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06-02-2009, 08.39.20 | #22 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Una domanda filosofica ai filosofi: come filosoficamente utilizzate la scienza?
Citazione:
L'essenza è cio' che una cosa realmente è. Ce ne sarebbero di risultati dell'empirismo scientifico da discutere filsoficamente... Visto che parliamo di essere, per esempio, parliamo anche di divenire... In meccanica quantistica è noto che il tempo non è divisibile all'infinito, ma esiste un intervallo minimo, detto tempo di Planck, oltre il quale non avrebbe piu' senso ragionare..E' un intervallo all'interno del quale il tempo smetterebbe di scorrere e si arresterebbe.....Per cui la "res materia" e noi stessi, in definitiva, saremmo fotogrammi che scorrono su una pellicola, ma mai uguali a noi stessi sebbene noi percepiamo la nostra essenza come continua e identica a se nel tempo..... Che ne dici..Non ti sembra un buon argomento filosofico da discutere ? |
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06-02-2009, 18.12.30 | #23 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Una domanda filosofica ai filosofi: come filosoficamente utilizzate la scienza?
Citazione:
Un'ottimo argomento, considerando che a partire da Aristotele si è sempre ritenuto il tempo una quantità continua (indefinitamente divisibile) perchè eventuali discrezioni reali avrebbero impedito il dispiegarsi del movimento. In questo modo Planck viene a sostenere che la suddivisione non sia illimitata e che l'apparire delle configurazioni empiriche appaia come il dispiegamento di una pellicola, dove ogni fotogramma è diverso dall'altro, ma in realtà anche nel caso di continuità ogni fotogramma sarebbe (banalmente) diverso dall'altro: anche in caso di continuità la configurazione del mondo che appare in un determinato intervallo di tempi è diversa da quella che appare nell'intervallo successivo, altrimenti avresti l'identità dei diversi. Anche in caso di continuità è cioè possibile suddividere il tempo in fotogrammi finiti. Dopodichè si potrebbe discutere sul fondamento del tempo di Planck, e in generale di ogni conoscenza scientifica (nell'accezione delle scienze della natura, delle scienze esatte sperimentali, ipotetico-deduttive): che ne sa il sapere scientifico dell'incontrovertibile? le affermazioni scientifiche hanno la pretesa di imporsi come verità assolute, tali che la negazione sia autonegazione? |
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07-02-2009, 10.42.18 | #24 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Una domanda filosofica ai filosofi: come filosoficamente utilizzate la scienza?
Citazione:
Il vero scienziato non ha sicuramente questa pretesa, anzi è il primo a mettere in discussione la propria teoria in presenza di un nuovo fenomeno verificabile e sperimentabile. Alcuni, pero', tendono ad assolutizzare i propri algoritmi e a sostanzializzarli, dimenticandosi che hanno a che fare con modelli della realtà e non con la realtà. In piu', spesso, assumono un atteggiamento di malcelata superiorità (vedi i termini scienze deboli e scienze forti) nei confronti degli "umanisti" e del loro presunto antropocentrismo "acritico". Questi ultimi, a loro volta, sono affetti da complessi di inferiorità derivanti dal pensare che mentre uno scienziato puo' essere anche un filosofo, un filosofo non potra' mai occuparsi di scienza...Questo è sicuramente vero se si parla di costruzione di un modello aderente a un fenomeno e/o a un'astrazione del pensiero ma se, come suggerisce il titolo di questo 3d, si "sfruttano" quelli che sono i risultati acquisiti dalla scienza, limitandosi a capirne i contenuti piu' importanti con un minimo di applicazione e studio (come facevano i greci antichi) e senza timori reverenziali, allora si che si avrebbe una vera rinascita del pensiero filosofico. Mi preme un chiosa. Sebbene la storia della filosofia sia importante, il vero filosofo non è quello che sa riferire con dotte citazioni il pensiero di Kant, Nietsche, o Aristotele....Al giorno d'oggi basta Wickipedia per questo....Il vero filosofo è quello che elabora, sulla base delle sue conoscenze, umanistiche e scientifiche, una propria teoria (vedi Severino o Mancuso). Per far cio', evidentemente, non si puo' essere nella totale ignoranza del fatto scientifico, pena il rischio di cadere nel ridicolo o, bene che vada, nel dogma della fede. |
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07-02-2009, 20.08.23 | #25 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Una domanda filosofica ai filosofi: come filosoficamente utilizzate la scienza?
