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Vecchio 28-09-2015, 01.00.39   #41
paul11
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Riferimento: Vita, morte, saggezza

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Originalmente inviato da sgiombo
@paul11

Dici “La morte , il dolore e la sofferenza? Lasciamo alla natura questa fatica e cerchiamo di dare affetto e comprensione a chi si sente solo per l'ultimo viaggio e non lasciamo che un corpo fisico sia martoriato separandolo dalla mente, dalla psiche, dalla coscienza, dallo spirito.
Questo è il sistema per togliere la dignità al malato, all'uomo.
Lasciamo che "vada", perchè noi siamo troppo ignoranti come umanità per giudicare ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, nascondendoli dentro un parere scientifico”.
Ma se ci chiede di aiutarlo ad “andare”, non neghiamogli il nostro aiuto!
Non credo che offendiamo la natura, e se esistesse probabilmente nemmeno Dio (su questo evidentemente non ho voce in capitolo), se ci prendiamo qualche licenza sul tempo in cui “andare”.


(Se mi posso concedere una digressione nel “personale”, mi sento molto in sintonia e fraternamente vicino a quanto qui scrivi. Tieni duro!).

Estrapolo l'ultima parte della tua risposta.
Lo percepisco che c'è assonanza socio-culturale personale.
E questo è bello.Si possono avere pareri diversi ,ma condividere aspetti fondamentali.
Per essere chiari, ritengo che essendo tutti facenti parte del genere umano, dal lappone all'aborigeno australiano, dal cinese al pellerossa americano, una cultura determina nei suoi fondamenti la modalità in cui l'etica sociale si scontra con la morale individuale. Nella cultura Occidentale è talmente evidente in quanto lo scontro è sempre avvenuto fra diritto pubblico e diritto privato, ma proprio per la separazione fra ragione , fra trascendenza ed empirismo. Ed anche quì specializzando e separando saperi e linguaggi.
Lo so benissimo quindi che la morale appartiene all'intero genere umano a prescindere dalle fedi.

Ma mi preme entrare di più nel meccanismo di aiutare un uomo che vuol morire.
La prendo alla "larga" dicendo in un contesto opposto che io non me la sentirei nemmeno di uccidere un Hitler" bambino" pur sapendo quello che avrebbe fatto.
Non me la sentirei di dare personalmente morte al peggior criminale al mondo.

Come faccio a sapere se veramente è un aiuto ad andarsene da parte di una persona. Io non darei una pistola a chi vuol suicidarsi.

So benissimo che il problema è drammaticamente più difficile per una persona che ritiene di non avere più speranze e prova dolore e sofferenza. ma chi e come decide, chi prende la responsabilità di fisicamente dargli l'eutanasia?
Parliamoci chiaro e tu che sei medico ne saprei parecchio di più.
Una malattia degenerante ( e dipenderebbe quale) ha la necessità che dei medici diano un parere chiaro, che si piglino anche la responsabilità di farlo, non lasciando ai parenti l'enorme difficoltà di gestire il cosa e come fare.
Siamo sicuri che basta la fiala demandata al professionista di turno per lavarci la coscienza? Non abbiamo incertezze? La medicina è una scienza esatta?
Basta lasciare un "testamento" da parte di un futuro malato sofferente per essere sicuri che ciò sia giusto?
Mi sto interrogando seriamente e serenamente, dove nelle società umane si sono create le figure professioniste che somministrano la morte come rappresentanti sociali: dal boia al medico dell'eutanasia
Stiamo parlando di fine di una vita a prescindere dal contesto, anche di un malato. Allora mi chiedo ,ma la natura stessa (ma quì ho bisogno anche del tuo parere più illuminante) non intontisce, non toglie conoscenza nel momento in cui il dolore e la sofferenza arrivano alla soglia? Semmai è la medicina che con la tecnologia può mantenere in vita una persona artificialmente. Ma sappiamo anche che ad esempio in un coma farmacologico può aiutare a ripristinare le condizioni dei parametri vitali.
Insomma, da una parte la medicina applica tecnologie e tecniche senza le quali molti sarebbero morti e invece vivono, quali sono i parametri così invalidanti scientificamente provati e dall'altra la volontà testamentaria di una persona che non vuole soffrire.
Il problema è fra scienza medica, etica sociale dentro una legge , volontà individuale, e i parenti e amici del malato.
Sappiamo benissimo che una certa eutanasia esiste di fatto e viene applicata su anziani.Quando le terapie non danno risultati e il "corpo" non reagisce (io dico che anche la mente ha deciso il "the end") si lascia il malato al suo destino.
Per finire, ho difficoltà a dare un parere chiaro e definitivo su una tematica delicata come la morte di una persona umana.
Per questo per me la regola è lasciare che la natura compia il suo percorso, non c'entra la volontà dello stesso malato quando era sano,
ognuno di noi non sa come reagirà quando sarà il momento:chi si aggrapperà alla vita con gli artigli, chi si lascerà andare all'inedia fisica e mentale.
Non sono contrario per partito preso all'eutanasia, ma devono essere estremamente chiari i termini d'intervento.Non so se basti la volontà.La volontà è nella sfera conscia di una lucidità razionale, ma che forse non possiamo pensare che invece vi sia un ripensamento, una lotta inconscia per la vita nonostante tutto? Chi può giudicare?
Sicuro che ci rimettiamo alla volontà personale.?
Ecco allora che torna la saggezza come nel titolo della tua discussione.
Come il saggio intende sofferenza e dolore dentro l'esistenza, ancor prima della morte?

