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Vecchio 25-08-2015, 21.49.09   #1
Galvan 1224
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La congettura di Poincaré e la domanda nascosta.

Il mio approccio con la matematica (scuola) è stato difficile (come lo è anche oggi per la maggioranza degli studenti), così non me crucciai più di tanto, arrivando ad imparar con l’aiuto di una buona memoria definizioni e formule e con l’applicazione a risolver equazioni e problemi.

Non fu quello che si può dire un “rapporto”, bensì una utilitaristica conoscenza, tutta svolta alla superficie di quel mondo di simboli, relazioni e rigorose definizioni, senza mai davvero provare se non un tuffo almeno una significativa immersione.

Mi interessavano altri ambiti ai quali dedicavo il mio tempo, ma quell’astratto mondo (che tuttavia permette sempre più di intervenire e controllare quello reale e quotidiano) mi ha sempre affascinato e con l’andar del tempo mi son convinto che la comunità dei matematici abbia avuto ed ha un ruolo fondamentale nella storia dell’uomo.

Nel mio riavvicinarmi a quella disciplina (oggi) sono aiutato dalla preparazione degli addetti ai lavori, capaci di render a parole quelle che son formule per pochi, così rendendo possibile ai profani cogliere qualche sprazzo dell’eccelsa astrazione cui può spingersi quel tipo di pensiero.

Appunto un addetto ai lavori, Donal O'Shea, ha scritto un libro: La Congettura di Poincaré che ho letto e consiglio vivamente a chi fosse interessato oltre che alla congettura stessa anche alla bella storia della matematica.

Riporto la recensione del libro ad opera di Maurizio Melis:

http://www.moebiusonline.eu/fuoriond...Poincare.shtml


La Congettura di Poincaré: una storia matematica

Si racconta che uno studente di Euclide - il padre della geometria vissuto tra il IV e il III sec. a.C. - dopo aver appreso il primo postulato abbia chiesto al Maestro che scopo pratico avesse lo studio della geometria. Stando alla leggenda, Euclide si sarebbe allora rivolto al suo schiavo replicando con sdegno: "Da' a questo ragazzo una moneta, dato che deve trarre un profitto da ciò che apprende".
Molti secoli dopo, nel 2002, il matematico russo Grigori Perelman, ha risolto uno dei più longevi e affascinanti enigmi della matematica, che resisteva agli attacchi delle menti migliori sin dalla fine dell'800. Si tratta della Congettura di Poincaré, che Perelman ha dimostrato all'interno di un lavoro, per la verità, di portata ancora più vasta. Per questo successo gli è stata assegnata la medaglia Fields (il più alto riconoscimento a cui possa ambire un matematico) e il premio messo in palio dal Clay Institute (1 milione di dollari tondo-tondo) per aver risolto uno dei 7 problemi del millennio, annunciati all'inizio del 2000: Perelman ha rifiutato entrambi. Insomma: la leggenda di Euclide che si rinnova, in qualche modo, anche nella nostra moderna (e materialistica) epoca.

Ma chi fu Henry Poincaré?
Poincaré, francese, nato nel 1854 e morto nel 1912 fu un topologo, e diede contributi fondamentali a questa disciplina, che studia proprietà molto generali dello spazio geometrico. Per esempio la teoria della relatività generale, che Einstein portò a compimento nel 1915 - perciò solo 3 anni dopo la morte del matematico - non sarebbe stata possibile senza il suo lavoro. La Congettura di Poincaré è stato uno dei più grandi rompicapi matematici. Certamente il più grande che ci ha lasciato il topologo francese.
E' uscito un libro (si intitola "La congettura di Poincaré", diDonal O'Shea - Ed. BUR) che racconta la storia della Congettura attraversando un po' tutta la storia della matematica, da Euclide e Pitagora fino ai giorni nostri e all'impresa di Perelman. E' la natura della matematica: tutto il suo sviluppo si svolge lungo un filo senza soluzione di continuità. I problemi passano da una generazione di matematici a quella successiva come un testimone. Si ampliano, divengono sempre più generali e più astratti. Ma quel filo è sempre possibile rintracciarlo. "La congettura di Poincarè" è uno dei più splendidi esempi di questa continuità, così nel libro di O'Shea emerge chiaramente come i problemi affrontati da Riemann, Poincaré ed Einstein, che volevano capire la forma dell'Universo, siano il naturale sviluppo di semi gettati 2000 anni prima da uomini come Pitagora, Eratostene e Tolomeo che all'alba dei tempi si interrogavano sulla forma del mondo. E infatti, uno dei capitoli più interessanti è dedicato a questa tematica, a cui vale almeno la pena di accennare.
Che la terra fosse sferica, infatti, era patrimonio comune di ogni persona colta già nell'antichità. (L'idea che nel medioevo si ritenesse la terra piatta, infatti, è una leggenda priva di fondamento, dovuta a un certo Irving.) Tuttavia la sfericità della Terra era una ragionevole supposizione, una brillante intuizione, ma non una certezza. Di certo c'era solo che la terra fosse curva. Ma finché non fu esplorata e mappata completamente, ciò che accadde solo nel XIX secolo, nulla a rigor di logica impediva di asserire, per esempio, che avesse la forma di una ciambella con il buco in corrispondenza dei poli, all'epoca ancora inesplorati.
Muovendosi tra apparenti paradossi, tra il passato e il futuro, "La Congettura di Poincaré" è perciò un viaggio dentro una disciplina poco nota, la topologia, che oggi è fondamentale negli studi di fisica più avanzati, quelli che indagano la natura più profonda dell'Universo. Ha scritto Galileo: "Il libro della Natura è scritto nel linguaggio della matematica, e i suoi caratteri sono cerchi, triangoli e quadrati." Non poteva immaginare quanto profetiche si sarebbero rivelate le sue parole.



Il contenuto del libro, di cui avete letto un assaggio, mi ha fatto sorgere delle domande che man mano proporrò alla vostra attenzione.


Questa è la prima:

Euclide, Pitagora… Riemann, Poincaré, Einstein e Perelman… pietre miliari di un percorso che ha man mano permesso di farci un’idea (ben di più in verità, considerato che da quelle rappresentazioni geometrico-matematiche ne son derivate tecnologie che, volenti o meno, caratterizzano la nostra civiltà) nientemeno che dell’universo, il nostro luogo di soggiorno.

Beh, leggendo il libro riesce difficile non pensare che forse le cose non accadono per caso, man mano i frutti maturano e la generazione successiva li coglie, piantando nuovi alberi da cui altri frutti… questi son frutti matematici e forse mai nella relativamente giovane storia (5-6000 anni) della nostra civiltà si è giunti così in profondità nella comprensione di quanto ci circonda e in cui ci troviamo.