Citazione:
Non è che Mancuso sia questo gran teologo, certo ha notorietà ultimamente, ma ci sono (e ci son stati) teologi ben più profondi e originali di quanto non lo sia lui, si limita a constatare che la scienza persuade e muove le montagne più di quanto oggi faccia la fede in Cristo e in base a ciò tenta di aprire un varco "progressista". Non capisco proprio inoltre cosa intenda quando afferma che bisogna rivedere le modalità e la configurazione della fede cristiana in relazione alle scoperte scientifiche, ma cosa pretende? che la chiesa cominci a mettere in discussione il deus trinitas, la rivelazione divina, la transustanziazione sul fondamento del sapere logico-matematico o fisico-biologico? Personalità come Barth, Rahner, Bontadini, Fabro sono (stati) di ben altra pasta e di ben altra lungimiranza speculativa, probabilmente Bontadini a livello teoretico è il più apprezzabile di tutti e tuttavia non è mai stato capace di guadagnarsi notorietà a livello mediatico-culturale. Quanto a Severino concordo perfettamente, ma impostare un paragone tra lui e Mancuso (ma volendo anche con i pensatori soprastanti) è quantomeno imbarazzante, il suo rigore argomentativo è davvero senza pari. |
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08-02-2009, 10.30.01 | #26 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Una domanda filosofica ai filosofi: come filosoficamente utilizzate la scienza?
Citazione:
Per carita'....Mancuso ne ha sparate.....Pero' gli riconosco un bel "fegato" sopratutto se tieni conto, appunto, dell'ambiente clericale dal quale proviene, dove se smuovi un qualche dogma casca tutta l'impalcatura. Peraltro quella è tutta roba che proviene dalle esternazioni "ex cathedra" dei papi (con presunta infallibilità derivante dall' azione dello Spirito Santo), e poco hanno a che fare con la parola di Gesu' Cristo che, anzi, spesso e volentieri i clericali del suo tempo li prendeva a calci nel di dietro..... Tornando all'argomento del 3d, so, per esempio, che esiste una materia di studio che è la "filosofia della scienza", ma non ho idea di cosa si tratti effettivamente e soprattutto cosa e come venga studiato....Dal titolo mi sembra una buona base per formarsi una facies critica in ambito scientifico. |
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08-02-2009, 13.21.15 | #27 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Una domanda filosofica ai filosofi: come filosoficamente utilizzate la scienza?
Citazione:
Epistemologia sostanzialmente: Popper, Khun, Lakatos, Feyeraband..approfondimenti circa la veridicità (ed anzi, l'ipoteticità) delle proposizioni scientifiche. |
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09-02-2009, 11.33.52 | #28 |
like nonsoche in rain...
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Riepilogo.
In questa discussione l'obiettivo non era parlare di come gli scienziati potessero utilizzare i metodi e le conoscenze della filosofia, ma di come i filosofi potessero utilizzare le ipotesi scientifiche nei loro discorsi non aventi a che fare con la scienza. Questa domanda mi sembra si possa risolvere in molteplici modi, anche considerando il tipo di filosofo in questione. Non conosco granché della filosofia accademica, ma mi sembra, osservando, che sostanzialmente due siano gli approcci alla metafisica: nel primo i filosofi si basano ed ancorano i loro ragionamenti alle teorie scientifiche, nell'altro utilizzano invece argomenti a priori che riguardano l'essenza degli oggetti in questione, senza tener conto dei risultati delle scienze.
