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Cultura e Società - Problematiche sociali, culture diverse.
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Vecchio 04-11-2007, 15.56.41   #1
nexus6
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Post Sulla scuola e sull'insegnamento: considerazioni utopiche.

Mi spingerò in questo scritto a qualche breve ed abbozzata considerazione “utopica” (dal greco oy = non e topos = luogo, dunque non-luogo, come considerazioni, modelli, idee che non hanno alcun luogo dove vivere ovvero non attuabili, non realizzabili; ma io aggiungerei, e forse è sottinteso, -ora-. Ovvero considerazioni, modelli, idee appunto non “attuabili” come non attualizzabili, allo stato “attuale” delle cose) su scuola ed insegnamento. Mi rendo conto che tali considerazioni potrebbero abbracciare facilmente la società e per esempio il ruolo della religione, ma qui sorvolerò su tali questioni, anche se naturalmente sono strettamente connesse.

Il presupposto, credo condivisibile, che la scuola sia tra i principali organismi che influenzano la crescita di un essere umano, mi sollecita riflessioni che siano il più possibile scevre da condizionamenti imposti dalla, dalle società in cui viviamo, imposte direi proprio anche e soprattutto tramite gli organismi che sono attualmente le scuole. Perché se un esercito altro non è che il braccio armato di un governo, a cui noi e nessun’altro diamo il diritto di possederlo ed utilizzarlo, la scuola altro non è che la sua infanzia, adolescenza e gioventù ovvero, direi, la sua mente.


Il primo punto-tesi a cui, forse, seguiranno degli altri:

1) Sostenere e far fiorire la coscienza, già presente da principio, nei singoli individui, tramite l'organismo "scuola".

Premessa.

La maggior parte delle ore, dei giorni, degli anni impiegati nelle scuole attuali affermo che non mirino con priorità alcuna al punto che ho nominato con 1). Ciò che mirano è invece acriticamente continuare a perpetuare lo stato attuale delle cose, dove la tensione è principalmente volta a creare cittadini delle società e del mondo attuali e non a favorire lo sviluppo dei singoli individui, come unici centri al di sopra ed al di là di ogni norma, regola, legge, morale arbitrariamente imposta. Le norme vengono applicate dall’alto verso il basso e coercitivamente si insegna negli anni a rispettarle e con cura ci si preoccupa di condizionare esseri potenzialmente e tremendamente liberi affinché conoscano quali sono le punizioni per coloro che non adempiono alle “regole”, alle “leggi”, senza alcuna reale discussione critica o quantomeno timidi semi catalizzatori affinché questo possa avvenire. La scuola tende a produrre nient’altro che burocrati timorosi dell’autorità, che nelle loro future mansioni potrebbero essere sostituiti tranquillamente da “teste di legno”.

<< È in questo modo che la massa degli uomini serve lo stato, non principalmente come esseri umani ma come macchine, con i loro corpi. Essi sono l’esercito, la milizia, i carcerieri, i poliziotti, il comitato civico per garantire l’ordine, ecc. Nella maggior parte dei casi non vi è il benché minimo esercizio libero della capacità di giudizio o del senso morale; al contrario essi si pongono al livello delle piante, del suolo, delle pietre; e, forse, si potrebbero produrre teste di legno che servirebbero altrettanto bene allo scopo. >> (H. D. Thoreau “Disobbedienza Civile” 1848, di cui parlerò al termine di questo scritto).

Ciò comporta un tremendo impoverimento di quel potente e libero essere, che represso da ogni parte, famiglia, religione, scuola, tenderà ad esprimere la propria creatività, in modo distruttivo verso se stesso e dunque verso gli altri, come fossero fantasmi d’autorità che ognuno vede in se stesso e negli altri, pronti a privarlo ancor più del proprio carattere, della propria individualità, della propria libertà.

Mi oppongo, dunque, alla forma di insegnamento e trasmissione del sapere attuale che altro non sono che nefaste trasmissioni millenarie di potere ed autorità, raccogliendo in punti, per una più agevole lettura, le idee che mi accingo ad esporvi.

1°) Propongo che centrale diventi nelle scuole “elementari” l’idea di un mutuo e reciproco scambio di conoscenze e saperi tra insegnanti ed alunni. Non più l’insegnante podestà ed autorità indiscussa che insinua nelle giovani menti il tarlo del potere e della sopraffazione, l’idea che vi sia una gerarchia da rispettare ed un sapere indiscutibile ed indiscusso che si tramanda tramite l’esercizio del potere. Non più ciò, dunque, ma un’interazione già sin dal principio, poiché è qui che risiedono i problemi futuri, un’interazione che porta le “piccole” menti, “piccole” solo come età anagrafica, a sentirsi attivamente e creativamente partecipi del processo d’apprendimento, instillando a poco a poco l’idea che la figura dell’insegnante debba imparare da loro tanto quanto loro imparino da essa. Ogni componente del gruppo dovrebbe essere un’entità che “apprende”, sentita realmente dagli altri in questo preciso ed essenziale modo; ognuno dovrebbe sentirsi partecipe, secondo il proprio carattere e peculiarità, a questa opera di creazione. L’insegnante è un essere umano che conosce delle cose; i bambini esseri umani che conoscono altre cose: gli uni e gli altri si associano in gruppi affinché vi sia uno scambio reciproco di sostanze, di conoscenze, di idee, di umanità, non gerarchicamente, dogmaticamente, ideologicamente imposte dall’uno sugli altri.

2°) Ogni idea o concetto qualsivoglia dovrebbe essere criticamente discusso ed anzi si dovrebbe cercare di instillare nelle menti il seme del dubbio e dell’accettazione critica; ciò dovrebbe occupare la maggior parte del tempo e non la semplice e barbara imposizione di idee, concetti, come affermo avvenga la maggior parte delle volte in ogni scuola di ordine e grado. Si potrà sviluppare poi un dibattito all’interno delle singole materie per approntare i metodi più appropriati per far ciò. Vorrei affermare nuovamente che barbaro è questo tipo di insegnamento, perché da un lato giunge a far ingiustamente odiare, data l’imposizione di potere, concetti ed idee che invece tanto potrebbe dare se discussi liberamente e criticamente; dall’altro contribuisce essenzialmente a creare individui vuoti e privi di reale coscienza d’azione, per esempio, persone, che con il proprio voto acritico o consenso diretto o tacito conferiranno il diritto al proprio stato di sganciare tonnellate di bombe in questa o quella parte del mondo, pur avvertendo in se stessi il conflitto tra ciò che è “giusto” e ciò che si ritiene nel proprio cuore e coscienza “giusto”.

3°) Favorire, dunque, sin dal principio l’atteggiamento critico verso ogni idea o concetto che si intende far passare nelle menti di ognuno; con ciò intendo, favorire l’idea, anche questa non ideologicamente, che il singolo può interrogarsi e porsi ogni sorta di dubbio su qualunque minima cosa gli arrivi dall’esterno, da qualunque persona o entità, qualunque stato, legge, norma, governo, religione, famiglia. Ognuna di tali percepite entità non è in alcun modo superiore alla coscienza del singolo. Affermo fondamentalmente che la coscienza, che in questo modo si favorisce, non è imposta anch’essa ideologicamente dall’esterno, ma è già in fieri presente in ogni essere umano non calpestato sin dalla nascita e tale modalità sarebbe solo un espediente, non ripeto per crearla, ma per sostenerla, assecondarla, nutrirla soprattutto in situazioni di disagio per i piccoli, quali potrebbero essere per loro la crescita nefasta in una famiglia ed in una società disastrata.

