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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 06-06-2007, 18.43.01   #21
marco gallione
Utente bannato
 
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Riferimento: vuoto interiore

Ho letto i vs. interessanti commenti Querelle, Visir, Falbala e Nevealsole e quelli degli altri.
Dal mio post, e in varia misura dai vostri, esce il tema della stasi, o dell’accettazione, o del restare seduti (tristi) al bar, o (serafici) sul divano con il libro, ma anche il tema dell’empasse che ne deriva rilevato dal Visir con la consueta sintesi.
Accettazione come antidoto al vuoto interiore, alla ciclicità beffarda di una vita che è bella o brutta secondo logiche schizoidi e odiose. Il tutto in un contesto di insoddisfazione “ancestrale”, che è meglio affrontare in maniera disincantata.

Per carità, ciascuno dei pensieri che abbiamo scritto/letto ha la sua autonomia, il suo senso, le proprie differenze, e il suo pregio (magari il mio un po’ di meno, naturalmente). Ciascun pensiero significa qualcosa a sé stante. Tuttavia, poichè la nostra è una affabile conversazione elettronica, (e non certo una babele dove i matti si sono impadroniti del manicomio e parlano a vanvera…) forse, nei vari pensieri autonomi, si può trovare un elemento comune.

Arrivo al dunque, citando il testo di una canzone di musica dottissima (alessio bertallot, a chi interessa se lo può andare a cercare..): “io sono fermo. È tutto il mondo che gira. Io sono fermo.”
Forse questo potrebbe essere un elemento comune, bello o brutto che sia (la spiritosa metafora evocata dalla nonna del visir – “quando te lo mettono in quel posto…stai fermo ” – è una delle faccie brutte dell’elemento comune, ma risponde a verità in un certo senso). (comunque è del Visir la metafora.. sua nonna era certamente più polite…)

Posto ciò, se la ruota gira, e io sono fermo (senza nemmeno sapere se davvero faccio bene –
o male – a stare fermo), comunque c’è l’empasse, qualcuno direbbe, giustamente.
Di fronte alla vertigine della sofferenza (di varia fatta), e di fronte alla fame chimica di uscire dalla sofferenza tramite l’estasi agognata, io però prenderei un approccio diverso, più moderato, per risolvere l’empasse.
Il punto, insomma, non è stare fermi e basta.

Devo citare Falbala, secca ma davvero molto intensa: “non ho più cercato vie di fuga, niente più uscite forzate con amiche più disperate di me, alla fine era più deprimente vedere nei locali carovane di donne sole, travestite da ragazzine, tutte fintamente spensierate ma ad uno sguardo attento piene di disperazione. Niente più ricerca frenetica dell’amore niente più palestra, corsa etc… niente più cinema perché non sai cosa fare il sabato o la domenica, ti assicuro che una certa pace arriva…”.

Ecco, tanto per cominciare stiamo un po’ fermi.
D’accordo con l’immagine di Falbala, che è illuminante, da una certa angolazione.
Però, poi – l’avevo già scritto da qualche altra parte (in verità ripeto sempre le solite ovvietà…) –, mi pare che la chiave di lettura sia che la ciclicità beffarda degli eventi che riguardano le nostre vite (bello/brutto, sofferenza/gioia, euforia/depressione, ansia di qualcosa di risolutivo, attaccarsi a qualcuno, carovane di donne-finte teen nei locali etc) lascia sedimmentare l’esperienza. Sì l’esperienza.

Per cui, direi contraddittoriamente che bisogna stare fermi, ma fare esperienza. Ossia:

- se è vero che “mi capitano un tot di cose, belle e brutte; mi sento bene, e poi male; ma poi perchè devo stare su ‘sta giostra malefica, che a ben vedere sto sempre male, di fondo? Forse è meglio che mi congelo…etc”

- è anche vero che “molte delle cose che mi capitano stando sulla giostra cinica e bara della vita hanno la caratteristica di farmi vedere qualcosa, di farmi conoscere qualcosa di nuovo di me o degli altri, di farmi provare qualcosa da mettere nell’archivio”.