Certo lo è per mezzo di uno strumento specifico di pensiero (il linguaggio matematico, in questo caso) e nelle rappresentazioni e formalismi di tale strumento va collocata la comprensione. Potrebbe essere che alla fine (se mai ci si arriverà) le cose non stiano come si pensava… forse l’universo o gli universi son “oggetti” troppo complessi, pure l’uomo a quello (inconsciamente se vogliamo) mirava.

Dapprima la terra, piatta o tonda e poi di seguito (… bello che Plutone abbia un “cuore”, no? Difficile adesso condividere la sua declassificazione da pianeta…), sempre più difficile, sempre un po’ più in là del limite… la congettura di Poincarè, uno tra i maggiori problemi matematici dopo cent’anni finalmente dimostrato… chissà cosa c’è sotto a tutto questo.

Disegno o caso, la matematica ha affermato la sua competenza a trattare argomenti un tempo permessi alla sola teologia… nel guardare i semi della corolla di un girasole oggi sappiamo che una semplicissima sequenza (serie di Fibonacci) comanda la loro disposizione spaziale.

La matematica funziona, attraverso simboli e rigorose regole spiega il disegno (o il codice) nascosto e se oggi discute dei massimi sistemi (universo o multiversi, buchi neri, wormhole e quant’altro di affascinante) ha titolo per farlo.
A causa di persone (come quelle riportate nel libro) che han dedicato la loro vita a seguire le vie dei numeri per vedere dove alfine conducono.

Forse non è un caso, anche se non si può affermar con certezza l’evidenza di un disegno.
Ma questo tempo, così pericoloso e feroce, tuttavia ospita tali raggiungimenti… sospesi sull’orlo di un’altra catastrofe globale ci interroghiamo sulla nostra collocazione… che utilità può avere..?

"Da' a questo ragazzo una moneta, dato che deve trarre un profitto da ciò che apprende".


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Vecchio 26-08-2015, 09.57.29   #2
CVC
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Riferimento: La congettura di Poincaré e la domanda nascosta.

Per i platonici la matematica non era uno strumento conoscitivo ma un modo per separare l'anima dal corpo, per preparare l'adepto alla vita contemplativa che era considerata il più sublime modo di essere. La matematica ha anche un suo aspetto estetico, la soddisfazione che deriva dalla soluzione di un problema può produrre una gratificazione immensa, paragonabile a quella che deriva dall'ascolto di una buona musica o dall'ammirare un'opera d'arte. Certo la matematica è difficile, complessa, rigorosa. Tutte caratteristiche che la presentano come antipatica. Ma quando ci chiediamo se la matematica sia realmente utile, il difetto sta nel manico. Nel senso che se ci poniamo questa domanda è perché il nostro animo non è sufficientemente attento. È più che utile: indispensabile. Ciò non significa che dobbiamo essere tutti matematici, si può ragionare in modo matematico anche con la semplice aritmetica. E in effetti io non vado molto più in la, ma non significa che debba per questo sottovalutare l'importanza della matematica.
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Vecchio 27-08-2015, 11.32.16   #3
paul11
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Riferimento: La congettura di Poincaré e la domanda nascosta.

Citazione:
Originalmente inviato da Galvan 1224


Ma questo tempo, così pericoloso e feroce, tuttavia ospita tali raggiungimenti… sospesi sull’orlo di un’altra catastrofe globale ci interroghiamo sulla nostra collocazione… che utilità può avere..?

"Da' a questo ragazzo una moneta, dato che deve trarre un profitto da ciò che apprende".



Caro Galvan.

Nell'antichità, ma direi come giustamente suggerisci, la matematica, ma soprattutto la geometria, cioè il numero applicato alla forma presentava quasi un carattere "magico",perchè alcuni numeri sono costanti (basterebbe studiare il pi greco cioè il rapporto fra raggio e circonferenza che è sempre uguale). Questa ricorsività, come il "numero aureo" faceva pensare che la natura avesse dei segreti arcani che poi si riproducevano nel mondo fisico. Capire quindi le forme e le costanti significava poter svelare il segreto della relazione fra astrazione e fisicità, quindi il segreto della costruzione e creazione del mondo.

Se si capisce che la matematica applicata alla fisica e geometria ha costanti (poi ovviamente anche variabili) che sono fondamentali (quella di Einstein, quella di Planck,ecc per l'astrofisica) e che ogni scienza ha quindi delle regole che noi chiamiamo formule per risolvere una figura geometrica, o uno spazio/tempo fisico, ci fa riflettere e pensare che tutto l'universo , pur nelle sue infinite manifestazioni fisiche,segue delle regole matematiche semplici che sono armoniche.
(E' uno dei motivi per cui sono un credente.)

Ogni formula che noi abbiamo imparato a memoria a scuola ha una sua storia. Se si riuscisse a insegnare che la matematica ha questa fascinazione propedeutica, forse sarebbe meno noiosa e odiosa.

Ma tieni anche presente, che le rime poetiche, che lo studio dell'armonia musicale e quindi degli intervalli fra le note, che la durata di ogni singola nota, che le diverse prospettive delle arti figurative, non ne parliamo poi per l'architettura nei diversi stili, seguono delle precise regole matematiche universali.
E questo continua ad essere misterioso e affascinante....come ai tempi di Pitagora.

L'utilità è che noi non possiamo uscire più di un tanto fuori da regole ordinative dentro le armonie, fuori dalle quali si "spegne" la vita, perchè si "stona".
E' la regola del metabolismo umano, è la regola dei cristalli che crescono, è la regola dei cicli di vita delle stelle,è la regola dell'arco a tutto sesto nell'architettura, è la regola dell'armonia della dominante e della tonica nella musica,ecc.
paul11 is offline  
Vecchio 31-08-2015, 23.32.38   #4
Galvan 1224
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Riferimento: La congettura di Poincaré e la domanda nascosta.

Ringrazio CVC e paul per il gradito contributo,

e quale riconoscimento all’importanza della matematica (e degli uomini che vi si sono dedicati) ho cercato di migliorare la traduzione per i lettori del forum dell’ultima intervista a Grigori Perelman, persona che stimo profondamente.
Ne riparleremo, intanto buona lettura.


Brett Forrest per The Telegraph, 22 ago 2012

In cerca di Grigori Perelman, il genio della matematica che vive come un recluso in Russia.


Sei anni fa Grigori Perelman ha scioccato il mondo della matematica, prima risolvendo un problema rimasto irrisolto e poi rifuggendo da fama e fortuna. Dove è andato?

