"Una mattina, già al levarmi dal letto, mi sentii in uno stato insolito di benessere; quel senso di benessere, contrariamente a tutti i casi analoghi, continuò a crescere per tutta la mattina; all'una in punto avevo toccato il vertice più alto, e presentivo quel massimo che dà le vertigini..............Il mio corpo non aveva più il suo peso terrestre: mi pareva ormai di non evere più corpo affatto, appunto perché ciascuna delle funzioni godeva il suo pieno soddisfacimento; ogni nervo si accordava alla perfezione con se stesso e vibrava in armoia con l'intero sistema..............Il mio essere non era se non trasparenza....e ogni pensiero mi si profferiva con gioia beata, la più pazza delle trovate non meno che la più ricca delle idee. Ogni impressione, io la presentivo prima che venisse; era dunque già desta nel mio intimo. Tutta l'esistenza era, come dire, innamorata di me; vibrava in un solo concerto, gravido di destino, con il mio essere; tutto in me era augurale, tutto misteriosamente trasfigurato nella mia microcosmica beatitudine; e questa beatitudine trasfigurava a sua volta in sé ogni cosa, anche il disagio, anche la più fastidiosa delle osservazioni, la più repellente delle viste, il più fatale degli scontri.
Come dicevo, all'una avevo toccato il vertice più alto, onde intravvedevo il massimo raggiungibile; ed ecco, all'improvviso, qualcosa incomincia a prudermi in un occhio.
Che cosa fosse, un ciglio, una piuma, un pulviscolo, io non lo so;
so questo solo: in quell'istante preciso, piombai nel baratro della disperazione".
(Kierkegaard)
Credo che se Schiepp avesse sentito che la causa di questo stato d'animo fosse la mancanza di fantasia di una scocietà irrigidita meccanicamente nei suoi schemi, avrebbe pubblicato il suo post tra quelli inerenti i problemi della nostra società.
Premetto che comincio a pensare che la nostra società si stia evolvendo così rapidamente e in modo così eterogeneo, rispetto a come mutava prima, da rendere vano qualsiasi tentativo di analizzarla e capirla per tentare di capire anche le nevrosi che genera su noi stessi.
Mi sembra di vedere sociologi e psicologi affannarsi a mettere in piedi ipotesi incomplete e contraddittorie che fanno acqua da tutte le parti.
In me, sinceramente, però, quel "deve ancora succedere tutto" non ha risuonato affatto come un'attesa, consolatoria o disperata che sia.
Forse questo dipende solo dal mio modo di essere, ma a me quel "deve ancora succedere tutto" più che di "attesa", da di "assenza".
Non so se riesco a spiegarmi, ma in certi momenti non si ha la lungimiranza di pensare che si può riempire quel vuoto dell'anima.
In certi momenti si può solo sentire un peso che "accade".
Per questo ho pensato a Kierkegaard.
Non ci trovo ninete di anormale, in questo. L'anormalità stà nel rifutarsi di accettare queste fasi di malinconia apparentemente immotivata in nome di un dinamismo forzato (e imposto) della mente e del cuore.
La nevrosi nasce da questo, a parer mio. Proprio dal pensare che la cura è una soltanto, e che bisogna fare presto; invece di prendersi il tempo e il silenzio necessari per aprirsi alla propria sensibilità, per accettarla.
Non voglio mettere in piedi una scadente apologia della tristezza, perché la malinconia, da sola, se continua a rivoltarsi su se stessa, non porta a nulla di buono.
Ma Romano Guardini, commentando questi versi, scrive:
"Questo peso a sua volta, questa oscura tristezza portano talora frutti infinitamente preziosi: lasciate solo che la passione si attenui...............L'oscuri tà, invece, appartiene alla luce: tutte e due, riunite, costituiscono il mistero di ciò che è essenziale.
Verso l'oscurità tende nostalgicamente la malinconia, ben sapendo che dal seno di lei le sorgeranno innanzi le figure luminose del presente.
.............Questa malinconia è quella da cui esplode il dionisiaco.
Proprio l'uomo malinconico è più profondamente in rapporto can la pienezza dell'esistenza. Splendono chiari, a lui, i colori del mondo; a lui risuona con dolcezza più intima, la musica interiore.
Lui, e lui solo, avverte in pieno la violenza delle forme viventi. Dall'essere del malinconico sbocca a trabocca a fiotti la vita; a lui come a nessuno, è dato di esprimere la sfrenatezza dell'intera esistenza".
E' più facile usare parole di altri per esprimere certe cose, piuttosto che trovarne di proprie.
Ma se il sentimento di "assenza" di quel "deve ancora succedere tutto" è questo, perché dovrei riunciarci?
Per paura che questo porti a commettere atti irreparabili?
Questo è un paradosso che mi fa soltanto ridere, perché, chi capisce davvero il senso di quelle parole, chi se lo porta dentro, ama la vita e vuole conoscerla molto più di tutti quelli che non fanno che "pensare positivo" nel senso comune del termine.
E, quindi, a questa "solitudine come una lama di rasoio che non graffia troppo", non ci rinuncio nemmeno per stare perfettamente al passo con i dettàmi di questa società. Perché ho soltanto questa vita, qui, e voglio viverla nel massimo rispetto del mio essere e della mia sensibilità; perché altrimenti, la grande opportunità di riempire a modo nostro questo tempo che abbiamo avuto a disposizione, non avrebbe più alcun senso.
Questo è il motivo di fondo che mi porta a compiere certe scelte di vita, e anche certe piccole scelte quitidiane.
Ed è un cammino. Un cammino faticoso e doloroso.
Una cammino che compiamo senza sapere né dove diavolo ci porterà, né, in fondo, a cosa serva.
Ma alcuni di noi (o forse tutti noi) lo fanno per istinto e vanno come vanno le nuvole, che seguono il vento fiduciose anche se non possono vedere l'intero disegno del cielo (l'idea di questa frase non è mia, ma di un altro dei miei libri amici).
Quindi, caro Schiepp, sempre se non sono andata troppo lontano interpretando il tuo post e se hai sentito anche tu "tue" tutte queste parole, l'unica cosa sensata che riesco a dirti, adesso, è: continua così.
E non aver paura.
Un abbraccio, sincero.