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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
30-03-2006, 21.36.19 | #1 |
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Data registrazione: 02-02-2003
Messaggi: 2,614
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Il pensiero anarchico
Costruttività sociale e politica:
che posto ha l'anarchismo? N.B: questo non vuole essere un invito all'astensionismo (!) -per carita!! Ma un'invito alla critica del pensiero anarchico ed alla sua possibile realtà in seno ad un mondo ormai ben affogato nella burocrazia-potere. Riporto qui l'articolo che vorrei porre come spunto di ricerca: <<Chiedersi per chi votare significa chiudere ancora una volta gli occhi per non vedere lo sfruttamento e la repressione che ci circondano. Votare è apportare più o meno consapevolmente il nostro contributo alla società opprimente in cui viviamo. Destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia: guerre, devastazione, violenza su lavoratori, immigrati e nomadi, poveri e oppositori sono le caratteristiche intrinseche di qualsivoglia schieramento in corsa per il potere. Dovremmo andare con la coda tra le gambe a dare il nostro consenso a chi infligge una morale agli altri e non certo a se stesso, a chi stabilirà i nostri bisogni e i nostri tempi, a chi continuerà a distruggere tutto ciò che non crea profitto annientando ogni libertà in nostro nome. Ci chiedono di eleggere chi ci dirà cosa è lecito e cosa non lo è, chi continuerà ad erigere le recinzioni che ci circondano, chi definirà ancora una volta una legalità da rispettare, pena la perdita totale della nostra libertà fisica, controllando in dettaglio la vita di ognuno di noi, soprattutto attraverso l’uso sempre più invasivo della tecnologia. Votare insomma il nostro carceriere preferito. Noi pensiamo che si debba vivere in armonia con l’ambiente circostante, rispettando le esigenze di ogni essere vivente e costruendo rapporti non più basati su logiche di sfrenato e crudele dominio sull’uomo, sugli altri animali o sulla terra; che l’organizzazione del lavoro così come è concepita (padrone/lavoratore) sia solo una eufemistica forma di schiavitù, quando ognuno dovrebbe invece essere libero di accordarsi con i suoi simili per provvedere alle proprie esigenze, senza dover pagare tributo a nessuno, a seconda delle locali necessità e dei propri reali bisogni. Pensiamo che gli esseri umani, nonostante i naturali legami con il luogo ove sono nati e cresciuti, possono distinguersi per le loro idee, inclinazioni, attitudini, non certo in base a tratti somatici, razziali o nazionali per questo rifiutiamo ogni tipo di razzismo, di frontiera e di Stato. Non affidiamo ad una croce i nostri desideri di libertà. I governi, le Istituzioni, l’Autorità costituita non rappresentano una soluzione ad alcun problema, ne sono anzi la causa principale. E’ attraverso l’autogestione, il libero accordo e la diffusione di relazioni antiautoritarie che si costruiscono società libere. Non partecipiamo alla formazione dei governi né all’illusione di un cambiamento radicale dell’esistente dall’interno dei palazzi del potere. Non partecipiamo alla nostra oppressione. Partecipiamo alle lotte fuori dai partiti contro lo sfruttamento statalista e capitalista degli esseri viventi e della natura; alle lotte contro il carcere, i manicomi, contro l’isolamento e la segregazione dei corpi e delle coscienze. Sperimentiamo l’apertura di luoghi autogestiti dove i rapporti sono basati sul confronto orizzontale, dove si combatte la gerarchia, il pregiudizio religioso, la discriminazione sessista e razzista. Non deleghiamo a nessuno la nostra vita. Scegliamo la libertà. >> ("Non affidiamo ad una croce i nostri desideri di libertà" da www.autistici.org ) I valori, gli intenti, gli ideali sono quelli di una società basata su un individuo consapevole, responsabile, ma quanto una realtà di questo tipo può aver presa su di un mondo lanciato verso tutt'altri intenti? Greenpeace (purtroppo) spesso strappa un sorriso, amnesty segue a ruota seppur entrambe portino da anni avanti lotte e vittorie, anche se minime sulla grande mole di interventi che restano e si moltiplicano ogni giorno. Quanto un futuro prossimo di responsabilizzazione possa mai essere fattibile in tali toni? Gyta |
31-03-2006, 16.17.12 | #4 |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-09-2004
Messaggi: 2,009
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L'anarchia è una utopia cioè qualcosa che non è possibile realizzare in alcun luogo.
