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25-04-2008, 16.13.37 | #23 |
Ospite abituale
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Fini ed errori.
Caro Emme Ci,
osservi: "se Hitler non può essere considerato un eroe, perché si è comportato veramente da eroe assassino, senza ideali che potessero dare un valore alle sue azioni, si possono però immaginare eroi positivi, che non abbiano necessità di morire per essere ritenuti degni di onori.". Due annotazioni. La prima: è indubbio che un eroe può pur sopravvivere alle sue azioni eroiche; non di meno non mi pare si possa dire che, s'egli debba morire per compire l'azione eroica ed essere quindi degno d'onore, perciò non sia un eroe buono; La seconda: il fine primo e supremo dell'Hitler mi pare si possa affermare sia stato quello di restituire, al popolo dei Germani, la dignità che gli era dovuta secondo il diritto delle genti; un fine, per sé stesso, non ignobile e che, a ben considerare è quello invocato da ogni popolo, da ogni stirpe che si reputino, a torto od a ragione, oppressi da altri. L'errore di lui, quindi, più che nel fine per sé, fu nella via percorsa, nella volontà di conculcare tutto e tutti, il suo popolo stesso, se fosse stato necessario per conseguire quel fine. Considerando che spesso tratti dell'umanità Greca, potremmo osservare ch'egli fu esempio immondo ed immane della "hybris", della superbia violenta, arrogante e proteva, che, conculcando ogni legge umana e divina, precipita l'autore, accecato dalla sua stessa arroganza, nella rovina completa e nell'ignominia perpetua. La questione, piuttosto, potrebb'essere: s'egli avesse vinto, vinto non per qualche anno o per pochi decenni, in qualche regione dell'orbe universo, ma vinto per i secoli, in tutto il mondo civile, come affermò vincerebbe; quale giudizio si sarebbe potuto dare della sua azione ?. Forse allora avremmo dovuto pur concedere che quella, che pure a chi gli era ostile appariva "hybris", tale non fosse, ma anzi fosse virtù eroica e ch'egli veramente fosse l'eroe non solo per i suoi, ma anche per tutti gli altri, i quali debitamente avrebbero ricevuto secondo i meriti ovvero i demeriti proprii. E ciò dico non perché io reputi che l'iniquità non possa perdurare per molto tempo, in molti luoghi, ma perché dubito che, se perdurasse per secoli e fosse perpetuamente e pazientemente sofferta da tutti i popoli del genere umano; essa non sarebbe propriamente iniquità, ma un'equità nuova e diversa, che fosse stata quella prima nota. Anakreon. |
25-04-2008, 18.06.28 | #24 |
Ospite abituale
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Riferimento: Hitler era un eroe?
Certo, Anakreon, anche l’eroe greco, pur non ponendo limiti morali alle sue imprese (la gesta che egli compie si giustifica da sé, è gloriosa e innocente) può sconfinare nella hubris: e questo dimostra che il primario concetto greco di eroe era criticabile, come hanno dimostrato in maniera esemplare i poeti tragici. Ed è di qui, da questo momento di turbamento, che il concetto di eroe incomincia a subire un’erosione, a svelare le sue ambiguità, fino a far presentire se non suscitare altre domande (gli imperatori, i condottieri di popoli, i profeti, i fondatori di religioni sono da considerarsi eroi? i vincitori sono sempre eroi? il concetto di eroe non sembra escludere fatalmente il giudizio morale?)…. Un’idea in divenire, con periodi di assopimento, riaccensioni nel romanticismo e sinistri impieghi nel XX secolo e anche nel nostro. Forse il concetto di eroe è uno di quelli che si prestano a giustificare il relativismo di Montaigne, rimandando il giudizio a tener conto delle tradizioni, del costume differente dei popoli – dell’impossibilità di identificare nell’eroismo un valore dogmatico, buono per tutti i popoli e tutte le stagioni. D’altra parte il problema è stimolante, purché si ammetta che il compito della filosofia è di cercare la verità, si tratti di eroi o di modesti gregari.
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25-04-2008, 18.37.01 | #25 |
Ospite abituale
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Eroi e giudizii.
