ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS |
22-04-2008, 12.40.07 | #32 | ||||||
farabutta
Data registrazione: 05-02-2008
Messaggi: 327
|
Riferimento: Possibile un Capitalismo Etico ?
[quote]
Citazione:
Citazione:
Citazione:
i Citazione:
Citazione:
Chi ritiene di essere un cittadino con senso civico, e crede ancora nel valore di un Etica condivisa deve riflettere su determinati aspetti. Citazione:
|
||||||
22-04-2008, 13.06.25 | #33 | ||
Utente bannato
Data registrazione: 25-10-2007
Messaggi: 303
|
Riferimento: Possibile un Capitalismo Etico ?
Citazione:
Ciò che sento di poter affermare con ragionata sicurezza è che, comunque, tutti gli esseri umani hanno come bisogno ineludibile e primario quello di mangiare - se possibile, tutti i giorni, più volte al giorno - di ripararsi dalle intemperie con abiti e di case dove vivere. Di tutto il resto si può fare a meno; se si fa a meno di queste banali "cose materiali" non si vive a lungo. Questo, per me, è un bisogno vero; il resto non saprei, ognuno ha i suoi. Citazione:
Sostengo le mie idee e non le impongo a nessuno, né con la persuasione esplicita, né con quella occulta. Se, tuttavia, avessi letto con attenzione quello che scrivo, avresti trovato che ho posto come necessitante per un capitalismo razionale e sano (il c.d. capitalismo maturo) un sistema di regole di condotta dettato dal potere politico e, in modo particolare, l'affermazione definitiva e compiuta dello stato di diritto. Del resto non sono io a dirlo ma i fatti economici di almeno un secolo abbondante di politiche economiche; ossia la realtà dei fatti. Il capitalismo dal volto mostruoso a cui sembri fare riferimento è quello tardo-ottocentesco raccontato nella letteratura di Cronin. Mi sembrano vicende superate. |
||
22-04-2008, 13.40.45 | #34 | ||
Ospite abituale
Data registrazione: 19-03-2007
Messaggi: 216
|
Riferimento: Possibile un Capitalismo Etico ?
iulbrinner
Citazione:
Io concordo con la tua idea di un mercato retto da regole sostanzialmente incorruttibili che fanno leva sull'interesse privato. Ma ho due obiezioni. Innanzittutto non credo esista una applicazione così perfetta del capitalismo ideale. Nel migliore dei casi la politica e sociale interverrà sempre a correggere le situazioni meno sostenibili. E le leggi dell'interesse privato, che dovrebbero regolare il mercato, interverrebbero ad approfittare di questi mutamenti del sistema concorrenziale. La seconda obiezione, su cui però ovviamente non posso dare una risposta finale, è che anche nel caso di mercato perfetto, il riscontro monetario non è indice solo del merito dell'investitore, credo che l'influenza della casualità, di variabili esogene, sia molto più importante di quello che il modello capitalista suppone. Mi viene da proporre (anceh se non so se sia corretto) comunque la stessa critica che venne mossa al comunismo, cioè se il modello capitalista così come l'hai esposto tenga conto della psicologia umana, o si basi su semplificazioni della stessa. Come tu stesso dici "puoi fregare molti per qualche tempo, qualcuno per molto tempo, ma non puoi fregare tutti troppo a lungo", e questo è vero. Ma si dice anche "sul lungo tempo siamo tutti morti". Il poco tempo o il molto tempo sono sufficienti a costruire un ritorno monetario che potrebbe passare per successo, mentre non esiste un modo di valutare oggettivamente il vero successo di una azienda. Quindi, seppure concordo sul fatto che il merito in qualceh modo può venir fuori, dissento sulla valutazione del merito in base alla sola valutazione monetaria, che ripeto, è contingente e come tale frutto anche della casualità. Naturalmente posso sbagliarmi, ma credo che prendere con maggiore preacuzione il concetto di merito nel capitalismo sia un punto di vista importante. chlobbygarl L'esempio più ecclatante di capitalismo senza limiti economici che abbia portato problemi al tessuto sociale credo sia senz'altro la crisi del '29, da cui senza un intervento statale non sarebbe stato possibile risollevarsi, credo. Ma anche le recenti conversioni degli stati socialisti all'economia di mercato mostrano come il capitalismo non si possa innestare senza una regolamentazione ferrea. Andando più indietro nel tempo penso che si possano discutere anche gli albori della rivoluzione industriale, che pur rappresentando un enorme balzo in avanti per il benessere dell'umanità, hanno comunque richiesto un costo sociale attualemente non sostenibile, tanto che si sono dovute inserire leggi a tutela della parte debole del capitalismo. Citazione:
Del resto mi verrebbe da chiederti se mi puoi fare un esempio di capitalismo puro o effettivo applicato in una qualsiasi situazione storica. |
||
22-04-2008, 14.41.03 | #35 | |
Lance Kilkenny
Data registrazione: 28-11-2007
Messaggi: 362
|
Riferimento: Possibile un Capitalismo Etico ?