Non ho mai fatto appostamenti, ma sapevo come si fa. Presi un libro e comprai dei sandwiches, accesi la radio ascoltando le notizie sul traffico, per rimanere sveglio mentre aspettavo il mio obiettivo: Grigori Perelman Jakovlevic.

Ero qui per intervistarlo ma avevo un problema : Perelman viveva come un recluso - forse il più famoso del mondo- e odiava parlare con la gente.

Considerato da molti quale la persona più intelligente e pazza del pianeta, oggi ha 46 anni e richiamò l’attenzione del mondo sei anni fa, quando annunciò di aver risolto la congettura di Poincarè che interessa la geometria degli spazi multidimensionali e che ha avuto vaste implicazioni nella teoria della relatività e in fisica quantistica, e ha contribuito a spiegare la forma dell’universo.

Per quasi 100 anni la congettura aveva confuso le menti matematiche più acute , molte della quali avevano rivendicato d’averla dimostrata, salvo trovarvi errori alla verifica successiva. Alcuni, dedicandovici, sprecarono tutta la loro vita e ne ebbero lo spirito spezzato.
Perelman che pur sconfisse la congettura dopo molti anni di sforzi e concentrazione ne fu influenzato così profondamente da apparire spezzato a sua volta.

Chiuse i contatti con la maggior parte di amici e colleghi, smise di tagliarsi barba e capelli e nel 2005 si dimise dal suo lavoro, dicendo d’essere deluso dalla matematica e nel 2006 divenne la prima persona nella storia a rifiutare la medaglia Fields, il massimo riconoscimento in matematica. Rifiutò cattedre a Princeton e Berkeley, e nel 2010 ha scioccato nuovamente il mondo rifiutando l’importante premio da 1.000.000 di dollari.

“Ho tutto quello che mi serve” si riporta abbia detto ad un collega nell’occasione. Ma nonostante la forte curiosità dei media di tutto il mondo e le recenti voci di un interesse da parte di Hollywood e J. Cameron, non ha mai prodotto nulla neppure per il suo biografo, Masha Gessen.

“Non voglio esser messo in mostra come un animale nello zoo” disse una volta a un giornalista russo attraverso la porta dell’appartamento che condivide con la madre in St Petersburg. Mentre la società russa ha superato il giudizio su Perelman misantropo e matto, io lo ammiravo per la sua rinuncia alla aspettative del mondo moderno, la sua devozione al lavoro, i suoi risultati.
La sua volontà era libera, il suo risultato puro, e in questo stava la sua gloria.

C'era più di un percorso verso la gloria, ragionavo, e un po’ di gloria potrebbe essere trovata nel risolvere questo enigma. Perelman era l'enigma, che parla attraverso la matematica, il complesso linguaggio della sua dimostrazione della congettura di Poincaré, comprensibile solo a poche centinaia di matematici.
Per il resto di noi, desiderosi di cogliere il significato di quel comportamento eccezionale, c'era solo silenzio. L’unico modo per ottenerla era di recarsi in Russia e sedersi fuori del suo appartamento sinché non uscisse. Con una tenue speranza, ho prenotato il mio biglietto per San Pietroburgo.

Prima del mio volo telefonai a Sergei Kislyakov, il rettore del St Petersburg’s Steklov, l’istituto di matematica dove Perelman lavorò come ricercatore.
“Ti sconsiglio di venire qui”, disse Kislyakov.
Perelman non parla con nessuno e in particolare odia i giornalisti. Per qualche ragione questo mi ha ancor più determinato.

Arrivai in primavera. Era un giorno come un altro a Kupchino, la fermata più a sud della linea blu della metropolitana di St Petersburg. Il mio piano era d’affittare un appartamento con vista sull’edificio abitato da Perelman, così chiesi ad un agente immobiliare di visitare i paraggi.

“Non abita nei paraggi un famoso scienziato?” chiesi quasi per caso.

“Vive da qualche parte su questa strada” rispose.

“L’ha mai visto?”

“Visto ?”rispose con una risata.

“Sicuro, come ho visto Putin… in TV”

L’agente mi mostrò una discarica appresso all’altra.
Alla fine ho noleggiato una Hyundai e parcheggiato sulla strada prospiciente l’edificio di Perelman. Dodici piani realizzati in cemento, nel disadorno stile Brezneviano. Diverse persone fumavano davanti alla porta d’acciaio color marrone del vano scala di Perelman, scambiandosi una birra mattutina.

Mi dissero che non si univa mai ad alcuno, rifiutando persino l’ascensore se non era del tutto libero.
E con chi avrebbe dovuto mescolarsi? Le persone che vidi parevano disegnate, anziani appoggiati su bastoni di legno e adolescenti che sprecavano il loro tempo tra i chioschi.
Un barbone androgino dai sporchi capelli biondi annusò intorno alla spazzatura. Una vecchia signora in un abito grossolano mi guardò attraverso il parabrezza, poi sputò.
Ma, cenciosi come i dintorni, Perelman li superava.

Da giovane era di bell’aspetto, dalle caratteristiche morbide e scure, ma le recenti immagini scattate con un telefono su un treno e trasmesse nel web ne rendevano un’immagine differente.
Gli abiti erano sporchi e stropicciati, la barba nera rognosa.
Sembrava turbato, come se guardasse oltre le spesse sopracciglia ritrovandosi a masticare qualcosa di inaspettatamente duro.
Come avrebbe reagito a un mio approccio?

Il mio obiettivo non sembrava alla mia portata quel primo giorno e mi son detto di portar la pazienza di Perelman, che spese sette anni per dimostrare la congettura di Poincaré. La redazione di un tabloid russo ha esaurito la pazienza per rintracciarlo. Quando hanno mandato un reporter a Kupchino il giornalista non ha ottenuto nulla. Un impiegato di sesso femminile ha detto che una volta aveva scambiato qualche parola con Perelman. Il mattino seguente il titolo diceva, "Il Segreto Amore di Grigori Perelman."

Quando ho incontrato Sergei Rukshin, il miglior amico di Perelman, mi sono reso conto che i miei rispettati colleghi della stampa russa avevano complicato il mio compito.
"Piacere di conoscerti", dissi quando arrivai nell'ufficio di Rukshin in una scuola superiore di San Pietroburgo.
Egli rispose: "Vedremo se sarà bello o no". Ma come un rubinetto arrugginito, una volta aperto, Rukshin sgorgava, parlando di Perelman per più di quattro ore. Fu Rukshin, che funge da istruttore di un centro specializzato di Leningrado in matematica, che ha riconosciuto il talento di Perelman nel 1976.

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Vecchio 31-08-2015, 23.34.44   #5
Galvan 1224
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Fu Rukshin, insieme ad altri sostenitori in diverse accademie, che guidò Perelman attraverso politiche sovietiche antisemite che quasi impedivano al giovane genio ebreo di ottenere una formazione commisurata con la sua mente. Ed è Rukshin che ora piange sopra la condizione di questo allievo favorito: "Vive in un blocco."

