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20-11-2007, 23.01.30 | #27 |
Ospite abituale
Data registrazione: 19-11-2004
Messaggi: 69
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Riferimento: Sulla scuola e sull'insegnamento: considerazioni utopiche.
Non credo che il problema sia il tipo formazione dell’insegnante/insegnanti. Così com’è intesa la scuola potremmo riempirla di filosofi, psicologi o quant’altro, ma la sostanza non cambierebbe di molto fino a quando non sarà cambiata l’idea di formazione, il concetto di trasmissione del sapere inteso come principio in se senza tenere minimamente conto di chi si ha di fronte e di quale sarà lo scopo del suo sapere.
Oggi il sapere è inteso come necessità sociale, come necessità del soggetto come componente di un sistema nel quale si deve integrare, con il quale deve relazionarsi e da dove deve trarre il necessario sostentamento. Tutto questo è visto come lo scopo primario, lo scope che, insieme al concetto di cultura del sapere come valore, standardizza il modello scolastico, lo appiattisce sullo scopo che si è prefissato è tende a ignorare quasi totalmente il destinatario. Non servirebbe nemmeno una formazione psicoanalitica perché anche questa sarebbe organizzata in modelli pensati con una concezione del soggetti bambino spostata verso il suo presunto bene, cioè verso un’interpretazione a lui esterna, una’analisi del soggetto fatta da un soggetto esterno, chiunque esso sia, e che quindi non potrà, o comunque difficilmente potrà essere corrispondente a ciò che quel bambino è e vuole essere veramente. Anche uno psicoanalista ha un suo modello di interpretazione il quale, per quanto giusto, è sempre esterno al soggetto, quindi potenzialmente errato. Molto più semplice,credo, sarebbe utile un modello di scuola dove si parta non dalla formazione ma dallo scoprimento graduale, progressivo, delle necessità e delle potenzialità realmente espresse del soggetto e della sua realizzabilità, rischi e possibilità compresi. Questi ultimi sono i necessari accorgimenti per una regolata presa di coscienza che il soggetto andrà a svolgere i propri atti in un contesto dove altri reclameranno gli stessi diritti e quindi sarà necessario imparare ad aprire un costante canale di mediazione tra le diverse esigenze di diversi soggetti. L’uomo è, prima di tutto, un soggetto, un individuo e, in secondo luogo un animale sociale che non può fare a meno di stare in un contesto sociale. Il primo ruolo lo può svolgere in proprio favore mentre il secondo lo deve preparare con la capacità di cui dispone e che desidera esprimere ma riuscirà a farlo solo se sarà abbastanza forte e preparato da saper valutare in proprio quando questo suo diritto si deve interrompere per lasciar spazio ad un diritto altrui. Sbagliare questa valutazione potrebbe costargli anche molto caro. Imparare quindi imparare ad usare l’indispensabile compromesso sociale, compromessi inalienabile e che quindi sarebbe inutile pretendere di eludere. Per questo servono individui forti psicologicamente e una forte psicologia personale sarà utile e saprebbe sopperire anche in caso di debolezza del carattere di un individuo. Certo, con questo fine salterebbero tutti i programmi, tutti i tempi, tutti gli scopi sociali per i quali la scuola è stata concepita, ma ne guadagnerebbero gli individui e, credo, la società tutta. Il problema, quindi, sarebbe affrontabile anche con questo corpo insegnante ma solo se culturalmente la scuola verrà vista e trasformata in un luogo dove andare a crescere e non ad imparare. Che poi vi si impari anche va bene, anzi meglio, ma prima di tutto un luogo dove si va per crescere, scoprirsi, valutarsi, raffrontarsi, confrontarsi con noi stessi e con gli altri. Un luogo dove si amplia la libertà di essere quello che si è e non dove si amplia solo ciò che si sa. |
21-11-2007, 12.49.02 | #28 |
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Domande e sintesi.
Meditando e Gyta, siete proprio degli anarchici! E pericolosi, per giunta! Facciamoli saltare questi “programmi”!