... (continua)...
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Vecchio 04-11-2007, 16.32.39   #2
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... continua...

4°) Il ruolo degli insegnanti è naturalmente molto importante e determinante in tutto ciò. Gli insegnanti ormai sono attualmente stati tutti indottrinati secondo l’attuale modello di sapere-potere che ne siano coscienti o no, dalle scuole elementari sino all’università, in modo organizzato e cristallino; meglio dunque che se ne rendano presto conto, con una consapevole analisi su se stessi date le enormi responsabilità che ogni secondo si trovano a gravare sulle proprie spalle. Il mestiere dell’insegnante credo sia il compito più eroico ed importante che mai possa essere immaginato nell’umanità passata e presente. Sì, li definirei degli eroi moderni. Queste persone dovrebbero consapevolmente rendersi partecipi dei processi su citati, favorendo il senso critico di ognuno, secondo le proprie potenzialità, carattere ed attitudini e contribuendo a creare -realmente- un clima attivo di partecipazione definirei “orizzontale”, in cui come ripeto ognuno è soggetto -imprescindibile- nel mutuo scambio di conoscenze ed idee, l’insegnante in primis. I bambini tanto hanno da comunicare, un intero libero mondo in interazione con altri mondi, gli altri, le idee, il sapere, mondi ancora per quanto è possibile non alienati, non barbarizzati, non impoveriti e distrutti. L’insegnante dovrebbe mostrarsi ed effettivamente e realmente essere interessato a questi infiniti mondi ed alle dinamiche di interazione, ne dovrebbe fare la propria vita e tale dovrebbe essere il protagonista del tempo impiegato nelle scuole. Una certa nozione di geografia, storia e matematica dovrebbe essere discussa apertamente e liberamente da chi lo volesse e l’insegnante dovrebbe favorire, sostenere e nutrire il dibattito ed il reciproco confronto, ciò dovrebbe occupare la maggior parte del tempo e non l’inutile e nefasto “martellamento” di nozioni presto dimenticate dagli studenti.

5°) Ciò che non verrà dimenticato è invece il modo in cui quel martellamento è stato e continuerà sino all’università, e oltre, ad essere attuato, una modalità in cui un’autorità indiscussa, secondo una certa gerarchia, impone con l’esercizio del potere una qualsivoglia idea. L’idea sarà presto dimenticata, come la capitale dell’Australia, ma non certo il modo in cui è stata insinuata dentro le menti. Affermo che questo modo è una violenza contro il singolo individuo, contro la sua umanità e creatività e chi continua consapevolmente a perpetuarla, senza alcun moto di dubbio, si rende partecipe di una grave nefandezza che va ed andrà ad incidere sul presente e sul futuro dell’intera umanità, come corpus unico abitante questo pianeta.

6°) Ogni qualsivoglia concetto andrebbe insegnato, ovvero andrebbe reso il gruppo partecipe di tal concetto, con cura ed amore, come un prezioso dono che l’insegnante desideroso fa agli studenti con i quali si trova a conversare ed al pari desideroso di riceverne le impressioni, le reazioni, i commenti, le critiche, i rifiuti, i vari tipi di accoglimento che il singolo crea in virtù del proprio personale mondo. Affermo nuovamente e ribadisco con fiducia l’idea che la coscienza del singolo, anche di un bambino, è superiore a quella di qualsivoglia organizzazione, regolamento, norma, gerarchia precostituita. Affermo, o piuttosto sposo l’idea già da millenni presente nel patrimonio umano d’oriente ed occidente, che dalla coscienza del singolo, se sostenuta sin dal principio, realmente nutrita, fatta fiorire con fiducia, non calpestata o mutilata in qualche modo, possa scaturire spontaneamente un agire che tenda a non prevaricare, a non violare e violentare le altre coscienze, sentendo che si è parte di un unico organismo e perciò sorgere la responsabilità intrinseca, e non imposta dall’alto, di ogni più sottile e piccolo gesto nella trama fittamente tessuta nella quale viviamo.

Tale è l’aspirazione utopica che scaturisce da questa breve trattazione che qui concludo, nella speranza di non avervi annoiato; “utopia” nel senso precisato all’inizio, perché sono fiducioso che la potenza dell’immaginazione possa portare alla realizzazione delle proprie creazioni.

Consapevolmente, come già detto, le affermazioni qui scritte sono solo filtrate dalla “mia” coscienza, e non credo propongano nulla di nuovo rispetto al patrimonio di idee umane, per esempio considerando le conseguenze delle teorie anarchiche e scritti come quello di Henry David Thoreau, “Disobbedienza civile” (1848), che vi invito, più di queste parole, a leggere, visto è stato d’ispirazione ad uomini come Gandhi e Martin Luther King e d’altronde credo anche ai movimenti anarchici e radicali d’ogni nazione. (per esempio qui: http://www.panarchy.org/thoreau/disobbedienza.1848.html).

Cito infine altri piccoli stralci del saggio di Thoreau, per farvi ancora assaggiare, al di là delle sue idee condivisibili o meno, la forza dell’animo e la sua prosa tagliente:

<< Non è desiderabile coltivare il rispetto per la legge, quanto quello per la giustizia. Il solo dovere che ho il diritto di praticare è di compiere in ogni occasione ciò che ritengo giusto. Si è abbastanza nel vero quando si dice che un gruppo non ha coscienza; ma un gruppo composto da persone rispettose degli altri è un gruppo con una coscienza. La legge non ha mai reso la gente più giusta nemmeno di un millesimo; anzi, attraverso l’osservanza della legge, persino individui disposti al bene sono resi quotidianamente agenti di ingiustizia. Un risultato comune e naturale di un rispetto sbagliato per la legge è che ti può capitare di vedere una fila di militari, con il colonnello, il caporale, i soldati semplici, i ragazzi addetti alla polvere da sparo e tutti gli altri, che marciano in perfetto ordine per monti e valli, andando in guerra, contro la loro volontà e di certo contro il loro buon senso e la loro coscienza, il che rende la marcia davvero molto faticosa, e produce palpiti nel cuore. Essi non hanno alcun dubbio che si tratta di una vicenda odiosa in cui sono finiti dentro; sono tutti disposti alla pace. Adesso, cosa sono? Uomini veri? o piccole fortificazioni e depositi di munizioni in movimento, al servizio di qualche personaggio potente senza scrupoli? Si visiti l’arsenale della Marina e si osservi un marinaio, di quelli che un qualsiasi governo americano può produrre o che potrebbe generare uno stregone con le sue arti magiche – semplici ombre e pallidi ricordi dell’umanità, uomini finiti pur essendo ancora in vita e all’impiedi, ma già, si potrebbe dire, sepolti sotto le armi con tanto di orazione funebre... >>

