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29-01-2008, 12.52.56 | #14 |
Ospite abituale
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Riferimento: La parola è farmaco e veleno
Non chiederci la parola
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato. Ah l'uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l'ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo Eugenio Montale Questa poesia esprime un’afasia di fondo che è la caratteristica principe della parola stessa. E’, quella del poeta, una rinuncia, una resa all’impossibilità di comunicare il suo profondo intimo emotivo affidando la narrazione esclusivamente alle parole. Si capisce anche il perché: la poesia è stata scritta sull’onda dell’emozione prodotta dall’aberrazione della grande guerra. Montale affida a questi versi, di grande intensità, il messaggio che impregna la sua teologia negativa. Questo è un thread fatto di parole che si raccontano, che parlano con parole di se stesse. In adesione al progetto di Montale, anch’io propendo per una ‘teologia negativa. Credo, infatti, che le parole siano un veicolo che trasporti frazioni di verità, cioè mai esse possono com-prendere l’intero, tutto ciò che si pensa. In special modo non sono adeguate a comunicare le emozioni. Le lasciano filtrare, trasparire, le annunciano, ma non le dichiarano mai compiutamente. L’arte letteraria si avvale di questo suo intimo limite invalicabile. La grande arte non dichiara, ma lascia intuire, non usurpa lo spazio emotivo altrui imponendo le emozioni del suo autore, ma sollecita, nella trasparenza, il germogliare di quelle del lettore. Le parole sono le propaggini di un nucleo intangibile, la cui superficie esterna, che appunto s’irraggia attraverso la dizione o la grafia, è composta di materiale poroso che lascia filtrare vapori d’emozioni, bagliori di sentimenti, riflessi di verità, ma mai queste propaggini affabulatorie sono in condizione di esprimere compiutamente il tutto. Non già per carenze espositive, o per volontà di chi esprime le proprie sensazioni, piuttosto, più semplicemente, per intima inadeguatezza congenita. Un testo qualsiasi, anche una lista della spesa, lascia adito a più di un’interpretazione. La comunicazione risente fortemente di questo naturale limite che colloca i dialoganti in un limine che è cesura fra dicente a colui che percepisce. Sono spesso autorappresentative, in altre parole un’esposizione fieristica del proprio suono; talvolta, invece, pretendono d’essere rappresentative dell’animo, eleggendosi autonomamente messaggere e testimoni esclusive delle emozioni. Le parole recano con sé parte di verità, ma mai tutta la verità; così pure trasmettono al prossimo frammenti d’emozioni, ma mai la loro compiutezza. Potrei quasi dire, sempre che non appaia eccessivamente blasfemo, che l’anima preserva se stessa proprio attraverso l’apparenza tratteggiata dalle parole, definita dalla loro immediatezza insita nel significato stesso, impedendo loro di essere eccessivamente rivelatrici. Le parole assolvono una duplice funzione, in tal senso sono un farmaco, poiché anch’esso è veleno e al tempo stesso medicinale, l’etimologia del termine farmaco ne tradisce la doppia funzionalità. Per un verso, comunicando, svelano un animo, per l’altro, celandone l’essenza più pura, lo preservano… ma sono indispensabili, sono il filo d’Arianna che unisce le genti. Le emozioni nascono nel cuore e si sposano, in un matrimonio spurio, con le parole che le comunicano; il rito nuziale è celebrato nella mente, infaticabile fucina di pensieri. L’arte è questo: emozione trasfusa in parole e segni, e si esalta attraverso i colori e la musica, perché le parole sono anche delicati tratteggi di pennello e melodia. L’anima quando capta parole altrui, che parlino d’emozioni altrui, compie un’operazione di sintesi, ovverosia amalgama quanto percepito con quanto è già all’interno del proprio nucleo: quel che capta dall’esterno lo unisce con il proprio intimo contenuto, arricchendosi comunque. Affidarsi