Da insonnolito quale sono, accolgo le tue domande, ma non so darvi chiara risposta, almeno se prima non racimolo qualche altro pezzetto di me... posso intanto solo dire che nella piccola, ma importante per me, parolina già citata “umiltà” contro “arroganza”, sta forse parte dello sfuggevole nocciolo che racchiude la vitalità sfumata del vaneggiare dei miei occhi.
Avevo letto tanto tempo fa la tua “polluzione notturna” e volentieri tornerò a rifletterci su; intanto come piccolo contorno al mio precedente scritto, un’altrettanto notturna “creazione”...
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Non so francamente chi o che cosa siamo e se siamo o no qualcosa, quando me lo domando ogni cosa si confonde e rimango con un pugno di domande e di esperienze che facilmente mi scivolano via dalle mani, pronte ad incollare i frammenti della mia identità, è ciò che sto facendo anche ora per poter comunicare con voi; la razionalità stessa mi impone una certa confusione, poiché si rende conto d’essere misera cosa ed i fondamenti sui quali si basa sono nient’altro che “sordi e privi di significato, come il vento tra foglie rinsecchite o zampe di topo sotto frammenti di vetro” (libera citazione di Eliot). Anche queste immagini sa bene che sono immerse in un certo spaziotempo emotivo, imprescindibile per comprendere cause ed azioni, che banalmente pensiamo come libere o addirittura razionali. Esperienze, nient’altro. Lo spazio si dilata, le dimensioni comprendono il tempo e chissà quali altri fluidi arbitrari metri di giudizio, come in una melodia con infinite chiavi e pentagrammi dove le note si affastellano alla rinfusa ed il virtuosismo caleidoscopico monta sempre più, senza apparente capo né coda, partorito forse dalla cattiva digestione di un musicista psichedelico, che vuol farci bere d’essere chissà... un Wagner, ma è ben di più, è se stesso.
Provate ad immaginare una circonferenza perfetta.
Visualizzatela.
E’ bellissima.
E’ silenzio.
Ora disegnatela su un foglio...
... cosa accade, cosa provate, sentite?
L’uomo vorrebbe questo: tracciare con infinita perfezione quella circonferenza sul suo foglio, fatto di mente e di parole; la grossolana approssimazione il sintomo del proprio disagio esistenziale, della propria carenza, come fosse stato privato almeno di un compasso e di una misera gomma per cancellare gli inevitabili errori. In un gioco di specchi vorrebbe che ognuno di essi rimandasse nient’altro che la propria immagine, né un fotone in meno, in modo che la propria presenza amplificasse il frastuono ed il luna park esplodesse in migliaia di frammenti luccicanti, raccolti poi nella polvere di una nuova alba.