<<Assegna il tuo voto in maniera piena, non con un semplice pezzo di carta, ma con tutta la tua volontà di influire sulle cose. Una minoranza è impotente fino a quando si conforma alla maggioranza; in quel momento non è nemmeno una minoranza; invece è irresistibile quando si oppone con tutto il suo peso. Se l'alternativa è quella di tenere in prigione tutte le persone giuste, o cessare la guerra e smetterla con la schiavitù, lo Stato non avrebbe dubbi sulla scelta. Se mille individui non pagassero le loro tasse quest'anno, quella non sarebbe una misura violenta e sanguinosa, come lo sarebbe il pagarle, e consentire allo Stato di commettere violenza e di versare sangue innocente. Questa è, infatti, la definizione di una rivoluzione pacifica, ammesso che essa sia possible. Se l'esattore delle tasse, o qualsiasi altro pubblico ufficiale, mi chiedesse, come è avvenuto: "Ma cosa dovrei fare?", la mia risposta è: "Se davvero vuoi fare qualcosa, abbandona il tuo incarico." Quando la persona soggetta ha rifiutato obbedienza, e il pubblico ufficiale ha dato le proprie dimissioni dall'incarico, allora la rivoluzione sarà compiuta. Ma anche supponendo che il sangue scorra. Non vi è una sorta di sangue versato quando la coscienza è ferita? Attraverso questa ferita la vera essenza e immortalità di un essere umano fuoriescono ed egli si dissangua fino ad una morte senza fine. Vedo questo sangue scorrere adesso.>>

Non ho voluto riportare delle citazioni per rafforzare o dare più importanza, autorità a questo scritto, quanto per esporre in modo sintetico e probabilmente più forte di questo, delle idee che mi sono state e mi sono d’ispirazione e, direi, conforto.

A. P.
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Vecchio 04-11-2007, 20.22.20   #3
S.B.
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Riferimento: Sulla scuola e sull'insegnamento: considerazioni utopiche.

Molto interessante, anche se trovo da ridire su non poche cose.

In primis dove affermi:

Citazione:
Propongo che centrale diventi nelle scuole “elementari” l’idea di un mutuo e reciproco scambio di conoscenze e saperi tra insegnanti ed alunni.

Cosa possono insegnare gli alunni? cosa dovrebbero discutere all'età di 10 anni? L'ultima puntata di Dragon Ball?
Ogni rapporto umano è diseguale, per la natura diversa degli uomini, insegnargli che non è vero porta solo degli egoisti incapaci di ascoltare, vuoi insegnare il concetto di comunità come insieme di Io agenti in armonia a dei bambini che litigano per le figurine? Auguri.

Citazione:
Ciò comporta un tremendo impoverimento di quel potente e libero essere, che represso da ogni parte, famiglia, religione, scuola,

Da quando non entri in una classe media o superiore? Troppo se non ti sei accorto chi reprime chi.

Citazione:
Ogni idea o concetto qualsivoglia dovrebbe essere criticamente discusso ed anzi si dovrebbe cercare di instillare nelle menti il seme del dubbio e dell’accettazione critica; ciò dovrebbe occupare la maggior parte del tempo e non la semplice e barbara imposizione di idee, concetti, come affermo avvenga la maggior parte delle volte in ogni scuola di ordine e grado.

Giusto in teoria, ma, hai una minima idea di cosa vorrebbe dire spiegare il teorema di Pitagora a partire dai postulati di Euclide?
Credi che gli adolescenti che vanno a fumare le canne in ricreazione (perchè questa è la tremenda repressione della legge) sarebbero minimamente in grado di discutere sulla dimostrazione di un integrale? O sul ruolo della coscienza negli impressionisti?
Se per caso fossero in grado possono sempre alzare la mano, ai prof. di oggi si bagnano gli occhi ogniqualvolta accade.

Citazione:
con ciò intendo, favorire l’idea, anche questa non ideologicamente, che il singolo può interrogarsi e porsi ogni sorta di dubbio su qualunque minima cosa gli arrivi dall’esterno, da qualunque persona o entità, qualunque stato, legge, norma, governo, religione, famiglia. Ognuna di tali percepite entità non è in alcun modo superiore alla coscienza del singolo.


Questo è il ruolo della filosofia, che pure non si caratterizza come puro sentimento distruttivo, uno spirito che ha già visto la distruzione cerca di ricostruire, chi ama la distruzione ceca è un ingenuo.
Ho sentito che c'era un progetto per studiare filosofia già alle elementari, proprio per implementare l'approccio critico generale, senza per questo perdere troppo tempo per ogni materia.


Citazione:
Gli insegnanti ormai sono attualmente stati tutti indottrinati secondo l’attuale modello di sapere-potere che ne siano coscienti o no, dalle scuole elementari sino all’università, in modo organizzato e cristallino;

Sapere è potere, un professore pieno di sé è un professore pieno di sé.
Persino nelle facoltà scientifiche, quelle, ovvero, dove il nuovo dovrebbe avanzare incalzante, in realtà nessuno studente si sognerebbe mai di mettere in discussione nella sua tesi il paradigma generalmente accettato in un dato campo.
Anche la scienza è in parte dogmatica. Vedi Kuhn.

Citazione:
Una certa nozione di geografia, storia e matematica dovrebbe essere discussa apertamente e liberamente da chi lo volesse e l’insegnante dovrebbe favorire, sostenere e nutrire il dibattito ed il reciproco confronto, ciò dovrebbe occupare la maggior parte del tempo e non l’inutile e nefasto “martellamento” di nozioni presto dimenticate dagli studenti.

Cosa c'è da discutere sul fatto che Ulan Bator sia la capitale della Mongolia o che Ouagadougoua sia quella del Burkina-Fasu?
Il "martellamento di nozioni" può essere dannoso, concordo dalle superiori in su.
Invece mi sembra vada rivalutato l'uso della memoria nelle elementari e medie, vedo spesso che rispetto ai miei professori cresciuti con questo metodo ho difficoltà nel tenere a mente, perchè non sono allenato.
In un'età in cui ancora non si possono capire a fondo i concetti è bene allenare la mente e la memoria.

Citazione:
Affermo, o piuttosto sposo l’idea già da millenni presente nel patrimonio umano d’oriente ed occidente, che dalla coscienza del singolo, se sostenuta sin dal principio, realmente nutrita, fatta fiorire con fiducia, non calpestata o mutilata in qualche modo, possa scaturire spontaneamente un agire che tenda a non prevaricare, a non violare e violentare le altre coscienze, sentendo che si è parte di un unico organismo e perciò sorgere la responsabilità intrinseca, e non imposta dall’alto, di ogni più sottile e piccolo gesto nella trama fittamente tessuta nella quale viviamo.

Dubito che possa accadere, ma se anche accadesse sarebbe una conquista individuale, non raggiungibile grazie a un sistema che te la pone come scelta facile e ovvia, fare il "bene" comporta uno sforzo iniziale.

Citazione:
Non è desiderabile coltivare il rispetto per la legge, quanto quello per la giustizia. Il solo dovere che ho il diritto di praticare è di compiere in ogni occasione ciò che ritengo giusto.

Due persone possono ritenere giuste due cose diverse, questo discorso è banale all'inverosimile, non tiene conto dei conflitti, non tiene conto che la legge è un tentativo di formalizzazione di ciò che alcuni hanno ritenuto giusto.
Non tiene conto che se c'è un conflitto tra etica personale e legge la soluzione non è sempre così ovvia, perchè come dice Max Weber, esiste un'etica della responsabilità che è tipicamente politica.

