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11-01-2008, 17.20.16 | #42 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Oggettivo
Citazione:
E può sembrare un'ovvietà, ma non per i simpatizzanti del principio antropico (almeno come mi è sembrato di capire). |
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13-01-2008, 18.04.54 | #43 | |
Moderatore
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Riferimento: Oggettivo
Citazione:
Beh, non è un'ovvietà, e non solo per i simpatizzanti del principio antropico, come hai fatto giustamente notare tu. Se si accetta questa linea di pensiero, la metafisica appare come una disciplina oziosa, per quanto sofisticata. Addio al concetto metafisico di "essere", addio alle prove ontologiche, etc ... Comunque mi sa che siamo OT. Magari si potrebbe aprire un post apposito ... |
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14-01-2008, 09.11.44 | #44 |
Ospite abituale
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Riferimento: Oggettivo
Carissimi,
non vorrei interrompere il vostro vivace e illuminante scambio di idee, ma forse può interessarvi, perché prossimo se non centrale rispetto al tema che avete scelto, quello che è stato scritto nell'argomento "Onnipotenza del pensiero". Mi riferisco in particolare all'ultimo intervento. https://www.riflessioni.it/forum/show...postcou nt=10 Saluti, e buone idee per il 2008. |
14-01-2008, 14.53.37 | #45 | |
Moderatore
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Riferimento: Oggettivo
Citazione:
Grazie, emmeci. E' facile perdersi qualche post interessante, con tutti i thread che sono attivi ... ma questo è comunque un indicatore della vivacità del forum. Tornando a quanto hai scritto nel post che hai citato, anche a rischio che questa discussione finisca in biblioteca, come si concilia un'interpretazione idealista con gli esempi del demone ingannatore di Cartesio o, più prosaicamente, del cervello-in-vasca? Ciao |
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14-01-2008, 15.59.57 | #46 |
Ospite abituale
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Riferimento: Oggettivo
Penso che quello che chiedi, Albert, riguardi sempre il tema dell’oggettività come si è sviluppato al di là dei secoli della scolastica nei quali fondamentalmente è stato introdotto questo concetto. Nell’epistemologia cartesiana le idee sono copie dirette delle cose, cioè dell’oggetto, così per Hobbes che considera oggetto sinonimo di corpo esterno: e bisogna venire a Kant e all’Ottocento per rendere l’atto intellettuale più complesso, meno schematico, più consapevole delle difficoltà che stanno alla base del suo funzionamento. Per il Cartesio del dubbio diabolico penso non ci siano particolari difficoltà a ritenere che il suo cogito sia una premessa della filosofia idealistica (che però eleva quell’ego a principio assoluto e inoltre non lo orienta verso dio ma lo identifica eventualmente con dio – almeno nelle sue primordiali versioni). E non ho difficoltà ad ammettere che – almeno nei limiti della gnoseologia – io mi riterrei molto più vicino alla posizione idealistica che a quella empiristica o quella analitica e logicistica. Quanto al cervello-in-vasca- lascerei il compito di discuterne a te, che conosci certamente meglio di me la trilogia di Matrix e gli scenari del cyberspazio.
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15-01-2008, 23.28.10 | #47 |
like nonsoche in rain...
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Riflessioni...