In ogni caso il problema che ho evidenziato nei primi post di questa discussione mi sembra il seguente: le affermazioni scientifiche, per loro natura, possono fornire spunti e direzioni ai filosofi per la costruzione dei loro discorsi metafisici, ma non possono costituire delle argomentazioni certe e definitive a favore di essi. L'esempio di cui ho parlato riguardava proprio la discussione sulla causalità. Un filosofo che volesse discutere intorno questo argomento potrebbe tenere conto (come?) del fatto che nella rappresentazione della realtà data dalla meccanica quantistica alcuni processi/eventi paiono essere acausali ovvero senza cause, in un certo senso tecnico, differente poiché più formale rispetto al corrispondente concetto filosofico e dunque siano studiabili solo probabilisticamente (pur se una causa probabilistica è comunque una causa in senso filosofico); il punto è, però, che nulla vieta di argomentare una metafisica in cui ogni processo ed evento siano strettamente deterministici (ove con sistema deterministico intendo un sistema che abbia una evoluzione univoca dato un preciso stato iniziale, dunque è anche causale), pur se qualche descrizione scientifica attuale pare negare il principio di causalità. I piani sono differenti, questa la mia premessa e la confusione tra di essi genera chiacchiere che potrebbero evitarsi e “paradossi”. Non sono d'accordo con coloro che parlano di indeterminismo ontologico necessariamente mostrato dai risultati probabilistici a cui può aspirare la quantistica, né concordo con coloro che utilizzano questa teoria fisica come argomentazione definitiva a favore del fatto che non possa più valere o almeno che non valga sempre il principio di causalità ovvero che ogni evento è conseguenza di un altro (o altri), sua o sue cause. Una cosa sono i modelli e le teorie ipotetiche delle scienze, altra cosa sono le filosofie che stanno a monte ed al di là di esse; spesso i medesimi termini sono usati in senso differente e quello filosofico è alieno a quello formalizzato dalle teorie. Parte della nostra rappresentazione scientifica del mondo può dunque essere probabilistica, senza che la realtà in sé delle cose, l'essenza sia indeterministica (evoluzione non univoca di qualcosa). Così si può lavorare con la quantistica senza credere che essa ci dica come stanno in realtà ed in sé le cose e senza credere che il mondo sia essenzialmente indeterministico. La scienza, per rispondere a Gaffiere, in alcun modo potrebbe impedire il discorso metafisico; il punto è come possa influenzarlo (ammesso che possa farlo). La questione della discussione è dunque: volendo tenere conto dei risultati scientifici, ovvero non prescindendone totalmente ed ammessa la distinzione tra quei due piani, come potrebbe fare un filosofo a trascendere i fatti delle scienze per argomentare e riflettere in un suo peculiare ambito di lavoro, come la metafisica? Da questa domanda restano naturalmente fuori i filosofi che non si preoccupano di tenere in conto le scienze, come mi sembra che spesso faccia proprio Severino, in quanto pare consideri la scienza, quando lo fa, solamente come mera tecnica. Ciao. p.s. Marius, per sapere di parte degli argomenti di cui si occupa la filosofia della scienza, non oggetto di questo thread, potresti consultare thread paralleli, tipo “Anche le scienze vivono di fede” oppure “Sui fondamenti della scienza” e altri. Alcune tra le domande classiche sono: esistono gli oggetti delle teorie ed in che senso? Cosa sono le teorie ed i modelli e cosa spiegano? Cosa si intende per conoscenza scientifica? Quale il collegamento tra teorie e realtà? Tra teorie e teorie? Quale il significato di due differenti teorie che si sovrappongono nello spiegare certi fenomeni? Cosa sono i “fatti sperimentali”? Quale o quali metodologie adottano gli scienziati? Cosa si intende per progresso della scienza? Come gli esperimenti possono confutare le teorie? Quale il confine tra scienze e non scienze? Sono propriamente “leggi” quelle delle scienze meno matematizzate e cosa sono le leggi naturali? E poi ancora il problema del riduzionismo, di cosa siano lo spazio ed il tempo descritti da alcune teorie, etc... etc... etc... |
09-02-2009, 14.24.49 | #29 | ||
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Riferimento: Riepilogo.
Citazione:
La scienza è una specificazione dell'ontologia, come lo è la matematica: nella prima si considera l'ente in quanto neutrone, protone ecc.. nella seconda in quanto numero: i risultati dell'ontologia hanno cioè necessariamente una ricaduta a livello scientifico: se per esempio si volesse tener fermo il principio di Parmenide si dovrebbe sostenere che la scienza è studio dell'illusione, perchè il pensiero scientifico parte dal presupposto che il mondo sia divenire e ne ricerca le costanti che nn sian divenienti: non è che la scienza possa influire sulla metafisica, la veridicità o meno del discorso metafisico può essere legittimata solo a livello filosofico, visto che la metafisica è una forma dlel'ontologia: pensare che la scienza possa dir qualcosa circa l'analisi dell'essere questo si rappresenta una bella confusione dei piani d'indagine da te criticata. Citazione:
Avendo studiato il pensiero di Severino ed essendo allievo di suoi allievi ti posso assicurare che le motivazioni che lo spingono a ciò sono piuttosto solide. |
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09-02-2009, 17.07.14 | #30 | |
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Riferimento: Riepilogo.
Citazione:
Ecco...Quello che tu dici è il succo del discorso. Mi sembra che implicitamente tu stia affermando che qualora la casualità fosse scientificamente comprovata "oltre ragionevole dubbio" la filosofia stessa non avrebbe alcun senso....Dunque poichè la seconda possibilità, ovvero il nesso causa - effetto, è condizione necessaria per l'esistenza stessa della filosofia, sarebbe anche inutile approfondire le linee di pensiero scientifico che privilegiano tale ipotesi....Basterebbe ammettere che se ogni evento ha una causa il "primo evento" deve essere determinato da una volontà. A questo punto, pero', la linea di demarcazione con la teologia diventerebbe veramente labile. |
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