p.s. sono contento che sei contento del successo della tua discussione

paul11 is offline  
Vecchio 28-09-2015, 09.38.40   #42
sgiombo
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Originalmente inviato da Jacopus
Sono stati toccati molti temi interessanti. Aggiungo una citazione da Severino: "cambiano le modalità ma l'essenza del dolore e le tecniche per sconfiggerlo fanno parte da sempre della storia dell'Occidente". La citazione non è proprio esatta ma il senso credo sia questo. Ed è questa la grande importanza dell'Occidente nella storia dell'umanità, non più l'andamento circolare ma quello direzionale. La storia come freccia. Sto forse divagando ma mi piaceva entrare in un nucleo profondo del discorso.
Entrando nel merito penso che darsi la morte sia coerentemente analogo ai trapianti di cuore, ovvero la nostra vita ha ormai una dimensione tecnologica importante e quindi così come si può accettare o rifiutare un trapianto si deve poter decidere se continuare o meno a vivere. Questo da un punto di vista giuridico-sociale. Da un punto di vista personale credo che dovrei vivere direttamente una situazione di dolore tale per prendere posizione in un senso o nell'altro. Le liturgie del dolore, tanto care al cristianesimo, le ho comunque sempre guardate con sospetto.


Mi sentirei di proporre solo Due sole piccole osservazioni.

Credo che anche nelle altre culture siano presenti tecniche, sia "psicologiche" sia "fisiche" per sconfiggere il dolore (l' avversione al quale é universalmente umana e anche animale); in occidente c' é stato in particolare lo sviluppo (alquanto non lineare, e "complicato", con "perduranti intecci con un empirismo alquanto poco scientifico") della medicina scientifica (che non é o non dovrebbe contrapporsi ma porsi in modo complementare con le tecniche psicologiche o mentali -ma forse meglio dire: filosofiche- per affrontare e dominare il dolore).

Il suicidio come "male minore", secondo me in sostanza l' eutanasia (anche se non si chiamava così), é sempre stato praticato fin dall' antichità e credo non solo in occidente, anche se ovviamente con tecniche più rudimentali (ma in fondo non molto meno efficaci) delle odierne.
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Vecchio 28-09-2015, 09.45.37   #43
sgiombo
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Originalmente inviato da memento
È vero,ma stabilire una condotta di vita è stabilire un dogma religioso,ovvero un modello etico di comportamento al quale attenersi. Cioè,puoi anche non credere ad un Dio che ricompensi dopo la morte,ma all'idea di cosa è giusto e virtuoso dovrai per necessità aver fede. Un "dio etico",mettiamola cosi.
Se la morale è un prodotto del tutto naturale,allora deve tenere conto di tutte le situazioni con cui l'individuo si confronta,ed essere continuamente messa in discussione da chi le subisce. La moralità deve configurarsi come una modalità di adattamento alle condizioni che la vita ci pone. Un educazione che duri tutta una vita,perché non si smetta mai di imparare dalle disgrazie che ci accadono. Condivido perciò il tuo approccio sulla fine della vita,il dolore fine a sé stesso non ha nulla da insegnarci,se non a morire. Ma non si può dire lo stesso anche della virtù fine a sé stessa?


Perché mai "religioso"?

Etica =/= religione.

"Dogmatico" nel senso di non dimostrato razionalmente ma semplicemente avvertito lo é per forza qualsiasi imperativo morale dal momento che la ragione può dimostrare quali mezzi usare per conseguire determinati fini in circostanze determinate e non quali fini perseguire (che semplicemente si avvertono per motivi del tutto naturalistici e non sopra- o preter- naturali, non spiegabili religiosamente ma invece scientificamente): nessun "Dio etico" ma invece un' etica naturalistica (perfettamente integrabile e da parte mia integrata in una visione ateistica).

Sia il desiderio di evitare il dolore fine a se stesso, sia quello di perseguire la virtù fine a se stessa non possono essere dimostrati essere necessari o "doverosi" poiché si può dimostrare razionalmente solo ciò che é, non ciò che é desiderabile in sé e per se; casomai ciò che é desiderabile come mezzo per un' altro fine: i fini a se stessi si sentono (per motivi naturalissimi), non si dimostrano, contrariamente agli scopi relativi ad altri più autentici fini, che sono dunque in realtà dei mezzi.

Sono d' accordo che la morale, essendo è un prodotto naturale ma in parte anche sociale (comunque non soprannaturale: la socialità e la cultura umana non contraddicendo la "naturalità generale" ma configurandosi come una sorta di "seconda natura" o ulteriore, peculiare sviluppo naturale -rispetto al resto della natura, fino agli altri animali- della pura e semplice "naturalità generale"), allora deve tenere conto di tutte le situazioni con cui l' individuo si confronta, ed essere continuamente messa in discussione da chi le subisce ed affronta (cioè che talora non pone semplici dilemmi bene/male immediatamente evidenti ma bisognosi di profonde, sofferte riflessioni).

Ultima modifica di sgiombo : 28-09-2015 alle ore 19.59.03.
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Vecchio 28-09-2015, 12.55.51   #44
sgiombo
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Originalmente inviato da Varg75
Un padrino non si rifiuta mai! Grazie per il caloroso benvenuto.