Un interessante discorso sulla scuola è iniziato da Stuart Mill in On Liberty, capolavoro a difesa dlle diversità, contro il pericolo di una dittatura della maggioranza.
Mill vede nella scuola pubblica una eccessiva omogeneità, che stride con la pluralità del mondo, propone quindi di permettere lo svilupo di diversi tipi di scuole, di cui solo alcune statali e altre private o religiose, etc.
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Vecchio 05-11-2007, 12.56.09   #4
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"Molto interessante, anche se trovo da ridire su non poche cose."

Ti dirò, sento come quelle parole fossero state scritte da un altro eppure ho memoria che le abbia scritte io, dunque da una parte ti ringrazio, ma dall’altra mi domando perché dovrei. Mi fa comunque piacere tu abbia trovato cose su cui “ridire”, meno male aggiungerei. Mi trovo qui pressato da una parte nello scrivere, dall’altra con la forte propensione a domandarmi il perché ed a starmene in silenzio. Beh... ho piacere nel farlo, dunque mi rimetto l'abito di ieri con la pelle di oggi per rispondere alle tue interessanti considerazioni.


Ebbene che cos’hanno da insegnare dei bambini agli insegnanti? Perché, come affermi, ogni rapporto umano è diseguale, per la natura diversa degli uomini, giusto? Sì, gli uomini sono dotati, in un certo senso, di “natura diversa”, ma in un altro senso di “natura eguale” e ciò che rende ogni rapporto umano diseguale e anche al medesimo tempo ciò che lo rende eguale; insegnare ciò, e non certo come dici tramite un sistema che “te lo ponga” come indottrinamento facile e comodo, ma come una “emersione” di una coscienza già presente in potenza e di fatto in ognuno, è ciò che quest’utopia si propone, portando a suo sostegno ora altre parole.

Sostengo, dunque, come si può leggere nello scritto precedente, che l’insegnante ha eccome da imparare dai bambini, per esempio i meccanismi di interazione tra i singoli mondi, tutti -differenti- e sempre nuovi, che vengono a contatto ed il rapporto tra questi singoli e ciò che viene proposto come argomento d’apprendimento. E’ l’insegnante quello che il più delle volte proporrebbe consapevolmente un argomento da discutere, ma questo non implica assolutamente il fatto che nulla abbiano da proporre i bambini; essi propongono, eccome, il loro mondo di pensieri, di fantasia, il loro universo emozionale, fatto, certo, anche di cartoni animati e l’insegnante dovrebbe coscientemente interessarsi di ogni più piccola espressione di quel mondo, i suoi moti, le motivazioni profonde, discutere apertamente ed a lungo sul perché, magari, la maggior parte preferirebbe vedere la tv piuttosto che imparare la capitale della Mongolia.

Ecco chiedere ad ognuno, secondo il proprio carattere, perché sarebbe opportuno conoscere la capitale della Mongolia; è veramente opportuno, serve? Cos’è la Mongolia? Dove sta? Perché mi dovrei interessare della Mongolia, quando stanno per dare l’ultima puntata del mio cartone animato preferito? Vivono dei bambini anche in Mongolia? Ed in Burkina-Faso? Vivono anche lì dei bambini come loro? Sono come loro? E come vivono? E come chiamano i propri genitori? Li vogliono bene? E le città, ci sono delle città, dei paesi? Sono organizzati come noi? Perché, anche se paiono così differenti da noi? C’è una capitale? Cos’è? Come la chiamano? E’ utile per noi impararne il nome?

Dunque, come vedi, e questa è solo una piccola dimostrazione, si può discutere eccome pure sulle capitali del mondo, il classico esempio d’apprendimento che sembrerebbe meramente mnemonico. Sulla pressante opportunità dell’utilizzo della memoria per “allenare” la mente non saprei risponderti, non ho intenzione di discutere su ciò che non conosco; d’altronde anche a me ogni settimana la maestra faceva imparare a memoria una poesia (preferibilmente Leopardi) e già allora mi chiedevo a che sarebbe servito studiare e ripetere come un pappagallo “E sempre caro mi fu quest’ermo colle...”

Ora quei versi mi sono entrati nel sangue e, dunque, lo devo anche alla perizia e all'amore della mia maestra elementare; così come devo ciò che sono ad altri insegnanti che mi hanno ispirato con il loro esempio, sparuti casi che si avvicinano a ciò che è il modello utopico dello scritto precedente, insegnanti delle materie più disparate, dalla matematica al latino, dalla letteratura alla fisica, che ricordo e ricorderò sempre con affetto nella marea d’esempi nettamente negativi o classificabili come “normali” e cioè sempre omologati all’indottrinamento generale.

La mia insegnante del liceo di letteratura italiana e latina non “insegnava”, quasi ogni giorno avveniva un colloquio informale e acceso su temi d’attualità, ma più che altro sulle sue riflessioni letterarie e filosofiche ed era realmente interessata a ciò che ognuno di noi aveva da dire; partecipavano al “dibattito” anche studenti che mai si sarebbero sognati, sotto la pressione martellante di un’autorità, di studiare il ruolo del poeta nella società moderna o perché, per chi in realtà uno scrittore scrivesse; talmente interessata che tentava di trarre il meglio anche dalle banalità che puntualmente venivano fuori ed alla fine del quadrimestre si trovava il registro vuoto, perché di voti non ne aveva assegnati (e d’altronde il registro anarchicamente non lo teneva lei, ma uno di noi, anche se non c’era granché da scrivere); beh... alla fine del quadrimestre ed ogni tanto durante l’anno, più per affetto, che per una reale volontà, l’aiutavamo, cioè mutuamente ci aiutavamo a compilare quell’insieme di fogli e vedevo, ancora con mia sorpresa, che, lasciate veramente le cose così come erano, allo “stato naturale” cioè non controllato, il sistema “gruppo” tendeva spontaneamente ad un’autoregolazione ed i voti che venivano scritti, a seguito di affrettate interrogazioni su argomenti a piacere, erano sorprendentemente “giusti”; c’erano sottili discussioni tra quasi tutti i partecipanti e si vedeva chiaramente il moto d’animo interno di colui che non era affatto interessato allo studio, moto che lo spingeva, nonostante una parte di sé si opponesse, a farsi assegnare un voto equo nei confronti degli altri.

Mi ricordo che Confucio, preoccupato in tempi bui di fornire una retta morale che sarebbe dovuta essere seguita da sovrani ed uomini, quando incontrò Lao Tsu, ne uscì fuori dai dialoghi con quest’ultimo come “stordito”, poiché proprio sottolineava la necessità invece di "lasciare le cose come sono" contro la mera imposizione delle leggi, confidando nello spontaneo equilibrio del fluire delle cose (sperando di non aver troppo banalizzato, per migliori informazioni chiedi a VanLag e leggi da Riflessioni.it: https://www.riflessioni.it/angolo_fil...ti/lao_tse.htm); Confucio si convinse d’aver incontrato un “dragone”, un essere mitico, "positivo" e "buono" nella mitologia cinese, il quale, sottolineo mia interpretazione, avrebbe potuto però rappresentare un vero "pericolo", ma per cosa, se non per la perpetuazione dell'attuale stato di cose, dove, come afferma pure Thoreau, la legge non fa altro che produrre individui "fuori legge", seppur in coscienza disposti al "bene"?