[quote=ornella]
Citazione:
|
|
23-04-2008, 15.31.36 | #36 | |
farabutta
Data registrazione: 05-02-2008
Messaggi: 327
|
Riferimento: Possibile un Capitalismo Etico ?
[quote=chlobbygarl]
Citazione:
Vero che molte degenerazioni non si riflettono in tutte le realtà, mi vuoi suggerire uno Stato in cui il Capitalismo non ha nessun genere di prolasso? In cui un cittadino può dire appartenendo idealmente a quel sistema Paese, di andar fiero della propria economia perchè rispettosa di tutti i principi etici più comuni? |
|
24-04-2008, 14.39.30 | #37 |
farabutta
Data registrazione: 05-02-2008
Messaggi: 327
|
Riferimento: Possibile un Capitalismo Etico ?
Insomma ditemi:
-Approvvare idealmente il Capitalismo, e ritenere auspicabile un Etica condivisa che rifletta i principi fondanti di tutte le moderne democrazie, non è una contraddizione in termini? Non solo penso che sia incoerente che ciò sia possibile, penso che sia utopico. E l'opportunità che ciò sia possibile, è impedita dallo stesso motivo per cui non è possibile una società diciamo Anarco-Socialista. -Nell'attuale sistema Paese io Ornella nata in Italia, quindi con cittadinanza italiana, dovrei aver maggior rilievo come cittadina "votante", o come "soggetto" economico? _ Ditemi Voi come far valere senza la lotta di classe la mia posizione di proletaria, cosa devo fare? Voglio essere realista, migliorare la mia situazione economica, e essere una cittadina coerente con i principi Etici che ispirano le grandi democrazie occidentali. |
30-04-2008, 12.38.49 | #38 |
Utente bannato
Data registrazione: 25-10-2007
Messaggi: 303
|
Riferimento: Possibile un Capitalismo Etico ?
Riprendo questo topic in quanto, leggendo un articolo del Prof. Giavazzi apparso oggi sul Corriere della Sera, ho trovato al suo interno molte delle risposte agli interrogativi ed ai dubbi che ornella ed altri hanno espresso in tema di capitalismo ed etica.