In sintesi, mi sa che l’unica via d’uscita decorosa (non appagante; decorosa) è quella di ostinarsi a fare cose, a vivere le cose, consapevoli della giostra cinica e bara che inevitabilmente ti fa andare su e giù a suo piacimento. Magari solo restare a leggere un libro sul divano, che va benissimo. Ma anche dopo aver visto le vagonate di donne disperate nei locali, tanto per intenderci (per certi maschietti potrebbe pure essere divertente..). E magari anche qualcos’altro (tipo avere storie sentimentali che vanno come vanno, rivalutare o svalutare il rapporto con genitori/fratelli/figli/amici, viaggiare, fare sesso se possibile, prendere droghe cum grano salis qualcuno potrebbe aggiungere, guardare gli altri portatori dello stesso dramma nostro).

Sappiamo tutti che lo stile di vita dei figli di lele mora e simili è una merda. E noi certamente non cerchiamo quello. Ma può darsi che guardando a quello che ciascuno di noi ha fatto in passato si potrebbe intravedere una esperienza umana, e quindi un valore umano, magari replicabile o migliorabile in futuro.
Ricordiamoci che – purtroppo – pur pensanti, siamo umani: mangiare, bere, dormire, trombare… ma forse - dico forse - si può fare di più.

Direi quindi che la questione vera è quella di guardarsi indietro e avere la consapevolezza (forse soddisfatta) di aver vissuto delle cose, sperando soprattutto di viverne altre.
Il dramma vero, secondo me, è quello di guardarsi indietro e non vedere in effetti proprio un gran chè.
Se non si è vissuto nulla, è come non aver vissuto. E questo mi riporta al lutto.
Non è che forse è questa la paura che abbiamo tutti?
Guardare indietro e non vedere nulla, e non tanto guardare avanti e non vedere nulla?

Forza, a lavorare!
marco gallione is offline  
Vecchio 06-06-2007, 20.37.22   #22
Lucy
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D´altra parte uno potrebbe anche esaggerare con "vivere".
Ci sono donne affamaté delle emozioni forti e che finiscono male, come Madame Bovary.

Un moribundo come Proust ha vissuto o no ? Aveva una immaginazione superba. Viveva nella immaginazione molto tempo, mi sembra.
Lucy is offline  
Vecchio 06-06-2007, 22.14.21   #23
marco gallione
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Citazione:
Originalmente inviato da Lucy
D´altra parte uno potrebbe anche esaggerare con "vivere".
Ci sono donne affamaté delle emozioni forti e che finiscono male, come Madame Bovary.

Un moribundo come Proust ha vissuto o no ? Aveva una immaginazione superba. Viveva nella immaginazione molto tempo, mi sembra.

Non so se Madame Bovary ha vissuto, stava dentro la penna di Flaubert.
Non so nemmeno se Proust ha vissuto, perchè non lo conosco.
A naso, mi verrebbe da dire che se, guardandosi indietro e vedendo la recherche, si fosse chiesto "ma cos'ho fatto io?", magari poteva dirsi soddisfatto. Boh?
Visto che ne parliamo, dentro l'Educazione sentimentale del Flaubert c'è qualcosa di quello che dicevo sopra... ma magari mi son sbagliato
Grazie lucy
marco gallione is offline  
Vecchio 07-06-2007, 08.18.30   #24
klee
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Guardare indietro e non vedere nulla, e non tanto guardare avanti e non vedere nulla?



Vivi il momento presente..
.quando sei consapevole di volere arrivare ad una serenità..
non guardi più indietro
perchè
il passato
non può più
esssere coniugato

il presente
va coniugato

presente del verbo essere:IO SONO

tu sei fermo e il mondo gira...si è vero,ma quando
tu sei fermo
qualcosa
in te

si muove..

anche le pietre vivono

buona lavoro kleelia
klee is offline  
Vecchio 07-06-2007, 10.18.36   #25
falbala48
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[quote=marco gallione]Ho letto i vs. interessanti commenti Querelle, Visir, Falbala e Nevealsole e quelli degli altri.