Cito, per affetto verso la figura di Chuang tsu, il suo libro omonimo, dal cap. XIV: << Kong-zi (ndr: cioè Confucio) andò a trovare Lao Dan (ndr: cioè Lao Tsu) e gli espose le sue idee sulla bontà e sulla giustizia. [...]
“Se le zanzare ed i tafani pungono la pelle, gli uomini non possono più dormire la notte. Così la bontà e la giustizia turbano penosamente lo spirito; non esiste turbamento maggiore di quello causato da queste virtù. Se volete che il mondo conservi la semplicità primaria agite dunque come soffia il vento e secondo la virtù originaria. Perché mettere sempre avanti la bontà e la giustizia, come uno che per ritrovare il proprio figlio in fuga facesse battere il tamburo? [...] Quando la sorgente si esaurisce, i pesci dello stagno si rifugiano del fango. Si scambiano i loro aliti umidi e si bagnano l'un l'altro con le loro bave. Questi pesci miserabili non potrebbero essere paragonati a quelli dimentichi di sé nei fiumi e nei laghi.”
Dopo questa visita Kong-zi rimase tre giorni senza parlare.
I suoi discepoli gli chiesero: “Maestro, avete visto Lao Dan, quale lezione gli avete dato?”
“Questa volta ho visto il drago”, disse Kong-zi.
“Quando il drago si raggomitola su se stesso forma un corpo opaco; quando si distende forma disegni brillanti. Cavalca le nubi e i vapori, nutrendosi dello yin e dello yang. Rimasi a bocca aperta e non riuscii a chiuderla, come avrei potuto dargli una lezione?” >>

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Bene, ritornando alla mia insegnante, non ricordo quando è nato Svetonio, né francamente mi interessa e mi sarebbe interessato, visto ho sempre pensato non dovessi diventare un’enciclopedia... e non ricordo nemmeno gran parte degli argomenti su cui riflettevamo; ciò che però mi rimarrà sempre è lo spirito critico, “anarchico” come libero da ogni autorità e gerarchia, che mi è scorso dentro in tutti quegli anni.

Non affermo ciò sia -il- modello, ma quando vedo e so che molti argomenti, per esempio di storia e filosofia, non vengono “affrontati”, condivisi, perché follemente si spulcia e si martella la mente con la storia di Pipino il Breve... beh... affermo che sia l’istruzione, sia l’educazione ovvero tutto il sistema “scuola” attuale, non solo sia tremendamente inadatto a sfiorare gli obiettivi che già esso stesso si propone, ma sia un -nefasto- modo di perpetuare la produzione di teste vuote o al più burocrati che sapranno bene inserirsi come ingranaggi delle società attuali.

Bastano pochi stupidi esempi per rendersi conto di ciò: non c’è spesso alcun reale dibattito anche a livello politico e quando c’è, si limita al “piove governo ladro” e quando non si limita a ciò, arrivano le bandiere della pace ed i girotondi, ma si continua comunque a votare per l’uno o l’altro opposto(-?-) schieramento e dunque con quel voto si afferma la volontà di continuare a tenere in vita ed utilizzare un esercito, pur sbandierando la “pace”.

Dopo essersi fatto una canna, chiederei allo studente: perché non ti interessa studiare il teorema fondamentale del calcolo integrale? Sai che c’è gente che si è rotta la schiena per formalizzare tutto ciò? Non sarcasticamente, ma interessato alla risposta ed anzi stimolando l’apertura di un dibattito critico sull’opportunità e l’utilità di ognuna delle nozioni che entrano nella mente, magari proprio approfondendo la storia dei personaggi e delle menti dietro quei concetti, le loro vicende personali, le loro difficoltà, passioni (per es. spiegando il concetto di entropia partendo dal fatto che il suo “creatore”, Boltzmann si è suicidato proprio forse a causa della sua idea), così da calare quelle idee dall’empireo irraggiungibile in cui stanno attualmente, da cui il sacerdote-professore infonde, con la propria gerarchia di potere, il concetto nelle menti degli ignoranti. Affermo, dunque, non cercherei coscientemente di violentare in alcun modo una coscienza, imponendo la mia autorità a ragazzi, quelli per esempio di un liceo, il cui carattere ormai è già bello che delineato ed il cui indottrinamento ed omologazione è stato già scientificamente portato a compimento. Sostengo nuovamente con decisione che il forzare un concetto tramite l’esercizio del potere è quanto di più pericoloso vi possa essere e conosco bene cosa avviene in una “classe” e chi –realmente- reprime chi. Una ragazza od un ragazzo già considerato e ridotto a mero contenitore e schiavo sin dai primordi del suo percorso, non può che spesso creativamente tentare di venir fuori, d’esplodere quella che è la propria coscienza repressa, reprimendo a sua volta, violentando a sua volta e vedendo fantasmi d’autorità da “combattere” in chiunque, pure in un professore magari ispirato da Socrate, che tenta di tirar fuori dolcemente qualcosa; questa non è che una dimostrazione, come altre me ne fornirai, del fatto che l’attuale organismo “scuola” è una perpetuazione nefasta dell’idea che il singolo sia “giusto” si pieghi e metta sotto i piedi la propria libera e creativa coscienza.

Dici: “Sapere è potere, un professore pieno di sé è un professore pieno di sé.”

Bene, che vada ad esprimere le sue frustrazioni di bambino ancora non cresciuto da un’altra parte, ma non in una qualsivoglia scuola; bambini cresciuti in un’atmosfera differente da quella attuale, stimolati ad un perenne confronto critico e sostenuti –realmente- nello sviluppo della propria singola peculiare coscienza, un professore del genere tenderebbero spontaneamente a rifiutarlo, a rigettare in modo naturale e non violento i suoi metodi e dunque la “decisione” del suo allontanamento non verrebbe dall’alto, imposta secondo una certa gerarchia di regole (da cui affermo potrebbe, sì, derivare una situazione di "violenza"), ma scaturirebbe a poco a poco dalla coscienza del gruppo. So bene che questo semplice esempio, peraltro appena abbozzato, potrebbe aprire il dibattito su tutta una serie di conseguenze, primariamente su ciò che potranno essere le dinamiche di persone così formate con le “società”, persone direi “pericolose”, ma ora come ora mi viene da lanciare idee e non mi preoccupo di ciò che la sorte ha riservato per loro.

Non ho bisogno, d'altronde, di andare a vedere Kuhn, basta accorgersi di casi come quello della fusione fredda, per esempio; so bene che anche l’ambiente scientifico, non la scienza, può essere altamente dogmatico, ma questo non è che una conferma di tutto ciò che mi sta venendo da scrivere e, se vuoi, un motivo per riflettere ed agire dalla “base” del sistema d’apprendimento. I paradigmi non esistono, se non nella mente di individui scientificamente piegati alla gerarchia; esistono solo dei parrucconi e le loro menti ormai polverose, ma che sono talmente incarnate nel “sistema” che sembra ne rappresentino l’essenza ed effettivamente è così, perché i fondi vengono proprio la maggior parte assegnati da coscienze morte del genere. Ma questo, ancora una volta, non è forse una prepotente spinta per proporre un qualcosa di –realmente- nuovo?

Ho letto proprio poco Mill ed il suo saggio “On liberty”, ma non credi che con le sue critiche all’istruzione di stato ed all’omologazione delle conoscenze e d’altronde nell’evidenziare il pericolo di una “dittatura della maggioranza”, come sono tutte le attuali democrazie, Mill abbia fornito spunti positivi ed in accordo con queste presenti parole?