unicamente alle parole è però sempre un errore, Il mondo virtuale, che implica l’esclusivo utilizzo di parole e ad esse affida l’intero messaggio che s’intende trasmettere, seppur affascinante, è un mondo assolutamente monco: manca tutto il resto, è ricolmo di sole parole che trasmettono parti del tutto. La comunicazione, se affidata alle sole parole, sconta il peccato d’origine insito nel linguaggio. Se per un verso ed in una qualche misura tengono teso il filo che unisce le persone, mettendole in contatto, dall’altro isolano i due antipodi del filo teso, poiché nella comunicazione è sempre implicato il rischio del fraintendimento, che è presente anche quando non appare e quando tutto sembra scorrere quietamente. Il dubbio è un elemento incombente, e la chiarificazione successiva spesso sconfina nell’escusatio non petita. Ben difficilmente, dunque, assolvono il compito per il quale riteniamo siano preposte: non delineano la compiuta immagine di quel che effettivamente siamo (ammesso di essere in grado di sapere con perfetta cognizione quel che siamo), trasferendo al prossimo solo il nostro profilo parziale, mai profondo, mai essenziale. Ciao |
30-01-2008, 07.22.21 | #15 |
Ospite abituale
Data registrazione: 08-01-2007
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Riferimento: La parola è farmaco e veleno
Ciao Arsenio,
sono spiacente di dover postare questo mio breve intervento dopo quello così intenso di Visechi, ma i miei tempi e mezzi sono questi: leggo su cellulare tre o quattro parole alla volta,senza distinguere quotato da non quotato, scrivo con word su un computer senza connessone e poi non appena è possibile spedisco il tutto. Ti ringrazio, ancora una volta, per le tue risposte ampie e ben articolate. Dopo aver letto e riletto il tuo intervento, mi sono resa conto del perché ti ho posto i seguenti quesiti: “Pensi ci sia differenza tra il significato della parola parlata e di quella scritta?” “Come si fa a dare il reale significato alle nostre parole se non si ha una guida (per es. analista) che sappia leggerle per noi? Come acquisire questa conoscenza?” Un tempo annotavo quotidianamente: data – peso – pressione arteriosa – tipo di alimentazione. Ero costretta per la pressione alta e per la tachicardia a far uso di beta bloccante e diuretico, non mi rassegnavo ad essere farmaco dipendente, volevo capire quali fossero i fattori che influivano sulla mia salute. Poco alla volta ho iniziato a descrivere i momenti salienti della giornata precedente e i miei sentimenti. A volte cercavo il diario per potermi sfogare. Nello scrivere riuscivo a capire se c’era stato un comportamento sbagliato, se avevo interpretato male una determinata situazione oppure semplicemente inveivo contro qualcuno o qualcosa. Nel mio diario scrivevo quotidianamente di quanto fosse diventata abitudinaria, arida e faticosa la nostra vita di coppia, ma non avevo la capacità di leggerlo fra le righe. “Prima il dovere e poi………..il piacere!” Ero fedele alle nostre convinzioni, tanto fedele da non “AVERE LA FORZA” di vedere. Nel mio caso non era sufficiente scrivere su di un diario, avevo bisogno dell’aiuto di una guida. Sono stata fortunata - come hai sottolineato tu - ho trovato un analista adatto alla mia soggettività. L’inizio non è stato facile, ma poi abbiamo ottenuto degli ottimi risultati. Certe situazioni sono inesprimibili anche in forma scritta, è necessario ottenere l’ascolto di un professionista retribuito che sappia ascoltare i tuoi silenzi, senza avere il timore di farlo soffrire, ecco perché l’amico, il marito, i figli, non possono assolvere a questo ruolo. Sai certi vissuti sembrano inesprimibili e invece……si arriva a trovar le parole e dopo le parole si soffre, ma c’è chi ti suggerisce nuove parole in modo che tu le possa accettare e migliorare la tua condizione. Tornando al perché delle domande sopra riportare vorrei evidenziare che all’inizio della terapia ho avuto l’impressione che fosse meglio non scrivere sul diario, non partecipare