Caro Emme Ci,
osservi: "Forse il concetto di eroe è uno di quelli che si prestano a giustificare il relativismo di Montaigne, rimandando il giudizio a tener conto delle tradizioni, del costume differente dei popoli – dell’impossibilità di identificare nell’eroismo un valore dogmatico, buono per tutti i popoli e tutte le stagioni.". Penso non si possa evitare un giudizio così formulato, ancorché, in certi casi, non dubito che l'eroe possa essere pur giudicato universalmente tale, quale che sia il popolo o l'uomo che lo stimi. Anakreon. |
26-04-2008, 09.16.57 | #26 |
Ospite abituale
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Riferimento: Hitler era un eroe?
Proprio ora mi capita di leggere un elzeviro dello storico Giuseppe Galasso, dedicato a Hitler, che può servire a chiarire, anche se forse a rendere più complessi i termini del problema (eroe o anti-eroe?).
Galasso ricorda che fin dal 1945, cioè al termine della guerra che ha insanguinato l’Europa e il mondo, fu chiesto che si procedesse a esaminare il cervello di Hitler (e di Mussolini), e già si annunciavano le due tendenze degli sudi storici: “da un lato quelli per i quali la personalità di Hitler era il frutto di una patologia genetica, una follia criminosa esaltata dai successi conseguiti e convertita alla fine in furia auto-distruttiva; dall’altro, quelli per i quali agiva in lui il fondo demoniaco del potere, l’attrazione fatale di un miraggio di onnipotenza, l’antico peccato della ubris…Il problema – scrive Galasso – è stato riproposto da Norman Mailer nel suo ultimo romanzo (pubblicato nel 2007) “The castle in the forest”, in cui dimostra che dietro Hitler c’era il diavolo - "Hitler come controfigura di satana, in un’inaudita eruzione del male nella storia”. Aveva però già detto Heidegger (che pure era stato accusato di almeno una temporanea connivenza col nazismo) che se a Hitler si dava un tale ruolo satanico gli si risparmiava la vera qualifica di criminale, "agente del male in proprio e per proprio conto". E Heidegger respingeva pure la tesi di Hannah Arendt, che poneva Hitler nel registro della “banalità del male”, ossia del niente che ci vuole per pensare il male e farlo, replicando che se il male è un’evenienza così banale esso è anche fuori della vita morale, che richiede una scelta fra alternative opposte. Alla fine J.M.Coetzee – nobel per la letteratura 2003 - è intervenuto per bocciare il romanzo di Mailer, sostenendo che è troppo semplicistico sostenere che in Hitler agiva il demonio e che non è possibile andare oltre l’apparente paradosso di un’alternativa infernale/banale in tutta la sua angosciosa inperscrutabilità. La storia, conclude Galasso, rende incongruo assumere le nozioni di male e crimine come chiavi per capire Hitler …che è stato e ha agito come sempre fanno gli uomini, ponendosi al crocevia tumultuoso di molteplici fattori e innumerevoli condizionamenti, forze e volontà che agiscono sul corso degli eventi e portano alle scelte private e pubbliche degli individui. "Prima di giungere alla sanguinaria avventura della guerra Hitler attuò un governo tirannico, che però in pochi anni diede alla Germania la sensazione di un risanamento e una trasformazione, di cui solo la guerra avrebbe dimostrato le fragili basi, non riducibili tutte a Hitler e alla tirannide nazista e di cui non si può giudicare isolando la Germania dal contesto del tempo". E per dipanare questa matassa non vale il ricorso ai demoni o a satana, così come neppure a un disegno divino o a una filosofia della storia: abbiamo solo il modesto lume della ragione per penetrare in questi anfratti e in un senso che emerge via via, tanto da impegnare gli storici a descrizioni e giudizi che dovrebbero prescindere da quelli che sono i valori nei quali essi credono - e non sempre riescono a farlo. |
26-04-2008, 13.21.14 | #27 |
Ospite abituale
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Demoni e numeri.
Dunque, secondo alcuni, l'Hitler fu mosso dal demone del male.