Credo di leggere sotto la domanda della Viandante parte delle inquietudini di noi esseri umani: la questione, bollita in mille salse, è sempre la medesima... la ricerca di una “realtà” sulla quale si possa concordare, senza stare a cavillare sulle differenze tra “oggettiva” e “assoluta”; accolgo Visechi (sempre elegante e ricca la sua prosa ) nel sottile elogio ad un sano relativismo e quando sottolinea che l’oggettivo tende a scivolare inevitabilmente nell’assoluto: il mio pensiero, la mia realtà, la nostra realtà è quella giusta, quella bella, quella più profonda... le tue idee, i vostri pensieri, le vostre realtà sono carenti, assurde, fantasiose, perciò da trattare con violenza o al più con insana compassione... lo “spirituale” dal proprio trespolo se ne sta appollaiato lassù dove nemmeno le aquile osano, sciorinando mantra fatti di consunti pensieri ed il “filosofo” lo rimbecca sempiternamente mostrando la triste debolezza dei propri razionali costrutti, sciorinando mantra fatti di consunti pensieri... intanto le etichette sono come il “terzo” ovvero se la godono, poiché a colpi di fioretto ci si sfida indossando tante pesanti corazze, tanti pesanti abiti che agiscono in doppio senso, mascherandoci agli altri e contemporaneamente a noi stessi, poiché là dove le etichette, i pensieri che via via confezioniamo con tanto amore nel corso della vita, vincono senza pari è proprio quando ci guardiamo allo specchio, noi da soli, noi e le nostre idee, noi e le nostre certezze, noi ed i nostri dubbi, noi e quegli occhi che conosciamo che ci fissano interrogativi, se ne stanno lì, imperterriti, perfino odiosi a volte, fastidiosi poiché impongono, incuneano nelle rocciose certezze delle nostre personalità il pungolo del dubbio; vedete, credo esistano tanti tipi di dubbio, da quello più superficiale che è certezza sottilmente camuffata, a quello destabilizzante, caotico, pericoloso, perché quando sotto i nostri piedi la terra inizia ad essere spersa nel vento ed il burrone oscuro prepotentemente fa capolino tra le polveri dei nostri pensieri, la necessaria nostra personalità inizia a divenire mobile, a fluidificarsi da rappresa che era; necessaria, poiché per poter comunicare, almeno questo è ciò che mi è stato dato di vedere finora, necessitano delle personalità che abbiano, pur in una eventuale patologica situazione, una intrinseca “solidità”, data dalle memorie, carattere, esperienze, pensieri. La mente avverte la pericolosità di quel burrone, è l’istinto alla vita, all’autoconservazione o forse solo “inerzia” dell’essere; tutto potrebbe essere dovuto all’inerzia ovvero alla non propensione all’allontanamento dall’equilibrio... la scienza in toto non è altro, in fondo, che uno studio dell’equilibrio. L’inerzia potrebbe essere veramente una sorta di legge generale che potrebbe spogliare dal romanticismo gesti come il suicidio o come l’atto sessuale, ma non mi sembra questo il luogo per discuterne e nemmeno francamente ora ne ho voglia e forse sono solo stronzate.
Apprezzo in questa vostra discussione in particolare VeraLuce e Visechi, la prima poiché con non comune pazienza ha lievemente, ma fondamentalmente denudato (un pochino) “il” Visechi, per usare un’espressione cara al buon Maxim , facendolo apparire ai miei occhi molto più umano e vicino, piuttosto che il pensatore funesto e geometricamente perfetto che avevo in mente; significativa, per ciò che ho sinora scritto, l’immagine del creatore Visechi che lavora con attenzione al proprio castello, descrivendone le varie fasi, dal basamento, su su sino alle stanze delle credenze e delle certezze e perfino ai saloni (a quanto pare) dei dubbi, fatti di crepe, forse perfino “reali” e non solo disegnate su bei quadri appesi alle pareti. Molto bella, umana e significativa la “difesa” del Visechi alle buone e sottili domande di VeraLuce, il quale non può far altro che rispondere con la sua prosa poetica, sfumando il proprio pensiero, alla semplice, ma ipnotica domanda: “deduco dall'interpretazione