Purtroppo però qui ti devo contraddire. E' evidente che tutte le scelte di vita o idee filosofiche, che riguardano in particolar modo la morte, siano non proprio basate su una valutazione fredda e senza scrupoli della realtà ma, il contrario oserei dire, proprio dalla paura della morte stessa. Anzi, coloro che si sforzano nel trovare tali convinzioni, assolutamente infondate, sono proprio i più colpiti. Secondo me, però, a questo punto è necessaria una precisazione: Morte e Paura della morte sono concettualmente due cose differenti. La morte: Sonno eterno senza sogni per l'ideale di massa, è più o meno semplice in sé da accettare, ma la -paura- quasi impossibile. L'accettazione della morte (cioè della paura della morte), è in realtà una disperata e forzata consolazione che denota una ancora più forte negazione della stessa. Per quanto riguarda gli epicurei, per me, la morte è vista da loro non proprio come una fine della vita individuale ma piuttosto come una nuova singolare condizione di vita finalizzata a sconfiggere la paura. Forse è così che riescono in questo gesto estremo.

Non sono per niente d' accordo.

Mi risulta che non poche persone (fra loro io stesso, almeno finora) si pongano di fronte alla morte del tutto razionalmente e non essendo assolutamente in preda al panico.

Gli epicurei conseguenti, seguendo il loro maestro, non hanno alcuna paura della morte in quanto sanno che fin che sono vivi la (loro) morte non c' é, mentre allorché accade la loro morte non ci sono più loro (non sono più vivi) e dunque non sono più in grado di soffrire in alcun modo.

Personalmente (non sono irreprensibilmente epicureo; né irreprensibilmente stoico) non temo affatto la morte proprio per questo motivo, mentre temo il dolore che può precederla; e proprio per questo spero di poterlo evitare (il dolore, non la morte, evidentemente, che peraltro non mi fa alcuna paura) con l' eutanasia.

Ultima modifica di sgiombo : 28-09-2015 alle ore 20.00.48.
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Vecchio 28-09-2015, 19.52.16   #45
sgiombo
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Originalmente inviato da paul11
Estrapolo l'ultima parte della tua risposta.
Lo percepisco che c'è assonanza socio-culturale personale.
E questo è bello.Si possono avere pareri diversi ,ma condividere aspetti fondamentali.
Per essere chiari, ritengo che essendo tutti facenti parte del genere umano, dal lappone all'aborigeno australiano, dal cinese al pellerossa americano, una cultura determina nei suoi fondamenti la modalità in cui l'etica sociale si scontra con la morale individuale. Nella cultura Occidentale è talmente evidente in quanto lo scontro è sempre avvenuto fra diritto pubblico e diritto privato, ma proprio per la separazione fra ragione , fra trascendenza ed empirismo. Ed anche quì specializzando e separando saperi e linguaggi.
Lo so benissimo quindi che la morale appartiene all'intero genere umano a prescindere dalle fedi.

Ma mi preme entrare di più nel meccanismo di aiutare un uomo che vuol morire.
La prendo alla "larga" dicendo in un contesto opposto che io non me la sentirei nemmeno di uccidere un Hitler" bambino" pur sapendo quello che avrebbe fatto.
Non me la sentirei di dare personalmente morte al peggior criminale al mondo.

Come faccio a sapere se veramente è un aiuto ad andarsene da parte di una persona. Io non darei una pistola a chi vuol suicidarsi.

So benissimo che il problema è drammaticamente più difficile per una persona che ritiene di non avere più speranze e prova dolore e sofferenza. ma chi e come decide, chi prende la responsabilità di fisicamente dargli l'eutanasia?
Parliamoci chiaro e tu che sei medico ne saprei parecchio di più.
Una malattia degenerante ( e dipenderebbe quale) ha la necessità che dei medici diano un parere chiaro, che si piglino anche la responsabilità di farlo, non lasciando ai parenti l'enorme difficoltà di gestire il cosa e come fare.
Siamo sicuri che basta la fiala demandata al professionista di turno per lavarci la coscienza? Non abbiamo incertezze? La medicina è una scienza esatta?
Basta lasciare un "testamento" da parte di un futuro malato sofferente per essere sicuri che ciò sia giusto?
Mi sto interrogando seriamente e serenamente, dove nelle società umane si sono create le figure professioniste che somministrano la morte come rappresentanti sociali: dal boia al medico dell'eutanasia
Stiamo parlando di fine di una vita a prescindere dal contesto, anche di un malato. Allora mi chiedo ,ma la natura stessa (ma quì ho bisogno anche del tuo parere più illuminante) non intontisce, non toglie conoscenza nel momento in cui il dolore e la sofferenza arrivano alla soglia? Semmai è la medicina che con la tecnologia può mantenere in vita una persona artificialmente. Ma sappiamo anche che ad esempio in un coma farmacologico può aiutare a ripristinare le condizioni dei parametri vitali.
Insomma, da una parte la medicina applica tecnologie e tecniche senza le quali molti sarebbero morti e invece vivono, quali sono i parametri così invalidanti scientificamente provati e dall'altra la volontà testamentaria di una persona che non vuole soffrire.
Il problema è fra scienza medica, etica sociale dentro una legge , volontà individuale, e i parenti e amici del malato.
Sappiamo benissimo che una certa eutanasia esiste di fatto e viene applicata su anziani.Quando le terapie non danno risultati e il "corpo" non reagisce (io dico che anche la mente ha deciso il "the end") si lascia il malato al suo destino.
Per finire, ho difficoltà a dare un parere chiaro e definitivo su una tematica delicata come la morte di una persona umana.
Per questo per me la regola è lasciare che la natura compia il suo percorso, non c'entra la volontà dello stesso malato quando era sano,
ognuno di noi non sa come reagirà quando sarà il momento:chi si aggrapperà alla vita con gli artigli, chi si lascerà andare all'inedia fisica e mentale.
Non sono contrario per partito preso all'eutanasia, ma devono essere estremamente chiari i termini d'intervento.Non so se basti la volontà.La volontà è nella sfera conscia di una lucidità razionale, ma che forse non possiamo pensare che invece vi sia un ripensamento, una lotta inconscia per la vita nonostante tutto? Chi può giudicare?
Sicuro che ci rimettiamo alla volontà personale.?
Ecco allora che torna la saggezza come nel titolo della tua discussione.
Come il saggio intende sofferenza e dolore dentro l'esistenza, ancor prima della morte?

