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15-12-2014, 23.07.24 | #32 |
Nuovo ospite
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Riferimento: Perdonare è lasciar perdere
Maral, tu scrivi: "Sì, ma questo è un percorso diverso. Questo è un percorso che ci porta a dire che siamo tutti bisognosi di giustizia, mentre il mio discorso intende la giustizia come già compiuta fin dall'inizio, semplicemente in quanto viviamo, esistiamo e viviamo ed esistiamo anche nel dolore e nell'offesa, dunque non abbiamo bisogno di riparazioni. Viviamo."
Una posizione estrema, indubbiamente, a cui rispondo con una provocazione. Nel caso in cui l'offesa arrecata sia la morte non si vive più e quindi in questo caso è possibile chiedere giustizia invece che perdonare? A parte ciò, il perdono, secondo questa visione, giustificherebbe qualsiasi nefandezza, trasformandosi nel nome della "pseudovita", in un ottimo sparring partner di qualsiasi ideologia fondata sulla violenza. Il perdono è un dono, è una perdita ma non può trasformarsi in masochismo. Colui che si atterrebbe a questo tipo di perdono vivrebbe come una sorta di servo nietzchiano depurato dal risentimento, felice di essere vittima perché così gli è concesso di vivere! Insisto invece in una visione del perdono in un senso collettivo. Chi perdona deve avere di fronte una persona che vuole essere perdonata e che ha consapevolezza del dolore provocato, altrimenti è un'azione inutile e spesso dannosa. Ovviamente ciò non può accadere secondo parametri matematici cui a tanto "perdono" corrisponde esattamente lo stesso quantitativo di "desiderio di essere perdonato", però il meccanismo è quello... Come spesso mi accade, devo parafrasare Canetti "O ci salviamo tutti o non si salva nessuno". Scusami la franchezza Maral, ma il tuo modo di vedere il perdono mi sembra simile a quella notte in cui tutte le vacche sono nere. |
16-12-2014, 09.10.29 | #33 | |||
Moderatore
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Riferimento: Perdonare è lasciar perdere
Citazione:
Citazione:
In termini nicciani solo all'Oltreuomo è concesso approdare allo stato in cui nessun risentimento trova più spazio sostituito dalla comprensione intima e individuale della vita. E' solo l'Oltreuomo che trova in se stesso questa possibilità di perdono e forse questa alla fine è la vera parabola della filosofia nicciana ove si realizza la metamorfosi dal mondo dominato dai piccoli uomini servi del loro tormentato risentimento alla comprensione di ogni essente: dall' io devo attraverso l'io voglio per pervenire all'io sono, un oceano così vasto da poter accogliere e purificare in sé tutti gli effluvi della vita, anche i rigagnoli più miserabili, dolorosi e infetti. E' in se stessi che la salvezza è riconosciuta come somma potenza da sempre in atto per cui ogni essente è già intimamente da sempre salvo. Citazione:
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16-12-2014, 10.15.36 | #34 | ||||
Ospite abituale
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Riferimento: Perdonare è lasciar perdere
** scritto da Patrizia Mura:
Citazione:
Per chiedere perdono prima ci si deve riconoscere colpevoli. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- ** scritto da jacopus: Citazione:
Il perdono non giustifica nessuna nefandezza, il perdono è l'esatta giustizia per smascherare la bugia che si cela dietro di essa (della nefandezza). Nessuno sano di mente è felice nel ruolo di vittima, ma quella sofferenza diverrebbe doppia nel momento della vendetta consumata. Citazione:
Perdonare una persona che vuole essere perdonata, che quindi ha saggiato la vergogna derivante dal suo gesto, dalla sua azione, non è facoltativo (anche se il libero arbitrio concede sempre almeno due alternative), la questione nasce nell'estendere il perdono obbligatorio anche alla persona che non chiede perdono o che non vuole chiedere perdono. Il problema della giustizia sociale è che la legge non è uguale per tutti, poiché legge dell'uomo e quindi condizionata. Inoltre mi dispiace per codesto signor Canetti, perché, infatti, forse, non ci si salva tutti(anche se ci sono cultori di questa dottrina), e nessuno, se vuole, è escluso dalla salvezza. --------------------------------------------------------------------------------------- ** scritto da maral: Citazione:
Tra le mie tante pietre d'intralcio, nel mio cammino di perfezione non ci sono né l'invidia, né la ruffianeria, ma spero un giorno di poter esprimermi nella scrittura come te. Pace&Bene |
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01-01-2015, 23.14.39 | #35 | |||
Nuovo ospite
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Messaggi: 86
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Riferimento: Perdonare è lasciar perdere
Riprendo il discorso e parto da Duc:
Citazione:
Torniamo invece al discorso sul perdono che mi intriga. Intanto la prima considerazione è che forse, alla luce degli interventi, starebbe meglio nel forum di filosofia piuttosto che qui. Proverò a riorientare il discorso in chiave psicologica. La posizione di Maral è indubbiamente interessante. Ne prendo uno stralcio significativo: Citazione:
Un atteggiamento del genere, se vogliamo restare nello "psicologico" non può neppure definirsi perdono: le rivendicazioni sono insignificanti! Nel nome del superamento del ressentment l'uomo nuovo non avrà neppure bisogno di perdonare, perché immerso nella vitalità. Una riproduzione ieratica del "oggi a me, domani a te" o del partenopeo "scordammoce o passato". E' una visione legittima, per carità, ma nega i processi storici e gli aspetti prosociali dell'uomo in vista dell'utopistica creazione di un uomo nuovo. il perdono è, secondo me, invece un percorso collettivo se vuole essere terapeutico e fondare il cambiamento e, se non proprio collettivo, almeno intersoggettivo. Inoltre, a meno che non si voglia considerare l'individuo una monade, gli effetti intra-psichici producono inevitabilmente delle conseguenze a livello di comunità e che quindi sono sociali. In sostanza io vedo il perdono come un distanziamento dall'aggressore. Lo si perdona in quanto si perdonano le parti violente introiettate. Per certi aspetti si perdona sè stessi e si allenta così il legame con il trauma, ed in questo senso è un percorso intra-psichico. Le conseguenze non sono irrilevanti poiché le alternative al perdono sono il suicidio - violenza internalizzata - o l'omicidio - violenza esternalizzata -, o la situazione tipica del "rimuginamento", che blocca lo sviluppo e la libertà dell'uomo traumatizzato. Per non rimuginare e per progredire come persona-individuo allora è necessario un percorso che consideri il perdono come una tappa ineludibile, ma come perdono interiore, una volta rielaborata la vicenda (il trauma), raccontata e non dimenticata e che quindi ha bisogno di un uditorio sociale (terapeuta, amico, rete che sia). Questo perdono che è dentro l'individuo come si connette al perdono come "giustizia sociale"? Secondo Clara Mucci, (trauma e perdono, Cortina) i due percorsi sono indipendenti ma interconnessi. Citazione:
Permettimi di insistere. Proprio perché ogni vacca non è valutata per ciò che fa ma per ciò che è, ogni considerazione ed ogni discorso perde di senso. Conta solo l'essere e l'azione qualunque essa sia. Il perdono in questo mondo è superfluo. Grazie per l'attenzione. |
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02-01-2015, 18.46.40 | #36 | ||||
Moderatore
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Riferimento: Perdonare è lasciar perdere
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Questo allontanamento dall'atto aggressivo non è una rimozione che attende solo occasione propizia per la giusta vendetta, ma un vederlo compiuto nella vicenda del vivere di modo che la ferita possa apparire cicatrizzata, anche se il segno resta il dolore che evoca è compreso. Questo non esclude comunque l'apporto sociale, che può essere di supporto nel percorso di distanziamento dall'aggressione, ma la mossa decisiva resta a carico dell'individuo, è lui che perdona, non la società (che al massimo può farlo solo per opportunismo) e nemmeno la giustizia sociale che vive comunque delle sue giuste rivendicazioni. Citazione:
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03-01-2015, 17.43.36 | #37 |
Nuovo ospite
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Riferimento: Perdonare è lasciar perdere
Maral ed il sottoscritto conveniamo entrambi sull'importanza del perdono. Quello che ci separa è il procedimento attraverso il quale giungere al perdono e il nesso fra sfera soggettiva e sfera intersoggettiva. Quello che denuncio nel modello di Maral è una ingenuità di fondo, che può non essere percepita in campo filosofico ma che traspare evidente in campo psicologico.