che l'evento vi sia?” Spogliando le parole dalla poesia, la risposta di Visechi è affermativa, come d’altronde per esempio quella di Kore... in sostanza esiste l’”oggetto”, l’albero, l’evento da una parte, -innegabile (ma non si spiega, a mio parere, sufficientemente il perché debba esserlo)- e le molteplici interpretazioni che se ne danno dall’altra ovvero l’immagine che dell’albero, l’albero “vero”, noi abbiamo; con questa banale certezza anch’io, vi assicuro, vado quando occorre a fare la spesa, accingendomi ad attraversare la strada quando le auto hanno il rosso. Ma quando, poi, ripongo il cibo che mi sono procacciato nel frigorifero, la stessa domanda assume altri toni ed altri colori, sfumature molto differenti e mi chiedo se non me la sia bevuta per non essere preso sotto dal pilota di turno. E così mi guardo allo specchio, in attesa che gli occhi che mi fissano rispondano o balbettino almeno qualcosa. Quel timido “qualcosa” che balbettano attualmente è che le nostre filosofie, pensieri, modi di rapportarci alla realtà sono preda delle nostre esperienze ed emozioni o semplicemente esperienze, poiché essenzialmente costituite da emozioni; non vi è alcuna gerarchia qualitativa o quantitativa nelle esperienze, c’è solo il percepire, l’”esperire”, il fatto poi che “qualcosa accada” è enorme passo successivo, enorme ed abissale pretesa, anche se non pare, lo sento veramente così. L’unica ricerca è semmai dettata dal benessere, dalla bontà delle esperienze accumulate, questa l’unica discriminante, questa l’unica legge che predica dunque ciò che è utile: è molto utile che non venga preso sotto, perché non essendo masochista, il dolore è brutta cosa e dunque esiste l’auto da una parte ed il mio corpo alquanto caduco che la sente dall’altra. E’ buona cosa avere una personalità abbastanza solida da potermi rapportare con gli altri. E se l’ipotetico accesso alla Coscienza Cosmica, rigorosamente maiuscolata, mi fornisce un immenso benessere perché qualche endorfina in più è stata rilasciata nel mio cervello, perché effettivamente qualche livello di coscienza “altro” è stato risvegliato... beh... sono uno “spirituale”, costruisco il mio trespolo e mi ci abbarbico sopra, dispensando la mia verità ultima ai dormienti ancora preda dei loro sogni. Se invece le esperienze di vita mi hanno portato ad essere uno sfrenato, pessimista materialista che gode assai delle proprie filosofie, costruisco il mio trespolo e mi ci abbarbico sopra, dispensando la mia verità ultima ai dormienti ancora preda dei loro sogni. Come vedete il risultato mi pare il medesimo e cioè che tutti hanno capito tutto e che nessuno ci ha capito un *****, scusate la prosa genuina. Ciò che si sente, ciò che si prova, non è né razionale, né irrazionale, semplicemente -è-, non accresce quantità, né ha qualità, utilità, bontà, scopo, gerarchia; quando poi, subito dopo, diventa “mio” allora tale possesso genera memoria, personalità, arroganza, io l’ho provato, io so questo, io conosco come si scrive Niccie e tu no. Le mie domande e le relative risposte mutano semplicemente variando il tipo di musica che ascolto e dunque le emozioni in cui sono immerso, insieme alla situazione emotiva attuale di vita, ormai non ho più problemi ad ammetterlo... e vorrei dunque dire a VeraLuce che nessuno ne “sa” più di te, più di ciò che senti tu... ... il resto delle conoscenze le puoi apprendere facilmente dai libri e ripeterle come un pappagallo, come faccio io e come fanno tutti... L’oggettivo ha, dunque, un significato “oggettivo”, per ricollegarmi alla vera filosofica domanda della Viandante (che aveva un significato più sociale, che non filosofico)? Ed io risponderei, in quale sistema intendi far valere tale “oggettività”? A chi o cosa è utile tale oggettività? A chi “fa bene”? |
15-01-2008, 23.34.30 | #48 |
like nonsoche in rain...
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... su riflessioni...
Sono sempre io (-?-), anche se ho cambiato la musica che sto ascoltando...