a nessun forum in modo che l’analista potesse lavorare su materiale pulito non rielaborato da me con la scrittura. Cosa ne pensi Arsenio? Dico un’eresia affermando che i pazienti sotto psicofarmaci stanno bene in modo artificiale e quindi il loro inconscio viene zittito in un qualche modo? In parole povere, il nostro inconscio può essere meglio analizzato quando stiamo male? L’influsso delle “parola farmaco” ha dato i suoi benefici anche rispetto al corpo aiutandomi a trovare nuove priorità. Al sabato e alla domenica faccio lunghe passeggiate, ho un miglior rapporto con il cibo, sono calati il peso ponderale e la pressione sanguigna. Non faccio più uso di diuretico, ho sostituito il CARVEDILOLO 50mg al gg(che accentuava la mia allergia da pollini) con NEBIVOLOLO 2,5 mg al mattino. Come scrive BOMBER “beh il farmaco spesso provoca effetti collaterali .. potendo sarebbe meglio non prednerne maiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii” Concludendo, dal corpo sono emersi i problemi psichici, con la parola siamo intervenuti sulla psiche curando anche il corpo. Non ho quotato, il tuo intervento perché copierò da word direttamente, mi riferisco al tuo intervento del 25/1/01 ore 17,15. Ciao alla prossima, sto leggendo di Maria in “11 minuti” di P. Coelho. Maura |
30-01-2008, 12.02.00 | #16 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 01-04-2004
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Riferimento: La parola è farmaco e veleno
Citazione:
Caro visechi ti risparmio ulteriori considerazioni sulla parola ,che mi sembra tu abbia capito Anche alla luce dei numerosi 3d che ho lanciato questi giorni sui limiti e virtù della parola parlata e scritta; luci ed ombre, patologia del pensiero e imbroglio, manipolazione persuasoria e conforto per l'anima, ecc. ecc. La poesia di Montale è conforme alla sua poetica e manifesto morale del tempo anche storicizzato.”La più vera ragione è di chi tace” è un altro suo verso signifiativo per il suo scetticismo di certe funzioni che attribuiamo troppo facilmente alla parola. L'idea ispiratrice di Non chiederci la parola è il suo limite nel poter indicare prescrizioni morali sempre valide, né può decidere cosa è “bene” e cosa è “male”. Infatti in “Piccolo testamento” ,che conoscerai, afferma: “Giusto era il segno ... né lume di chiesa, nè lume di officina. Come dire che il suo orgoglioso individualismo lo ha tenuto ben distante da ogni sorta di credenza ideologica o fede assoluta dogmatica, sia religiosa che politica. Allora la parola è inutile, superflua, dannosa? Non lo credo,come tutte le cose dipende dall'uso che se ne fa. A parer mio va sempre usata quella dialogica, ma la premessa dev'essere un intento collaborativo per ricercare condivise ipotesi che avvicinino a certe verità: tante, mai solo una. Solo le parole della poesia,, in ampia accezione, vorrei quasi dire uno sguardo poetico, possono veicolare emozioni. Se un'immagine vale mille parole, un verso solo può valerne 10.000. Possiamo esemplificarne quali hanno suscitato in noi autentiche emozioni, parlando al nostro inconscio, toccando corde segrete, di totale adesione. ciao |
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30-01-2008, 15.37.20 | #17 |
Ospite abituale
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Riferimento: La parola è farmaco e veleno
Carissimo Arsenio, Nonostante io sia sempre stato un ferreo assertore del saper colloquiare,cioè,ascoltare,ana lizzare e poi rispondere, mi è spesso stato rinfacciato che in me si intravedeva spesso questa incapacità, motivandola da parte mia che le risposte del mio interlocutore erano da me già state analizzate, vagliate e spesse volte anche scartate,tutto questo creava una specie di muro tra me ed il mio interlocutore togliendo spesse volte la possibilità di raggiungere conclusioni. Dopo averti letto e riletto devo prendere atto che le tue parole sono riuscite ad effetuare tante riparazioni al mio modo di esprimermi, sentendomi ora meno evitato dalla mia comunità.
