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Originalmente inviato da nexus6
... ma è proprio necessario? E’ proprio necessario sentirlo così? Se veramente avvenissero delle profonde mutazioni della coscienza personale d’ognuno, non scaturirebbe da lì spontaneamente quella “mediazione” di cui parli? Secondo voi, non ci si sentirebbe parte di una “unità”, pur essendo tante infinite “unità”, se sin da principio venisse coltivato quel libero seme d’umanità presente in chiunque alla nascita?
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Prima di tutto sono convinto che gli uomini non siano, come un po’ superficialmente siamo portati a ritenere, tutti uguali. Tra di noi ci sono coloro i quali hanno necessità di sperimentare, nella loro vita, anche situazioni spiacevoli, dolorose, di contrasto con gli altri. Il loro essere uomini sembra avere uno scopo di contrapposizione, quasi di necessaria provocazione. Quelli la loro porzione di disturbo la porteranno comunque. Certo, potranno essere in minoranza e quindi meglio identificabili e controllabili, ma mai condizionabili, altrimenti saremmo passati da un condizionamento di massa a un individuale, selettivo, ma per questo non meno grave dell’attuale.
Nexus, io sono portato a ritenere che anche un bambino appena nato abbia in se una quota di eredità genetica derivantegli da ciò che il contesto sociale, familiare, culturale nel quale nasce gli ha in qualche modo trasmesso, e ci siano anche coloro i quali hanno eredità di tipo diverso, che sono difficilmente definibili genetiche, ma sono qualcosa di più. Che cosa sono?
Dico questo per sostenere la mia idea, per affermare che l’uomo di oggi, venendo da un contesto millenario in cui la libertà individuale è stata costantemente combattuta, ha una difficoltà aggettiva, direi appunto genetica, a far scaturire in se, in un tempo relativamente breve di una vita, anche se impostata nella forma di “libertà individuale garantita”, cioè nel modo ipotizzato in questo 3d, quel sentimento di unità di cui parli. Non che non sia possibile, intendiamoci, ma che richieda un tempo più lungo per diventare la nuova condizione “genetica” di un individuo, degli individui e di conseguenza del contesto sociale.
Ritengo, cioè, che non basterebbe una generazione cresciuta nel modello Utopico di cui si discute a consentirgli di diventare automaticamente quello che tu intravedi. E poi ci sono gli altri, quelli che sembrano avere quella necessità in più. Quelli non li cambi nemmeno con il carcere o con il lavaggio del cervello, la loro necessità pare essere impossibile da modificare e alcuni loro comportamenti saranno sempre condizionati da quella necessità.
Sono anche consapevole, dall’altro lato, che da qualche parte si dovrà pur iniziare e che qualcosa si dovrà pur rischiare. E poi, i cambiamenti profondi, radicali hanno in se sia un inevitabile, parte di rischio che una necessità di tempi di aggiustamento con conseguenti difficoltà.
Per dirla in modo semplice non si può, di punto in bianco, senza un periodo di transizione, dire all’uomo: da oggi sei assolutamente libero di fare ciò che vuoi, è “pericoloso”, nel senso che avremmo un periodo iniziale inutilmente doloroso. Penso si possa raggiungere lo stesso scopo con un minimo di gradualità in più, tutto qui. Ma non su tutti sarà possibile avere il risultato da te ipotizzato.
Citazione:
Originalmente inviato da nexus6
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.... ma, vi chiedo: questa “spinta” come potrebbe essere veramente efficace nelle odierne società? .......
....ma ciò che rimarrà come segno indelebile sarà la modalità attraverso cui l’imposizione del sapere come “necessità sociale” ha agito sulle menti di ognuno, iniziando a piegarle, trasformandole in contenitori, a plasmarle come ingranaggi di sistema......
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Non per niente abbiamo tutti consapevolezza che stiamo parlando di un’utopia, quindi il sapere come attuare le utopie è un privilegio che non c’è dato possedere. Le utopie a volte si attuano altre no. L’unico modo per scoprirlo è provare. Come? Semplicemente facendo quello che riteniamo opportuno. Non esiste una formula magica o un metodo. L’unica cosa da fare è fare ognuno ciò che ritiene utile alla “causa”, se poi si riesce a farlo coordinandosi con altri: l’unione fa la forza ma non la certezza del successo.
Certo è che si va a combattere battaglie cruente, tempestose, a volte necessariamente anche moralmente scorrette (per gli altri naturalmente), e non è detto che vinceremo la guerra, anzi, probabilmente noi la perderemo ma avremo seminato un piccolo seme, come dici anche tu, che potrà essere utile a chi, dopo di noi, vorrà combattere la stessa battaglia. Questo anche perché il sistema sociale ed economico è radicato su determinati valori e chi portasse valori nuovi di questo tipo va a intaccare, va a pestare i piedi a molti di quegli interessi; o almeno molti percepiranno così le iniziative di questo tipo.
Alle domande successive penso di aver risposto sopra. Ribadisco di essere convinto che debba essere la morale privata, quella corrispondente all’intimo del singolo individuo e non quella falsa e di facciata, che va a costituire, a dar vita all’etica sociale e non viceversa come, purtroppo avviene oggi. Certamente, come dici, abbiamo due problemi che mi paiono i più immediati da affrontare: uno è la difficoltà, per impostazione mentale, per cultura e altro, di riuscire ad intravedere chiaramente quale sarà, domani, il significato, l’interpretazione di alcuni di quelli che oggi chiamiamo valori e che domani potrebbero non esserlo più. Il secondo è di trovare il modo migliore per infrangere la difficoltà dell’accettazione delle controparti, smuovere il naturale istinto di resistenza al cambiamento, la spesso inconsapevole resistenza al nuovo, a ciò che percepiamo diverso e che ci appare come turbatore della quiete psicologica nella quale ognuno di noi tende istintivamente a rifugiarsi.
Comunque mi pare che abbiamo la stessa impostazione filosofica sulla questione, forse anche la stessa idea di cosa necessiti fare e del perché. Probabilmente, pero, abbiamo ipotizzato tempi diversi, abbiamo immaginato diversi tipi e tempi di reazione. Tu vedi possibile un’accettazione immediata dei nuovi valori individuali, un’immediata interiorizzazione da parte dei giovani grazie ad un nuovo modello di scuola o meglio grazie ad una scuola nuova. Io vedo maggiori resistenze, ipotizzo la necessità di un lavoro più lungo che si sedimenti per gradi successivi, più lunghi e spalmati su più generazioni, tutto li. I concetti di fondo, però, mi pare coincidano.
Sarebbe comunque interessante sentire qualche altra campana.