Per quanto riguarda le critiche a Thoreau, non è che mi vada di difenderlo, non so perché dovrei farlo, visto che sono d’accordo che, ti cito, “due persone possono ritenere giuste due cose diverse, questo discorso è banale all'inverosimile, non tiene conto dei conflitti, non tiene conto che la legge è un tentativo di formalizzazione di ciò che alcuni hanno ritenuto giusto”; non credo però che tale discorso sia affatto banale, anche se ciò tenderebbe ad esulare dalle presenti riflessioni. Ti chiedo solo: e perché, se ciò andasse contro profondamente la mia coscienza, dovrei rispettare una legge, “tentativo di formalizzazione di ciò che alcuni hanno ritenuto giusto”?

Questa essendo solo una domanda tra le righe, anche se mi rendo conto c’entra eccome, soprattutto in riflessioni che riguardano la “scuola”.

Un saluto.

A.
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Vecchio 05-11-2007, 16.54.51   #6
maxim
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Riferimento: Sulla scuola e sull'insegnamento: considerazioni utopiche.

Il grande Nexus ha dato ulteriore prova del suo talento filosofico tralasciando però, a mio avviso, o meglio, non evidenziandolo in maniera appropriata, il problema fondamentale che costringe a definire l’attuale sistema scolastico il migliore dei sistemi scolastici possibili.
Per dirla alla Marx, il prodotto finale di un insegnamento scolastico dev’essere un buon prodotto per la società che l’ha istituzionalizzato…ed io dire che da questo punto di vista ci siamo alla grande!
Per non ripetere quindi le solite cose trite e ritrite sulla nostra povera società, mi permetto di suggerire al grande Nexus di porre la questione al contrario (a volte fa bene ) ovverosia partire dal prodotto che si vorrebbe esattamente ottenere per creare, dal master alla prima d’asilo nido, un percorso didattico atto a raggiungere lo scopo. Ti accorgerai che in virtù del sistema che fa funzionare codesta società, ivi compresi i tratti caratteriali dei partecipanti tutti, loro smanie ed interessi, l'insegnamento scolastico non potrebbe essere differente…pena una differente società.
Il tuo accurato e da me, in parte, condivisibile progetto utopico di insegnamento si sposa bene pertanto con il modello di società immaginato da Nexus…non dal sig. Prodi o dal sig. Berlusconi che certamente non sono responsabili delle coscienze altrui e tantomeno nutrono interesse nel favorire atteggiamenti critici su ogni idea e concetto…ma ci mancherebbe pure questa!
Mi sa che dovremo continuare a formarcele da soli ste benedette coscienze con il problema, tutto italiano, che nel momento in cui una candida coscienza arriva alle posizioni dei signori succitati le prenda una sorta di malinconia per i vecchi sistemi.

Ho apprezzato veramente il tuo impegnatissimo e maturo scritto ma per una volta soltanto lasciatemi fare lo spirituale pure a me
Sulla formazione delle giovani coscienze ho sempre avuto una idea molto particolare…soprattutto per quanto concerne il tempo dedicato all’istruzione dei bambini più piccoli. Nei tuoi interventi hai parlato di temi importanti, hai citato grandi nomi…hai portato l’esempio del teorema fondamentale del calcolo integrale come dovesse essere una passione che per forza di cose dovrebbe colpire le coscienze di tutti i nostri bimbi. Mio figlio ora ha 9 anni e quando era piccolino gli cantavo sempre una canzone dei Nomadi il cui testo è riportato qui sotto…senti che bello

Per giocare un aquilone
un gesso bianco, il vecchio muro
bastava un niente per sorridere
una bugia per esser grande.

Crescerai, imparerai
crescerai, arriverai
crescerai, tu amerai.

Bastava un niente un campo verde
una corsa e poi a pescar sul fiume
bastava un niente per sorridere
una bugia per esser grande.

Crescerai, imparerai
crescerai, arriverai
crescerai, tu amerai
il rimpianto rimarrà
di quell'età, di quell'età

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Vecchio 05-11-2007, 19.29.14   #7
gyta
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Dici: “Sapere è potere, un professore pieno di sé è un professore pieno di sé.”

Bene, che vada ad esprimere le sue frustrazioni di bambino ancora non cresciuto da un’altra parte


Citazione:
Originalmente inviato da maxim
Per dirla alla Marx, il prodotto finale di un insegnamento scolastico dev’essere un buon prodotto per la società che l’ha istituzionalizzato…


Un applauso per la sintesi acuta delle vostre conclusioni!
La salute mentale ed emotiva del bambino è frutto indiscusso della salute mentale ed emotiva dell'adulto 'levatore' od 'educatore' che si voglia!

Addestrare le menti* in formazione significa realizzare il controllo mentale,
una sorta di prolungamento del monopolio del potere intellettuale istituzionalizzato socialmente indiscusso (o ipocritamente discusso).

Gyta

*"dico: "addestrare" e non "sviluppare" (!)
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Vecchio 05-11-2007, 20.17.02   #8
VanLag
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Sulla scuola e sulla tua “utopia” ti riporto questi due stralci presi dal libro: - Da Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, di Robert M. Pirsig Edizione gli Adelphi. che sono un modo per dire che sono d’accordo con te.

Ricordate la descrizione della motocicletta che feci ne Sud Dakota? Quella in cui venivano enumerate dettagliatamente le sue varie componenti e funzioni? Vedete la somiglianza? Fedro era convinto che quello stile intellettuale avesse avuto qui le sue origini. Infatti una pagina dopo l’altra , Aristotele tirava avanti come un qualunque istruttore tecnico di terz’ordine, dava un nome a ogni parte, mostrava le relazioni reciproche, ogni tanto inventava una nuova relazione tra le cose nominate, e poi attendeva la campanella per andare a ripetere la lezione in un’altra classe.
Invano Fedro cercò tra le righe un solo dubbio, una sola inquietudine. Trovò soltanto l’eterna boria dell’accademico di professione. Aristotele pensava davvero che i suoi studenti sarebbero stati retori migliori dopo avere imparato quella sequela di nomi e di relazioni? E se per caso non lo pensava era davvero convinto di insegnare retorica? Fedro credeva di si. Dallo stile, nulla indicava che Aristotele si sognasse di dubitare di Aristotele. Secondo Fero, Aristotele era spaventosamente soddisfatto della sua piccola mania di dare un nome ed una classificazione ad ogni cosa. Vedeva in lui il prototipo dell’insegnante tronfio e ignorante che per secoli, con questo ottuso rituale analitico, con questo cieco, vacuo ed eterno dare nomi alle cose, ha ucciso lo spirito creativo dei suoi allievi.

Forme e formalismi…. Un anno dopo l’altro gli studenti del primo banco recitano la loro parte per prendere i loro aristotelici bei voti, mentre coloro che posseggono la vera “aretè” (virtù intesa come eccellenza) siedono silenziosi alle loro spalle chiedendosi che cosa c’è di sbagliato in loro, visto che la materia non gli piace.


