Ospite abituale
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Hitler era un eroe?
Forse mi ha invaso la follia che Platone attribuiva ai poeti. Ma è davvero possibile farla rivivere, quella Grecia, interpretando con gli occhi di Omero e di Eschilo ciò che è accaduto nell'Europa del Novecento? Si potrebbe, per esempio, pensare di chiedere: Hitler era un eroe?
Una domanda che farebbe indignare chi vuol essere, oggi, politicamente corretto. Eppure è una domanda che è difficile sciogliere con una superficiale emozione e che potrebbe, dall’oggi al domani, ripresentarsi nella sua terribile attualità, così come forse è alla base delle furie di masse che inneggiano, appena fuori dei nostri confini, ai loro profeti ed eroi.
Guarda in te stesso, direi, forse è lo stesso fascino che circonda gli eroi di ogni popolo: il fascino di chi si ritiene vittorioso per sempre. Sì, più che a un demone in senso cristiano, voglio paragonarlo a un demone classico, anche se questo sembra nobilitarlo immeritatamente. Ma non è la grandezza morale che definisce l’eroe dell’epos omerico, è la gloria divina e la sua innocenza: e Hitler fu considerato glorioso e innocente. Non è la pietà che definisce l’eroe, e Hitler non ebbe pietà. Ma come Eschilo e Sofocle sconvolsero la coscienza dei greci rivelando l’orrore che è dentro la gloria e la colpa che genera e mantiene stirpi di eroi, così noi ci poniamo oggi di fronte a quel demone che solo con la sua morte ha dato luce al teatro del mondo. Perché è solo la morte che solleva la sua vicenda, e, come un sacrificio imposto dal verdetto di un dio, dissolve l’inganno fatale, quando il successo non abbacina più e il mito sembra bruciarsi sopra la scena. E’ perché fu ritenuto un eroe perfetto che il suo caso diventa emblematico e la sua fine, più che una wagneriana celebrazione, un rigoroso giudizio.
Il teatro greco è lo scrigno di una rivelazione morale, se si interpreta il personaggio tragico come l’eroe negativo, l’attore condannato dalle proprie azioni, e l’adorazione del popolo come la follia di preferire uno splendido mito alla scoperta di un'immonda realtà. Lo stesso personaggio che, visto nella luminosità della gesta sembrava ad Omero il glorioso, il perfetto: rovesciato lo sguardo, accesasi la coscienza, diventa il colpevole che deve essere tolto e solo con la sua scomparsa illumina il mondo. L’azione eroica è vista dai tragici, al culmine di un’ascesa senza riparo, come la festa del sangue, il fiore dell’ira, la follia di un essere che solo accogliendo la propria rovina si accosta alla verità. La verità è la catarsi che, a questo elementare livello, non è che giustizia: un lampo nella mente sedotta dal gesto crudele. Un lampo nella mente del coro, che non partecipa all’azione eroica ma guarda e patisce.
Ma la Germania non era un teatro e non vediamo sorgere da quel sangue il fantasma di un coro. Colui che segue l’eroe si associa alla colpa e il dio di giustizia non discrimina e non perdona, l’intera Europa è portata al martirio: perché, non abbiamo esaltato noi stessi quel demone, non siamo stati capaci di prostituirci all’eroe? Basta una parola, un comando, e milioni di esseri osannano, sprofondano nel gorgo ferino, uccidono e vengono uccisi. No, il popolo dell’Europa non era il coro dei greci e Hitler aveva istruito piuttosto un coro di demoni. Perché, come si può in un popolo del Novecento discernere un coro? Forse fra gli esseri senza storia, gli infimi, i diseredati. Come asservite, accecate tribù primitive, orde di uomini hanno partecipato all’azione, sedotti dall’eroe, irrompendo con lui nelle tane dei predestinati alla fine. Milioni di vittime, e nessun dio che si facesse in qualche modo sentire, magari con un riso di scherno o un fiato di inutile misericordia. O è come se un dio avesse strappato un eroe dalla scena ateniese e l’avesse portato sul palco degli oratori e dei generali del Novecento; come se la vicenda teatrale fosse stata tradotta in una vicenda storica, una marcia di popoli duri, incapaci di sognare una via di salvezza là dove i greci erano riusciti a mantenere la loro prudenza e la sottile ironia, conservando alla tragedia la sua ideale funzione equilibratrice ed esorcizzando l’orrore nella catarsi.
Ma è questo che dà al nazismo il suo fascino misterioso. Nel suo impeto scenografico e sovvertitore esso è come l’ultima infatuazione, la gioia di chi crede di aver scavalcato la storia e ne è travolto rovinosamente. Soltanto il nazismo? Forse è il destino di tutte le rivoluzioni: una dimostrazione lampante, un ampliamento della visione ellenica, dal teatro di Atene agli spalti del mondo, là dove si rappresenta l’identica azione dimostrando, ancora una volta, che l’eroe è il contrario di sé, che la sola grazia è il suo annientamento, che la speranza è soltanto odio, che gli dei sono anch’essi attori, che la tragedia è il solo rimedio in un mondo incapace di evolversi. Sì, Hitler è stato un eroe, cioè l'eroe assassino.
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