Credo che tra i desideri più profondi, o forse non tanto, dell’uomo vi sia quello di essere “Dio”, onnipotente e perfetto che, indipendentemente dalle religioni e dalle mistiche, impartisce oggettività alle cose e che in un modo o nell’altro possa accedere alla vera ed unica verità reale delle cose realmente e veramente reali; può assaggiare l’assoluto, perciò, e dispensarne pezzetti agli infedeli, facendo in modo che tutti ci si accordi sulla reale realtà alla quale si è avuto l’ardore di accedere, essendo stati toccati dalla infinita grazia dell’universo. Mi sento alquanto piccolo ed ignorante, come una virgola in un infinito periodo, ma già il fatto stesso che possa sentire l’inafferrabilità della grammatica in cui sono scritto, porta questi miei occhi a sussurrarmi che non posso porre punti saldi e fermi sui quali ognuno accordi il proprio sguardo; non posso accordare neanche il mio, di sguardo, poiché è, ora, non prima e nemmeno un attimo fa. Dunque ne deriva, quando “sono in me”, una sorta di sentimento, che potrei avvicinare con “umiltà”: riflettiamo su ciò che è utile, su ciò che pare buono, qui ed ora, senza pretendere che tutti siano d’accordo, qui, ora, da un’altra parte o domani, con la vera consapevolezza che sia l’utilità, non un potere divino, a far emergere ciò che parrebbe, qui ed ora, buono. La sottile pretesa che tutti debbano risultare d’accordo e la sotterranea intolleranza per coloro che se ne stanno fuori da questo recinto, che accomuna indistintamente in pratica ogni essere umano che popoli questo pianeta, credo derivi dal su citato divino desiderio umano, ma se ci pensate non è affatto “razionale”, come invece sembra farci credere la nostra mente. Ma, spostandomi ancor più nel “sociale”, il pianeta è molto piccolo ed è attualmente solo uno; pur ipotizzando molteplici politiche sociali, tanti quanti sono i soggetti che si ritrovano d’accordo su una serie di principi, che non coincidono con gli “stati” attuali, badate bene, ove la democrazia è uno strano compromesso per forzare decine o centinaia di milioni di persone a vivere con norme veramente non condivise da tutti, dicevo pur ipotizzando un numero molto più elevato di “stati” o soggetti corrispondenti, questi si dovrebbero con consapevolezza rendere conto che tutti fanno parte della stessa trama ed un’azione di uno di essi ha inevitabili ripercussioni nello spazio e nel tempo su tutti gli altri e dunque su se stessi; il tempo e gli eventi, credo, educheranno l'uomo circa questa consapevolezza ancora molto latente. In conclusione, ciò che vorrei affermare (e qui, come vedete, vien fuori quella personalità “solida” che mi occorre per comunicare costruttivamente con voi e per incollare i pezzetti di me) è che non ne so granché; sento solo, praticamente ed egoisticamente, che se sta male un cinese-dall’altra-parte-del-mondo, finisco in qualche modo, prima o poi, per stare male anch’io, dunque la “politica” del soggetto sociale nel quale vivo vorrei tenesse “in qualche modo” conto anche di quel cinese-dall’altra-parte-del-mondo e giudico moralmente non “buone” le azioni mie e degli altri che non ne tengano conto. Con questo bel macigno morale, saluto calorosamente tutti quanti... |
16-01-2008, 15.46.19 | #49 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Riflessioni...