Il secondo giorno un paio di ragazzi con dei tagli recenti sui loro volti uscirono alla spicciolata cercando qualcosa da fare. Rimasi dov’ero e mentre attendevo pensai agli sviluppi della vita di Perelman.
Cresciuto in St Petersburg dalla madre, Lyubov, matematico di talento anch’essa e dal padre Jakov, un ingegnere, fu mandato a una scuola specializzata in matematica e fisica avanzate. A 16 anni ha vinto una medaglia d’oro con punteggio pieno alle olimpiadi internazionali della matematica. In questa fase della sua vita, secondo l’amico più vicino, Serghei Rukshin, Perelman interagiva con gli altri studenti, divertendosi col ping-pong e recandosi all’opera.
Era eterosessuale, disse Rukshin, ma senza il fuoco per seguire l’inclinazione sino alla sua logica fine.
“Se Grisha ha mai guardato qualcosa con occhi amorevoli,” disse Rukshin usando il soprannome di Perelman “si trovava su una lavagna.”

Poco dopo che Perelman guadagnò il suo dottorato di ricerca avvenne il crollo dell’unione sovietica. Si trasferì negli Stati Uniti, facendo ricerca nelle università, tra cui New York e Berkeley. Era nel mondo e interagiva. Lavorava . Eppure stava già volgendosi al suo interno.

Quando i primi matematici in Russia guadagnavano circa 100 dollari al mese di stipendio, Perelman è stato esposto a un mondo occidentale di professori di ruolo, borse di studio accademiche e finanziatori dei laboratori di ricerca - il lato commerciale del mondo accademico. "E' possibile vendere un teorema ed è possibile acquistarlo", ha detto Rukshin quando è tornato in Russia, disincantato, nel 1995. "Anche se non si ha nulla a che fare con esso."

Aveva già iniziato il suo lavoro sulla congettura, un teorema esposto nel 1904 da Henri Poincaré, erudito francese e fondatore della topologia, lo studio matematico delle forme astratte, materia di lavoro attuale per istituti quali il Cern.
La congettura ha avuto una tale storia di errate risoluzioni da aver indotto Perelman a non parlare con alcuno per non essere scoraggiato. Era anche preoccupato che informazioni non richieste avessero potuto distrarlo. Si fece vedere raramente e lavorò segretamente per sette anni.
"Per Grisha, era una completa auto-limitazione," mi ha detto Nikolai Mnyov, un amico ed ex collega di Perelman.

Avessi la sua capacità non sarei seduto in una Hiunday in attesa di parlare con qualcuno che sarebbe dispiaciuto al solo vedermi.
Chi ero io per lamentarmi? Perelman ha veramente sofferto, acutamente. Ha resistito a un attacco - poi confutato - alla sua dimostrazione da parte di un matematico cinese rivale.
Ha rifiutato la Medaglia Fields, credendo che l'accettazione sarebbe, come Rukshin ha spiegato, fondamentalmente disonesta.
Perelman una volta ha respinto una troupe televisiva di Channel One Russia che ha fatto irruzione attraverso la sua porta di casa, spingendo da parte sua madre.

Ha resistito alla procrastinazione dell’Istituto matematico Clay, che ha preso il suo dolce tempo – ben cinque anni, per offrirgli il milione di dollari che si era impegnato a versare alla persona che risolse la congettura di Poincaré. "Grisha è torturato dalla imperfezione dell'umanità", ha detto Rukshin.

Dopo tre giorni ancora nessuna traccia e mi sentivo sollevato, dal momento che non avevo idea di cosa dirgli. Io non sono proprio un intervistatore. Mi avvicino ai miei soggetti come se fossimo in un bar, chiacchierando davanti a una birra. Una truffa standard, ma piacevole, se non sbaglio. Le persone amano parlare di se stesse. Devi solo dar loro la possibilità.

Ma come si fa a parlare con qualcuno che non parla con nessuno? A ogni domanda che mi son figurato: perché non accettò il premio in denaro, perché rifiutò la medaglia Fields, perché non parlasse con i media – sapevo che non avrebbe risposto.
Non volevo disturbare Perelman. Io non volevo essere come tutti gli altri che lo avevano costretto all'esilio. Credevo ci fosse un modo delicato di avvicinarsi a lui.

Ho consultato chi lo conosceva. Quando ho incontrato Alexander Abramov a Mosca, ha descritto l'ultima telefonata che aveva avuto con Perelman, tre anni prima. Abramov, un professore, ha conosciuto Perelman dal 1982, quando ha allenato la squadra sovietica all'International Math Olimpiadi. (Perelman ha vinto una medaglia d'oro, ottenendo un punteggio perfetto.)
Esasperato dalla solitudine di Perelman, Abramov gli chiese cosa avrebbe dovuto fare per incontrarlo. Perelman ha suggerito che Abramov si recasse a San Pietroburgo. "Per sempre?» Chiese Abramov. "Forse", ha detto Perelman prima di riagganciare il telefono.

Forse a Perelman non piaceva più Abramov. Forse non gli piaceva più nessuno. "Ho paura che sia al livello di una crisi di nervi", ha detto Rukshin. "Se eravamo ancora l'Unione Sovietica, sarebbe stato costretto a un trattamento psichiatrico per questo comportamento." Nel 2008 Perelman ha chiesto Rukshin a limitare le loro telefonate. Ora si parla di una volta all'anno.
"Sembra molto simile alla storia di Bobby Fischer", ha detto Abramov. "E Bobby Fischer non poteva essere detto un uomo felice."

Era il pomeriggio del terzo giorno e il barbone androgino ha supplicato attraverso la finestra della mia macchina per pochi rubli. Anche da vicino non ho potuto dire se si trattasse di un uomo o una donna. Ho guardato il barbone muoversi con la sua piccola ricchezza. Poi, focalizzando i miei occhi sulla porta dell’appartamento mi ritrovai ad ansimare, “Eccolo!”

Era Perelman senza ombra di dubbio. Barba, capelli e l’espressione di incertezza di chi s’imbatte nel sole e al suo fianco sua madre, Lyubov. Indossava una giacca da sci nero, una camicia nera, pantaloni neri. Sua madre era vestita di un cappotto rosso e un berretto bianco.
Si trascinò verso i cassonetti vicino alla porta guardandoli come se potesse rovistarci. Si diressero verso il cortile dietro il loro edificio. Ho chiuso l’auto.