In sintesi, mi sa che l’unica via d’uscita decorosa (non appagante; decorosa) è quella di ostinarsi a fare cose, a vivere le cose, consapevoli della giostra cinica e bara che inevitabilmente ti fa andare su e giù a suo piacimento. Magari solo restare a leggere un libro sul divano, che va benissimo. Ma anche dopo aver visto le vagonate di donne disperate nei locali, tanto per intenderci (per certi maschietti potrebbe pure essere divertente..). E magari anche qualcos’altro (tipo avere storie sentimentali che vanno come vanno, rivalutare o svalutare il rapporto con genitori/fratelli/figli/amici, viaggiare, fare sesso se possibile, prendere droghe cum grano salis qualcuno potrebbe aggiungere, guardare gli altri portatori dello stesso dramma nostro).

Ricordiamoci che – purtroppo – pur pensanti, siamo umani: mangiare, bere, dormire, trombare… ma forse - dico forse - si può fare di più.

Direi quindi che la questione vera è quella di guardarsi indietro e avere la consapevolezza (forse soddisfatta) di aver vissuto delle cose, sperando soprattutto di viverne altre.
Il dramma vero, secondo me, è quello di guardarsi indietro e non vedere in effetti proprio un gran chè.
Se non si è vissuto nulla, è come non aver vissuto. E questo mi riporta al lutto.
Non è che forse è questa la paura che abbiamo tutti?
Guardare indietro e non vedere nulla, e non tanto guardare avanti e non vedere nulla?


credo che ognuno di noi faccia qualcosa, il punto è cosa fare e come? Abbiamo visto che + o – abbiamo percorso un po’ tutte le strade, dallo stare fermi, all’attività frenetica, allo stare quasi fermi, secondo me il punto è cambiare l’obiettivo, le motivazioni. Per il resto credo che chi sente come noi si sia messo in discussione già tanto, penso che abbia anche affrontato il rapporto genitori/fratelli/figli/ etc… è quasi naturale, poi ognuno di noi affronta ciò che può e come può (questa è saggezza alla Catalano!), viaggiare mi piacerebbe molto ma non posso farlo, allora devo accontentarmi dei documentari etc… guardare gli altri portatori dello stesso dramma nostro ed aggiungerei e non, guardare tutti e sentirsi ovviamente più vicini a chi sente come noi. Credo che noi facciamo di più del bere , mangiare, dormire, trombare…. ci interroghiamo, cerchiamo spiegazioni, ci confrontiamo, guardiamo il nostro dolore, scrutiamo il nostro malessere, sappiamo ascoltare…..cosa rarissima al giorno d’oggi…ma ti sembra poco? Semmai direi che tutto questo lavoro dovrebbe portarci a stare meglio, a capire e non restare a piangerci addosso. Ieri sera quel film un po’ stupido di lei che viene lasciata dal marito , perde il posto e viene rimpiazzata dall’amante del marito (argggggggg. Avrei fatto follie)!!!! ha detto alla fine una cosa vera come spesso accade alle cose banali, sì la vita ci abbatte, si accanisce, ma alla fine l’importante è cercare di viverla bene e con consapevolezza. Certo se poi si hanno i soldi tutto diventa più facile. Per quanto riguarda la parte finale se sono arrivata a quasi 50 anni è ovvio che ho vissuto, se poi quello che ho vissuto, come ho vissuto, non mi piace, così come non mi piace è un altro discorso. Che magari dovremmo approfondire.
Saluti e buona giornata
falbala48 is offline  
Vecchio 07-06-2007, 10.36.25   #26
pallina
...il rumore del mare...
 
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Citazione:
Originalmente inviato da Lucy
D´altra parte uno potrebbe anche esaggerare con "vivere".
Ci sono donne affamaté delle emozioni forti e che finiscono male, come Madame Bovary.