Non stupisco per l'opinione: egli fu vinto. E' lecito supporre che, se fosse stato vincitore, quegli stessi lo riconoscerebbero mosso dal demone del bene. D'altronde, se concediamo che l'Hitler sia stato mosso da un demone, o del male o del bene, che cosa impedisce che di chiunque altro uomo si dica ch'egli non sia mosso da suo proprio e deliberato consiglio, ma da un demone potentissimo, il quale lo diriga a suo arbitrio ?. Mi pare sia razionale l'osservazione del Galasso, sopra citato da Emme Ci: "La storia, conclude Galasso, rende incongruo assumere le nozioni di male e crimine come chiavi per capire Hitler …che è stato e ha agito come sempre fanno gli uomini, ponendosi al crocevia tumultuoso di molteplici fattori e innumerevoli condizionamenti, forze e volontà che agiscono sul corso degli eventi e portano alle scelte private e pubbliche degli individui.". Se ben consideriamo i casi umani passati e presenti, nulla fece l'Hitler, che non avessero fatto innumeri altri uomini nei secoli della vita del genere umano, non solo quelli con potestà supreme, ma anche molti senza potestà alcuna. La novità, per certo inaudita, non sta nella natura delle azioni perpetrate, ma nella misura, nel numero d'uomini trucidati, nel numero di popoli conculcati, onde il secolo or ora trascorso rifulge di luce immensamente cruenta. D'altronde, è pur vero che il numero d'uomini che popolavano l'Europa di quel tempo fu molto maggiore, che quello dei secoli precedenti: se l'Hitler fosse vissuto al tempo del Conflitto dei Trent'anni, che pur devastò e spopolò molte regioni della Germania, i numeri sarebbero stati molto minori e forse la fama delle sue imprese sarebbe stata di gran lunga meno sinistra. Il medesimo possiamo dire dello Stalin, che, per numero di trucidati, non fu secondo ad alcuno, neppure all'Hitler, ma che non s'allontanò molto, anzi ripeté quasi pedissequo le consuetudini di governo ferocemente assoluto e crudelmente imperscrutabile degli antichi Cesari di Russia. Con ciò non voglio dire che uccidere un uomo sia il medesimo che ucciderne cento mila, anche se, con arguzia tremenda, ma veridica, lo stesso Stalin annotò il primo atto essere omicidio, il secondo rinnovamento della società civile; ma per certo non penso non si debbano, al meno in parte, pesare anche i numeri con i quali un duce od un governo abbiano a fare. In somma, benché sia pur vero che, se una città ha mille abitanti, fare strage di tutti è fare strage di mille uomini; se, di contro, ne ha centinaia di migliaia, ucciderne pure un decimo è tuttavia strage ampliamente maggiore; non di meno, forse questa seconda strage potrebb'essere indizio d'una malizia, in chi la perpetri, più lieve, che riveli la prima, per numero pur minore. Anakreon. |
26-04-2008, 15.58.24 | #28 | |
Utente bannato
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Riferimento: Demoni e numeri.
Citazione:
Mi permetto di reincollare questo testo che avevo scritto poc'anzi Non è l'efferatezza delle sue azioni ma è la mancanza di universalità dei suoi valori a renderle inaccettabili e a farne un modello del Male assoluto. L'ebreo e l'appartente ad altre "razze" o il malato di mente, il disabile non può riconoscersi per condizione di natura in quella visione del mondo poichè è posto da essa nell'ordine dei soggetti da eliminare o da rendere schiavi o subalterni. E' la mancanza di universalità dei suoi ideali. Da una qualsiasi visione salvifica ci si aspetta sempre che in forza dell'adesione a quel messaggio si ottenga la salvezza. Nella visione hitleriana la salvezza veniva esclusivamente da una condizione di natura. E' la mancanza di universalità a farne una visione demoniaca. |
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27-04-2008, 17.34.42 | #29 |
Ospite abituale
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Esagerazioni e spiegazioni.
