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08-01-2008, 19.08.59 | #12 | |
stella danzante
Data registrazione: 05-08-2004
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Riferimento: Oggettivo
Allora tentiamo un compromesso, esistono fatti e relative interpretazioni, queste riguardano la sfera soggettiva i primi invece quella oggettiva. La morte siamo tutti d’accordo che sia un fatto, esiste, nessuno la mette in dubbio, le sue interpretazioni invece possono differire c’è chi la considera semplice passaggio ad un altro stato di esistenza chi la fine di tutto, chi il senso da dare alla vita stessa, la sua finitine, e chi ne ha altre ne metta pure.
Tutti facciamo riferimento a degli assoluti, chi come Maxim ritiene che sia il forse a dover dettare l’incontro, chi come Visechi la differenza, io credo che l’incontro si fa su quello che si ha in comune, mentre è il confronto che si fa sul forse, e sulla differenza, in definitiva anche passando per il confronto si può benissimo restare ognuno con la propria personalissima idea, rispettando quella dell’altro, pur non condividendola. Detto ciò però quello che da luogo all’idea è un fatto, la vita ad esempio, per qualcuno è sacra, perché viene da dio, è un suo dono, per altri è solo a nostro libero arbitrio, nessuna sacralità e se lo decidessimo potremmo deciderci per porvi termine senza dover dare conto a nessun dio. Il fatto, l’oggettivo qui è la vita, l’interpretazione è cosa ognuno ne deve fare, anche per la natura, il dato oggettivo che esiste è la natura, poi il volerla accordare alle proprie interpretazioni è altro affare. X Visechi (bentornato) Citazione:
Io sarei più relativista perché proprio non me la sento di tracciare di netto di falsità la spiritualità, però in mancanza di un riscontro oggettivo nemmeno mi sento di poter dire che siano delle verità. |
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08-01-2008, 20.59.54 | #13 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Oggettivo
Citazione:
Sono profondamente convinto di una constatazione basilare: gli uomini riescono a comunicare tra loro e ad accordarsi circa il valore di verità di certi asserti, della maggior parte oserei dire. Ora si può discutere se debba esistere una necessità logica dell'oggettività, però discutere sul fatto che non esista alcuna oggettività almeno approssimativa mi sembra inutile. Chi sostiene una tesi del genere non può essere altro che in malafede, poiché si scontra con l'evidenza della storia dell'umanità. |
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08-01-2008, 22.24.15 | #14 | ||
Moderatore
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Messaggi: 689
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Riferimento: Oggettivo
Citazione:
Secondo me il consueto discorso che se si dice che non c’è verità assoluta, implicitamente si ha già una verità assoluta, non regge. Si può constatare che tutti i tentativi di ottenere delle certezze del tutto oggettive non hanno avuto successo, e prevedere che molto difficilmente un tentativo di questo genere potrà mai riuscire. Quindi non si “sa” di “non sapere” (il che implica che si possa sapere qualcosa con certezza), ma si definisce la parola “sapere” togliendole i connotati di oggettività assoluta. Citazione:
Assolutamente d'accordo. In un mare di soggettività, le definizioni del dizionario sono una delle cose "più oggettive" che ci siano. Molto spesso ricondursi alle definizioni del dizionario eviterebbe dispute che nascono solo dalle diverse interpretazioni delle parole |
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08-01-2008, 23.24.38 | #15 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Oggettivo
Citazione:
Citazione:
Un esempio di allupazione collettiva è quello dei politici che ormai vivono di idee e di progetto e sono, completamente scollegati dalla realtà del paese. Parlano di legge elettorale, di pacs, di eutanasia e non vedono un dato estremamente oggettivo e semplice da rilevare, e cioè le montagne di rifiuti che stanno soffocando una regione italiana. Il progetto, il sogno, l’occhio della fede si è sostituito e si stà sostituendo sempre più alla ragione facendo distorcere la realtà contingente, nella speranza, forse, che il sogno un bel giorno diventi realtà. Io ho paura invece che ci dovremo svegliare all’improvviso frangendoci contro la dura realtà dei fatti…… |
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09-01-2008, 10.14.04 | #16 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Oggettivo
Citazione:
E’ fuori dubbio che esistano fatti, cioè eventi, ed interpretazioni di quegli eventi. Diversamente quegli eventi s’imporrebbero nudi e crudi al nostro essere, traducendosi in soprusi, poiché violerebbero la nostra libertà – o supposta tale -, oppure non sarebbero percepiti dai sensi e si sottrarrebbero al processo d’elaborazione, da cui deriva l’imprescindibile imperativo dell’interpretazione. La Vita senza interpretazione è come un quadro perfetto la cui visione è preclusa a tutti. La perfezione – come la verità del resto – se non è un elemento di relazione, è insignificante, non fruibile e fine a se stessa: che senso avrebbe sapere dell’esistenza di un quadro perfetto se la sua visione non fosse disponibile alla nostra ammirazione? Così è anche per l’oggettività. Non nego che un evento abbia in sé un nucleo inalienabile di fattualità oggettiva. Negare questo significa anche negare l’accadere degli eventi. Ma questo nucleo è intangibile, non violabile, poiché esso subisce le incrostazioni e sovrapposizioni dovute alla nostra imprescindibile e naturale tendenza a sottoporlo ad un processo che lo decifri e lo trasformi in elemento leggibile e fruibile per la coscienza. Il relativismo radicale, quello che tende a negare l’oggettività di qualsiasi cosa, è un assurdo logico, infatti, nella negazione non può che includere se stesso. Il relativismo serio, quello che dà maggior fastidio a Ratzinger, è ben altra cosa e non si sogna di negare l’evento, disputando alla filosofia teologica dell’assoluto, invece, essenzialmente il particolare che l’evento si trascina appresso. Che la morte sia un dato di fatto innegabile, è un’apodittica considerazione generale; viceversa, il significato o il senso di quest’evento attiene al particolare, ed è questo l’ambito di speculazione del relativismo. Registrare la realtà della vita è un'altra considerazione di carattere generale – se non altro il dolore ci avverte in ordine alla sua cogente esistenza -, che però nulla toglie ed aggiunge all’immane problema che è insito in quest’evento. La disputa fra relativismo e metafisica si sviluppa intorno al suo senso e significato. E’ in quest’ambito che il relativismo offre una maggior gamma d’interpretazioni rispetto al dogmatismo teologico, fino a soggiogare il dato oggettivo generale dell’esistenza della vita. Il “forse” di Maxim è la cifra e la misura della “differenza”, poiché proprio in quel che non coincide fra l’una e l’altra interpretazione dell’evento, s’insinua il “forse” dettato dalla differenza. Discutere sulla Natura ha poco senso se non si definisce il campo o l’ambito della discussione e se non si qualificano gli elementi che della natura sono i fattori costituenti, Evidente, dunque, che il confronto o l’incontro deve passare dal dato generale – oggettivo – della natura, ai suoi costituenti particolari – soggettivi e sottoposti ad interpretazione, oppure asserviti all’interpretazione, quindi soggettivi -. Diversamente si tratterebbe di una generica e tautologica rilevazione dell’evento natura, priva di senso e contenuto: il sole è il sole, la luna è la luna, anche se pure su queste definizioni interferiscono notevolmente le convenzioni linguistiche cui siamo adusi. Non affermo che la spiritualità - intesa come genere o corpus filosofico/teologico – sia in sé un artifizio di plastica, sostengo, invece, che certe astruse interpretazioni del sentimento, dell’innegabile percezione del trascendente, dell’oltre, dell’ulteriorità, siano nella maggioranza dei casi panacee artificiali, quali potrebbero essere i paradisi contenuti in sostanze allucinogene… ma spesso fa tanto gossip presentarsi al prossimo ammantati di un’aura di saggio candore; talvolta, invece, tutto serve ed è asservito all’urgenza di rifiutare quel ribollio sanguigno generato dalla vita… tutto ciò consola, anestetizza dal dolore, lenisce l’ansia, ma trasforma un cuore che pulsa e patisce in pompa idraulica… in tutto questo rilevo una grande infinita tristezza. Ciao |
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09-01-2008, 10.37.06 | #17 |
Ospite abituale
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Riferimento: Oggettivo
Citazione, Originalmente inviato da La_viandante