p.s. sono contento che sei contento del successo della tua discussione


Beh, la medicina bon è una scienza esatta, ma certe cose sono conosciute con certezza scientifica (paragonabile a quella con cui si sa che la forza è uguale al prodotto della massa per l’ accelerazione, che per ogni azione accade una reazione uguale e contraria o che nelle trasformazioni materiali la massa si trasforma in energia e viceversa in proporzione al quadrato della velocità della luce); tante altre no.
Fra le cose scientificamente certe vi è che una dose superiore a un certo limite di certi farmaci porta prima al coma (incoscienza), poi alla morte, senza passare per dolori fisici (che non siano già presenti, ai quali comunque metterebbe fine).
Quindi se uno in grado di intendere e di volere mi chiede motivatamente di farlo morire senza soffrire, lo faccio (incorrendo in un gravissimo reato, ma -per me- prima viene l’ etica, poi la legge, che può essere -e nella fattispecie la legge italiana attuale è- iniqua, immorale).

Posto che umanamente si può sempre sbagliare (alla faccia dei miserabili sciacalli che gridano continuamente alla presunta "malasanità"!!!), ritengo che il modo più ragionevole di cercare di agire correttamente (e giustamente) sia rispettare il più fedelmente possibile il testamento biologico che uno ha redatto nel pieno possesso delle sue facoltà mentali e non più modificato (personalmente sono iscritto alla società “Exit Italia” e ho sottoscritto un testamento biologico non legalmente riconosciuto in cui chiedo che in caso di coma che sia ritenuto ragionevolmente irreversibile le cure mi vengano sospese dopo un anno, che ritengo un lasso di tempo ragionevole).

Ammetterai, credo, che fra il boia e il medico e che somministra l’ eutanasia corre una bella differenza: la condanna a morte uno la subisce contro la sua volontà, mentre l’ eutanasia la desidera e la richiede (che poi ci possano teoricamente essere ripensamenti in extremis -nell' impossibilità di esprimerli- rispetto a un testamento biologico precedentemente stilato fa parte dell' incertezza e fallibilità inevitabile ma solo relativamente limitabile nell’ agire umano; e mi sembra che seguire il testamento biologico in assenza di un ripensamento esplicitamente e chiaramente manifestato dal diretto interessato sia il modo più ragionevole di cercare di limitarla).

Vi sono morti (sfortunate: il “culo” è importante nella vita in tutta la sua durata, dall’ inizio alla fine compresa) estremamente dolorose e agonie estremamente, crudelissimamente prolungate, nelle quali la perdita della coscienza precede solo di pochissimo la morte e segue interminabili, orribili sofferenze. Oltre naturalmente a morti che mi sento tranquillamente di definire “fortunate” (posto che in un modo o nell’ altro si deve pur morire) in quanto del tutto indolori.
E a volte è facilmente prevedibile con ragionevolissima attendibilità come sarà l’ imminente morte di una persona; e allora, se sarà dolorosissima in mancanza di un’ intervento farmacologico e se quella persona, essendo in grado di intendere e di volere, l’ ha chiesto inequivocabilmente ritengo più che giusto e doveroso (sebbene attualmente in Italia illegale) somministrarle l’ eutanasia.

I parametri ritenuti eccessivamente invalidanti o dolorosi per sopportarli ognuno li valuta da sé: c’ è chi sopporta dolori e fatiche grandissime, chi non supera difficoltà per altri relativamente modeste; al di là dell’ opinione più o meno buona che ne possiamo avere, della stima maggiore o minore che questo può suscitare in ciascuno di noi, credo che ad ognuno spetti il diritto di decidere in piena autonomia in ogni momento circa la sua propria sopravvivenza o meno.

Affermi che “Sappiamo benissimo che una certa eutanasia esiste di fatto e viene applicata su anziani. Quando le terapie non danno risultati e il "corpo" non reagisce (io dico che anche la mente ha deciso il "the end") si lascia il malato al suo destino”.
Ora a me pare che l’ omissione di soccorso in seguito alla quale interviene la morte (una morte altrimenti evitabile) sia moralmente (e almeno in buona misura anche legalmente: la pena prevista è forse solo di qualche anno in meno di galera) equivalente all’ omicidio “attivo” (non trovo chi, essendo abile nuotatore, si astiene dal salvare uno che sta annegando, meno spregevolmente colpevole, meno omicida di chi uccide deliberatamente un suo simile).
Dunque trovo ipocrita (certo inconsapevolmente da parte tua, se pure la approvi, cosa che non mi è del tutto chiara) approvare questa astensione dall’ accanimento terapeutico e non l’ eutanasia attiva.
Se quando la mente ha deciso il "the end" é giusto "omettere l' ulteriore soccorso" (astenersi dall' accadimento terapeutico) attendendo passivamente che ciò accada, non vedo come potrebbe essere meno giusto farlo accadere attivamente (tanto più se la mente si é espressa inequivocabilmente in tal senso nel pieno possesso delle sue facoltà).
sgiombo is offline  
Vecchio 29-09-2015, 09.59.43   #46
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Vita, morte, saggezza.