Il cortile era grande, con edifici a due piani disposti a caso. Camminando a distanza ho visto la coppia muoversi attraversando un campo. Decisi di affrontarli a testa alta, piuttosto che di soppiatto alle spalle e di prendere tutte le misure per evitare l’agitazione di Perelman. E anche se sapevo che parlava l’inglese pensai fosse meglio rivolgermi a lui in russo, per metterlo ancor più a suo agio.

Tuttavia la prima parte del mio piano non si concretizzò, attraversando un mucchio di spazzatura li persi e quando li rividi si stavano nuovamente dirigendo da dove erano venuti. Forse avrei dovuto avvinarmi da dietro. Ma ancora non sapevo cosa dire.

Quindi mi ritrovai al suo fianco e non c’era più tempo per pensare. “Grigori Yakovlevich?” dissi in un russo educato. “Sei tu?”
La testa di Perelman ruotò lentamente. Mi valutò con la coda dell’occhio. “Mi scusi, per favore”, continuai “Non voglio disturbarla. Ma sono venuto dall’America per parlare con te. Da vicino stimai l’altezza di Perelman in 1,75 m, più magro e meno minaccioso di come appariva nelle foto.
Però non perse il suo aspetto, la forfora incrostata sulle spalle del cappotto e gli abiti striati dalle macchie.

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3- termina

Mi si rivolse con una voce alta e acuta, come di un uccello. E sapeva cosa dire. “Sei un giornalista?” Annuii. Perelman guardò il cielo, emettendo un sospiro addolorato. Abbiamo fatto alcuni passi insieme. "Di quale pubblicazione?" chiese.
Gliel’ho detto. Lui annuì in riconoscimento, ma emettendo un sospiro addolorato rispose: “Non concedo interviste”. “Lo so,” dissi “va bene”. Perelman e sua madre si fermarono, guardandomi dall’alto in basso come se la mia risposta li avesse confusi. Non sapevo come sarebbe andata la cosa ma almeno non scapparono, così feci un gran sorriso. “Buon tempo oggi, eh?” E con mia sorpresa il terrificante recluso e sua madre scoppiarono in una risata. C’ero.

“Come ha fatto a sapere che saremmo stati qui?” chiese Lyubov Perelman spuntando da dietro il figlio. Portava degli occhiali spessi e il suo viso allegro spuntò da sotto il berretto.

“Mi imbarazza dirlo,” risposi. “Allora?” incalzò.

Feci un cenno verso la strada. “sono stato seduto in auto la fuori aspettandovi”.

“Davvero?” ha detto.

“Non era così male”, dissi “Avevo un libro”.

«Come hai trovato l'indirizzo?» Perelman mi chiese.

"Ho una connessione», dissi. "Con la polizia."

I suoi occhi si spalancarono. "La polizia?",disse.

“Sei russo?” chiese Perelman.

“Americano”. Mi guardò con curiosità. “Sei sicuro che non sei russo?” Da tutti i segni che potevo interpretare era contento di parlare con me.

“Ti dispiace se cammino con voi per un po’?” Perelman si strinse nelle spalle senza dir nulla. Procedemmo assieme.

“Ero nervoso” gli dissi. “Tutti dicono che sei spaventoso”. Perelman scrollò le spalle, strizzando gli occhi nel guardare al cielo, come stesse contemplando qualcosa che non avrei potuto capire.

La madre, Lyubov, parlò: “Se non puoi avere l’intervista, qual è il motivo di questo?”

Perelman mise un braccio intorno a lei. “Va bene, madre” la rassicurò. “stiamo solo passeggiando”.

Considerando tutto quello che conoscevo di Perelman rimasi stupito del suo comportamento rispettoso. E incoraggiato. Nessuno negli anni era mai stato così vicino a lui. Forse era pronto a parlare.

“So che non pratichi più la matematica,” dissi. “Puoi dirmi su cosa lavori?”

“Ho lasciato la matematica” rispose. “E quello che sto facendo ora non te lo dirò.” Ero pronto con un’altra domanda ma ne aveva una per me. ”Lei non è davvero Russo? Parla come uno nato in Russia che l’abbia lasciata a otto o nove anni e poi ritorna da adulto. Avete questo suono."
Stava cercando di rapportarsi a me o volutamente deviando l’attenzione da se stesso? In ogni modo dimostrava di poter trattare con le persone.

Sullo slancio gli ho posto alcune semplici domande. “Quali sono i tuoi progetti per le vacanze di maggio?" "Ti è piaciuto una volta in America?" "Quante volte fai queste passeggiate?"
Ogni volta, Perelman si strinse nelle spalle, guardò il cielo e non disse nulla. Non ero sicuro se mi avesse sentito. Ho guardato la madre, e lei alzò le sopracciglia, come se non sapesse cosa dire. Un sorriso le attraversò il volto.

Abbiamo camminato verso l’arcata che conduce alla porta del suo appartamento. Ho provato un’altra domanda seria. “Considerando le vostre abilità, visto che è ancor giovane, potrebbe ritornare alla scienza?” Si lamentò e dopo un breve silenzio, la madre mi ha chiesto se stavo indossando un filo (asked if I was wearing a wire – se ero connesso, probabilmente – mia interpretazione).

Decisi di farlo parlare ancora una volta. Cercando di costruire un terreno comune, ho toccato le somiglianze tra la scrittura e matematica, sottolineando la solitudine che ogni disciplina necessita. Lo guardai con un viso aperto e amichevole. Fissò di nuovo il cielo, pagina bianca.

Abbiamo raggiunto l'arco e ci siamo fermati. Perelman e sua madre mi fissarono, chiedendosi come sarebbe finita. Ho guardato Perelman chiedendogli: “Com’è il tuo gioco del ping-pong?”
“Non gioco da tanto tempo” rispose. Posò un braccio sulle spalle di sua madre. Stava diventando agitato. Avevamo camminato per 20 minuti e cosa avevo capito?
Provavo un sentimento (feeling) per lui. Come mi aveva detto il suo amico Ruskshin, Perelman sembrava “torturato dall’imperfezione dell’umanità” Ma non avevo risolto l’enigma.

Ci fu il tempo per un’ultima domanda che gli posi in inglese, la sola domanda filosofica che speravo avrebbe preso in considerazione.
“Dove va la tua vita?“
Perelman si avvicinò a me. Ho visto che uno dei suoi denti superiori era marrone scuro. "Cosa?", rispose, forse non comprendendo la questione. Come ho ripetuto la domanda il volto di Perelman si focalizzò nella concentrazione e ho pensato che potesse rispondere. Ma quando finii di parlare, il suo volto si allentò, come prima. Ha capito quello che volevo sapere, il percorso di questa vita insolita. Borbottò: "Io non lo so."

Ci siamo detti il nostro addio.

