gli stessi pochi e ripetitivi gesti, è la pubblicità martellante che decide per te ciò di cui hai bisogno, è l'ossessione della crescita economica, è lo sfruttamento indiscriminato del pianeta, è l'arte dove la sistematicità ha preso il posto della fantasia, è l'incapacità di comprendere la propria umanità, è il paradosso di inetragire con strumenti tecnologici che finiscono per controllarci invece di essere noi a controllarli. Questa è per me l'alienazione: restituiamo al tempo della coscienza la sua vera natura! Mi scuso per l'eccessiva lunghezza |
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03-09-2012, 22.32.26 | #65 | |
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Riferimento: Il tempo esiste?
Citazione:
Il ritenere “reale” solo ciò che è razionale, se può sul momento dare sicurezza diventa poi motivo d’angoscia. La certezza, l’esattezza, così tanto apprezzate nella nostra società, quando diventano assolute creano il deserto. Concordo sui tanti significati che può avere il tempo. E che il suo significato fisico, meccanico, sia diventato quello predominante. Ma non poteva che andare così. Perché la tecnologia è ormai il nuovo rimedio, che sta soppiantando gli altri vecchi rimedi escogitati per combattere l’angoscia esistenziale. Un rimedio che seppur limitatamente funziona, e che fa sperare in un suo perfezionamento infinito (quasi che possa in futuro permettere la vita eterna). Ma è proprio la concezione che sta alla base dello sviluppo tecnologico la causa dell’angoscia: il credere verità assoluta l’esserci, con i suoi oggetti distinti e il suo divenire che crea e distrugge. Non penso sia sufficiente il ritorno al tempo della coscienza, ma che sia necessario andare più avanti, e cogliere la nostra Coscienza Assoluta, che è senza tempo, ed è ciò che siamo. Ne saremo in grado, o dovrà il deserto mostrarsi in tutto il suo orrore? |
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04-09-2012, 09.30.21 | #66 | |
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Riferimento: Il tempo esiste?
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La "civiltà della tecnica" ha bisogno dell'opposizione di una nuova corrente di pensiero utilitaristico, bisogna recuparare ciò che Mill intendeva quando diceva che lo stato ideale è quello in cui nessuno è povero e nessuno desidera diventare ricco. Abbiamo tutti le orecchie tese verso le ultime novità scientificotecnologiche, e appena giunge una nuova scoperta subito ci si interroga su come possa farci vivere di più, o arricchirci di più, o farci provare più piacere. Siamo alla ricerca di un "vivere meglio" quantitativo. Tutti guardano la quantità perchè è più facile: più soldi significano più potere d'acquisto, più possesso, più potere. Nessuno sa cosa è realmente meglio per se stesso, perchè per saperlo bisogna interrogarsi, essere capaci di riflettere in solitudine, stare soli con se stessi. Ma la solitudine, ciò che in tempi passati era considerato cibo per lo spirito, oggi è vista come degradazione, come incapacità sociale, forse anche un pò malattia. La realtà è che il mondo è triste perchè vuole sapere solo quanto e non cosa. Per questo si preferisce la scienza alla filosofia, anzi si considera inutile la filosofia. Non so quale sia la coscienza assoluta, forse quella che rifiuta ogni assolutismo? Allora dovrebbe rifiutare anche se stessa. Il fatto problematico della coscienza è questo: che agisce nel tempo. Noi possiamo non dubitare solo di ciò che accade qui ora. Ma la coscienza non agisce solo nel presente, vi lavorano anche il passato ed il futuro. E quante distorsioni, errori o mere fantasticherie infarciscono il passato ed il futuro? Si può addirittura dubitare della loro esistenza. La coscienza del resto svolge il compito di prepararci al presente, facendoci dimenticare gli espisodi più brutti del passato e mettendoci sotto gli occhi le opportunità più favorevoli del futuro. Quindi anche la coscienza inganna, anche se lo fa per il nostro bene: è l'autoconservazione. Tanto più ci sforziamo di allargare la coscienza e tanto più ciò che otteniamo è un effetto del nostro istinto. |
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04-09-2012, 22.25.48 | #67 | |
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Riferimento: Il tempo esiste?