Per tutto questo accetta il mio grazie che ti esprimo di vero cuore Ciao espert37 |
30-01-2008, 17.24.13 | #18 | |
Moderatore
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Riferimento: La parola è farmaco e veleno
Citazione:
Bell'intervento, Ars Bellissimo anche quello di Visechi. Quanto mi piace Montale... la tua parola così stenta e imprudente resta la sola di cui mi appago. Ma è mutato l'accento, altro il colore. Mi abituerò a sentirti e a decifrarti nel ticchettio della telescrivente, nel volubile fumo dei miei sigari di Brissago. Ascoltare era il tuo solo modo di vedere. Il conto del telefono s'è ridotto a ben poco. Eugenio Montale da "Xenia" |
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31-01-2008, 10.04.37 | #19 | |
Ospite abituale
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Riferimento: La parola è farmaco e veleno
Citazione:
Cara maura non preoccuparti, fai tutto secondo le tue possibilità. Anch'io uso il Pc in modo molto discontinuo e devo differire i post (per fortuna non molto numerosi ) specie se richiedono risposte non sincrone , riflessive e un po' articolate. Per le prescrizioni di ogni tipo di farmaco devi attenerti ai pareri medici, perchè vanno monitorati verificandone dosi ed efficacia, talora anche attraverso opportuni esami clinici. Gli effetti collaterali a volte si manifestano in qualche misura, ma più rischiose sono le controindicazioni e l'incompatibilità con altre patologie,sempre valutabili da parte di specialisti. In certi casi pure gli psicofarmaci sono necessari, non cadendo in dipendenze dall'assumerne senza controllo. Conta molto lo stile di vita che hai adottato: dieta e movimento. E' vero che generalmente la comunicazione in famiglia raramente diventa un equilibrato scambio di opinioni: ipercriticismo e problemi elusi la rendono disfunzionale. Si soltanto presume di saper comunicare, nel senso che abbiamo indagato. Non possono , per loro natura,avere una funzione di terapia, nemmeno come colloquio empatico che reca sollievo. Anche per differenze di genere un marito è raro che dia quel tipo di sostegno prima o poi richiesto da timori tipicamente femminili. So che è diffusa una di quelle frasi terribilmente sbagliate: “E ' tutto questione di volontà”; classica risposta controempatica. Ma espressa pure senza un deliberato malanimo. Inoltre con gli anni è inevitabile che si dicano sempre le stesse cose trite e ritrite; c'è resistenza a lasciar emergere parti nuove di noi stessi e non succede che rovesciamo collaudati ruoli, per cui si potrebbe scoprire qualcosa di non già detto. Per voi donne giova la solidarietà confidenziale che avviene tra amiche che sanno “far gruppo”. Nel senso che si scambiano emozioni con chi sentono simile. Ampliando i propri spazi emotivi, anche se non tutti sono immediatamente esprimibili. Comprendendo le proprie emozioni si percepiscono più correttamente quelle altrui. Un diario per l' autoraccontarsi e per meglio conoscere il proprio monologo interiore è utile, ma come hai capito non può sostituire un dialogo, attraverso il quale si attenuano le nostre sofferenze psichiche. Anche gl' incontri professionali, più che sulla padronanza di teorie - tra l'altro oggi usate in modo eclettico - per essere efficaci si devono basare sul tipo di relazione che si riesce instaurare, dalla capacità di contenimento, con un coinvolgimento senza eccessi disturbanti. Da parte di qualcuno che metta a disposizione con flessibilità la sua persona e non un “personaggio” di ruolo. Non si tratta di ristrutturare caratteri, ma immagini della realtà,attribuendo loro nuovi possibili significati. Con il linguaggio si rispecchia, e indirettamente si può “creare”. Vivificanti interazioni arricchiscono reciprocamente e sono l'antidoto per le relazioni meccaniche e aride. Sono d'accordo con te quando dici che assimilare nuove parole serve per comprendersi e migliorare. E' ciò che siamo in grado di dire che delimita e organizza il nostro pensiero.; sarebbe opportuno sradicare frasi fatte e vecchi modi di pensare. Sono da evitare pure le astruserie e gl' indebiti specialismi. Conta la significatività pregnante delle parole: come dicevo ultimamente, dieci parole possono dire ciò che non viene detto in un libro. Perchè siamo abituati a parlare con termini superflui, circonlocuzioni, digressioni;amplificando luoghi comuni, fornendo bugie edulcorate che non possono