A piedi andando verso la mia auto, mi sono sentito come se avessi fallito, dopo aver goduto di una tale rara vicinanza a Perelman, solo per vedere l'uomo scivolare dalla mia comprensione.
Ma poi mi fermai, perché ci doveva essere stato qualcosa che avevo perso. Perelman era disadorno, ma altrettanto complesso come la congettura che aveva dimostrato.
Aveva liberato la Congettura di Poincaré del suo mistero, e così facendo l’aveva rimpiazzata, diventando il puzzle stesso, concedendone la conoscenza al mondo, non ne diminuì affatto il fascino.
Non dobbiamo capire tutto. L'ignoto ha il suo proprio valore.

Attraverso il parabrezza della Hyundai, ho guardato Perelman e sua madre avvicinarsi all’ingresso, i barboni, i bambini e le nuove madri di Kupchino procedere con le loro vite.
Perelman e la madre si ritirarono nel buio del vestibolo.
La porta di metallo si chiuse chiuse alle loro spalle.

Perelman aveva preso una boccata d’aria.


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Vecchio 21-10-2015, 22.59.35   #7
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Riferimento: La congettura di Poincaré e la domanda nascosta.

Era inverosimile che Grigori concedesse l’intervista, l’avesse fatto, il giorno dopo non avrebbe potuto più mettere il naso fuor dell’appartamento, assediato da altri giornalisti alla ricerca del loro scoop.
Per essere lasciato in pace doveva continuare a vivere in quel modo, a ben pensare l’unico in grado d’ottenere l’effetto voluto.
Il tutto par di una logica senza via d’uscita e da un genio matematico l’intervistatore doveva attendersi un comportamento altrettanto logico e coerente.

Tuttavia… suppone bene Brett nel ritenere d’essersi perso qualcosa, qualcosa che non poteva essere comunicato e riportato come segno d’apertura della rigida clausura…

Brett è rimasto per venti minuti assieme alla coppia e Grigori gli ha fatto sentire d’averlo gradito, perlomeno fin quando si atteneva alla richiesta iniziale di condividere una passeggiata.
Il tormento riguardo l’imperfezione umana riguarda proprio il comportamento di Brett, incalzato dal proprio desiderio d’ottenere qualcosa che l’altro non poteva assolutamente concedere.

Una cosa che non ha colto pienamente è lo straordinario rapporto tra madre e figlio. Non dimentichiamo che essa stessa è una valente matematica, probabilmente in grado di comprendere il pensiero se non anche il percorso scientifico del figlio.
Fino a che punto non lo sapremo mai, fatto sta che la qualità del loro rapporto viene in luce durante la passeggiata… Brett non ha prestato molta attenzione allo stretto collegamento tra i due… leggendo “tra” le righe si ha quasi la sensazione di quel filo che li unisce… madre e figlio, due matematici, due reclusi… e il loro sodalizio per mantenere la minima libertà di movimento rimasta.

In un’occasione Brett c’è andato vicino: “Ogni volta, Perelman si strinse nelle spalle, guardò il cielo e non disse nulla. Non ero sicuro se mi avesse sentito. Ho guardato la madre, e lei alzò le sopracciglia, come se non sapesse cosa dire. Un sorriso le attraversò il volto.” .

C’è ancora dell’altro nel racconto, ad esempio la bugia (secondo me) riguardo l’aver abbandonato la matematica… a un certo livello, scientifico od artistico che sia, si diviene la propria disciplina.

Mi fermo qui, pensando alle domande che mi sarebbe piaciuto porre a Grigori e sua madre, tra tutte una: la vita vi ha dato motivo per esser contenti d’averla vissuta?

Così la (storia della) congettura di Poincarè (secondo me) è la chiave per entrare nella domanda nascosta, trasformando quel che siamo nel più investigabile e maggiormente oggettivo dove siamo.

Siamo andati sulla luna (in carne ed ossa), esploriamo il nostro sistema solare a mezzo di sonde e ci spingiamo ai limiti dell’universo con telescopi e altri strumenti tecnologicamente progrediti … e pensiamo a Marte, che dispone d’un po’ d’acqua… mentre il pensiero (matematico e fisico) cerca di comprendere la forma e le caratteristiche dello spazio (o spazio-tempo che sia) che ci ospita…

A cosa può servire? Facile rispondere come per il bambino che viene al mondo, si vedrà crescendo…



Non mi risulta che altri si pongano l’interrogativo un po’ (o molto) bizzarro che ho io…

… conoscendo un po’ meglio la nostra collocazione, si potrebbe dir qualcosa sulla provenienza di quel flusso di pensiero che è, attraversa e guida le nostre vite?



Un saluto.
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Vecchio 22-10-2015, 18.42.16   #8
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Riferimento: La congettura di Poincaré e la domanda nascosta.

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Originalmente inviato da Galvan 1224
Era inverosimile che Grigori concedesse l’intervista, l’avesse fatto, il giorno dopo non avrebbe potuto più mettere il naso fuor dell’appartamento, assediato da altri giornalisti alla ricerca del loro scoop.
Per essere lasciato in pace doveva continuare a vivere in quel modo, a ben pensare l’unico in grado d’ottenere l’effetto voluto.
Il tutto par di una logica senza via d’uscita e da un genio matematico l’intervistatore doveva attendersi un comportamento altrettanto logico e coerente.

Tuttavia… suppone bene Brett nel ritenere d’essersi perso qualcosa, qualcosa che non poteva essere comunicato e riportato come segno d’apertura della rigida clausura…

Brett è rimasto per venti minuti assieme alla coppia e Grigori gli ha fatto sentire d’averlo gradito, perlomeno fin quando si atteneva alla richiesta iniziale di condividere una passeggiata.
Il tormento riguardo l’imperfezione umana riguarda proprio il comportamento di Brett, incalzato dal proprio desiderio d’ottenere qualcosa che l’altro non poteva assolutamente concedere.

Una cosa che non ha colto pienamente è lo straordinario rapporto tra madre e figlio. Non dimentichiamo che essa stessa è una valente matematica, probabilmente in grado di comprendere il pensiero se non anche il percorso scientifico del figlio.
Fino a che punto non lo sapremo mai, fatto sta che la qualità del loro rapporto viene in luce durante la passeggiata… Brett non ha prestato molta attenzione allo stretto collegamento tra i due… leggendo “tra” le righe si ha quasi la sensazione di quel filo che li unisce… madre e figlio, due matematici, due reclusi… e il loro sodalizio per mantenere la minima libertà di movimento rimasta.

In un’occasione Brett c’è andato vicino: “Ogni volta, Perelman si strinse nelle spalle, guardò il cielo e non disse nulla. Non ero sicuro se mi avesse sentito. Ho guardato la madre, e lei alzò le sopracciglia, come se non sapesse cosa dire. Un sorriso le attraversò il volto.” .