Caro e Vero Emanuele,
premetto che definire alcun uomo male assoluto o mosso dal demone stesso del male mi pare assegnargli una perfezione, sia pur nel male, che ripugna alla naturale ed evidente imperfezione della natura umana: suppongo che coloro, i quali confidano che gli dei siano e si diano pena dei mortali, possano facilmente concedere che un tale uomo possa nascere, per virtù d’un nume, fosse pure il nume del male. Per altro, ammettendo il caso, ci potremmo pur domandare da che o da chi sia mai stato distratto il nume del bene, mentre quello del male operava tanto efficacemente sulla natura umana. Comunque sia, lasciando i demoni ai demoni ed i numi ai numi, consideriamo la Tua definizione: “Non è l'efferatezza delle sue azioni ma è la mancanza di universalità dei suoi valori a renderle inaccettabili e a farne un modello del Male assoluto. “. Da codesta definizione, mi pare possiamo argomentare che, secondo Te, se alcuno perpetri azioni pur efferatissime, ma le compia per un fine che sia riconosciuto universalmente degno di lode; quegli non meriterà sopportare quell’infamia perpetua e suprema che Tu riservi a chi sia il male assoluto, perché il consenso universale, circa il fine nobilissimo, espierà la via turpissima percorsa. Sia pure. Ma io mi domando quando mai i fini d’atti efferati, addotti da un re, da un duce, da un governo, da una fazione, da una setta, da un popolo infine, siano stati riconosciuti universalmente degni di lode ?. Se non da altri, al meno da coloro, i quali ne patirono la ferocia, dubito si possa negare che i fini delle gesta efferate siano stati lodati o stimati degni che fossero causa delle azioni perpetrate. M’opporrai: ma è sufficiente convertire i titoli e permutare i nomi, che la costringono nei lacci dell’utilità di quel re, di quel duce, di quel governo, di quella fazione, di quella setta, di quel popolo, affinché il fine, liberato dal singolare o dal particolare, possa distendere l’ali nel cielo della dignità universale. Consento. Ma perché il medesimo argomento non potrebbe valere per l’Hitler ?: perché non possiamo abradere dai fini, per cui egli affermò compire le sue turpi gesta, l’immondizia dell’utilità particolare di quel duce e del suo popolo, e considerarli nella loro dignità universale ?. Alcuno domanderà: quale sarebbe questa dignità universale ?: la difesa del suo popolo dall’oppressione, dall’iniquità, dall’ingiuria, dall’insulto altrui; la restituzione del suo popolo al consorzio dei popoli civili e la rivendicazione di beni e terre secondo i meriti naturali ed i diritti ereditarii. Quando mai re o preside o governo o duce non rivendicò una dignità equa per sé e per i suoi ?. Se mi concedi che possiamo considerare universali, tolti gli accidenti, i fini che mossero l’Hitler; non puoi affermare ch’egli perciò sia stato il male assoluto, perché perpetrò azioni efferatissime senza fini universalmente degni di lode: e veramente molti altri duci perpetrarono azioni efferatissime per fini simili od eguali. Se, vice versa, neghi che possiamo considerare universali i fini, che mossero l’Hitler ai suoi eccidii efferatissimi, mi devi spiegare perché i fini, che pur lo mossero, siano stati più singolari e più particolari di quelli, che abbiano mossi, ad azioni parimenti efferate, altri duci ed altri governi. Facciamo un esempio: sono noti gli eccidii che i Cristiani compirono nei secoli, dopo la vittoria sugli antichi numi, contro coloro che negavano il nuovo divo ovvero lo veneravano in culti diversi ovvero veneravano altri numi. Per ciò vorresti appellare la setta Cristiana male assoluto ovvero affermare ch’essa sia stata mossa dal demone stesso del male ?. Suppongo sarebbe un’opinione temeraria, posto che per null’altro fine compirono quelle gesta i Cristiani, che quello, per cui abbiano compiute altrettante ed altrettali gesta immonde i cultori d’altri numi, cioè conservare intatta la religione ed il culto del suo dio, secondo il verbo divinato dai vati ed interpretato dai sacerdoti . Eppure, se consideri le gesta immonde perpetrate dai Cristiani, secondo l’argomento