Ospite abituale
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Un unico post ricolmo di parole
"Possiamo dare infinite interpretazioni ad un riflesso confuso nell'acqua.
Ma l'immagine che da origine a quel riflesso, è soltanto una."
Questa frase, riportata da Fragola, inserita nella Home Page e più volte commentata (anche da me), offre spunto per una riflessione circa la reale capacità dell'uomo di arrivare a comprendere compiutamente il mondo fenomenico che lo circonda. Tale comprensione - ove mai possibile - potrebbe essere la porta dischiusa attraverso la quale approdare alla comprensione o anche solo alla percezione dell'esistenza, ancorché eventualmente non conoscibile, di una Verità di più elevato valore: della Verità.
Che significa questo periodo?
Io, per semplicità d'analisi, lo suddividerei almeno in due parti e, una volta analizzate, vorrei provare ad introdurmi nella stanza segreta in cui è racchiuso il significato complessivo del concetto.
Possiamo dare infinite interpretazioni ad un riflesso confuso nell'acqua.
Esiste, evidentemente, una fonte da cui promana un'immagine. Questa fonte E'.
Sappiamo che esiste, che c'è perché noi ne percepiamo la sua proiezione, ancorché vaga, riflessa sulla superficie dell'acqua. Quanto più è calma la superficie dell'acqua, tanto più noi percepiamo nitidamente; ma già sappiamo, in origine, che per quanto calma sia la superficie della pozza d'acqua riflettente e per quanto cristallina e pura sia l'acqua, mai e poi mai riusciremo a percepire l'essenza della fonte da cui promana il fenomeno da noi percepito. Noi abbiamo, evidentemente, una visione distorta della fonte. Possiamo, sì, costruirci un'idea delle caratterizzazioni e qualificazioni della fonte ma non siamo in condizione di Vedere in maniera diretta, non mediata. Questo fatto impone ai nostri sensi e alle nostre capacità di elaborazione (intendo quelle neuronali) degli automatici, inconsci ed opportuni adattamenti percettivi, figurativi e, soprattutto, cognitivi. Questo determina un rapporto dinamico con quanto da noi percepito. Gli 'accomodamenti' si renderebbero, difatti, indispensabili ogni qualvolta un'increspatura dell'acqua dovesse modificare i contorni, i lineamenti dell'immagine posta sotto osservazione. Insomma, in poche altre parole (non illudetevi, è un intercalare), noi abbiamo un rapporto costantemente dialettico e dinamico con la realtà che ci circonda. Non è dato pensare che il nostro processo cognitivo (percezione, elaborazione, riconoscimento etc…) possa esaurirsi e concretarsi nella staticità; stabilizzatosi in un qualche determinato ed individuabile momento del processo stesso. E' un processo in perenne divenire. Ciò, credo, sia anche una delle concause che genera confusione, insicurezza e che istiga l'impulso a dar vita e corpo a sofismi compensativi. Ciò che, per effetto del dinamismo relazionale, inevitabilmente perdo o si degrada, lo compenso con altre certezze che sono 'altro' rispetto alla genuinità della fonte che induce la percezione (forse le religioni, assolutamente indispensabili, sono anche questo).
Ma l'immagine che da origine a quel riflesso, è soltanto una.
Dicevo, però, che in ogni caso, noi, percettori dell'emanazione, sappiamo che esiste una fonte. Sappiamo pure, perché così ci suggerisce il nostro umile intelletto, che questa fonte ha dei requisiti, delle qualificazioni e caratterizzazioni diverse dall'immagine da noi percepita. Sappiamo che, per effetto del rapporto mediato, non diretto con la fonte, le nostre elaborazioni e speculazioni sono intrise di caratteri tipici dell'uomo. Noi saturiamo ciò con cui entriamo in relazione con le nostre aspettative, le nostre capacità cognitive e i nostri caratteri. Sappiamo anche che parte della nostra costruzione percettiva è comunque corrispondente alla Realtà fattuale. Intuiamo, dunque, che la nostra architettura complessiva del fenomeno percepito è costituita da parti effettive e Vere, su cui si sono sedimentate sezioni 'costruite ed alterate' e probabilmente anche altre parti assolutamente improbabili e frutto della nostra grande 'abilità sofisticatoria'. Evidentemente, noi abbiamo tutte le informazioni necessarie per renderci perfettamente conto che quanto da noi testimoniato, in relazione all'immagine riflessa nell'acqua, altro non è che un prodotto nel suo complesso sofisticato. La stima del grado di sofisticazione è un altro degli elementi che compongono il Caos e la sofisticazione stessa. A seconda del soggetto percepente avremo diversi livelli di alterazione, anche qualora ne stessimo stimando sempre la medesima quantità. La diversa graduazione dipenderebbe, nel caso della specie, esclusivamente dalle differenti capacità di stima insite nei soggetti osservanti. Però, come già detto, una fonte esiste, ciò che non esiste, o che, a parer mio, non dovrebbe esistere, è la possibilità di conoscerLa con nitidezza: ConoscerLa.