Citazione:
Tutto assai piacevole: prosa ben condita con una sana vena d’ironia, che affievolisce il gravame della reboante seriosità, piacevole più che mai anche il contenuto… tutto scorre, assai leggibile e gradevole…. Nessun inciampo, tutto armonico, equilibrato? Possibile? No! Rilevo un particolare significativo, almeno uno, però sufficiente ad inserire un elemento di disturbo che innesca il mio spirito polemico. Mi domando se possa essere la percezione soggettiva a fondare l’oggettività del fenomeno. Nexus6 pare voglia suggerirci questo. L’accadere è privo di qualsiasi qualità, è amorale, non pragmatico in sé, non finalistico, né misurabile come quantità. Il fenomeno percepito ‘è’… in assoluto ‘è’. Ciò che dell’accadere è restituito in termini di sensazioni (da sensi), per il soggetto che percepisce, senza dubbio dunque ‘è’: asettico, amorale, neutro, inqualificabile. Diventa altra cosa nel momento in cui se ne prende possesso per rappresentarlo alla coscienza. Fin qui Nexus ha fatto un ragionamento difficilmente eccepibile, che, pur con qualche sfumatura che non sto’ ad esporre, mi sento di condividere. Però devo dire che mi pare si confonda l’oggettivazione soggettiva (stride un po’, ma forse rende bene l’idea), con l’oggettività nei termini filosofici e/o sociali che c’interessava esaminare. Può essere il senso a fondare l’oggettività del fenomeno? Ma se oggettivo equivale ad identificare un qualcosa universalmente misurabile, qualificabile, rappresentabile, denominabile, utilizzabile, può essere che il mio verde sia oggettivo e quindi imputabile anche alla tua, forse, diversa percezione? E il tuo di verde, non è anch’esso oggettivo, quindi imputabile alla mia percezione? Ma così discorrendo, mi pare di comprendere che la disputa e non il consenso, sia l’ingrediente naturale dell’oggettivo. SE l’oggettivo di Nexus differisce sensibilmente dal mio oggettivo (eppure viviamo ed osserviamo il medesimo fenomeno), a prescindere dal fatto che quel fenomeno sia in sé e per sé oggettivo, non entrano in collisione le due oggettività soggettive? Tanto tempo fa, sulle pagine di questo forum scrissi un obbrobrio che, se non ricordo male, era attinente a questa discussione. Lo cerco e lo riposto. Ciao |
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16-01-2008, 16.36.20 | #50 |
Ospite abituale
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Polluzione notturna
Non ho avuto modo di apportare le dovute correzioni. Presumo possa risultare di non facile lettura - forse un pò pesante ed eccessivo, forse ampolloso -. Ho avuto a malapena il tempo di rileggerlo fuggevolmente.... Lo inserisco così come a suo tempo è stato scritto. CIAO
Pessima giornata … è piovuto tutto il giorno … giornata uggiosa SCORIE MENTALI E' noto che il processo percettivo compiuto dai nostri organi sensoriali, senza che noi ce ne rendiamo conto, e quello elaborativo, ad esso connesso, attuato, sempre meccanicamente, dalle cellule neuronali del cervello, siano processi integrati atti a fornirci figurazioni della realtà fenomenica percepita le più fedeli possibili. Potremo definire "percezione" i due processi integrati appena citati. Sempre per semplificare il concetto che andrò ad esporre, potrei stabilire di chiamare l'oggetto della "percezione" o il complesso degli eventi della realtà che colpisce i miei sensi e che io, senziente o meno, sottopongo ad elaborazione: "universo percettibile" o, secondo i casi, "universo percetto". E' innegabile, se non altro perché empiricamente dimostrato e dimostrabile, che "l'universo percetto", a causa di talune interferenze ascrivibili o meno al soggetto percepente, differisca spesso, anche notevolmente, "dall'universo percettibile". In altre parole, la raffigurazione che noi ricaviamo dall'osservazione della realtà ("universo percetto"), spesso non coincide con l'essere fenomenico percepito ("universo percettibile"). UN CLASSICO