Volevo invece commentare queste parole di Thoreau che hai riportato:

Citazione:
Originalmente inviato da nexus6
La legge non ha mai reso la gente più giusta nemmeno di un millesimo; anzi, attraverso l’osservanza della legge, persino individui disposti al bene sono resi quotidianamente agenti di ingiustizia.

e per farlo mi avvarrò ancora delle parole di Pirsig dallo stesso libro. Scrive ancora Pirsig:

“Ciò che spinge il guerriero greco a compiere imprese eroiche”, osserva Kitto “non è un senso del dovere come noi oggi lo intendiamo, dovere cioè nei confronti degli altri; è piuttosto dovere nei confronti di se stesso. L’eroe greco non aspira a ciò che noi traduciamo con la parola “virtù” ma a ciò che in Grecia si chiama “aretè”, “eccellenza”.

Ecco le continue prediche e pressioni morali ad essere buoni, a comportarci bene, ad essere etici e morali, hanno finito per sortire l’effetto contrario, perché se un uomo agisce bene il merito della sua retta azione va alla legge o al legislatore. Il bene non è quindi più motivo di orgoglio e di eccellenza ma diventa sinonimo di asservimento e di subordinazione e cade così la motivazione dell’uomo verso la retta azione e, per contro, si ha quasi l'impressione che la virtù sia “infrangere la legge”.

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Vecchio 06-11-2007, 15.54.18   #9
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Salve a tutti!

Maxim fa notare giustamente: <<Ti accorgerai che in virtù del sistema che fa funzionare codesta società, ivi compresi i tratti caratteriali dei partecipanti tutti, loro smanie ed interessi, l'insegnamento scolastico non potrebbe essere differente…pena una differente società.>>

Sì, sono d’accordo e forse non ho evidenziato abbastanza questo punto che, però, mi pareva emergere dalle “mie” parole, soprattutto quando parlo di individui, così “formati”, “pericolosi” per le attuali società, individui dunque “alieni”, non disposti ad essere “prodotto” degli attuali sistemi e forse non disposti ad essere “prodotto” di alcun sistema, contro i burocrati “teste di legno”, così ben inquadrati negli ingranaggi attuali; certo mi rendo conto con Marx, che una certa determinata buia società non sarebbe proprio ben disposta ad “istituzionalizzare” un tipo di insegnamento che tenderebbe a minare le sue fondamenta, a meno che individui particolarmente illuminati non ne iniziassero ad abbracciare le sorti e né Berlusconi né Prodi, né i vari sovrani attuali d’Oriente ed Occidente mi paiono persone granché “illuminate”...

Ho riflettuto su quanto hai scritto, Maxim, (ti faccio i miei auguri sinceri per l'educazione del "tuo" piccolo uomo... ...) e mi ricordo, e d’altronde sono d’accordo con questo “mio” ricordo, che non avevo neanche bene in mente il tipo di “società” immaginato; caratteristiche, certo, tratti somatici, ma nell’essenza solo pochi punti saldi e forse solo uno ha fatto emergere le idee, così come son venute fuori, ovvero la scintilla che nella coscienza di sé, già presente, coltivata e nutrita sin da principio (e dove, se non anche nelle “scuole”?), vi potesse essere la “risposta” ai pressanti interrogativi che da sempre, e soprattutto in questi ultimi periodi, mi pongo. Probabilmente, penso, ogni proposta utopica del passato o teoria sociopolitica è scaturita nelle menti dei “creatori” da pochi elementi fondanti, radici, semi da cui si sarebbe dovuto sviluppare un certo frondoso albero. Bene, ora mi viene da riflettere sul fatto che la genesi è differente dalla crescita e quell’albero e le sue caratteristiche saranno più o meno al pari derivate dalla “genetica” e dalle condizioni ambientali nel quale sarà cresciuto. Così le idee, che sono semi, alberi in potenza e così i neonati ed i bambini, che sono uomini in potenza e di fatto.

Non so e francamente ancora la mia razionalità mi blocca nell’immaginare il tipo di società, i tipi di società, tanti (virtualmente uno per ogni gruppo di individui che sentono profondamente, in un determinato periodo, gli stessi fini, interagenti con gli altri) che potrebbero creare individui profondamente responsabili e coscienti di sé, così come infinite sono le forme degli alberi in una foresta, ma alcuni, tanti, non cresciuti nel sottobosco, ma illuminati dalla luce sin da piccolini, hanno, secondo me, sviluppato maggiormente di altri, ciò che era il loro “programma”, ciò che quel seme sarebbe potuto essere, tutta la loro “potenza”, come sviluppo armonico di tutte le proprie peculiari potenzialità. Un albero siffatto, se notate, pur apprezzando molto le asimmetrie ed il caos, ha una straordinaria “forma” simmetrica e non ha bisogno di alcun intervento “esterno” affinché possa meravigliarci. Il nutrimento, dunque, la luce sin da neonati. Alle piante, alle idee, ai bambini, appunto. Poi non so quale sorte capiterà loro, quale foresta, filosofia di vita, società faranno emergere da loro stessi, ma rifletto sul fatto che probabilmente è anche riduttivo ora il pensarci ed il cercare d’immaginarlo nei minimi dettagli, tentando di dipingere un quadro con i più minuti particolari; questi ultimi non saranno che dettati, filtrati dalla mia razionalità, dal mio sentire che vive e si muove –ora-, così come la fantascienza ipotizza mondi futuri, ma con la mente di –ora-. Invece forse vorrei tendere a dipingere, sì, un quadro, ma con poche pennellate, pochi tratti, sfuggenti, ma interpretabili, inafferrabili, ma al contempo così stranamente presenti da sembrare paradossali.

Anch’io sono “prodotto” da questa società ed essa, essendo questo nient’altro che un nome, produce all’interno di sé, semi di mutazione per il proprio cambiamento, che la storia, la natura assorbirà e valuterà, secondo quello che è il proprio imperscrutabile percorso. Ma credo, come già detto, che la “scuola” sia quasi la “mente” di una società, nel senso dell’infanzia e del processo di crescita attraverso cui tende a perpetuare se stessa. La mente, dunque. La nostra, quella umana. E’ palese che molti meccanismi delle società non siano che riflesso di ciò che sono i percorsi mentali; mi sono accorto, come penso sia semplice vedere, che a volte tendiamo a “contrastare” l’entità società come se da essa derivasse ogni sorta di male, quando invece altro non avviene che la stessa cosa, per la quale veniamo così urtati, nella nostra mente, cioè in noi.

Esempio che mi è caro: i confini, le linee tracciate sulle mappe, quelle che dividono province, stati, continenti, perfino nel cielo li immaginiamo presenti; ebbene dove essenzialmente risiedono? Da dove scaturiscono? Se non da me, dai singoli? Ed uno potrebbe affermare che certo già ci sono e dunque sono loro, i confini, che influenzano me e non sono io a crearli, ma si potrebbe ribattere: e chi “crea” la convinzione che ciò che è stato ed è, ora, debba essere ancora? Analogamente VanLag pone in luce, secondo me, lo stesso medesimo importante meccanismo che porta l’uomo a sentire la propria “retta” azione come in realtà non fiorita dalla propria singola e peculiare coscienza, ma dalla “legge”, dalla società ed (evidenzio perché penso non potrei raggiungere sintesi migliore) <<il bene non è quindi più motivo di orgoglio e di eccellenza, ma diventa sinonimo di asservimento e di subordinazione e cade così la motivazione dell’uomo verso la retta azione e, per contro, si ha quasi l'impressione che la virtù sia “infrangere la legge”.>> (Molto belle, VanLag, anche le citazioni che hai riportato, le quali sinteticamente rendono ancor più chiari i punti salienti che ho cercato di evidenziare).