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Ed è proprio dalla tensione tra coscienza nell’esserci e coscienza assoluta che nasce il filosofare. Tramite la coscienza assoluta avviene la conquista del non-sapere. Ossia di quel non-sapere che si realizza quando il sapere oggettivo, nello sforzo di conoscere sempre più, finisce per annullarsi. Questo non-sapere non è la semplice negazione del sapere, ma l’esperienza della situazione-limite. Da questo non-sapere nasce la sollecitazione per la ricerca di ogni sapere. Nell’esserci, nel mondo oggettivo, la coscienza assoluta è nulla. Ma non può che essere così, visto che essa è coscienza della mia essenza. Caro CVC, non vi è alcuna età dell’oro in cui vivevamo felici! Non vi è mai stato alcun momento in cui Verità, Giustizia, Bene, trionfassero nel mondo. Ciò che davvero importa è ciò che si decide qui, ora. Una decisione che è per l’eternità. Invece di rimpiangere un immaginario passato felice, non è forse meglio andare avanti fino al limite? Seguendo la coscienza assoluta, che è certezza dell’essere, si può avanzare nel sapere sempre più fino a giungere al non-sapere. Si è allora nella situazione-limite, e potrà coglierci la vertigine di fronte al naufragio, ma sarà proprio a quel punto che potremo forse avvertire la Trascendenza. |
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05-09-2012, 18.21.15 | #68 | |
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Riferimento: Il tempo esiste?
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Se col naufragio percepisco la mia vera essenza che corrisponde alla coscienza assoluta, questa coscienza assoluta è assoluta nel senso che è assoluta per me. Mi sbaglierò, ma a me pare che il filosofare nasca dalla ricerca di una conoscenza universale, questo ragionamento mira invece alla ricerca di una coscienza assoluta personale che nega qualsiasi altro assoluto, nega quindi l'esistenza stessa dell'universale. Sarebbe ben ridicolo rimpiangere un'ipotetica e passata età dell'oro, un mondo in cui giustizia e bene regnavano. Se fosse esistita, un'epoca simile non avrebbe certo avuto bisogno di alcuna filosofia. Si parlava di alienazione ed io ho citato l'avvento dell'età industriale come causa della spersonalizzazione dell'individuo. |
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05-09-2012, 23.45.42 | #69 | |
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Riferimento: Il tempo esiste?
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Non la posso oggettivare perché è sempre dietro di me. E’ l’origine da cui io mi muovo, ed essendo l’origine, pensarla significa pensare nulla. Nel naufragio, posso decidere di affidarmi, costi quello che costi, alla coscienza assoluta. Ed è allora che la Trascendenza può manifestarsi. Sono convinto che sia sbagliato ritenere che la filosofia nasca dalla ricerca di una conoscenza universale. Perché l’universale non ha nulla a che vedere con la realtà. E’ invece dalla tensione tra coscienza assoluta e conoscenza dell’universale che nasce la filosofia. L’universale è tutto ciò che si può conoscere, nell’esserci, e in questa direzione siamo costretti a procedere per sapere, ma questa conoscenza è destinata sempre a fallire, perché l’universale finisce inevitabilmente per sgretolarsi di fronte alla coscienza assoluta, che è coscienza di ciò che è. In effetti, l’universale in sé non esiste. Ma neppure si può allora ritenere che sia il particolare a esistere in sé. Presumibilmente l’esistenza è il superamento dell’universale e del particolare. Neanche si può assumere che l’esistenza sia totalmente personale, relativa al sé. Perché l’esistenza può manifestarsi solo nella comunicazione con l’altro. |
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09-09-2012, 10.32.32 | #70 | |
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Riferimento: Il tempo esiste?
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L'idea di Jaspers, che il naufragio liberi dall'immutabile, il quale impedisce il divenire, è già presente in Hegel quando dice che la forza dell'intelletto è nel suo unirsi ed espandersi. L'aggrapparsi ad un qualcosa di immutabile impedisce all'intelletto di affrontare la realtà del divenire, bisogna liberarsi del vecchio per poter fare spazio al nuovo. Detto questo rimane che pur sempre a qualcosa ci si aggrappa, che si parli di universale o di naufragio o di coscienza assoluta, si tratta comunque di rappresentazioni che si propongono come permanenti di fronte al divenire. O si pensa con Parmenide e Severino che il divenire non esiste, oppure a qualcosa bisogna pur aggrapparsi. E la filosofia in quest'ottica mi si presenta come un continuo distruggere vecchi appigli per poi costruirne di nuovi, cui aggrapparsi nella corrente del divenire che, per riallacciarci al titolo del post, lo possiamo chiamare tempo. |
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