ESEMPIO 1: Le illusioni ottiche: due linee perfettamente parallele possono essere percepite come divergenti se inserite in un contesto fuorviante; o tanti, tantissimi altri esempi utilizzati dalla psicologia cognitiva. Tale circostanza, per quel che se ne sa, è ascrivibile, in taluni casi, alla fallacità e/o limitatezza dei nostri organi sensoriali, altre volte è imputabile al processo elaborativo compiuto dall'uomo; in entrambi i casi, in ogni modo, sempre ad una qualche carenza della "percezione" (per semplicità ho compendiato nella "Percezione" tanto l'azione del cervello, l'elaborazione, che l'atto di percepire, attività tipica dei nostri organi sensoriali). Da quanto precede, se condiviso, ne deriverebbe un prodotto, frutto della "percezione", "altro" rispetto al modello originale. Io definirei questo "altro" col termine: "degenerato". DIGRESSIONE 1: come in un sogno (forse un incubo). Noi abbiamo ora due realtà diverse fra loro ma che raffigurano il medesimo oggetto o fenomeno. L'una, immanente, la REALTA' e l'altra una sua derivazione che è, sì simile alla generatrice, ma non completamente uguale ad essa, quindi una degenerazione della stessa. Procedendo in queste definizioni, assolutamente arbitrarie nella terminologia, effettuando un'ipotetica somma algebrica che possa dar la misura delle differenze (fosse mai possibile … nel mondo onirico tutto è possibile), direi anche che quanto residua fra modello originale ed "universo percetto", dopo l'operazione matematica di cui sopra, possa chiamarsi "precipitato". DIGRESSIONE 2: sempre nello stesso sogno. Sovrapponiamo i due fenomeni. Essi saranno coincidenti nella misura in cui "l'universo percettibile" e quello "percetto" saranno corrispondenti; ciò che non concorda - immaginiamo - si sgretola, si sgrana, si polverizza. Nel polverizzarsi, privo di sovrapposizione, precipita. In alcuni casi, noi assistiamo all'evidente manifestarsi di fenomeni che non riusciamo a percepire senza l'ausilio di attrezzature o apparecchi atti a coglierli. UN CLASSICO ESEMPIO 2: quante volte abbiamo assistito o sentito del cane che corre incontro al suo padrone in apparente assenza di richiamo? Ultrasuoni, signori, nessuno sostenga che non esistono. In pratica, talora si è spettatori di reazioni (il correre del cane) in apparente assenza di fenomeni atti a provocarle. Quest’evento è dovuto, esclusivamente, alla differente sensibilità che hanno i nostri organi rispetto a quelli di taluni animali. Sempre con la stessa arbitrarietà che ha contraddistinto l'intero mio intervento, per contrapposizione, definirei quest'assenza "universo impercetto". "Ho già provato a spiegare, in un mio precedente intervento, la possibilità che coesistano, nello stesso istante e nel medesimo luogo, due realtà differenti, ambedue oggettive e allo stesso tempo soggettive ed entrambe generate dal medesimo "universo percettibile" (vedasi polluzione notturna n° 1) Vorrei, ora, provare a fare la conoscenza più da vicino sia del "precipitato", che del "degenerato", senza scordare "l'universo impercetto". E' mia intenzione, sempre che non esca completamente di testa, coglierne l'essenza ed analizzarla, al fine di tentare di offrire alla mia attività onirica, a questa polluzione, una via di fuga che le consenta di comprendere, se sarà possibile, un motivo razionale delle differenti decodificazioni della realtà esistenti e, se la Fortuna ci assiste, proporre una soluzione ai conflitti logici esistenti (ma guarda la presunzione!). Ho già parlato del "precipitato", del "degenerato" e de "l'universo impercetto", non so se sono stato sufficientemente chiaro nel cazzeggiamento, ma sono questi i costituenti de "l'universo mondo" che, a mio avviso, devono essere presi in esame per giungere ad un approdo che, a questo punto, mi salvi almeno la faccia. Ciascun uomo … fermiamoci a lui, il resto agli ambientalisti … che definirei: "strana amalgama, non