Questi sono i presupposti necessari per calarci nelle conclusioni: l'analisi della fonte. Quale potrebbe essere la fonte?
Estraniamoci ora dalla metafora fornitaci dall'immagine riflessa nell'acqua e proviamo a dilatare il concetto. Intrufoliamoci, clandestinamente (non siamo uomini di Sapienza, bensì solo persone che provano a misurarsi con i propri limiti umani - innegabili), in una sfera di ben più elevata ed 'astratta consistenza'.
E' probabile che ciò che noi poniamo sotto analisi sia una dimensione ultraumana e che noi, miseri osservatori, siamo effettivamente l'immagine riflessa sulla superficie dell'acqua di un'Entità sovraumana: Dio! Dio?
Non è da escludere, chi lo dovesse fare lo farebbe aprioristicamente. Dio potrebbe essere la Fonte e noi la sua immagine non nitida che, fra l'altro, mai, mondanamente, diverrà tersa. Per cui le religioni, la spiritualità e quant'altro sarebbero solo un percorso ad ostacoli utile per permetterci di avvicinarci, solo avvicinarci, alla percezione dell'Essenza della Fonte stessa.
Parimenti, non si può escludere, che la fonte (minuscolo, tanto parliamo di noi esseri incompleti ed imperfetti) sia l'uomo stesso. Noi osserviamo noi stessi riflessi nel prossimo e, per somma, nell'intera umanità. Ciascuno guarda sé stesso negli occhi, nelle fattezze e nell'agire altrui. Percepisce, dunque, il proprio essere, il proprio sé in maniera distorta, artificiosamente costruito e perennemente in movimento. Per dar senso al nostro essere, costruiamo un'architettura che trascende l'essere mondano per trovare delle risposte che diano sostanza e contenuto ad un incomprensibile destino: essere per forza del caso, di vivere per forza inerziale, deperire progressivamente vivendo e, infine, ineluttabilmente, per forza di Natura, scomparire d e f i n i t i v a m e n t e , lasciando, nel mondo, le nostre propaggini, che altro non sono che la somma di ciò che di buono o cattivo siamo riusciti a costruire e tramandare a chi, per forza del caso, dovrà proseguire il cammino dell'umana, sconsolata esistenza (una staffetta esistenziale).
Anche in questo caso, chi dovesse negare ciò, lo farebbe solo ed esclusivamente facendo perno su argomentazioni aprioristiche difficilmente sostenibili dal punto di vista logico ed esperenziale.
Ciò che compensa l'assenza cognitiva circa l'essenza ultima della Fonte (Sapere, in un caso o nell'altro), a parer mio, non può che essere la Fede, positiva (anima, spirito, Dio etcc….) o negativa (l'uomo solo con sé stesso, al cospetto delle proprie irrazionalità e delle proprie soverchianti responsabilità di essere autore, attore e testimone del mondo che costruisce intorno a sé).
Ad ogni buon conto, sapere che questa Verità/verità esiste, qualsiasi essa sia, ed intuire l'impossibilità di ConoscerLa/conoscerla, non muta la sostanza delle cose, o, perlomeno, non sposta più di tanto i termini del problema relativo all'agire umano … credo.
Utilizzo sempre troppe parole. Sinceramente mi dispiace, non lo faccio a posta, ne avverto la necessità ai soli fini di rendere il più chiaro possibile il mio misero pensiero.
Spero di non essere riuscito ad annoiarvi fino al punto di impedirvi una graditissima replica. Mi auguro pure di non essere apparso troppo supponente o altezzoso, non è mia intenzione, intimamente credo di non esserlo.
Ciao
Copia/incollo anche io. Perché?
Credo che nei tre aforismi 'sottratti' alla pagina del sito all'uopo dedicata sia, in ciascuno, racchiusa una verità. Ma, potrete ben notare che il primo aforisma sembrerebbe in antitesi rispetto al messaggio trasmesso dal secondo. Il terzo, forse, compendia le due antitesi fornendone, non un'armonica sintesi, ma una chiave di lettura sufficientemente condivisibile. Il terzo non afferma, a parer mio, che la religione è sempre un succedaneo della ragione, ma che la stessa (RELIGIONE) è un elemento imprenscindibile dell'uomo.
I sofismi la edificano o i sofismi la distruggono?
"Noi creiamo il mondo che percepiamo, non perché non esiste realtà fuori dalla nostra mente, ma perché scegliamo e modifichiamo la realtà che vediamo in modo che si adegui alle nostre convinzioni sul mondo in cui viviamo. Si tratta di una funzione necessaria al nostro adattamento e alla nostra sopravvivenza".
Gregory Bateson (1904 - 1980)
"La religione è un'illusione, e deriva la sua forza dal fatto che corrisponde ai nostri desideri istintuali".
S. Freud (1856-1939)
"Una società di atei inventerebbe subito una religione"
H. de Balzac (1799-1850)
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