X Sgiombo

......Morire con fierezza, quando non è più possibile vivere con fierezza. La morte scelta spontaneamente, la morte eseguita al tempo giusto, con chiarezza e letizia, in mezzo ai figli e a testimoni: in modo che sia ancora possibile prender realmente congedo, quando sia ancora presente colui che si congeda, come pure una reale valutazione di quanto abbiamo raggiunto e voluto, una somma della vita - tutto ciò in antitesi a quella miserevole e orrenda commedia che il cristianesimo ha fatto dell' ora della morte. ....... ( Crepuscolo degli Idoli, cap.: Scorribande di un inattuale, aforisma 36, Morale per medici. Nietzsche)

E' strano dover constatare, anche se Nietzsche in questo aforisma va molto più in là in merito alla questione, che l' argomento di questo post è in linea con il pensiero del filosofo.

A mio avviso, comunque in questo caso Nietzsche sbagliava. Allontanare il prete dall' ultimo momento di vita, e non solo quel momento, è sicuramente un argomento diverso e che dovrebbe far riflettere, ma sul suicidio sono pienamente d' accordo con Maral.

La propria vita e morte sono un fatto strettamente personale, in cui nessuna etica o morale dovrebbe imporre qualcosa, ma che per altro identifica una scelta che tutto è tranne che razionale.
Infatti, sempre a mio avviso, quand' anche razionalmente decidessimo di toglierci la vita per qualsiasi fattore, bisogna vedere se poi saremo capaci di vincere le forze interne se contrarie. E quasi sempre lo sono.

Al di là di tutto, comunque io spero che tu ritrovi razionalmente la forza e il coraggio sia vivere che di sopportare il dolore, qualsiasi dolore, per non dover affrontare la battaglia più ardua, quella contro il proprio istinto, che può veramente diventare titanica e renderti la vita ancora più dolorosa. E anche ammesso che vincessi le tue resistenze, perché non impossibili da abbattere, ritengo che comunque sia sempre un errore andarsene.

Per il momento mi fermo qui.

Grazie della cortese attenzione,

Garbino Vento di Tempesta
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Vecchio 29-09-2015, 19.03.23   #47
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......Morire con fierezza, quando non è più possibile vivere con fierezza. La morte scelta spontaneamente, la morte eseguita al tempo giusto, con chiarezza e letizia, in mezzo ai figli e a testimoni: in modo che sia ancora possibile prender realmente congedo, quando sia ancora presente colui che si congeda, come pure una reale valutazione di quanto abbiamo raggiunto e voluto, una somma della vita - tutto ciò in antitesi a quella miserevole e orrenda commedia che il cristianesimo ha fatto dell' ora della morte. ....... ( Crepuscolo degli Idoli, cap.: Scorribande di un inattuale, aforisma 36, Morale per medici. Nietzsche)

E' strano dover constatare, anche se Nietzsche in questo aforisma va molto più in là in merito alla questione, che l' argomento di questo post è in linea con il pensiero del filosofo.

A mio avviso, comunque in questo caso Nietzsche sbagliava. Allontanare il prete dall' ultimo momento di vita, e non solo quel momento, è sicuramente un argomento diverso e che dovrebbe far riflettere, ma sul suicidio sono pienamente d' accordo con Maral.

La propria vita e morte sono un fatto strettamente personale, in cui nessuna etica o morale dovrebbe imporre qualcosa, ma che per altro identifica una scelta che tutto è tranne che razionale.
Infatti, sempre a mio avviso, quand' anche razionalmente decidessimo di toglierci la vita per qualsiasi fattore, bisogna vedere se poi saremo capaci di vincere le forze interne se contrarie. E quasi sempre lo sono.

Al di là di tutto, comunque io spero che tu ritrovi razionalmente la forza e il coraggio sia vivere che di sopportare il dolore, qualsiasi dolore, per non dover affrontare la battaglia più ardua, quella contro il proprio istinto, che può veramente diventare titanica e renderti la vita ancora più dolorosa. E anche ammesso che vincessi le tue resistenze, perché non impossibili da abbattere, ritengo che comunque sia sempre un errore andarsene.

Per il momento mi fermo qui.

Grazie della cortese attenzione,

Garbino Vento di Tempesta


Mi piacerebbe capire come possa aver dato l' impressione a Garbino (e ad altri?) di non aver più la forza e il coraggio di vivere e di sopportare il dolore.

Boh?!?!?!

Sono molto felice e credo (senza falsa modestia) dotato di discreto coraggio e forza d' animo, anche se mi rendo conto di invecchiare.

Spero di vivere ancora a lungo ma soprattutto felicemente (e preferirei per poco ma felicemente piuttosto che a lungo ma infelicemente).

Semplicemente, essendo razionalista, considero il futuro anche non immediato e cerco di preparami anche al peggio che pure cerco e spero di evitare fintanto che sarà possibile (ma la morte, prima o poi deve venire, non si può evitare, e per quanto mi riguarda cerco di arrivarci il più serenamente e non dolorosamente possibile).

Tutto qui!

Che c' entrerebbe in tutto questo un pretesa perdita della "forza e il coraggio sia di vivere che di sopportare il dolore"???