Un moribundo come Proust ha vissuto o no ? Aveva una immaginazione superba. Viveva nella immaginazione molto tempo, mi sembra.

Se il risultato di un vivere esagerato fosse quello di poter diventare "eterni" come un Proust o un Flaubert direi che ci metterei la firma ma il problema è che una volta morta, sai che consolazione!!! Allora forse la domanda da farsi è: sono capace di accettare l'idea che la mia vita è, in fin dei conti, banalmente uguale a quella di miliardi di altre persone? Quello che mi rovina non sarà forse il disperato e vano e illusorio tentativo di dare un senso di unicità al mio vivere?
Il bisogno di avere emozioni forti non nasce forse da questo bisogno?
L'esasperazione, p.e., del gesto che si fa estremo non sarà forse la manifestazione, illusoria, di renderci unici?

Ci vuole un gran coraggio per vivere la realtà, la quotidianità. Penso solo a quando, ogni mattina, tiro giù i piedi dal letto....un'altra giornata da affrontare, ma (come dice marco gallione) da vivere come nuova esperienza. Togliere via al gesto quotidiano la banalità della ripetizione, per renderlo unico e irripetibile, perchè ogni giorno sia da noi vissuto, consapevolmente, diverso da ogni altro.


Triste è la vita di colui che ha bisogno dei famosi "15 minuti di celebrità" come diceva Andy Wahrol per dare significato alla propria esistenza.
pallina is offline  
Vecchio 07-06-2007, 11.12.59   #27
querelle
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Stò constatando che è "automatico" ormai per la nostra mente affrontare tutto in termini di superamento/risoluzione; da quì tutti i miei/vostri suggerimenti sul "come" affrontare il tema in oggetto.
Scusatemi ma non è a questo che mi riferivo. Quello di cui parliamo tutti sono delle sostituzioni.
Il problema và affrontato così e non cosà. Ma siamo sicuri di esserci avvicinati al fatto "isolamento"?
Parlo dello stato dell'io che parte inevitabilmente da un centro. Certo che da lì ci si può + o meno allontanarsi ma ripeto,non è questo quello di cui parlo.
La disperazione stà lì e finchè mi ci avvicinerò con circospezione starò con l'intenzione recondita di scappare. Per ora, cercando di andare + lentamente possibile, credo che questa consapevolezza (viva nel presente) sia il massimo verso cui mi sia spinto. Certo, mi direte che fine hanno fatto quelli che hanno passato la vita a cercare ma a questo riguardo escludo che dietro il cercare ci sia una scelta + o - consapevole.
Barcollo in una stanza buia, cercando un interruttore. Ogni secondo che passa si consolida il dubbio che sia cieco...ecco il punto, sono io che che per paura del buio chiudo gli occhi. Preferisco la sicurezza che troverò un interruttore prima o poi che l'insicurezza del presente sul quale la luce non sono io (inteso come nostra coscienza) a gettarla.
querelle is offline  
Vecchio 07-06-2007, 11.54.47   #28
querelle
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Mi permetto di suggerire questa lettura.
Gradirei molto dei commenti e maari che parliate delle sensazioni che avete provato nel leggerlo. Grazie

http://www.gianfrancobertagni.it/mat.../vitasenso.htm
querelle is offline  
Vecchio 07-06-2007, 12.00.11   #29
visir
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Siamo figli della stessa mamma?

Devo ammettere con riluttanza (per un competitivo come me) che avete scritto tutti cose molto belle, lucy è luminosa, neve e pallina di una sensibilità rara e se dimentico qualche altro è colpa solo dell'artereosclerosi galopponte che mi tormenta prima del tempo.

Marco, scrive molto bene e devo dire anche con una profondità propria della vita vissuta.
Manca nel suo essere (sai che non so stare zitto) di una disciplina, di una scuola di uno strumento vivo per trasformare le intuizioni in realizzazioni che certamente troverà nel suo futuro (visir docet).