C’è ancora dell’altro nel racconto, ad esempio la bugia (secondo me) riguardo l’aver abbandonato la matematica… a un certo livello, scientifico od artistico che sia, si diviene la propria disciplina.

Mi fermo qui, pensando alle domande che mi sarebbe piaciuto porre a Grigori e sua madre, tra tutte una: la vita vi ha dato motivo per esser contenti d’averla vissuta?

Così la (storia della) congettura di Poincarè (secondo me) è la chiave per entrare nella domanda nascosta, trasformando quel che siamo nel più investigabile e maggiormente oggettivo dove siamo.

Siamo andati sulla luna (in carne ed ossa), esploriamo il nostro sistema solare a mezzo di sonde e ci spingiamo ai limiti dell’universo con telescopi e altri strumenti tecnologicamente progrediti … e pensiamo a Marte, che dispone d’un po’ d’acqua… mentre il pensiero (matematico e fisico) cerca di comprendere la forma e le caratteristiche dello spazio (o spazio-tempo che sia) che ci ospita…

A cosa può servire? Facile rispondere come per il bambino che viene al mondo, si vedrà crescendo…



Non mi risulta che altri si pongano l’interrogativo un po’ (o molto) bizzarro che ho io…

… conoscendo un po’ meglio la nostra collocazione, si potrebbe dir qualcosa sulla provenienza di quel flusso di pensiero che è, attraversa e guida le nostre vite?



Un saluto.


caro Galvan,
siamo in un mondo, forse Popper l'avrebbe definito mondo tre,
dove oltre a relazionarci fisicamente per sopravvivere abbiamo questo valore aggiunto che viene chiamata mente di cui ancora ci appare misteriosa che forse è illusione e verità, ma sicuramente ambiguità.
Viviamo come un cervello nella vasca, nella matrix, in quella che chiamiamo realtà,ma è un mistero meraviglioso a mio parere.
Si può viaggiare con la sola mente e fisicamente vivere da anacoreta;
si può viaggiare per il mondo instancabilmente riempiendoci gli occhi di immagini per non capire niente.
La mente è l'interfaccia fra mondo esterno e ciò che è in noi altrettanto misterioso. E la mente interpreta, costruisce,ci illude o ci richiama alla realtà, come un elastico è legato al corpo e si chiede chi sia quel volto a cui appartiene.Ci pone domande, anche quando non ne desidereremmo,vuole sensi e significati per costruire orizzonti di narrazione.
Spesso i geni sono bizzosi, o forse hanno capito cose che non possono condividere e si isolano.In questo circo Barnum con mangiafuoco e la fatina turchina che è questa società, si trovano in dote misteriose potenzialità, talenti, che spesso non possono e non riescono a gestire, salvo essere trattati appunto da numero circense perdendo la propria identità.
La storia di William James Sidis è forse ancora più eclatante.
Il più alto Q.I. mai registrato ,il più giovane studente registrato ad Harvard.ma non poteva gestire la sua emotività nel circo Barnum.
Noi non siamo solo ragione, siamo sentimento, psiche, siamo un insieme di profonde e misteriose ancora ontologie, che sappiamo che sono in noi ,ma non riusciamo a definirle.
Finisce che siamo tutti degli incompresi, perchè non ci prendono per quello che siamo ,ma per quello che a loro serve di noi.
Il genio peggio ancora, è il fenomeno sotto i riflettori.
Già è difficile vivere per le strade del destino, che altri riescono a costruirci in più inerpicabili contorsioni.Ognuno deve fare i conti con una sua intimità incondivisibile.
Alla fine siamo un racconto di una vita.

Non so se alla fine un genio maledice il suo talento e il meno dotato al mondo invece vive più felice.
Penso che un segreto sia accettarsi per quel che siamo ,cercando semmai di migliorarci,in armonia, serenità.
paul11 is offline  
Vecchio 25-10-2015, 22.03.07   #9
Galvan 1224
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Originalmente inviato da paul11
caro Galvan,
siamo in un mondo, forse Popper l'avrebbe definito mondo tre,
dove oltre a relazionarci fisicamente per sopravvivere abbiamo questo valore aggiunto che viene chiamata mente di cui ancora ci appare misteriosa che forse è illusione e verità, ma sicuramente ambiguità.
Viviamo come un cervello nella vasca, nella matrix, in quella che chiamiamo realtà,ma è un mistero meraviglioso a mio parere.
Si può viaggiare con la sola mente e fisicamente vivere da anacoreta;
si può viaggiare per il mondo instancabilmente riempiendoci gli occhi di immagini per non capire niente.
La mente è l'interfaccia fra mondo esterno e ciò che è in noi altrettanto misterioso...



Caro paul,

son andato a legger la vita di W. J. Sidis (e quelle di altri QI eccezionali, vedi in rete) di cui riporto un riassunto:

William James Sidis, nato a New York il 1º aprile 1898, è considerato ancora oggi il più intelligente di sempre. Il sui QI, infatti, è risultato essere il più alto, avendo totalizzato 254 punti. Fin dai primi mesi della sua vita, Sidis mostrò uno sviluppo intellettivo incredibilmente precoce. A sei mesi il piccolo William già cominciò a parlare, a un anno parlava perfettamente, a 18 mesi leggeva il quotidiano, a quattro anni parlava latino, a otto anni aveva già scritto quattro libri, tra cui uno di anatomia e uno di geometria. Il percorso di Sidis diventava sempre più accidentato. Il giovane bruciava le tappe, tanto che ad 8 anni aveva capacità matematiche superiori a quelle del padre, a sua volta considerato un genio. Sempre a questa età superò i test di ammissione per l'Università di Harvard, a cui fu costretto a rinunciare perché troppo piccolo. Due anni dopo, invece, viene ammesso e il 18 giugno 1914 ottiene la laurea con lode in lettere. Nonostante la laurea in lettere, Sidis cominciò ad insegnare tre materie scientifiche: geometria euclidea (per la quale scrisse una dispensa in greco), geometria non-euclidea e trigonometria.

La situazione familiare precipitò: i rapporti con il padre si fecero sempre più tesi, ma il punto di rottura, probabilmente, venne raggiunto nel momento in cui, partecipando ad una manifestazione operaia del primo maggio 1919, venne arrestato dopo degli scontri. La notizia ebbe ampia risonanza, William si dichiarò socialista e non credente, mentre l'accusa lo indicò come responsabile dei disordini, chiese 18 mesi di reclusione e riuscì ad imporre una cauzione di 5000 dollari (pagati dall'amico Leverett Saltonstall. Grazie all'intervento del padre che trovò un accordo con il giudice, il caso venne archiviato. Dopo l'evento i genitori – il padre era uno stimato psichiatra – lo fecero internare di forza in una clinica psichiatrica di loro proprietà. I rapporti tra William e il padre si ruppero definitivamente e portarono il giovane genio ad allontanarsi, a condurre una vita "normale" come impiegato.