convincere né recare conforto. E' utile pure dialogare e saper giocare con le proprie stesse parole. Si tratta d'intraprendere un'avventura delle idee,cercando parole inusuali, non usurate dall' abitudine. E' pur vero che la sofferenza ci predispone a intravedere un senso altrimenti mai rivelato. Una crisi può essere l'occasione per un cambiamento,e l'inizio di nuovi percorsi conoscitivi. Ogni emozione, anche quelle che si declinano nella normale vita quotidiana,sono un fattore di conoscenza, come amore, odio, vergogna, nostalgia, ecc. I sintomi sono spia di qualche conflittualità ambientale da indagare prima che reprimere. Il disagio della mente è una risposta impropria a problemi umani. Il dolore appartiene alla condizione esistenziale,che è riflessa nel nostro male di vivere, e come ho scritto, nell' alta poesia. Soma e psiche sono in reciproca interdipendenza perchè in un disagio delle mente entrano in gioco fattori biologici, psicologici e sociali. Spero di aver risposto a quanto richiesto. Come sai che ho apprezzato il personaggio di Maria in “11 minuti” di Cohelho? Mi è piaciuto anche Lo Zahir. Se rintraccio una mia piccola recensione te la incollo un personaggio di undici minuti Del bestseller di P.Coelho mi soffermo sulla psicologia del personaggio principale, Maria, giovane brasiliana che pure ha già compreso molto della vita, come si ricava dal suo diario. Non si chiede di nascere, è difficile amare e farsi amare, non si perde nessuno perchè non si possiede nessuno, si sbaglia e non esiste una seconda opportunità, tutti hanno qualche aspirazione delusa, un solo giorno felice oggi è quasi un miracolo. Tuttavia il suo progetto è conoscersi e conoscere il mondo attraverso il sesso che si riduce a quegli "undici minuti", tempo medio di ogni rapporto sessuale. Non vorrebbe mai innamorarsi perchè l'amore è tormento e non sa se sia meglio sottrarsi o abbandonarsi alle passioni; se sperimentarle senza inibizioni o ritirarsi in una tranquilla routine familiare. Pur riconosce che lo scopo dell'essere umano è comprendere l'amore condividendone le emozioni. Giudica gli uomini fragili, inconstanti, insicuri, e timorosi delle donne. Per sfuggire la realtà con una felicità fittizia, incapaci di vivere intensamente, pagano le donne: ne ha conferma quando si prostituisce in Svizzera e inoltre riconosce la rarità e breve durata di un amore totalizzante che unisca erotismo e sentimento: "Chi ha toccato la mia anima non ha risvegliato il mio corpo; chi ha accarezzato il mio corpo non ha raggiunto la mia anima". I percorsi dell'eros sono tortuosi anche per il maschio e può succedere che pure dissoci l'amore per la donna "angelicata" e il desiderio per la donna che non stima. Le donne possono scoprire l'inesperienza maschile anche per quanto riguarda la loro anatomia. Maria mi ricorda un'altra eroina dell'esperienza erotica con funzione autoesploratrice: Catherine ("La storia di Catherine Millet"), che sperimenta ogni bizzaria sessuale appagandosi alla fine solo con l'autoertismo e le fantasticherie. Vengono sollevati alcuni problemi reali che la maggior libertà sessuale non ha risolto. La sessualità, fragile e indecifrabile, frequentemente è fonte di conflitti, intolleranze e incomprensioni; si pone per tutti il problema della polarità tra l'esigenza di un'evasione passionale e quella di una prevedibile sicurezza di coppia; eros e sentimento possono riunisrsi e convivere solo per breve tempo, l'eros deluso dalla realtà, ecc. Che ne pensate di questo personaggio femminile, al di là di considerazioni sulla letterarietà del romanzo? * |
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31-01-2008, 12.15.51 | #20 | |
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Riferimento: La parola è farmaco e veleno
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Grazie caro expert37. E' vero, soprattutto noi maschi, invece di ascoltare pensiamo impazienti più alla risposta che daremo, che poi potrebbe non c'entrare molto con ciò che intendeva dire l'interlocutore. Anche per decidere se si è d'accordo o meno, si deve prestare attenzione. Così come nei forum una lettura attenta concede di ricavare l'essenza di quanto detto, anche se talora è celata da troppe parole. Per apprendere a comunicare si deve proprio porsi tale problema, e poi cercare qualche fonte informativa. |
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