Credo che la lettura di queste autorevolissime opinioni possa risultare illuminante in relazione all'argomento del topic. Occasioni perdute Il liberismo e la speranza di Francesco Giavazzi Da una quindicina d’anni su questo giornale mi batto per il mercato, per le liberalizzazioni, per uno Stato meno invasivo. Sostengo i benefici della concorrenza e dell’apertura agli scambi, non per scelta ideologica ma perché penso che mercati aperti e concorrenza siano lo strumento per sbloccare un Paese nel quale la mobilità sociale si è arrestata e il futuro dei giovani è sempre più determinato dal loro censo, non dal loro impegno o dalle loro capacità. Nel frattempo nel mondo sono successe alcune cose. La globalizzazione dei mercati ha consentito a mezzo miliardo di persone di uscire dalla povertà: nel 1990 le famiglie in condizioni di povertà estrema erano, nel mondo, una su tre; oggi poco meno di una su cinque. Ma con la globalizzazione si sono accentuate le diseguaglianze, soprattutto nei Paesi ricchi e poco importa che il motivo non siano le importazioni cinesi, ma piuttosto le nuove tecnologie che premiano chi ha studiato e penalizzano il lavoro non specializzato. (Negli Stati Uniti il salario orario di un lavoratore che ha smesso di studiare a 16 anni nel 1972 era, ai prezzi di oggi, 15 dollari; 11 nel 2006. Quello di un laureato è invece aumentato da 24 a 30 dollari l’ora). Come osservavano già tre anni fa Massimo Gaggi e Edoardo Narduzzi («La fine della classe media») in occidente è sparita la classe media tradizionale, quella che per mezzo secolo è stata il collante del sistema politico: al suo posto è nata una società nella quale chi ha scarsa istruzione è angosciato e cerca qualcuno che lo protegga. E non sempre il mercato dà buona prova di sé. Negli Stati Uniti è inciampato in un paio di infortuni. Nel 2002 le frodi degli amministratori di Enron, Tyco e WorldCom. Oggi la crisi innescata dai mutui «subprime»: se non fossero tempestivamente intervenute le banche centrali, cioè lo Stato, i mercati rischiavano di precipitare. Talora un mercato neppure esiste, come nel caso dell’energia: prezzi e forniture di gas — l’80% dell’energia utilizzata in Italia—sono determinati da un cartello dominato dalla Russia. Pensare di aprire quel mercato alla concorrenza è un’illusione un po’ infantile, almeno fino a quando non avremo costruito una decina di rigassificatori e ci vorranno, se tutto va bene, un paio di decenni. La Cina non consente che il valore della sua moneta sia determinato dal mercato. Per mantenere un tasso di cambio sottovalutato accumula una quantità straordinaria di euro e di dollari. La crescita cinese continua a dipendere dall’industria e dalle esportazioni. A parole il partito comunista si dice preoccupato della crescente diseguaglianza, ma poi non fa quasi nulla per correggere il tiro e spingere la domanda interna, soprattutto i servizi, in primis la sanità. Sempre più i mercati aperti spaventano gli elettori. Nella campagna elettorale americana sia Obama che Hillary Clinton parlano con accenti critici della globalizzazione e si guardano bene dall’attaccare i sussidi pubblici che rendono ricchi gli agricoltori Usa a spese del resto del mondo, ad esempio dei coltivatori di cotone egiziani. In Francia Sarkozy a parole (e non sempre) predica il mercato, ma provate ad aprire una linea aerea e a chiedere uno slot per un volo Linate-Charles De Gaulle: lo otterrete, ma alle 6 del mattino. La maggioranza degli italiani ha votato per un candidato, Silvio Berlusconi, che si è impegnato a salvare — con denaro pubblico — un’azienda che perde un milione di euro al giorno: non ho visto nessuno sfilare perché le nostre tasse vengono usate per tenere in piedi un’azienda da anni decotta. (Ho invece visto i tassisti romani festeggiare il nuovo sindaco della città che due anni fa aveva manifestato solidarietà per la violenta protesta dei tassisti contro le liberalizzazioni di Bersani). Insomma, il mondo sembra andare in una direzione diversa da quella auspicata da chi, come me, vorrebbe meno Stato e più mercato. I cittadini non sembrano preoccuparsene: anzi, premiano chi promette «protezione» dal vento della concorrenza. Che cosa non abbiamo capito, dove abbiamo sbagliato? Alcuni ritengono che il problema nasca dall’errato accostamento di «concorrenza » e «mercato». Concorrenza significa regole: in assenza di regole non è detto che il mercato produca una società migliore di quella in cui vivremmo se venissimo affidati ad uno Stato benevolente. Affinché il