Boh?!?!?!.

Francamente non sento alcun istinto a prolungare indefinitamente la mia vita a costo di soffrire terribilmente (cosa che di fatto non mi accade, almeno a tutt' oggi).

Sento l' istinto a fuggire il dolore e la sofferenza, ma non a qualsiasi costo: con gli stoici credo infatti che la virù é premio a se stessa e che il saggio e virtuoso é felice solo se si comporta saggiamente e virtuosamente, anche nelle più terribili sofferenze fisiche.

SPERO DI ESSERMI SPIEGATO E DI AVER FUGATO QUESTO VERAMENTE ASSURDO MALINTESO!!!

Ah, dimenticavo: in questa discussione sono state esposte (per fortuna!) diverse opinioni; non escludo che alcune possano essere più o meno "in linea con il pensiero di Nietzche".

Ci tengo però a precisare che le mie non lo sono affatto (al massimo ci può essere qualche "convergenza di fatto" a me alquanto non gradita ma oggettivamente irrilevante).
Io rivendico con orgoglio il mio razionalismo, la mia magnanimità, generosità, altruismo, simpatia per i più deboli, sfruttati, vilipesi, sconfitti, "sfigari" ecc., e avversione verso i privilegaiti e i prepotenti, il mio essere politicamente un progressista rivoluzionario egalitarista e collettivista (o meglio: comunista).
E non mi piace punto essere (indebitamente) confuso con i seguaci di Nietzche.

Ultima modifica di sgiombo : 30-09-2015 alle ore 08.52.18.
sgiombo is offline  
Vecchio 30-09-2015, 01.07.02   #48
paul11
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Riferimento: Vita, morte, saggezza

La medicina non è scienza esatta e non vi è certezza proprio di niente. La medicina è una scienza con dei suoi metodi che nascono da ciò che emerge, che si appalesa, ma nulla può dire della vita e della morte e tanto meno del dolore fisico e della sofferenza psichica.
Siamo dei corpi fisici "standard", la medicina studia la malattia,non Pau11 o Sgiombo. La tua cellula è uguale alla mia, la pillola dell''azienda farmaceutica è universale, vale per tutti.
Per essere chiari Sgiombo, non c'è una legge per solo Paul 11, per solo Sgiombo, ecc. Quando una legalità è consentita fino ad un certo punto vale la maturità della persona. Vedasi cosa sta accadendo con i lifting, i seni finti, tutti vogliono essere belli e geniali, avere successo e soldi, non patire, perchè già avere responsabilità è un peso.
E'questo clima culturale che non mi va, dare la possibilità ad una umanità instupidita di continuare a perseguirla, perchè non ci sono più regole. La libertà non è non avere regole, ma avere il senso del limite già in noi singoli umani, senza bisogno che altri ci dicano necessariamente per ogni cosa come dovremmo regolarci.
E' una società che rischia di intendere la vita come un paese dei balocchi che invece non è : è falsare la realtà e la vita.
Capisco benissimo cosa intendi in fondo.E se fosse per me riferito a Sgiombo ti dico anche che tutto sommato è giusto quello che fai.

Per quanto riguarda l'eutanasia ,a mio parere esiste quella attiva e quella passiva.Quella attiva è legiferata e avrà penso dei protocolli.Io intendevo quella passiva, quando il sistema immunitario non reagisce ad ulteriori terapie, per cui il corpo diventa oggetto di continue complicazioni fisiche, quando la stessa medicina ritiene impossibile trovare soluzioni per cui interviene la pietas:si "lascia andare"proprio perchè è inutile creare sofferenze e dolore mantenendo in vita.
Io temo la perdita del valore della vita ed è un problema sia di cultura sociale che di morale personale. Perchè la cultura determina il clima e i condizionamennti in cui siamo.E la gente è sempre più debole mentalmente, se la maggioranza fa una cosa stupida per non essere fuori dal branco si fa gli stupidi.C'è poco coraggio nel rimanere autentici e troppa debolezza per essere una folla rincoglionita.

Non intendendo uguali il boia e il medico, ma sono accomunati come strumenti di morte . Uno si incappuccia per essere anonimo e rappresentare la giustizia della società, la legalità; l'altro somministra fisicamente dando la morte. Certo il boia lo fa per un crimine e dà la morte contro la volontà del criminale, l'altro esegue un protocollo basato a sua volta su una volontà.
Ma sono accomunati da una regola sociale e dallo strumento di morte. Sono "fisicamente" un chiudere la vita.