so quanto sapiente, di molteplici pulsioni e terrificanti forze", è un animale misterioso costantemente posto sotto analisi; multiforme e non ripetibile in quanto individuo (speriamo che continui ad esserlo); formato e costituito da materiale sì sempre uguale ma, presumibilmente, "montato" eternamente in maniera originale, per cui non è dato conoscere individuo che ragioni, viva, pensi, in definitiva SIA uguale ad un altro, e fin qui nessuna novità. "Molteplici pulsioni". Da questa definizione ripartirei. L'uomo non è solo materia; non so per quale oscuro incompreso evento, si muove ed è spinto tanto dalla forza motrice prodotta dai propri muscoli, tanto dalla forza psichica (benzina) generata dal suo cervello, impalpabile ed invisibile, se non negli effetti che produce (non so e non voglio sapere, almeno in questa fase, se in questo fatto vi sia l'intervento, diretto od indiretto, di qualche entità sovrannaturale … qualcuno sostiene di sì … io porto rispetto). Posto che non sono sotto esame, almeno nelle mie intenzioni, i muscoli e gli organi, andrei ad analizzare di quale sostanza sia fatto il "contenuto" del "precipitato" e de "l'universo impercetto". A tal fine, coerentemente col ragionamento sviluppato in precedenza, non posso far altro che asserire, con qualche titubanza, che entrambi sono la parte de "l'universo mondo" (la Realtà … quella Assoluta, OGGETTIVA) non percepita e, quindi, sempre arbitrariamente, raggrupperei queste due espressioni in un'unica categoria nominata con un termine univoco: "assenza umana". DIGRESSIONE 3: credo di poter capire di essere giunto quasi all'alba, in prossimità della conclusione di questo viaggio onirico nel corso del quale ho avuto occasione di scaricare le "scorie della mia mente"; ma il sogno non si è ancora concluso. La "assenza umana" è, quindi, la sintesi, arbitraria nella definizione, di quanto esistente ne "l'universo mondo" e che, per inadeguatezza dei ricettori o del processo elaborativo, non è avvertito dal soggetto percepente (l'UOMO). In ultima analisi, la parte della realtà "normalmente" preclusa all'uomo, almeno finché i mezzi tecnici o le facoltà speculative, ingigantite dal progresso tecnologico, non lo renderanno possibile. Tale "assenza umana" ha una conformazione, a parer mio, alquanto stratificata. Infatti, riterrei vi siano strati raggiungibili con l'ausilio di semplici mezzi tecnici (apparecchi per misurare gli ultrasuoni etcc…), altri con attrezzature più complesse (le stelle, i pianeti etcc…), altri non ancora raggiungibili (la visione o comprensione del momento preciso del Big Bang). Se sarà possibile ottenere una chiara e coerente (forse) raffigurazione del contenuto dei primi strati, impossibile sarà - almeno al momento - ottenerne una altrettanto fedele per l'ultimo (Dio … Big Bang etc…). Trattasi di uno strato inarrivabile per l'apparato sensoriale o speculativo dell'animale Uomo. Vorrei proseguire nella denominazione arbitraria di quanto incontriamo man mano che procediamo nel sofisma per appellare quest'ultimo strato "assenza ultima". Complicazione: Se a "l'assenza ultima" noi dovessimo aggiungere anche il "degenerato", l'altra componente de "l'universo mondo", cosa otterremmo? UN PASSO INDIETRO 1: Non possiamo dimenticare che la nostra analisi ci ha condotto a prendere contatto con il "degenerato" la cui sostanza costitutiva è la percezione alterata della realtà circostante (Illusioni ottiche, etc…). In un ipotetico mondo in cui fosse possibile effettuare la somma di elementi non percepiti e mai percettibili ("assenza ultima") e di ingredienti mal percepiti o erroneamente elaborati ("degenerato"), in pratica un'ipotetica somma di chiodi e galline (nel mondo onirico tutto è possibile … questo l'ho già detto), noi avremmo raggiunto una qualificazione della realtà composta da "assenza ultima" e "degenerato" che, sempre arbitrariamente, decreto si compendino in "CAOS". |