Che strana discussione! Ma del resto di che stupirsi? Si tratta, comunque la osservi, di un déjà vu. Tante altre volte, in questo forum, ci si è trovati al cospetto di persone che esaltavano spiritualità nuove e che facevano riferimento a ‘Maestri’ inusitati… la scoperta del Graal è questa: non si è più alla ricerca della fantomatica reliquia di ancestrale memoria; il Graal è ciò che ciascuno, per quanto improbabile esprime con la propria persona, con la propria inusitata ed improbabile spiritualità. Kantaishi ha trovato il suo feticcio spirituale, il proprio Graal; l’ha scovato dopo mille e più anni di ricerche condotte certosinamente nei più reconditi angoli del proprio sé. Una volta reperitolo, eccolo eleggerlo a Verità fattuale, assolutizzandolo. Naturale che per far questo abbia anche avuto necessità di collegare a questo feticcio spirituale un substrato culturale e cultuale che lo ponesse al riparo dall’impertinente curiosità altrui e dalla inevitabile domanda che le sue asserzioni sollecitano: <ma da dove caspita hai tratto tutte queste certezze?>. La domanda è più che lecita; che potrebbe contrapporre in assenza di un corpus letterario atto a sorreggere le sue certezze? Null’altro che la sua personale esperienza o intima convinzione sentimentale. Una risposta, che in quanto personale, lo lascerebbe esposto, presumibilmente, al dissacrante scetticismo dei suoi lettori. Eccolo dunque operare in conformità con quanto prima di lui hanno fatto tanti e tanti altri personaggi della storia, e come in futuro faranno altri dopo di lui. L’aver reperito prima e poi letto, forse anche capito, qualche libro scritto da uomini per dar soddisfazione e appagare il proprio spirito ribelle e poco incline a conformarsi è un atto più che conseguente e naturale, di che stupirsi? Eccolo dunque – dicevo prima – eleggere un qualcosa di rivoluzionario, di ‘contro’, a verità assoluta… la verità del ribelle; eccolo decidere per tutti, per il mondo, che alcuni testi – i suoi, quelli a cui è affezionato – siano portatori dell’unica vera verità che val la pena di seguire, leggere, studiare, infiggersi nell’animo, e da lì lo vediamo, lancia in resta, lanciare i propri strali sull’incompetenza spirituale altrui. In siffatta situazione è quantomeno conseguente operare uno stravolgimento della storia, dei fatti storici. In altre condizioni, in altre circostanze ciò apparirebbe un usurpazione insostenibile, un’avventatezza improponibile, ma qui, in questo caso no! Siamo al cospetto di un Dio divino, autodivinizzatosi ed autoreferenziato, un dio che sparge a destra e a manca il proprio verbo… che volete che faccia? Che si pieghi alle altrui verità? Sarebbe intollerabile, per lui, ma anche per noi tutti, anche per me, così poco incline a svolazzi fideistici fra i meandri delle mille e più spiritualità sortite fuori, quasi tutte, penso, dalla penna di qualche annoiato, o irrequieto, o forse solo simpaticissimo personaggio. E’ meglio così! Che ciascuno coccoli, culli, nutra la propria improbabilità, la propria sufficiente consolazione, e che in questo trastullo dell’anima prosperi con emozione… ma la storia? Obietterebbe qualcuno; la storia non può essere travisata, modificata e ricostruita così impunemente sulla scorta dei propri desiderata per renderla omologa alla propria ipotesi spirituale… sì, è vero, o perlomeno sarebbe vero se la storia non fosse una puttana che si lascia ammansire; una puttana che irride sé stessa e che ammalia chiunque voglia, o non abbia la forza di evitare di lasciarsi avviluppare dalle sue mutevoli, sempre volubili e cangianti spire. La storia è edificazione umana, per cui gli uomini la costruiscono e gli uomini la disfano a loro proprio intimo piacimento; la conformizzano e la omologano ai propri disegni. Per cui Gesù può essere uno, nessuno e centomila… Pirandello docet… cosa è la Verità se non quel mutevole segmento iscritto nel percorso che l’umanità ha fino ad oggi compiuto? La Storia e la Verità non sono forse coincidenti? Cosa è più vero un evento trascritto e tramandato secondo la sua fattualità, o un fatto raccontato e trasmesso ai posteri in maniera artefatta e mistificata a cui, per effetto delle urla testimoniali che si trascina appresso, qualcuno vuole credere per forza d’animo? Che domanda! Logico che la verità è rappresentata dalla incostanza degli eventi, dalla loro non cronistorica rappresentazione; è logico e naturale che la storia essendo così malleabile, così esposta ai mutevoli umori umani, ciascuno vi attinge quel che più gli garba; che vogliamo dunque contestare al nuovo amico kantaishi? Forse che anche lui, così come in passato hanno fatto altri, adeguandosi a questo sconsolante modo di interpretare sé stessi, si è voluto creare e costruire una nuova storia? Ma non è questa la graziosa novella che scaturisce limpida dalle parole di Gesù quando afferma: <io sono la verità>? Ecco, sì, Lui è la verità, ma se modello a mio piacimento i fatti della storia in modo tale che emerga un nuovo Vate, un diverso Maestro, un nuovo campione dell’improbabilità storica, se lo faccio anche parlare – ovviamente con parole mie o attinte da qualche altro creativo -, se lo faccio muovere nel palcoscenico storico geografico a mio piacimento, non ho forse costruito una nuova, inusitata, ancorché improbabile, ma pur sempre vera (pirandellianamente vera) Verità? Questo è il vero miracolo di Gesù, del secondo o terzo o quarto Gesù, e kantaishi è il suo profeta, Vero, come certosina è la storia, anzi, la Storia che lui ci racconta… poco vale ribattere che è artefatta, che è costruita artificiosamente per significare un approdo ad un anima inquieta che altrimenti vagherebbe confusa fra i meandri di filosofie che lui, animo inquieto, novello Ulisse, non può accettare, a cui non può assuefarsi. In fin dei conti le sue sortite sono anch’esse un déjà vu: la storia, quella tramandata dai libri che vanno per la maggiore, racconta che l’Islam nel corso del suo primigenio sviluppo incontrò parecchi popoli che volle sottomettere, riservando, però, un trattamento di favore ed un’attenzione particolare in termini di protezione a quelli che potevano riferire la propria religione ad un Libro… i popoli del Libro, li chiamavano… nel corso del proprio sviluppo, l’Islam incontrò un popolo che si rifaceva agli insegnamenti ermetici in voga in quelle lande e in quel tempo. Quel movimento filosofico mancava di un Libro Sacro, aveva si molti testi a cui riferire la propria spiritualità, ma non ne eleggeva uno come Testo principale, ma l’imperativo a cui doveva sottostare questo popolo era quello di presentare un Testo Sacro a cui conformarsi, solo così avrebbero ottenuto dall’imperante e travolgente nuova religione la protezione riservata ai cristiani e agli ebrei. Fu così che nacque il Testo Sacro per eccellenza dell’esoterismo: il Picatrix.
Che insegna questo? A ciascuno il suo, direbbe sempre il siculo ‘mendace’. A ciascuno il suo! A kantaishi i suoi tanti, tantissimi testi sacri e la sua tanto variegata e curiosissima verità, e che ciascuno viva felice per quel che ha.