Meditando condivido il nocciolo di quanto dici, come credo avrai capito e mi piace questo dialogo senza i tempi a volte serrati del forum. Per quanto riguarda la psicoanalisi non so, non so dirti granché per mia ignoranza; credo comunque, come te, che l’imporre un modello che sposi l’idea di un certo bene “comune” esterno all’individuo sia anche ciò che gli anarchici contestino al lavoro psicoanalitico, come ancora una volta una fabbrica di esseri omologati, ingranaggi che stanno “bene”, ma dove? Nient’altro che nelle attuali società. Ma, forse, tra i fini di base della psicoanalisi, tralasciando come questa venga “esercitata” ovvero l’ambiente in cui è costretta a vivere, c’è proprio la necessità della conoscenza di sé, dello sviluppo dell’amore di sé -in sé-, come dice Gyta e dunque, credo, sia un potente motore per far sì che individui “già” formati possano con più efficacia ri-trovare le fila di se stessi, ricucire quello strappo nell’educazione primaria, quelle violenze, magari quelle difficoltà tremende in famiglia e dunque far sì che queste mutazioni possano propagarsi nel proprio ambiente. La psicoanalisi è una teoria applicata che vive in queste società e sembra a volte manchi il vero fuoco dei propri obiettivi, forse per la complessità del “sistema” che aspira a studiare, poiché individui che hanno portato “a termine” il proprio percorso di terapia, e d’altronde gli psicoanalisti, dovrebbero essere, nelle mie fantasie, esseri “pericolosi”, molto “pericolosi”, rivoluzionari... e perché? Perché dovrebbero esercitare la propria libertà in un modo nuovo e molto più profondo rispetto alle persone che costituiscono il proprio ambiente e dunque per contagio dovrebbe avvenire che questa conoscenza di sé, questa libertà della propria coscienza fluisse tutt’intorno ed anzi si dovrebbero sentire in qualche misura “responsabili” agenti di una mutazione efficace delle società, degli ambienti in cui vivono. Avviene ciò? Forse meglio che legga prima un po' di più Erich Fromm per fare delle riflessioni, visto lui mi pare abbia molto ben analizzato l'uomo e le società in cui vive. Stavolta non mi vorrei dilungare tanto, sennò Maxim non partecipa , poiché magari si smarriscono i punti salienti della questione e visto che siete persone interessanti ed interessate, vorrei spingermi il più in là possibile con qualche domanda, anche per fare un po’ di sintesi, perché ho bisogno come l’aria che respiro di ciò che pensate e sentite, magari coinvolgendo pure altre persone interessate o ancora no a questi argomenti. E divido lo scritto in due, anche se non necessario ora, così da consentirne un miglior impatto "psicologico" . |
21-11-2007, 12.55.37 | #29 |
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SentirSi è Sentire...
Dici, Meditando, che è bene sapere quando il “proprio” diritto con precisione si debba interrompere a favore di quello altrui, sembra banale e logico tutto ciò... ma è proprio necessario? E’ proprio necessario sentirlo così? Se veramente avvenissero delle profonde mutazioni della coscienza personale d’ognuno, non scaturirebbe da lì spontaneamente quella “mediazione” di cui parli? Secondo voi, non ci si sentirebbe parte di una “unità”, pur essendo tante infinite “unità”, se sin da principio venisse coltivato quel libero seme d’umanità presente in chiunque alla nascita? E’ nell’essenza questo il nucleo dell’idea che volevo portare avanti e se attualmente ciò sembra ben più d’utopia, poiché lo sviluppo evolutivo pare essere questo, ho già discusso sul fatto che essenzialmente l’uomo non ha mai potuto “esercitare” il proprio amore di sé, per la propria coscienza indipendente e dunque non è legge di natura lo stato attuale delle cose.
