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30-04-2008, 12.38.36 | #53 |
Ospite abituale
Data registrazione: 27-06-2007
Messaggi: 297
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Uomini e servi.
Caro e Vero Emanuele,
osservi: "Non entro nel merito delle contestazioni sulla santa inquisizione troppo complesse. 60.000 roghi per stregoneria secondo stime forse eccessive in 3 secoli mi pare che non valga la pena di perdere tempo.". Nel mio commento precedente, ho consentito con Te circa le assurde e ridicole amplificazioni della moltitudine dei giustiziati per accuse d'eresia o di stregoneria, in tutti quei secoli, quando s'esercitò la potestà delle Chiese Cristiane, non solo di quella Romana: è difficile non trattenere il riso pensando che, secondo i numeri d'alcuno, sui roghi siano stati arsi più uomini che ne avesse contenuti in tutti i secoli l'intera Europa. D'altronde le esagerazioni sono artificio consueto e dei difensori e degli accusatori. Ma veniamo alla questione che poni: "Invece ti contesto la questione sul Diritto Romano. A me pare che il diritto romano prevedesse la condizione di cittadino romano e dello schiavo. Il cittadino romano aveva tutti i diritti, avevo diritto a un regolare processo e non poteva essere crocifisso. Lo schiavo poteva diventare un liberto ovvero un uomo libero, se lo volevano i suoi padroni.". Dici benissimo: ma dove mai hai letto ch'io abbia scritto altrimenti ?; neppure ho trattata la cosa !. Nel mio commento precedente ho riprovate alcune Tue affermazioni circa le novità e l'equità dei giudizii e dei processi dell'Inquisizione, non perché essi siano stati peggiori, che fossero i giudizii ed i processi dei tribunali profani, ma perché mi pare temerario stimarli migliori o, addirittura, universalmente esemplari per equità verso il reo. Concludi: "Una cosa è certa per il diritto romano uno schiavo era una cosa. Del quale si poteva disporre come meglio si credeva. Il concetto che l'uomo fosse una cosa è stato gradualmente superato durante il medioevo e chi dobbiamo ringraziare per questo?". Pur concedendo che si debbano rendere grazie ad alcuno per la soppressione dell'istituto antichissimo ed universalmente diffuso della servitù per norma di legge; se quello che vuoi dimostrare è ciò, che le grazie si debbano rendere alla dottrina dei Cristiani universalmente considerati ovvero ad alcuna setta Cristiana singolarmente, mi pare Tu incorra in un errore evidentissimo a chiunque abbia una notizia pur minima degli eventi umani. Solamente per rimanere al rigore del diritto, la servitù fu soppressa in Europa nell'anno 1815, al meno in quei regni ed in quelle repubbliche che erano convenuti, vincitori e vinti, a congresso in Vienna, per disporre il nuovo ordine dopo le eversioni del Bonaparte: soppressione, per altro, che non valse per le colonie, che quegli stessi partecipanti possedevano negli altri continenti dell'orbe né valse in Russia per la servitù della gleba, che vigette per altri cinquant'anni. Negli Stati Uniti d'America, com'è noto, l'istituto fu soppresso dopo la metà del diciannovesimo secolo, compiuto un sanguinoso conflitto civile. Eppure, furono tutti popoli, ch'ebbero nome Cristiano per mille anni, nelle tre grandi sette dei Cattolici, degli Ortodossi e poi dei Riformati. Ora i casi sono due: o la dottrina Cristiana, pur variamente declinata, ebbe poca efficacia nel dirigere la legge civile e morale di quei popoli che pur veneravano Cristo; oppure quella dottrina neppure si pose la questione di servitù o libertà terrene, se non per altro, perché la sua meta era oltre la vita mortale e quindi s'adattava, non senza ragione, agl'istituti umani vigenti, pur che non nocessero al culto di Cristo ed all'autorità dei suoi sacerdoti. Mi pare che questo secondo caso descriva convenientemente i fatti accaduti nei venti secoli innanzi il nostro, ripetendoli da quando incominciò il culto di Cristo, ed in buona parte descriva anche quel che accade ora. Comunque sia, vorrei notare anche un errore di principio nel Tuo modo di esaminare la cosa, perché scrivi: “Una cosa è certa per il diritto romano uno schiavo era una cosa. Del quale si poteva disporre come meglio si credeva. Il concetto che l'uomo fosse una cosa è stato gradualmente superato durante il medioevo”. In primo luogo, nell’età così detta di mezzo, permase nel diritto l’istituto della servitù verso un singolo uomo, ancorché fosse molto più diffusa la servitù verso la gleba. In secondo luogo, i Romani, come gran parte dei popoli antichi, distinguevano senza difficoltà lo stato naturale dell’uomo, che non ammetteva servitù, da quello giuridico, che poteva ammetterla nei confini legali: e veramente i giurisperiti Romani definivano la servitù uno stato di legge contrario allo stato di natura e fu sempre lecito emancipare alcuno dalla servitù, elevandolo dallo stato di “res pecvliaris” cioè di cosa pecvliare di proprietà d’alcun uomo, a quello di uomo di suo diritto, se non di cittadino con pieni diritti civili; non altrimenti, secondo il dirittto delle città Greche, era lecito emancipare i servi, elevandoli allo stato di uomini stranieri, se non di cittadini. Questo dimostra che gli antichi, ben prima di Cristo, sapevano benissimo quale fosse la natura dell’istituto: o forse pensi che sia stato mai possibile emancipare un aratro ?. L’opinione che la servitù fosse uno stato naturale e che dunque alcuni uomini fossero naturalmente destinati a servizio, fu proposta da alcuni filosofi Greci, singolarmente da Aristotele, il quale, per altro, si contraddisse non poco, quando raccomandò che fossero emancipati, per premio, i servi migliori e più fedeli, cosa che egli stesso fece nel suo testamento: se alcuno è destinato a servire per sua natura, non è cosa contro natura premiarlo con la libertà ?. Per altro, proprio queste opinioni Aristoteliche, furono ripetute, non crederai ?, proprio da molti di quei Cristiani, i quali, secondo Te, sarebbero stati vice versa autori dell'invenzione eccellentissima ed inaudita che i servi siano servi per legge ed uomini per natura. Né possiamo stimare novità le opinioni Cristiane circa l’essere tutti gli uomini eguali davanti a dio dopo la morte, se già in Omero, nell’Odissea, leggiamo il lamento d’Achille, il quale, lodato da Odisseo come colui che eccelle tra i morti, come eccelse tra i vivi, risponde che preferirebbe essere vivo e servo d’un miserabile, che principe degli estinti: tanto poco stimò il poeta il primato tra le larve inferne. Anakreon. |