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28-11-2003, 21.06.02 | #44 | |
Utente bannato
Data registrazione: 05-11-2002
Messaggi: 1,879
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Citazione:
Per definizione, aver fede consiste nel credere senza bisogno di prove che dimostrino un bel niente. La fede, in sè, non esiste. Esiste, invece, il bisogno umano di credere a prescindere dalle proprie capacità (o desiderio) di comprensione del creduto. La fede nasce dal bisogno, dal desiderio di aiuto. Prova ne é che chi ha fede non sente ragioni, vuole credere e tanto basta. E' una questione caratteriale del fedele. Ripeto, la fede, in sè, non esiste. (sempre secondo me, ...naturalmente) Ciao... |
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29-11-2003, 00.37.09 | #45 |
Ospite abituale
Data registrazione: 19-11-2002
Messaggi: 474
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Fede...cioè speranza..ma in cosa?
Dunque, per riprendere il discorso di Mistico, il credente ha fede in quanto mosso dalla necessità di cercare conforto...Di sentirsi figlio di un Dio amorevole, di sapersi consegnato a un'eternità a propria antropomorfica misura (resurrezione dei corpi), di poter contare su una retribuzione finale equitativa dei meriti e delle colpe terrene...
Ma perchè alcuni avvertono questa esigenza, e altri no? Io non ho fede religiosa forse perchè, appunto, si tratta di un'esigenza che non avverto. Da moltissimo tempo mi limito a "credere" solo nel fatto che , dal momento che "nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma", post mortem diventerò qualcos' altro, secondo la legge della necessità che governa il cosmo e a cui la mia "fede" suggerisce di arrendermi per trovare in questo (nei limiti del possibile) pace e conforto... Ma forse questo mi accade per il fatto di non essere per nulla condizionata dall'idea di perpetuare quell'io empirico cui (sia detto senza voler mancare di rispetto a chi ha fede) i credenti continuano ad essere legati al punto di trovare più consolatorio di qualsiasi altro dogma l'ipotesi di eleggere i meritevoli agli scranni paradisiaci, e relegare gli indegni alle gogne infernali... |
29-11-2003, 08.27.07 | #46 |
tra sogno ed estasi...
Data registrazione: 21-06-2002
Messaggi: 1,772
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Non posso attribuire valore di veridicità a questa forma pensiero, ma se si prova a pensare quanto l'uomo gradisce l'ipotesi di non esser solo ed esclusivamente cenere che, cenere tornerà..è facile, forse, comprendere che quanto definibile (se possibile) fede, non è altro che il timore di una fine che si possa definire tale.
Giustamente, in questo contesto entra in gioco la speranza che nasce e persevera nell'animo umano durante la vita, per taluni e sotto date "costrizioni", diviene qualcosa d'imperante, non solo, avviene una sorta di mutamento genetico della stessa che trasforma la semplice fiammella della speranza in forma di convinzione definibile fede. Quì, forse, è possibile riallacciarsi al discorso di Vis e del bisogno, la necessità intima dell'uomo di dare forma a qualcosa che regga l'esistenza stessa. Che sia credo religioso o filosofia o qualsivoglia ulteriore forma di convinzione, è indubbio che l'uomo necessiti di sentire le coccole da parte delle calde ali di madre certezza... per lo meno apparente. |
02-12-2003, 09.14.33 | #47 |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-04-2002
Messaggi: 1,150
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Ciò di cui si parla è una dimostrazione intima, non razionale, il cui significato è insito nelle due frasi di Luzzi e Nardino che riporto.
"La fede è una certezza di cose che si sperano e una dimostrazione di cose che non si vedono". "La fede è fondamento di ciò che speriamo e prova delle cose che non vediamo". Che poi certe dimostrazioni nascano per effetto di un'intima necessità e che siano quindi irreali, è altra questione che mi lascia del tutto indifferente, così come mi lascerebbe del tutto indifferente la presunzione di spiegare Dio attraverso la Conoscenza o il raziocinio. Credo che entrambe le posizioni non sfuggano alla medesima critica, al medesimo dubbio. Il problema sarebbe da inquadrare in modo diverso: non essendo la ragione e le capacità d'indagine dell'uomo atte a dimostrare l'esistenza di Dio, non essendo neanche l'esperienza diretta, mistica, atta a suffragare l'autenticità e la genuinità di quanto esperito, potendo essere entrambe le posizioni autogenerate, unilaterali e, rispetto a Dio, assolutamente irreali, il dubbio non investe solo la possibilità di conoscere Dio per fede o per conoscenza, ma, piuttosto, in maniera più diretta, riguarda l'esistenza stessa di Dio, ed essendo non realistica la possibilità di dimostrarne tanto l'esistenza quanto l'inesistenza, per certe cose è possibile affidarsi solo ed esclusivamente alla fede, negativa o positiva. Ne discende che la dimostrazione che avverrebbe per fede, sarebbe semplicemente il recupero delle proprie intime convinzioni rispetto allo specialissimo rapporto emotivo, anche unilaterale, che s'instaura con questa Entità trascendente, e non tanto la ricostruzione teoretica di una Verità fattuale che sarebbe scritta e si verificherebbe solo nell'ambito della sfera emotiva di chi esperisce, o asserisce d'esperire, questo rapporto. Ribadisco un concetto già espresso più volte: il rapporto con il divino, anche mistico, che, essendo esperienza pura, non coinvolge le capacità raziocinanti dell'uomo, può insorgere anche in assenza dell'oggetto o del soggetto amato. Questa è una verità più volte dimostrata, anche empiricamente, dalla scienza principe che s'interessa delle cose dell'uomo e delle sue esperienze intime… in queste situazioni si preferisce parlare di <stati alterati della coscienza>, senza che a ciò si debba forzatamente attribuire alcuna connotazione negativa o patologica. |