poi se ci si vuole rendere comprensibili agli altri bisogna esprimersi su un terreno condiviso se non all’unanimità almeno dalle definizioni consultabili da chiunque sul dizionario. agg. 1 Che concerne l'oggetto, la realtà: dati oggettivi | Realtà oggettiva, esistenza concreta dei fatti; CONTR. Soggettivo. 2 (gramm.) Dell'oggetto | Proposizione oggettiva, che fa da complemento oggetto. 3 Obiettivo: fece un'oggettiva descrizione dei fatti; SIN. Spassionato. Carissima La Viandante, condivido pienamente le tue osservazioni, che per poter Dia-logare con l'intento di raggiungere un fine condiviso,si dovrebbe avere delle basi in comune,altrimenti secondo me,difficilmente si può raggiungere una conclusione concreta.Mettiamo il caso che volessimo intraprendere una ricerca relativa alla Verità, In comune abbiamo il fattore oggettivo che innanzi tutto è l'IO,perchè se non esistessimo,per noi non esisterebbe nessun problema,quindi il fattore soggettivo che sarebbero le nostre riflessioni ed interpretazioni utili per raggiungere il fine.Colui che riesce a dimostrare il tragitto migliore tra questi due punti,sarà senz'altro da accettare perchè è il migliore.In tal caso saremmo stato artefici di un ragionamento costruttivo. Ora,riferendomi al problema della Verità. Secondo me,in seguito a riflessioni e e ricerche svolte con altre persone, ne ho dedotto che esiste una sola Verità,e (restando all'esterno del trascendentale) non esiste una Verità assoluta, la verità assoluta è il nulla,probabilmente sta in Dio.Noi dobbiamo tentare di avvicinarsi a questa,per poterci sempre migliorare,ma nel contempo sperare di mai ragguingerla,perchè come ho già detto sarebbe la fine di tutto. Vorrei continuare,ma ora il dovere mi chiama,non ho più tempo.Però ti invito a leggere nel mio blog,dove mi esprimo un poco meglio, però ti prego non leggerlo in fretta,riflettici un pochino,chissà che non ci trovi qulche cosina di concreto? Ciao espert37 |
09-01-2008, 12.21.36 | #18 | |
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Riferimento: Oggettivo
Citazione:
Accidenti!...sento che hai trattato una cosa importante della quale però mi è sfuggito il significato. Cortesemente potresti argomentarlo in maniera più esaustiva? Per il resto, ovviamente, non posso che concordare con la precisione, relativa , del Visechi. L’argomentare ed il dialogare relativista però funziona a meraviglia quando siamo nell’ambito della non-decisione. VanLag ad esempio, ha citato esempi pratici che abbisognano di soluzioni pratiche che non possono non prescindere da una realtà dei fatti, quindi dall’oggettività della cosa in sé, le cui relative soluzioni al problema mal si prestano ad argomentazioni filosofiche complesse relativiste. Un dialogo tra due relativisti radicali porterebbe a soluzioni relative quindi non adatte all’azione risolutiva di un determinato problema. Per dire il vero tutta la filosofia poggia sul “forse” e tenderebbe, di per sé, a relativizzare il più possibile. Io ritengo di attenermi ad un relativismo epistemico ed anche in questo caso è necessario saper dosare quel “forse” a seconda dell’argomento trattato. Mentre possiamo permetterci di aggiungere un pizzico di relativismo radicale nel trattare argomenti metafisici, dobbiamo ammettere l’oggettività di un eventuale problema pratico che ci si presenta innanzi affinché la soluzione allo stesso sia il più realista possibile e quindi risolutiva. Come vedete quindi non possiamo ammettere in generale l’appartenenza ferrea ad una scuola di pensiero in quanto l’ossatura di una dialogo dipende dall’argomento trattato…cioè da una oggettività, da una presa di coscienza sul fenomeno che ci appare le cui relative e soggettive interpretazioni dovrebbero esulare dall’effetto che tal fenomeno è in grado di scatenare contro di noi. Di certo, per quanto dogmatico o relativo possa essere un uomo, egli dovrebbe prescindere sempre dalle ripercussioni negative di una sua personale interpretazione del fenomeno che gli appare. Mi sovvengono i testimoni di geova che rinunciano alla loro possibilità di salvezza decidendo di non sottoporsi ad una eventuale trasfusione. Tale scelta è frutto di una interpretazione metafisica soggettiva che esula dal fenomeno che ci investe tutti direttamente ovverosia quella di morire se non si effettua la trasfusione del sangue. Per questo specifico esempio l’oggettività del problema, e nessuno la può negare, è che si muore nel caso non si compia una determinata azione. La scelta sul compierla o meno deriva sempre dall’interpretazione. Liberi comunque anche di morire. |
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09-01-2008, 15.15.57 | #19 |
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Riferimento: Oggettivo
L’esistenza di una realtà oggettiva, che mi pare qua tutti diano per scontata, non è affatto provata. Ricordiamo l’ipotesi del genio ingannatore di Cartesio, che “con illusioni ed inganni” mi fa credere ad un realtà che non esiste. Cartesio confutò l’ipotesi dicendo che la bontà divina non potrebbe ingannarci a proposito delle nostre percezioni, ma non mi sembra convincente.