Morì per emorragia cerebrale all'età di 46 anni nel 1944. Si racconta che parlasse correttamente 40 lingue e che fosse capace di impararne una in tre giorni. Mentre svolgeva la sua vita ordinaria, Sidis continuava a scrivere: furono ritrovati libri di fantascienza, scientifici e romanzi in casa sua e in quella di amici, mentre scrisse sotto pseudonimo sul Boston ben 89 articoli. Nel libro "Mondo animato e mondo inanimato" (1920) anticipa il concetto di "buco nero". Il gran numero di frontespizi ritrovati fa pensare ragionevolmente che i libri venuti alla luce non siano che una piccola parte di tutta la produzione di Sidis.

[Fonte: Businessinsider]
http://scienze.fanpage.it/piccoli-ge...nte-di-sempre/


la cosa che più mi rattrista è il ruolo del padre, uno stimato psichiatra… che ci fa capire quale potere abbiano costoro sulla vita delle persone… ma questo è un altro discorso.

Queste persone particolari, come Sidis e Perelman e molti altri geni a cui troppo spesso vien associato l’aggettivo “incompreso” per me sono come quelle piante che fioriscono dopo cent’anni e magari muoiono poco dopo.

Occasioni irripetibili per comprendere le potenzialità umane (si parla tanto di superuomini… forse sono già tra noi…) e ben di più, non fosse che l’umanità cosiddetta “normale” manifesta “imperfezioni” da cui saggiamente, se possono, si tengono alla larga, affinché non s’impadronisca di loro se intravede la possibilità d’usarli, sovente spremendoli come limoni.

In queste persone “la forza scorre forte”, parafrasando la fortunata saga cinematografica, e quale forza se non quella della mente?

La maggior parte delle persone rigetta l’ipotesi che la mente sia un unicum e ritiene che noi si sia individui autonomi ed indipendenti forniti ognuno della sua propria.

Ma l’unica cosa che abbiamo di personale è il cosiddetto (piccolo) “io”, purtroppo straordinariamente convincente in quanto capace di far passare attraverso di sè ogni pensiero che sorga, appropriandosene la paternità.
Al dargli la caccia per metterlo con le spalle al muro non s’ottiene nulla, come se alla radio una trasmissione volesse metter mano al fattore (la corrente) che permette la trasmissione stessa.
Sono ambiti interagenti ma separati… occorrerebbe andar dentro le cellule, nelle ghiandole e in sostanza nell’intero organismo (in toto percorso da quella corrente) per modificare qualcosa…

Tornando ai geni, queste persone nelle quali il flusso di pensiero (attenzione, non solo verbale…) è talmente impetuoso da permettere loro rapidi ed efficaci collegamenti ideativi, matematici, simbolici e d’ogni sorta (tanto ad esempio da imparare una lingua in pochi giorni) cosa ci indicano?

Mi vien da dire che ci indicano un “possibile” domani per l’uomo, se si farà strada la consapevolezza e forse l’evidenza di un’unica sorgente (la mente) dalla quale procede ogni pensiero.

Se la mente contenga tutto (e man mano lo renda manifesto) o sia un processo in atto è da vedersi, quel che a mio avviso importa sono gli argomenti (ambiti) che rende disponibili: arti, religione, filosofia, scienze… ognuno di noi conformemente alle proprie peculiarità percorre questi sentieri maestri.

Ricopio qui sotto un estratto dell’intervento di paul11 che ho grandemente apprezzato (non solo perché è uno dei pochi che frequenta le mie discussioni…):

Noi non siamo solo ragione, siamo sentimento, psiche, siamo un insieme di profonde e misteriose ancora ontologie, che sappiamo che sono in noi, ma non riusciamo a definirle.
Finisce che siamo tutti degli incompresi, perché non ci prendono per quello che siamo, ma per quello che a loro serve di noi.
Alla fine siamo un racconto di una vita.
Penso che un segreto sia accettarsi per quel che siamo ,cercando semmai di migliorarci, in armonia, serenità.


… dal quale si evidenzia che la sua direzione prevalente sia indagare quel che siamo, ed essendo una personalità poliedrica ben si cimenta in ogni argomento, studiandolo, interrogandosi e rendendo lustro al forum con ogni suo intervento.


La presente discussione origina dall’aver notato un filo conduttore (naturalmente non è l’unico) nello sviluppo dell’umanità dagli albori ad oggi: il tentativo via via sempre più raffinato di definire la propria collocazione, in terra, nello spazio, nell’universo… e oltre, se c’è.

Se ricercate questa traccia nell’arte, filosofia, scienze e religioni… vedrete come le percorra tutte.

Così il mio suggerimento era ed è che tale traccia contenga un potenziale che se correttamente applicato permette (rebbe) di trasformare quel che siamo nel più investigabile e maggiormente oggettivo dove siamo.

Per l’amico leibnicht noi abitiamo in torri d’avorio… io la vedo diversamente.
Per l’amico sebastianb ritorneremo alla polvere… anche di questo ho una visione diversa… ma per aver un’idea di dove siamo e del nostro futuro approdo occorre che una sorta di visione (glimpse) ci trasporti dalla nostra attuale collocazione ad un’altra che ci permetta di vederla.

Non è così fuori dalle possibilità umane, a vari livelli accade nell’arte e negli altri ambiti.
Grigori Perelman rifiutando il premio di un milione di dollari per la soluzione della congettura dichiarò: so controllare l’Universo, che cosa me ne devo fare di un milione di dollari?

Non prendete alla lettera l’affermazione, non si paragonava a Dio, ma aveva (secondo me) visto/intravisto attraverso la sua serie di formulazioni matematiche (che contenevano tra l’altro la soluzione alla famosa congettura) il/o uno dei meccanismi che regolano lo sviluppo o proprio la formazione dell’universo (o almeno di questo universo).
Quasi avesse potuto porsi “al di fuori” ed osservarne lo svolgimento, a ben vedere una questione di “collocazione”.

Forse la mente è sia dentro che fuori/oltre questo universo… ma se avete una domanda è nella mente, e nella mente c’è la risposta.

Concludo facendo mie le parole di paul - La mente è l'interfaccia fra mondo esterno e ciò che è in noi altrettanto misterioso – domandandomi se questa interfaccia non sia anche qualcosa di “tangibile”… magari collocata da qualche parte…


Un saluto
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