Il "the end" che intendo non è un atto volontario di voler morire, una consapevolezza, una volontà razionale. Io penso che alla fine è la mente che decide più del corpo fisico.
Ma è la sofferenza e il dolore che sono interpretati in maniera diversa nelle culture.Ci sono culture dove la malattia è la manifestazione della disarmonia fra corpo e mente e/o la disarmonia con la natura del mondo, con l'ambiente. Quì il concetto è armonia ed energia (es. ying e yang, kundalini, ecc.). Non c'è un dualismo come nella cultura occidentale dove ci sono separazioni che a mio parere sono proprio la fonte del malessere dell'uomo occidentale in quanto dentro la storia della nostra cultura. L'aspetto mentale ,ma non come separazione del corpo, ma come "regista", regolatore, gestore attraverso tecniche tende a ritrovare l'armonia.
Dall'altra c'è un cultura religiosa che a sua volta è stata interpretata sempre più in maniera dualistica con la separazione dell'anima(psiche), spirito(pneuma) nella trascendenza e la materialità empirica dell'evidenza fenomenica dall'altra. Una cosmogenesi in questo contesto significa separare nettamente il divenire dentro la materialità fisica, vissuta come una "prova" dentro la contraddizione dell'esistenza, dove la finalità è invece la vita eterna nell'aldilà.
Qui la sofferenza e il dolore sono il contrappasso per l'attesa futura,per cui la vita diventa esercizio di sopportazione del dolore e sofferenza, anzi alcune interpretazioni estreme tendono al martirio fisico come molti "beati".E quì per quanto sia cristiano comincio a dissentire, perchè Gesù non ha detto che bisogna soffrire e patire dolore, cioè andare a cercarseli,ma semmai che li hanno subiti, ha detto beati coloro che soffrono ,ma inteso come diseredati, infelici, ultimi, ciechi, muti,ecc. Cioè ha dato speranza e salvezza agli ultimi per quello che non hanno potuto avere nella vita terrena,diversamente non si spiega perchè li miracoli togliendo loro infermità e malattie. E' un discorso lungo, ma è importantissimo, perchè costruisce la cultura storica del vivere la vita con il rapporto di dolore e sofferenza.

Non c'è nulla di più irrazionale della morte e la dimostrazione è che non riusciremo con la sola ragione "a farcene una ragione" ed è per questo che sono titubante che ragione, volontà, bastino.
Personalmente sarei che la medicina aiuti(ma mi rendo conto che il problema è di organizzazione sanitaria e di stato) il malato dentro un concetto di dignità umana, di una storia vissuta dal vagito del nascituro al rantolo del moribondo.In una ultima intervista a Jung sulla morte ,rispose che la nostra mente si difende progettando il domattina:così deve essere. Una persona dovrebbe lasciare questo mondo circondato delle sue cose, non nell'anonimato asettico, senza intimità, senza condivisione, ma negli affetti possibilmente nella sua dimora che hanno visto i suoi passi.

paul11 is offline  
Vecchio 30-09-2015, 01.25.30   #49
Sariputra
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Originalmente inviato da sgiombo
Mi piacerebbe capire come possa aver dato l' impressione a Garbino (e ad altri?) di non aver più la forza e il coraggio di vivere e di sopportare il dolore.

Boh?!?!?!

Sono molto felice e credo (senza falsa modestia) dotato di discreto coraggio e forza d' animo, anche se mi rendo conto di invecchiare.

Spero di vivere ancora a lungo ma soprattutto felicemente (e preferirei per poco ma felicemente piuttosto che a lungo ma infelicemente).

Semplicemente, essendo razionalista, considero il futuro anche non immediato e cerco di preparami anche al peggio che pure cerco e spero di evitare fintanto che sarà possibile (ma la morte, prima o poi deve venire, non si può evitare, e per quanto mi riguarda cerco di arrivarci il più serenamente e non dolorosamente possibile).

Tutto qui!

Che c' entrerebbe in tutto questo un pretesa perdita della "forza e il coraggio sia vivere che di sopportare il dolore"???

Boh?!?!?!.

Francamente non sento alcun istinto a prolungare indefinitamente la mia vita a costo di soffrire terribilmente (cosa che di fatto non mi accade, almeno a tutt' oggi).

Sento l' istinto a fuggire il dolore e la sofferenza, ma non a qualsiasi costo: con gli stoici credo infatti che la virù é premio a se stessa e che il saggio e virtuoso é felice solo se si comporta saggiamente e virtuosamente, anche nelle più terribili sofferenze fisiche.

SPERO DI ESSERMI SPIEGATO E DI AVER FUGATO QUESTO VERAMENTE ASSURDO MALINTESO!!!

Ah, dimenticavo: in questa discussione sono state esposte (per fortuna!) diverse opinioni; non escludo che alcune possano essere più o meno "in linea" con il pensiero di Nietzche".

Ci tengo però a precisare che le mie non lo sono affatto (al massimo ci può essere qualche "convergenza di fatto").
Io rivendico con orgoglio il mio razionalismo, la mia magnanimità, generosità, altruismo, simpatia per i più deboli, sfruttati, vilpesi, sconfitti, ecc., il mio essere politicamente un progressista rivoluzionario egalitarista e collettivista (o meglio: comunista).
E non mi piace punto essere (indebitamente) confuso con i seguaci di Nietzche.