Dici ancora, Meditando, che il problema non risiede tanto nel corpo degli insegnanti, ma nella spinta culturale a vedere la scuola come un luogo differente, come un luogo che ci stiamo tentando di immaginare; ma, vi chiedo: questa “spinta” come potrebbe essere veramente efficace nelle odierne società? Ho riflettuto sul fatto che non dall’alto, gerarchicamente, tale situazione dovrebbe venir regolamentata se ancora una volta non si volesse cadere nel tranello dell’esercizio del potere, potere che l’essere umano pare brami, un polo o l’altro, servo o padrone è indifferente perché entrambi nell’essenza schiavi nel continuare a camminare come si è sempre fatto, nel buio quasi più totale della propria incoscienza. Giocando con le parole, secondo me, il problema invece risiede anche nel “corpo” degli insegnanti ovvero nella loro mente, come credo intenda anche Gyta, poiché loro rappresentano il “contatto” con il bambino, contatto di relazione fondamentale attraverso cui quest’ultimo assorbe sì, come una spugna, tutto quanto rappresenta, sente, dice l’insegnante ovvero -la società- e le proprie “regole” e come già ribadito in precedenza, e vedo siamo d’accordo, molte nozioni saranno presto dimenticate, ma ciò che rimarrà come segno indelebile sarà la modalità attraverso cui l’imposizione del sapere come “necessità sociale” ha agito sulle menti di ognuno, iniziando a piegarle, trasformandole in contenitori, a plasmarle come ingranaggi di sistema. Meditando, visto che hai un’anima anche volta al “pratico”, ti e vi vorrei dunque chiedere: quei “compromessi sociali” di cui parli, non eludibili, sarebbe inutile pretendere di farlo, dici, non li potremmo vedere e sentire così solo perché sono le nostre menti attuali a percepirli come tali? Più che normale, affermo, ma non sarebbe possibile immaginare un’Umanità in cui per esempio la parola “compromesso” perdesse ogni valenza negativa e ciò fosse sentito con tutto l’essere individuale d’ognuno? Poiché se si vanno a vedere i sinonimi di “compromesso” sul vocabolario, beh... solo accezioni negative ho potuto trovare e non mi aspettavo d’altronde altro. Quella nuova “visione” di scuola di cui parli e che hai in mente, Meditando, non potrebbe contribuire a far crescere individui dotati sì, della propria “potente” coscienza individuale, ma -conseguentemente- di un’altrettanto “potente” coscienza collettiva ovvero che non perdano se stessi, come avviene attualmente, associandosi in “società”, ma la rendano un luogo più luminoso? Vedi, io sono d’accordo attualmente sui necessari e costanti “canali di mediazione” tra le diverse esigenze di diversi soggetti, ma ciò che vorrei dire è che è solo la nostra mente attuale, cresciuta nei sistemi attuali a vederla e soprattutto sentirla così, ma magari per quanto il nome rimarrà quello, “mediazione”, questa sarà percepita in modi fondamentalmente differenti, modi che non possiamo neanche figurarci ora. Il nostro cervello e tutto il nostro essere sono dotati non solo d’elasticità, ma d’un incredibile plasticità e piccoli mi paiono a volte i tentativi d’immaginare cosa possa accadere. Possiamo ora solo tentare di seminare qualcosa, secondo ciò che immaginiamo e sentiamo “giusto”, come stiamo facendo. Ma ora mi fermo qui; già mi sono dilungato troppo rispetto ai miei propositi di sintesi. Grazie sul serio di questo dialogo. |
23-11-2007, 16.01.52 | #30 |
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Sull'Utopia...
Qualche citazione sull'Utopia... affinché forse più sinteticamente possa giungervi qualcosa di ciò che intendevo scrivere e magari coinvolgervi in queste domande... o solo far sì possiate portare con voi qualche seme...
«L'utopia è come l'orizzonte: cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. L'orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l'utopia? A questo: serve per continuare a camminare.» (Eduardo Hughes Galeano) «Una carta del mondo che non contenga il Paese dell'Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l'Umanità approda di continuo. E quando vi getta l'àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l'Umanità di nuovo fa vela.» (Oscar Wilde) Un saluto a tutti... |