mercato, la globalizzazione diventino popolari è necessario «governarli». E’ certamente vero, ma anche un po’ illuminista. Vedo anti-globalizzatori che occupano le piazze, ma non vedo cittadini che manifestano perché il Doha Round non fa un passo. La decisione dei capi di Stato dell’Ue di cancellare la concorrenza dai principi irrinunciabili stabiliti dal nuovo Trattato europeo è passata inosservata. Insomma, non mi pare che i cittadini reclamino più regole: la protezione che chiedono —e che alcuni politici promettono—è quella dei dazi e dei vincoli all’immigrazione, non l’antitrust. A me pare che i liberisti debbano porsi un compito più modesto: spiegare ai cittadini che l’alternativa al mercato, al merito, alla concorrenza è una società in cui i privilegi si tramandano di generazione in generazione, i fortunati e i prepotenti vivono tranquilli, ma chi nasce povero è destinato a rimanerlo, indipendentemente dal suo impegno e dalle sue capacità. Convincerli che il modo per difendere il proprio tenore di vita è chiedere buone scuole, non dazi. Il «miracolo economico» italiano degli anni ’50 e ’60 fu il frutto del mercato unico europeo (e della lungimiranza di alcuni leader della Democrazia Cristiana che alla fine della guerra capirono l’importanza di entrare subito nella Cee). La caduta delle barriere doganali e l’ampliamento della domanda consentirono alle nostre imprese di allargare le fabbriche e raggiungere una dimensione che ne determinò il successo. La crescita tumultuosa di quegli anni creò opportunità per tutti. Non ho dati, ma penso che se qualcuno allora avesse chiesto agli italiani che cosa pensavano dell’apertura degli scambi, la maggior parte avrebbe risposto favorevolmente. L’Europa di allora è il Brasile, l’India, la Cina dei giorni nostri, ma i più oggi le considerano minacce, non opportunità. Mi pare che l’Italia si trovi in un «cul de sac». Da un decennio abbiamo smesso di crescere: dieci anni fa il nostro reddito pro-capite era simile a Francia e Germania, 27% più elevato che in Spagna, 3% più che in Gran Bretagna. In questi anni abbiamo perso dieci punti rispetto a Francia e Germania, siamo stati raggiunti dalla Spagna e di nuovo superati dalla Gran Bretagna. Quando un Paese non cresce le opportunità scompaiono e ciascuno si tiene stretto quello che ha: mentre mercato, merito, concorrenza—i fattori la cui assenza è all’origine della mancata crescita—spaventano. I cittadini preoccupati chiedono protezione, qualcuno la promette e il Paese si avvita. (Il paragone, lo so, indispettisce, ma la storia del declino dell’Argentina —un Paese che ai primi del ’900 era ricco quanto la Francia—inizia, con Peron, proprio così). Il tentativo di convincere la sinistra che mercato, merito e concorrenza sono gli strumenti per sbloccare l’Italia—devo ammetterlo — è fallito. Con Prodi la sinistra ha perso un’occasione storica: anziché sbloccare la società ha essa pure offerto protezione. Ma chi ha protetto? Non chi temeva la globalizzazione — che infatti si è fatto proteggere dalla Lega—ma il sindacato, anzi i suoi leader. Temo ci vorrà qualche legislatura per riparare questo errore. I nuovi interlocutori dei «liberisti» (come sostiene da qualche tempo Franco Debenedetti) oggi sono i «protezionisti»: sbagliano la diagnosi, ma hanno saputo cogliere e interpretare meglio della sinistra le angosce di tanti cittadini. E tuttavia la risposta alla «mobilità planetaria» non può essere il congelamento della mobilità domestica. Una società congelata non solo è ingiusta: si illude di proteggersi, in realtà spreca le sue risorse migliori e deperisce. E’ un lusso che forse possono permettersi gli Stati Uniti: per l’Italia sarebbe un suicidio. 30 aprile 2008 |
30-04-2008, 16.59.33 | #39 | |||||||||
farabutta
Data registrazione: 05-02-2008
Messaggi: 327
|
Riferimento: Possibile un Capitalismo Etico ?
Citazione:
Le nuove tecnologie sono frutto del liberismo? o anche in mancanza di esso hanno una loro crescita. Citazione:
Citazione:
Citazione:
Citazione:
Citazione:
Citazione:
E' un mio pensiero da incompetente, ma l'Europa Unita non s'impone abbastanza per il potenziale che abbiamo, sia politicamente che economicamente, di fatto non siamo poi così uniti forse, e manteniamo ancora troppo l'identita delle diverse nazioni. Citazione:
Citazione:
|
|||||||||
30-04-2008, 17.16.36 | #40 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 19-03-2007
Messaggi: 216
|
Riferimento: Possibile un Capitalismo Etico ?
C'e' solo una frase che non condivido in pieno:
Citazione:
|
|