Questo è quello che dice Shore, psicoanalista e neuroscienziato : " nelle interazioni fra il bambino e il caregiver, quest'ultimo fornisce esperienze che modellano il potenziale genetico del bambino agendo come regolatori o disregolatori di ormoni psicobiologici che influenzano direttamente la trascrizione genica" A fronte di ciò un processo di perdono che sia spontaneo ed individuale è una semplice chimera. I traumi infatti sono considerati ormai in una vasta letteratura come causa agente di mutamenti nelle correlazioni sinaptiche e nell'evoluzione cerebrale. Pertanto il traumatizzato non solo non ha generalmente le risorse per perdonare ma neppure per individuare nel perdono una possibile terapia se non è aiutato in questo percorso. Questo sottende anche ad un altra diversità fra il modello che difendo e quello di Maral: la necessaria interdipendenza fra sfera soggettiva e sfera collettiva, poiché solo una società attenta a questi percorsi è in grado di prendersi cura in modo complessivo del trauma per fare in modo che non si ripeta più. Certo è molto suggestivo il percorso indicato da Maral, ma che si riduce ad una semplice manifestazione di intenti più di natura filosofica che psicologica. Un ulteriore dimensione che va indagata è quella epistemologica. Non discuto la buona fede di Maral, ma il modello da lui indicato presuppone una società che si potrà redimere sulla base di tanti percorsi individuali ma che lascia insoluta la dimensione dell'aggressore, fintanto che avrà voglia di aggredire. Il modello che appoggio è un modello per certi aspetti pedagogico, poiché presuppone l'esistenza di una avanguardia sensibile in grado di diffondere questi percorsi e consapevole dell'estrema difficoltà nell'aiutare a recuperare la propria vita nei soggetti traumatizzati. Una domanda che mi piacerebbe porre a Maral è se ritiene che il male (quella che Freud chiamava pulsione di morte) sia innato o sia conseguenza di apprendimento. Grazie per l'attenzione e buona serata. "Solo il passato riscattato non ritorna, quello rischiarato dalla coscienza: il passato da cui si è sprigionata una parola di verità" M. Zambrano, lettere sull'esilio, in Aut-aut 1997. |
04-01-2015, 10.05.45 | #38 | |
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Riferimento: Perdonare è lasciar perdere
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Che bene e male siano solo una convenzione da cui si puo' astrarre se si tiene conto del livello evolutivo di ciascuno sicche' l'agire e' necessitato da cio' che si e' , e' nozione propria di alcune dottrine . e' a questo che fai riferimento ? Se si mi spieghi come puo' si puo' sostenere questa via del perdono di fronte a fatti '' enormi '' come l'olocausto , che hanno negato il diritto di esserci ora a miliononi di persone ad etnie intere o a fatti come un ' aggressione diretta ed ingiustificata che leda l'esistenza , cioe' di nuovo la base dell'esserci ora , di chi ci sta vicino ed amiamo piu' di noi stessi o di noi stessi ? |
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06-01-2015, 00.22.35 | #39 | ||
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Riferimento: Perdonare è lasciar perdere
Non mi pare Jacopus di aver voluto sminuire l'opportunità di un intervento sociale di contesto atto a favorire il superamento di un trauma individuale e quindi lo stesso perdono, tutt'altro. Ciò che ho inteso sottolineare è che il perdono resta un atto di coscienza individuale che non risulta dal calcolo di un bilancio e non che il contesto sociale debba disinteressarsi al suo accadimento, perché è evidente che ogni individuo vive comunque dei rapporti con il mondo che lo circonda che comunque fanno da contesto al suo poter pensare, sentire e agire e coscientemente o no lo determinano.