Dico questo non ritenendomi in nessun modo altro che uno studente (ripetente per giunta), quindi spero mi ascoltiate con l'orecchio giusto.

Leggere i post di noi tutti mi fa pensare che in quanto a sofferenza siamo tutti ben preparati, evviva!
O notato, con beffardo stupore che nulla accumuna l'umano come la disgrazia, in questi frangenti le impressioni che se ne traggono sono illuminanti.

Certo poi la vita ogni tanto ti sorride, ammicca, promette, ma sono diventato sordo al suo richiamo, come Ulisse al canto delle sirene.
Proprio l'Odissea, metafora di altissimo valore semantico, ben rappresenta il viaggio dell'uomo verso se stesso (Itaca) e mi aiuta a spiegarmi.

Ulisse è l'archetipo del viaggiatore/ricercatore, è obbligato dagli Dei a conoscere, nel suo instancabile peregrinare, ogni nefandezza e splendore del mondo, egli rappresenta l'Uomo in seme.
Omero lo definisce: l'uomo dai mille penitimenti.

Ma di che deve pentirsi il nostro Ulisse? Meglio direi: come deve pentirsi?

Il discorso si fa lungo e di non facile esposizione, quindi mi perdonerete se lo accenno solamente, do una pennelata, ma oggi sono ancora più sintetico del sintetico (mi sto trasformando in un poliamminide).

Pentirsi è nel mio modo di vedere:ricongiungersi.
Quindi profondamente diverso dall' accezione cristiana, non vi è un dio al quale chiedere scusa a guisa di bimbo verso un genitore/giudicatore.
Ricongiungersi a cosa o con cosa? A noi stessi direi pronto, prevenendo le vostre manine alzate, ovvero alle varie parti di noi (del nostro io frammentato, forse) onde costituire una integrità, un centro ovvero un'arca che ci permetta di navigare e arrivare infine ad Itaca.

In quest'ottica marinara, l'incontro con Polifemo (la fame divoratrice e cieca) con Circe (la maga seduttrice) con le sirene già anticipate e con i Peaci benefattori, poco prima del ritrono a casa e della catarsi omicida dei Proci usurpatori, danno infiniti spunti di riflessione, ai quali non voglio dare fiato per non sciuparvi il piacere della ricerca.

Cosa centra questo con il vuoto interiore? poco o nulla, magari molto... dipende.

Al modo orientale (dal quale pesco a piene mani) il seme esprime il massimo anche in confronto all'albero secolare.
Per una certa tradizione, il seme è più forte, poichè è l'albero in potenza (qualunque albero) similmente il vuoto è il massimo al quale un uomo può ambire (vuoto interiore come amate chiamarlo voi).
Nel vuoto che permea e origina ogni cosa, l'uomo trova la sua isola, la sua casa, la sua potenzialità all'ennesima potenza per alcuni l'uomo trova Dio o diviene Dio (a seconda delle categorie mentali).
Cosa è Dio se non tutte le cose possibili realizzate e realizzabili in tutti i modi possibili nello stesso medesimo tempo?

La paura generata da questo vuoto è nel perdersi, vuoto a perdere come le bottiglie di chinotto (le più paurose in assoluto), e allora ecco che superata qusta soglia ogni somma trova il suo totale, ogni vita trova il suo scopo e ragione, ogni domanda non sorge più.
Non si può essere soli perchè non vi è un me che deve correlarsi ad un te.

Astratto? forse, scritto così probabilmente.

Ma ogni cosa prima di essere fatta e stata prima immaginata, se pensi questo certamente divieni questo, diceva la mia nonna.

Ed è vero.
visir is offline  
Vecchio 07-06-2007, 12.49.08   #30
visir
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Messaggi: 436
A querelle

Non trovo necessario cercare un interruttore per la luce quando basta aprire gli occhi per vedere.

L'Enel non approverebbe, ma l'Energia non è monopolio di nessuno.
visir is offline  

 



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