che proponi per dimostrare che l’Hitler fu il male assoluto, dovresti concedere che anche i Cristiani siano stati il male assoluto o siano stati mossi dal demone del male, perché predicando non addussero, a scusa di quelle gesta immonde, fini degni di lode universale. O forse vuoi affermare che coloro, i quali sopportarono le loro stragi, i loro roghi, le loro persecuzioni, abbiano approvato e lodato il proprio supplizio, consentendo coi persecutori e carnefici, quasi che il fine dell’azione punitrice, ad espiazione dell’empietà contro la religione ovvero il culto di Cristo, fosse un fine degno di lode universale ?. In somma, se vogliamo concedere una dignità universale alle gesta di re, duci, governi, quando siano rivolte a ristabilire, secondo i meriti di ciascun uomo o stirpe o fazione o setta o popolo, l’equità violata o conservarla contro i detrattori; mi pare difficile non concederla anche all’Hitler, perché egli si propose quello, che si proposero e si propongono tutti i duci, tutti i governi. Se, di contro, vuoi affermare che l’Hitler sia stato il male assoluto, perché fu mosso da fini non degni di lode universale, mi domando quale mai re o duce o governo o setta o fazione o popolo sia mai stato mosso da altro che dall’opinione della dignità suprema ed inviolabile del particolare suo e dei suoi. Altra cosa, s’intenda bene, è riconoscere che l’Hitler sia stato accecato dalle sue passioni, vedendo nemici acerrimi, dove non erano, esigendo compensi iniqui dai popoli vicini, conculcando ogni diritto altrui, perpetrando ogni turpitudine per conseguire i suoi fini, giungendo in fine ad eccessi assurdi, piuttosto degni d’un demente, che d’un governante audace, ma esperto di sé stesso e degli altri. Ma per spiegare queste esagerazioni, cui per altro soggiacquero altri duci, è sufficiente considerare la nostra natura mortale, quale ben conosciamo dagli annali delle gesta umane. Anakreon. |
29-04-2008, 16.53.07 | #30 |
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Riferimento: Hitler era un eroe?
Credo che, di fronte a problemi come quelli qui sollevati (c’è o non c’è un male assoluto? Hitler ha rappresentato il male assoluto?) non si possa che andare alla radice, cioè riprendere quel principio che è a monte di tutto e che abbiamo altre volte discusso, chiederci se è possibile parlare dell’assoluto. Se, come penso, si può credere nell’assoluto ma non definirlo o arrivare a sapere cos’è, è impossibile applicare questo aggettivo a una persona (e tanto meno a un popolo o all’umanità). L’uomo si trova sempre in una singola situazione, in mezzo a influenze molteplici e a possibilità che lo chiamano talvolta a decidere senza ritardo e senza riparo. E quando questo capita a un sovrano e soprattutto a un sovrano dispotico, ne possono derivare catastrofi immani. E’ la storicità dell’azione che ne rappresenta l’elemento catalizzante e che in un istante può salvare o condannare a una perpetua infamia. Anche se per rendere immortale il giudizio ci dev’essere qualcuno che giudica e non abbia incertezze: ciò che d’altra parte è avvenuto - che si trattasse dei giudici di Norimberga, di un religioso dell’inquisizione o di un poeta come Dante Alighieri, talmente convinto di avere ragione da non lasciare, nell’attimo della scrittura, che la pietà sfiorasse il suo cuore.
Certo, oggi sembra farsi strada nella coscienza dell’occidente un’opposizione a ritenere un’azione degna di morte, ma non sarei sicuro che questo sentimento possa durare in ogni caso e per sempre. Si tratti di un laico o di un religioso, è troppo forte il bisogno di credere in un bene o in un male assoluto, per scrivere sul registro la parola pietà. Del resto neppure la pietà può essere definita – come mi è capitato di dire - un ideale assoluto, considerando che se io mi trovassi in condizioni di giudicare un essere come Hitler, che cosa farei? E se mi fosse dato di salvare una sola persona fra quelle che mi stanno intorno, chi sceglierei? No, neppure la pietà può essere considerata una norma infrangibile, anch’essa è dominata e forse trascinata via dalla storia. |