La versione moderna è l’ipotesi del “brian in a vat”, anche qua mi sembra che i tentativi di confutazione non siano convincenti. Secondo me quindi ognuno di noi non può fare altro che partire dalle proprie soggettive percezioni. L’”oggettività” è una costruzione che faticosamentente facciamo, con inegabili successi (riusciamo a parlarci e capirci). Ricondursi all’oggettività è sempre utile, ma è frutto di un processo che parte dalla soggettività. |
09-01-2008, 15.39.46 | #20 | |
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Riferimento: Oggettivo
Una pietra, che affiora dai deserti della mesopotamia, è una pietra. Ci accingiamo a esaminarla e vediamo che reca dei segni incisi. Hanno una strana regolarità, a volte si ripetono uguali. E' un'iscrizione. Se è un'iscrizione vuol dire che questa pietra non è "solo" una pietra, ma un oggetto lavorato dall'uomo.
Ecco che abbiamo di fronte a noi una "testimonianza", non più solamente una pietra, dunque entra in ballo la Storia e lo storico ha a che fare con dati oggettivi, una pietra incisa è reale, la vedi, la tocchi, ci inciampi sopra e ti fai male. Ma il suo compito è interrogare questo oggetto, trasformandolo in qualcos'altro, in un testimone di un evento che è avvenuto. Durante il suo faticoso lavoro, lo storico cerca di stabilire una relazione tra i fatti, e la pietra diventa un cippo di confine, o più precisamente, un "kudurru" che segna il confine di un territorio dominato da un sovrano ecc. Lo storico lavora su tracce lasciate da un avvenimento, e su quella base lo interpreta e cerca di ricostruirlo. Certo darà sempre un'interpretazione soggettiva di quegli avvenimenti, dal momento che egli porrà determinate domande a quella pietra incisa. Ma nonostante ciò sarà in grado di svelarne alcuni aspetti, mentre ne tralascerà altri, che magari emergeranno più tardi dalle domande che qualcun'altro rivolgerà a quella pietra. Anche lo storico si cimenta in arditi giochi di equilibrismo tra ciò che è oggettivo e ciò che è soggettivo, ma spesso riesce a dire qualcosa di vero riguardo a quella pietra, arrivando a descrivere un avvenimento realmente accaduto. Ma come può lo storico arrivare a determinare oggettivamente che un fatto è accaduto e a descriverlo? Tutto muta di continuo, lo storico vive nel XXI secolo, gli eventi di cui si occupa appartengono al II millennio a.c., e nel frattempo l'essere umano è mutato, il mondo stesso è mutato e dove prima c'èra terra fertile oggi c'è un deserto. Panta rei, diceva Eraclito. Ma ha ragione Espert, una cosa immutabile sulla base della quale lo storico può azzardarsi nell'impresa di conoscere la verità di un avvenimento è proprio la sua umanità. Con un pò di impegno non è difficile per noi capire le ragioni che hanno spinto gli uomini a fare certe cose, fossero pure vissuti quattromila anni prima di noi, e possiamo descriverle abbastanza bene se disponiamo di testimonianze numerose e attendibili. Lo storico descrive ciò che non ha mai visto di persona lavorando sulle tracce oggettive lasciate da un evento. Quelle tracce sono percepibili con i cinque sensi, sono oggetti materiali, possono essere misurati, pesati, analizzati nelle loro componenti secondo il metodo scientifico. La pietra, diventata testimonianza, risponde solo se interrogata, e nel momento in cui lo storico pone delle domande le sceglie accuratamente, stabilisce un itinerario da seguire nella sua esplorazione. In parole povere, non si siede davanti al cippo aspettando l'ispirazione. Ma la realtà è complessa, anche un cippo può essere un problema complesso, un affare che richiede l'impegno di più uomini dotati di diverse ma approfondite competenze, sulla base delle quali interrogano la pietra traendone diverse verità. Alcune di queste verità si fondono in una sintesi perfetta e compongono un disegno che ha senso. Altre ne rimangono escluse, sono in dissonanza, non si scorge il nesso che le lega alle altre e a volte possono dare origine a "mondi paralleli", e di solito si tende a bollare queste costruzioni come fantasie rischiando di metterci troppo zelo fino a buttar via il bambino con l'acqua sporca. Questo può essere definito giustamente zelo assolutista. E lo zelante Citazione:
Di fronte a ciò che pure esiste e non siamo in grado di spiegare e di inserire in un disegno che abbia senso, io preferisco aspettare, sospendendo momentaneamente il giudizio, cosa che posso sopportare. Se vengo illuminata e vedo delle cose, devo essere necessariamente pazza? Devo essere stata necessariamente scelta da Dio? La mia esperienza sarebbe oggettiva, anche se difficilmente comunicabile con i consueti strumenti di cui disponiamo per comunicare, magari non sarebbe spiegabile perché male interrogata. Quante volte abbiamo scambiato un osso preistorico per una pietra o altro? Quello che per noi è l'osso di un dinosauro, per un collezionista di "mirabilia" dell' XI secolo sarà stato l'osso di un gigante, cosa peraltro assai ragionevole da presumere per un uomo di quell'epoca, quando personaggi fantastici venivano scolpiti sui portali delle cattedrali per rappresentare i popoli della terra. Ma in un caso come questo (osso di un gigante?), siamo arrivati, alla fine, a delle certezze oggettive che secondo albert non dovrebbero esistere. Magari ci sono voluti secoli perché la prova dell'esistenza dei giganti si rivelasse l'osso di un dinosauro che combacia, persino, con il resto dello scheletro oggi visibile in un Museo. I giganti non sono esistiti, ma l'osso rimane, a dispetto di ogni interpretazione. Noi siamo arrivati a stabilire che apparteneva a un dinosauro, ma quell'osso di dinosauro sarebbe rimasto tale anche se la razza umana si fosse estinta secoli fa e in quell'osso inciampassero oggi solo i canguri. Per me una realtà oggettiva esiste, e alcuni aspetti di essa li posso conoscere, perché posso interpretare correttamente quello che mi trovo davanti. E la realtà oggettiva mi è sempre sembrata altamente complessa. Non mi basterebbero cento vite per conoscerla tutta, ma che ci sia una realtà da conoscere e da interpretare, non l'ho mai messo in dubbio. Ma oltre a questo, c'è anche tutto il resto, quello che sfugge ai miei 5 sensi, e anche al sesto, aspetti della realtà che non potrò conoscere, né tantomeno provare, poiché ne ignoro completamente la sua esistenza. E se anche ricevessi l'illuminazione destinata ai profeti, e potessi scorgere dell'altro al di là del mio naso, rimarrei sempre in dubbio. Se la Verità assoluta esiste, siamo sicuri che un essere umano, una qualunque bestia terrestre o extraterrestre, sia in grado di abbracciarla? Tutta? Secondo me, sebbene una realtà oggettiva esista, noi non siamo in grado di conoscerla. Oltre un tot (perdonate il mio pessimismo) non arriveremmo nemmeno se inventassimo gli strumenti più perfetti in grado di misurare persino il pensiero o l'aureola che splende intorno alle teste dei santi. Quindi non posso onestamente escludere quello che dice sempre Emmeci, che una Verità assoluta esiste, ed esiste a prescindere dalla nostra esistenza, a prescindere dal nostro grado di consapevolezza. In fin dei conti non ce l'ho con l'esistenza o meno di Dio, non ce l'ho con i mistici e i profeti, non ce l'ho con gli illuminati di ogni tempo e luogo, mi da fastidio solo l'arroganza, l'arroganza intellettuale di chi si crede diverso da quello che in fin dei conti è: un animale vincolato da leggi di natura che abita su un pezzo di terra rotante attorno a un puntino che splende nell'universo. Costui, spesso e volentieri, scambia se stesso per il creatore, oppure identifica il Tutto in una persona (a volte anche tre), e appena inciampa in un osso di dinosauro se lo coccola come un tesoro, sventolando in faccia a tutti la prova assoluta dell'esistenza dei giganti, oppure se scopre che i giganti non esistono ne deduce immediatamente che nemmeno l'osso esiste, e quindi sarà una volgare pietrazza che lui aveva male interpretato. Io mi definisco una relativista in rapporto a una verità assoluta e oggettiva ma ritengo altamente probabile l'eventualità che l'uomo non sia fatto sufficientemente bene da arrivare a comprenderla. |
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