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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
07-04-2015, 13.33.57 | #6 |
Moderatore
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria
Paul11, salto la premessa, che pure contiene considerazioni importanti e passo a quello che mi pare il nocciolo della questione che vieni ad esporre, ossia che rapporto ha la logica con il mondo quale è.
Da un lato mi pare che la logica esige una sua autoreferenzialità, quella del pensiero che riflette su se stesso per poter riflettere sul mondo in modo da dargli una base che si fonda da sé, ma dall'altro la logica è pur sempre una forma fenomenologica dell'apparire del mondo: il pensiero logico fa parte della fenomenologia di quel mondo instabile che vorrebbe formalmente stabilizzare codificandolo. E qui la contraddizione già si manifesta ed essa non è solo logica, ma certamente pure fenomenologica ed esistenziale: la mappatura logica non corrisponde al territorio da mappare (cosa che vale ovviamente per ogni mappa che possa orientarci), ma è anche elemento di quel territorio stesso a cui manca il senso compiuto. 1+1=2 è certo un'astrazione, ma ancora lo è una mela + una mela= due mele (davvero vediamo due mele o forse non sempre una mela e un'altra mela, sempre un po' simile e e un po' diversa dalla prima e quindi irriducibiloe al segno duale?). La logica quindi non corrisponde al mondo, ma è parte necessaria del mondo che si rappresenta. Tu chiedi chi obbliga l'ente ad apparire (e dunque a rappresentarsi e a rappresentarsi secondo contraddizione)? Penso l'ente stesso, la sua originaria esistenza in quanto tale, il suo essere che è sempre un esserci. L'ente non può scegliere tra esserci e non esserci, esso è in quanto c'è e solo essendo può venire negato nel suo significare. La contraddizione è l'ente che esprime se stesso nella sua totalità e non può farlo se non essendo contraddetto, essa non lo sovrasta, ma gli coincide. Ogni apparire della contraddizione richiede il suo superamento, ma il superamento continua a far riapparire la contraddizione. Può sembrare una condizione davvero disperante questa e l'esistenza solo una sorta di insensata fatica di Sisifo, eppure, proprio perché il superamento sempre si ripete secondo un diverso apparire, non lo è, è al contrario una speranza che non muore mai proprio in quanto mai compiutamente realizzata in nessun assoluto, poiché l'assoluto è lo stesso continuo cammino che si contraddice, non il traguardo in cui ci si illude che ogni contraddizione, ogni assurdo, sia finalmente risolto. Dunque la morale sottesa può solo essere lasciare che si manifesti quel camminare, senza anteporvi traguardi assoluti ove il percorso ha termine, poiché l'unico assoluto che dà senso è solo in questo camminare in cui sempre, in qualche modo ci contraddiciamo. |
08-04-2015, 11.37.18 | #7 | |
Ospite abituale
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria
Citazione:
Ciao Maral , a mio parere bisogna per forza entrare nella logica dialettica: bisogna "prendere il toro per le corna" se vi sono incongruenze logiche. Il testo di F. Berto su "Severino e la logica dialettica", lo ritengo fondamentale. . Il primo principio fondamentale : la Relazione Semantica Fondamentale (RSL) che è : a <--> -a a coimplica la sua negazione , perchè è necessario fra un qualunque significato a e la sua negazione infinita non-a ; perchè in non -a c'è l'intero del contraddittorio , la totalità del suo altro. La coimplicazione vuol dire che le due posizioni sono vicendevoli. Già quì il problema collide con la logica formale sul piano del principio d'identità in quanto a comiplica una sua negazione, cioè è una contraddizione formale e nascono infatti problematiche fra l'analitica (formale) e la dialettica. La logica dialettica vorrebbe comprenderla e in qualche modo superare quella formale poichè nega la RSF, ma perchè c'è un diverso concetto della negazione. Il secondo principio è l'Olismo Semantico (OS) definito come la determinatezza del significato che coimplica l'intero campo semantico a = a <--> (x) (x = x) L'ente , in quanto determinato e incontraddittorio (quì c'è il principio di identità) coimplica l'intero dell'essere (inteso come TOTALITA' del determinato e incontraddittorio). Il significato dell'ente sta per OGNI significato, mentre l'intero è appunto la TOTALITA' concreta del significare. Hegel già scriveva che "se venisse distrutto un granello di polvere rovinerebbe l'intero universo". Se l’ente qualunque non fosse (più) un esser sé, allora l’intero dell’essere (“universo”) non sarebbe (più) un esser sé: afferma l’implicazione fra la determinatezza (l’esser sé) del significato (dell’ente), e la determinatezza (l’esser sé) dell’intero campo semantico (l’“universo”, l’intero dell’essere). Ma deve essere anche chiaro che ciò è una tautologia. Non so voi, ma io ci vedo "echi" con le culture antiche indiane e qualcosa di quantistico. C'è un aspetto ontologico in quanto la semantica è anche ontologia ,ma anche e forse soprattutto dal mio personale punto di vista qualcosa di epistemologico. L'umanità percepisce,acquisisce conoscenza, per poterla farla sua ,per comprenderne i significati. Così continuiamo a conoscere sempre più significati. Ecco mi pongo una domanda, questa continua ma mai esaustiva conoscenza è solo in termini quantitativi o qualitativi? Per arrivare a quell'essere sè incontraddetto, quante contraddizioni dovremmo acquisire? Infinite sembrerebbe, ma allora forse è un aspetto qualitativo che dobbiamo comprendere e non una quantità enorme di conoscenza , di apparenze, di informazioni? Sempre ammesso che sia risolvibile quell'arrivare a "essere sè" incontraddetto. |
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08-04-2015, 20.07.07 | #8 | |
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria
Ti ringrazio Sgiombo per le tue osservazioni critiche sulle quali ho riflettuto.