Affermo, dunque, che i “confini”, come già accennato per i paradigmi, non esistano in questo senso, non c’è perpetuazione di nulla nella realtà, ma continua e –responsabile- “creazione” in ognuno di noi; creo i confini della mia casa, della mia città, della mia regione, del mio stato, del mio continente, del mio pianeta, del mio universo, della mia mente, in ogni preciso istante. Se avvenisse ch’io mutassi e “dimenticassi” tutto ciò, con un profondo salto “quantico”, bene i confini non esisterebbero più, se non come mero ricordo di uno stravagante passato, magari da utilizzare nient’altro che come utili nomi.

... continua...
(ovvero continuo a burlarmi del limite dei 10000 , continuando a sperare di non annoiarvi)
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Vecchio 06-11-2007, 15.59.34   #10
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La mente, dunque e la sua analisi, come nient’altro che la “mente” della “società”. Ecco quella scintilla di cui parlavo, quel punto saldo, motore che sta alimentando le presenti parole in relazione alla “scuola”, alle scuole dove la mente può trovare nutrimento, sostegno, luce, ma anche oppressione, violenza, buio, come accade nelle attuali scuole; poiché per dirla analogamente, citando Gyta, <<la salute mentale ed emotiva del bambino è frutto indiscusso della salute mentale ed emotiva dell'adulto>>!

L’altra scintilla è, ripeto, la convinzione che la creatività della coscienza sia già presente, sin dal principio, come le cellule del seme contengono già il DNA di quelle che saranno le cellule della pianta e continueranno a contenerlo sempre, ognuna il patrimonio genetico –completo-... questo penso sia stra-ordinario... o forse molto ordinario, se ci si inizia a poco a poco a liberare dai condizionamenti di queste “società” ovvero presenti nelle nostre menti. Da questi sentire nascono le convinzioni sul fatto che la singola coscienza sia imprescindibilmente superiore ad ogni qualsivoglia gerarchia, potere, legge, governo precostituito. Affermo sia fatta proprio di un’altra sostanza, sia –sostanza-, essendo gli altri solo fantasmi di nomi creati da essa.

Conseguenza chiara di tutto ciò è che l’inerzia alle mutazioni che percepiamo, per esempio, nell’organismo “scuola”, altro non è che riflesso dei meccanismi di “protezione” della nostra mente e della sua paura; ha (abbiamo) inventato per esempio la parola “utopia”, così da relegare in modo confortevole le idee più pericolose e prorompenti, in un cielo lontano dalla realtà, da una possibile realizzazione. Isola i gruppi e gli individui sovversivi, creativi, stravaganti, di modo che le loro idee possano essere considerate dai più appunto estranee, aliene, folli e da biasimare dunque, pericolose, forse, e dunque da combattere il più delle volte.

Ma d’altronde queste idee, la mente, le produce; la sua creatività porta ad esplorare anche lande che potrebbero essere pericolose perfino per la propria perpetuazione, dunque, affermo facciamo in modo non siano tante occasione perdute, facendole inaridire, costringendole in una scuola che violenti il singolo, da cui si pretende un adulto che si comporti in maniera retta e giusta, come da persona con una “coscienza” si converrebbe; ma se tale potenza la si alimenta con un veleno subdolo sin da principio, come ci si può attendere che tale adulto <<addestrato>> (per usare le parole di Gyta) risponda poi in modo “saggio”, tendendo al rispetto –profondo- delle altre singole coscienze, che avverte, sì, come “differenti”, ma al medesimo istante come dotate di natura “eguale”? Come si può pretendere, rimanendo pur nell’ambito delle società attuali, che possa essere un cittadino dotato di coscienza attiva esercitata per esempio in una democrazia elettiva? Come può essere il suo voto –veramente- vagliato intimamente dalla propria coscienza, e dunque scaturire un’azione che da essa tragga sostanza, se tale luce la si violenta ed, affermo, scientificamente si tende nelle scuole ad abbatterla sin da principio? Non è forse questa una delle più profonde e pericolose ipocrisie che fondano ed hanno fondato le società antiche e moderne, così come l’iterata ed altrettanto nefasta ipocrisia della necessaria vita di arsenali con migliaia di bombe atomiche, quando ne basterebbe appena qualche unità, di quelle attuali, per distruggere ogni forma di vita su questo pianeta?

Perché se ci si illude che il cittadino venga debitamente ed ampiamente “informato”, ma poi si è metodicamente insinuata nelle “piccole” menti, per esempio l’idea che la capitale della Mongolia debba per forza essere imparata a memoria, ed anzi perdita di tempo fosse discutere criticamente e ripeto –creativamente- su ciò, bene, sostengo che l’informazione per rendere l’individuo, persona attiva e cosciente di una società “democratica”, non sia altro che una delle più grandi illusioni ed inganni della nostra mente. Paradossalmente è meno ipocrita una monarchia, nella quale, credo senza troppa immaginazione, potrebbe benissimo funzionare un sistema di trasmissione della conoscenza come quello attuale.

Tanti corollari matematici discendono da queste parole, tra i primi il fatto che le nostre democrazie non sono altro che “oligarchie” travestite, non affermo perciò neanche “dittature della maggioranza”, anche la maggioranza non ha potere reale alcuno, perché il sistema di istruzione ha teso a svuotare la “maggioranza”, appunto, degli individui della propria coscienza creativa, dunque non le rimane neanche –realmente- il “potere” d’eleggere con consapevolezza i propri rappresentanti e di prendere sul serio “posizione”, ovvero come afferma Thoreau negli stralci su citati, <<non con un semplice pezzo di carta, ma con tutta la (propria) volontà di influire sulle cose.>>


Eh... il discorso al solito si è esteso un po’ o forse no; tanti altri i pensieri collegati che mi sono e stanno venendo in mente, uno fra tutti, quello della presunta “necessità”, visto il gioco degli opposti nel quale pare ci muoviamo, di scontrarsi con un sistema che si percepisce come estraneo o peggio violento affinché si possa sviluppare anche in questo modo la propria identità; ma son proprio necessarie le bastonate, ovvero è proprio necessaria la violenza più vile, affinché quei piccoli semi possano diventare degli alberi sani e realmente sereni? Beh... direi proprio di no. Un individuo è come è, certo, anche per le difficoltà avute in una scuola come quelle attuali, ciò può essere banale, ma non mi pare motivo valido per affermare che quell’antagonismo, eufemismo spesso, sia stato necessario affinché ora egli abbia una propria peculiare coscienza; semmai è stato necessario per l’impoverimento della stessa, talmente tremendo, in alcuni casi, dove anche i genitori hanno fatto la loro pesante parte, che è difficile, come suggerisce Maxim, che quell’individuo possa “formarsela” da sé la propria “benedetta” e divina coscienza, se non assaggia almeno degli esempi di realtà differenti, realtà di “giustizia”, creatività, “potenza” come sviluppo di potenzialità e libertà di sperimentare una qualsivoglia strada appaia dinnanzi.

Lungo può essere il cammino per una persona del genere, affinché arrivi a percepire se stesso serenamente, come unicità preziosa in interazione con infinite altre preziose “unicità”. Direi quasi “singolarità”, come gli infiniti –imprescindibili- che vengono fuori in matematica per spiegare la “realtà”, tentando d’etichettare... l’innominabile.

Alla prossima.

nexus6 is offline  

 



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