Diffido invece quando si tenta di tradurre il sentire soggettivo individuale in un discorso neurofisiologico. Credo che le nostre conoscenze attuali in materia siano troppo limitate per poterlo fare in modo non precondizionato da modelli di aggiustamento frutto di visioni spesso a loro volte assai ingenue. Cosa significano davvero mutamenti di correlazioni sinaptiche? A quali significati emotivi danno luogo soggettivamente? Quali percorsi di adattamento e riadattamento compensativo determinano nella visione del sé e dell'altro? Che relazioni hanno con il risentimento? Davvero non credo che la neurofisiologia sia in grado attualmente di dare una benché minima indicazione effettiva su questi aspetti e assai difficilmente ho il sospetto che li potrà dare anche in futuro. Il problema dell'aggressore e della sua rieducazione trovo che sussista invece a livello sociale ed è in tale contesto che si deve cercare giusta soluzione, a prescindere, a mio avviso, dal discorso sul perdono da parte della vittima dell'aggressione. L'intervento di rieducazione e contenimento sull'aggressore per ridurre la portata potenziale dell'aggressione (con tutta la violenza e contro violenza che genera) resta una problematica eminentemente di giustizia sociale che prescinde dal perdono individuale da parte dell'offeso. Penso infine che sia molto difficile se non impossibile rispondere in poche righe alla domanda sulla natura del male. Forse è semplicemente un effetto correlato al vivere, poiché esistere comprende sempre il bene e il male nonché l'attrazione pulsionale verso la polarità malefica (ossia distruttiva e autodistruttiva). Forse perdonare significa riuscire appunto a comprendere anche il male nel significato dell'esistenza in quanto tale e avvertire questa esistenza come bene, cosa che a volte può risultare assurda. Citazione:
Citazione:
Le responsabilità del popolo tedesco sull'Olocausto ad esempio sono state evidenti a livello collettivo e quanto mai diffuso. La responsabilità c'è anche nel non voler vedere per quieto vivere o per ricavarci il proprio piccolo vantaggio condividendo i meccanismi di potere, sta pure nel rimuovere la cosa dalla propria coscienza in nome di quel fare il proprio dovere che riduce il male a banalità quotidiana a cui diventa così facile assuefarsi. Il perdono in questo caso coincide con la piena comprensione cosciente per quanto essa possa ripugnare, perché ci riguarda potenzialmente tutti. Ma c'è alternativa? Quello che è successo nessuna giustizia potrà mai cancellarlo o compensarlo. |
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06-01-2015, 04.54.46 | #40 | |
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Riferimento: Perdonare è lasciar perdere
Citazione:
secondo me,perdonare e' una questione di "attaccamento"..piu si rimane attaccati alle cose del mondo e più rimane difficile il perdono,perché si rimane legati alla sofferenza che tale attaccamento scaturisce.. quindi secondo me e'la sofferenza ad essere indicativa..quanto più si soffre e tanto più indica il nostro livello di attaccamento e più rimaniamo attaccati e meno siamo liberi (nel caso significa appunto liberi di perdonare) dunque secondo me chi non sa perdonare non e' libero …di solito succede infatti che chi soffre di più e' colui che non riesce a trovare il perdono sull'altro che poi e' il perdono che da (e trova) in se stesso ma il perdonare non significa,almeno secondo me,subire passivamente,poiché sarebbe anche quello un incentivo a continuare nel solito errore,una catena senza fine…e' nella comprensione,che la catena può essere spezzata definitivamente |
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