Personalmente non avevo inteso la tua riflessione sulla morte e sulla sofferenza che la precede come un'anticipazione del desiderio di lasciare questa valle di lacrime.
Anzi direi che, viste le tue risposte assai battagliere, questo momento è ancora lungi dall'approssimarsi...
Combatti come un vecchio dinosauro ormai in via di estinzione (ti definisci comunista e cosa sono quest'ultimi se non esseri in via di estinzione ? ) ma ben deciso a "vender cara la pelle ".
Scrivi: "Sono molto felice" e son contento che sia così.
Dal canto mio non ho spesso questa sensazione anzi...da quando sono rimasto senza lavoro, dai problemi di salute a quelli familiari, ecc. sarei portato a dire il contrario. Ma non è così.
C'è una Bellezza sconfinata nelle cose , anche oggi è stata una giornata radiosa. Il cielo terso e quel leggero vento autunnale che mi riempie il giardino di foglie ormai ingiallite.Il sorriso di mia figlia, con tutti i suoi problemi misti alla sua gioia e dolcezza. Mia moglie indaffarata e stranamente ciarliera. Il silenzio di questa sera e la dolce solitudine nello scrivere. Tutto passa e la nostra vita, in questo mutamento, acquista un valore di unicità pur mutando continuamente anch'essa. Nel comprendere questo continuo cambiamento si intuisce il significato della morte, la nostra morte, che è in essenza questo cambiamento stesso. Non è una cosa che ci aspetta là davanti, un domani, chissà quando. E' qui ora , in questo vivere. E' ciò che dà bellezza alla vita. Un giorno la nostra corsa sembrerà arrestarsi per sempre ma sarà solo un nuovo cambiamento, un misero corpo che nell'intendimento della Vita dovrebbe diventare nutrimento per altra vita. Coscienza che dovrebbe diventare nutrimento per altra coscienza che viene in essere. Solo che noi, inorriditi da questo pensiero, pensiamo di sfuggire imbalsamando, bruciando, seppellendo dentro bare e cripte e mausolei, creando rifugi in paradisi vari dell'aldilà.
Mentre basta osservare tutto ciò che ci circonda per comprendere che è da questo nutrimento che siamo portati in vita, ne siamo mantenuti attraverso il cammino degli anni, infine ne veniamo abbandonati (la prima cosa che indica l'avvicinarsi della fine è proprio il rifiuto del cibo, del nutrimento) e dobbiamo "restituire" quello che abbiamo assimilato perché altri esseri ne possano beneficiare, nutrirsi di noi. E ci sarà così nuova vita. Una catena senza fine...di Bellezza e di Dolore.
Sariputra is offline  
Vecchio 30-09-2015, 15.17.52   #50
memento
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Originalmente inviato da Sariputra
C'è una Bellezza sconfinata nelle cose , anche oggi è stata una giornata radiosa. Il cielo terso e quel leggero vento autunnale che mi riempie il giardino di foglie ormai ingiallite.Il sorriso di mia figlia, con tutti i suoi problemi misti alla sua gioia e dolcezza. Mia moglie indaffarata e stranamente ciarliera. Il silenzio di questa sera e la dolce solitudine nello scrivere. Tutto passa e la nostra vita, in questo mutamento, acquista un valore di unicità pur mutando continuamente anch'essa. Nel comprendere questo continuo cambiamento si intuisce il significato della morte, la nostra morte, che è in essenza questo cambiamento stesso. Non è una cosa che ci aspetta là davanti, un domani, chissà quando. E' qui ora , in questo vivere. E' ciò che dà bellezza alla vita. Un giorno la nostra corsa sembrerà arrestarsi per sempre ma sarà solo un nuovo cambiamento, un misero corpo che nell'intendimento della Vita dovrebbe diventare nutrimento per altra vita. Coscienza che dovrebbe diventare nutrimento per altra coscienza che viene in essere. Solo che noi, inorriditi da questo pensiero, pensiamo di sfuggire imbalsamando, bruciando, seppellendo dentro bare e cripte e mausolei, creando rifugi in paradisi vari dell'aldilà.
Mentre basta osservare tutto ciò che ci circonda per comprendere che è da questo nutrimento che siamo portati in vita, ne siamo mantenuti attraverso il cammino degli anni, infine ne veniamo abbandonati (la prima cosa che indica l'avvicinarsi della fine è proprio il rifiuto del cibo, del nutrimento) e dobbiamo "restituire" quello che abbiamo assimilato perché altri esseri ne possano beneficiare, nutrirsi di noi. E ci sarà così nuova vita. Una catena senza fine...di Bellezza e di Dolore.
Senza essertene accorto,hai inteso e spiegato perfettamente quello che Nietzsche intende per volontà di potenza.

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Originalmente inviato da sgiombo
Perché mai "religioso"?
Etica =/= religione.
"Dogmatico" nel senso di non dimostrato razionalmente ma semplicemente avvertito lo é per forza qualsiasi imperativo morale dal momento che la ragione può dimostrare quali mezzi usare per conseguire determinati fini in circostanze determinate e non quali fini perseguire (che semplicemente si avvertono per motivi del tutto naturalistici e non sopra- o preter- naturali, non spiegabili religiosamente ma invece scientificamente): nessun "Dio etico" ma invece un' etica naturalistica (perfettamente integrabile e da parte mia integrata in una visione ateistica).
Religioso perché nel dogma ci vedo sempre il riferimento ad una trascendenza che garantisca che il principio resti assoluto (perciò sempre valido). Sempre se la morale è esplicita e non semplicemente percepita per istinto. Ciò che tu invece intendi per dogmatico a mio avviso non lo è,per il motivo che è addiritura soggetto a discussioni,e non preda di una fede cieca.
Citazione:
Originalmente inviato da sgiombo
Sono d' accordo che la morale, essendo è un prodotto naturale ma in parte anche sociale (comunque non soprannaturale: la socialità e la cultura umana non contraddicendo la "naturalità generale" ma configurandosi come una sorta di "seconda natura" o ulteriore, peculiare sviluppo naturale -rispetto al resto della natura, fino agli altri animali- della pura e semplice "naturalità generale"), allora deve tenere conto di tutte le situazioni con cui l' individuo si confronta, ed essere continuamente messa in discussione da chi le subisce ed affronta (cioè che talora non pone semplici dilemmi bene/male immediatamente evidenti ma bisognosi di profonde, sofferte riflessioni).
Questa ultima frase racchiude il senso di ciò che volevo dire. Nulla da aggiungere,direi che siamo d'accordo su tutta la linea (a parte qualche fraintendimento).
memento is offline  

 



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