La legge è necessaria in questo universo fisico, come è evidente, ed è necessaria anche sul piano sociale perchè l'uomo è libero di scegliere: l'assoluta libertà di coscienza di uno può confliggere con la libertà di coscienza dell'altro, perciò è necessaria una "terzietà" che giudichi: la legge appunto. Se tutte le coscienze degli uomini, dalla nascita alla morte, fossero informate dal principio, " fa agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te", se così fosse, allora la legge sarebbe superflua. Questo non è possibile perchè ogni coscienza percorre un cammino evolutivo e, nel migliore dei casi, solo al termine del cammino la sua coscienza è perfettamente Umana ed è informata da quel principio. Ultima modifica di Giorgiosan : 31-03-2006 alle ore 16.22.26. |
01-04-2006, 13.33.54 | #5 |
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Data registrazione: 02-02-2003
Messaggi: 2,614
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Ricorrente nelle vostre osservazioni è che il pensiero anarchico
sia pensiero utopico e perciò irrealizzabile.. "Usando le parole di Rudolf Rocker, azione diretta è: ogni metodo di guerra immediata dei lavoratori (o altre persone nella società) contro i loro oppressori economici o politici. Tra questi le più note sono: lo sciopero, in tutte le sue forme, dalla lotta per gli stipendi allo sciopero generale; il boicottaggio; il sabotaggio in tutte le sue forme; occupazioni; propaganda antimilitarista, e in casi particolarmente critici, (...) resistenza armata della gente per proteggere la propria vita e libertà. L’azione diretta non è applicabile soltanto sul luogo lavorativo, deve avvenire ovunque con mancati pagamenti di affitto e tasse, boicottaggio di certi prodotti, occupazioni, impedimento di costruzioni per motivi ecologici ecc... Semplicemente, azione diretta significa agire da solo senza aspettare che qualcuno lo faccia per te, poiché solo agendo direttamente le cose possono cambiare. Quindi, rifiuto l’idea che la società sia statica, e che le coscienze delle persone, le loro idee ed ideali non possano essere cambiate. L’azione diretta provoca una trasformazione degli stessi che la fanno, perché agendo per se stessi, oltre a soddisfare la propria voglia di libertà, dimostrano che ogni cosa è possibile, se esiste la volontà per farla. Liberandoci dalle catene mentali, ci rendiamo conto che tutto è possibile, collaborando ed agendo direttamente. Grazie all'azione diretta ci siamo liberati dalla schiavitù dei secoli passati, e con questa forza diretta abbiamo anche ottenuto le cosiddette "libertà civili"." (da http://www.ecn.org/contropotere/) Eppure è innegabile che è proprio stato così: ogni forte rinnovamento è nato da una presa di coscienza individuale quindi (in secondo tempo) collettiva tradotta in una forza contrapposta; qualunque miglioramento è stata proprio ottenuto tramite la lotta collettiva partita dall'opposizione del singolo individuo di fronte alle forme di potere oppressivo dominante e verso l'ingiustizia, attraverso il non sostentamento, l' astensionismo contro il sistema di potere vigente. La lotta per la parità razziale, di classe, di sesso, e prima ancora verso le dittature straniere e gli stessi autoritarismi statali!! Quale negro, quale donna, quale parità al diritto d' alfabetizzazione, al pane ci sarebbe mai stata senza la lotta partita dall'astensionismo di un singolo <folle> idealista se con la sua propria <disperata> rivoluzione tirante dietro sé folle intere e col tempo la stessa <massa> dell'opinione pubblica???!! Spesso si cita ad esempio il forte potere della non-azione gandhiana, e diamo pure forza al credo d'un inghilterra fondamentalmente senziente al progetto di volontà indipendentista (indiana), ma cosa se non l'opinione pubblica fu proprio perno trascinante nella decisione finale di togliere gli artigli da una terra che con grande volontà di ribellione portò a galla agli occhi di tutta la comunità internazionale la netta distinzione tra il senso di giustizia e la violenza?!! Questo potere nelle mani del singolo c'è ed è fortissimo!!! C'è una <politica> d'indottrinamento mirante all'oblio di questo potere attivo.. Ce ne si rende conto?! Il nostro "si" ed il nostro "no" passa prima dall'ipotetica approvazione di un pensiero di massa inesistente!!! Perché se al singolo chiediamo cosa sia "giustizia" sa ben rispondere guardando direttamente alla sua propria vita di ogni giorno; perché allora riusciamo a trovare lecito ciò che visibilmente senza tacito plagio mistificante diverrebbe agli occhi di tutti abuso di potere!!!!! E parlo di quella "economia" dove un povero cristo qualunque si rende conto che qualcosa "non marcia" e tentandone la comprensione gli par di metter mano ad un universo parallelo tanto questo risulti distante ed occultante il potere base legittimo della decisione individuale(!) Un sistema politico statale di verticalità che in definitiva toglie di mezzo dalla reale partecipazione collettiva l'individuo ed suo potere decisionale soggiogandolo di fatto nell'illusione d'esserne invece l'ipotetico seppur latente fautore: <Una legge importante come quella di revisione costituzionale del 22 novembre 1999 (riferimento a: L. cost. 22 novembre 1999, n. 1, "Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni" >www.camera.it ), che disciplina la forma di governo regionale standard e quella transitoria attualmente in vigore, parla anche della cultura politica e istituzionale della classe politica che l’ha voluta e del più generale “ambiente” che quella cultura ha prodotto: assumendo questo punto di vista, propongo le seguenti osservazioni. La legge dimostra che è prevalente oggi in Italia una cultura per descrivere la quale si può far ricorso alle parole [...] in chiave critica – di Giuseppe De Rita :“gli anni Novanta sono stati segnati da una dinamica politica pervasa da opzioni diverse ma tutte disattente al problema del riassetto complessivo del nostro sistema istituzionale e incentrata su tre scelte correlate fra di loro: la scelta del primato della decisionalità; la scelta della concentrazione e verticalizzazione del potere; la scelta della personalizzazione delle decisioni e del potere”. La prima “talvolta corrivamente scivolata nel più arrogante decisionismo ... ha squilibrato ... il necessario equilibrio fra decisionalità e rappresentanza”, determinando “la pratica inutilità odierna dei consigli comunali, provinciali e regionali, veri e propri fantasmi istituzionali senza ruolo” ridotti “a mere comparse dell’attività e dell’attivismo personale del sindaco, del presidente della provincia, del presidente ... della regione”. Ne è derivato – e si passa così alla seconda scelta – lo “spostamento delle decisioni in ambiti sempre più ristretti di potere; [la] tendenza a cercare o imporre leader anche improbabili in ristrette cerchie di interesse e d’opinione; [la] coltivazione del mito del capo, necessario e spesso mitico delle istituzioni”. Polemizzando con chi afferma “che è proprio il carattere di proliferazione molecolare della nostra società che impone come sua singola unificazione possibile il presidenzialismo al vertice”, si fa notare che questa ipotesi è “intimamente vecchia, in quanto risente ancora dell’antica concezione piramidale del potere, con un «faraone» che opera sul fluire della domanda e della risposta decisionale lungo dinamiche squisitamente gerarchiche”. Quanto infine alla terza scelta – strettamente correlata alle prime due – De Rita parla di “ricerca regressiva di decisionalità e di «capi»” in chiave, aggiungerei, più d’incarnazione di tipo populista3, che di rappresentanza liberaldemocratica, tale dunque da non richiamarsi alla statemanship e cioè al “peso del valore personale dei leader che ha sempre connotato la politica e lo Stato”, ma a “un più pesante e ambiguo fenomeno di identificazione della politica con figure e vicende squisitamente personali”: se la rappresentanza “ha bisogno di un paziente lavoro collettivo, il decisionismo ha bisogno di uomini che sappiano «impersonarlo»; se la partecipazione ha bisogno di canali e di dinamiche di tipo collettivo, la verticalizzazione del potere ha bisogno di uomini che siano o almeno appaiano straordinari leader maximi”.[..] (da www.costituzionalismo.it/articolo.asp?id=116 ) Siamo davvero sicuri che ciò che è stato motore storico del progresso civile, la lotta collettiva <al singolare>, sia oggi defunto in una legittimazione di una <dittura maggioritaria> per così dire??! (qualche domanda a Chomsky intorno alle prospettive anarchiche in http://www.zmag.org/italy/chomsky-ot...deanarchia.htm) Gyta Ultima modifica di gyta : 01-04-2006 alle ore 13.46.24. |
01-04-2006, 13.59.29 | #6 |
ospite sporadico
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Ma Chomsky non è quello che ha detto una cosa tipo.....
"se c'è un gruppo di uomini che non stanno facendo nulla, fagli scavare un buca anche se non serve a nulla, quando l'hanno scavata fagliela riempire" Questo mi basta per capire cosa pensa dell'anarchia , saggio uomo. E questo post lo ha scritto un "anarchico" fautore del "vivi e lascia vivere" (che però si rende conto che l'uomo nella massa ha bisogno di essere regolamentato) |
02-04-2006, 03.10.01 | #8 | |
iscrizione annullata
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Mentre io
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Io, cara Gyta, da liberale radicale quale sono e sempre sono stato, con le botte sul groppone prese negli anni '70 e ''80, tante dai "rossi" quante dai "neri", io ti bacchetterei le idee, amica vicinissima, fino a farle "rosse", o, "nere"... Perchè un colore, vedi, è meglio dell'incolore. "Sis quodcumque voles, non aliena tamen". |
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02-04-2006, 13.30.38 | #9 | |
Moderatore
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Citazione:
se non erro, ciò è stato detto da Keynes, e costui non era certo un anarchico |
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