Il punto centrale mi sembra questo: Citazione:
Dunque la realtà e il dire e il pensare in merito a essa non li ritengo separabili: la realtà è sempre connessa con ciò che si manifesta al pensiero (che è già nell'immediato rendersi conto di un qualcosa, nell'atto del percepire). Questo non significa che un evento non sia distinguibile da ciò che dell'evento si dice o si pensa, ma che l'evento comprende sempre ciò che di esso si dice o si pensa nei vari modi in cui si può dire e pensarlo e in tal senso implica sempre il suo contraddirsi che è la sua manifestazione, il suo apparire. Se puoi seguirmi partendo dal presupposto che ho indicato (l'inseparabilità dell'evento dal suo significare) anche il ragionamento di Severino che semplicemente ne vede le implicazioni forse può apparirti meno artificioso: una diretta conseguenza logica dell'assunto originario. Proprio fenomenologicamente ogni evento si presenta come significato (che è il risultato di tutti i significati che lo contraddicono). Per inciso aggiungo che l' autocontraddizione è certamente definibile insensata da un punto di vista fenomenologico (e per questo uno dei suoi termini viene fenomenologicamente oltre che logicamente negato), ma è falsa dal punto di vista logico formale (infatti se un ragionamento contraddice le sue premesse, esso è logicamente falso). Scusa se vado un po' di fretta, spero di essere stato chiaro. Magari potremo tornarci sopra con esempi. Ultima modifica di maral : 08-04-2015 alle ore 22.00.49. |
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08-04-2015, 21.53.06 | #9 |
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria
Sì paul11 , anch'io ci sento un richiamo ad antiche culture indiane in questo discorso ed è giusto notare come scrivi che la chiave sta in un diverso modo di intendere la negazione rispetto alla logica formale per la quale la relazione semantica fondamentale , retta dal principio del reciproco annullamento degli opposti, non può che essere falsa. La negazione intesa secondo la logica formale, vede l'ente come qualcosa che esclude l'universo altro da sé, pena il suo annientamento (o A o NON A), il suo caotico svanire, e viceversa vede l'universo altro come qualcosa che non può che escludere questo ente, mentre la logica dialettica vede nella reciproca negazione tra ente e universo altro il fondamento di entrambi, ciò che fa di ogni ente ciò che è, che ne determina la totale eterna identità originaria, cosicché l'ente nel suo vero significare comprende l'universo intero che per la logica formale è separato dalla negazione.
Nietzsche come sappiamo critica aspramente questa posizione hegeliana in cui l'affermativo è determinato dal negativo, la critica in nome della volontà affermativa di potenza dell'ente, ma proprio per spingere questa volontà affermativa alle sue estreme conseguenze perviene alla teoria dell'eterno ritorno che, per rendere eterno l'atto di volontà affermativa sul suo contraddittorio, ne rivela la eterna insensata inconcludenza. La volontà suprema dell'oltreuomo sta appunto nel volere per scelta proprio questa assoluta inconcludenza che continuamente si contraddice, che continuamente ripete in ogni attimo il suo assurdo privo di senso, di qualsiasi fine che ponga una fine. E qui, secondo me, possiamo trovare l'aggancio profondo con la dimensione esistenziale dell'uomo, ove la contraddizione assume il significato camusiano di un assurdo che eternamente si ripete e che eternamente si vuole ripetere esattamente come per Sisifo, condannato nel mito dagli dei a replicare eternamente la sua insensata fatica. Morti gli dei, Sisifo continua pur sempre a ripetere il suo faticoso e insensato percorso (il continuo ripetersi della contraddizione che gli ripresenta eternamente ciò che lo nega), poiché lo vuole, poiché solo in esso eternamente si ritrova. E per questo Camus conclude il mito con quelle famose parole: "Bisogna immaginare Sisifo felice", Sisifo infatti, mentre torna a valle per ricominciare a spingere il masso, si riconosce nella contraddizione che lo nega e nel volerla ancora e ancora trova la felicità di un conoscersi in un'unione affermativa che proprio non compiendosi mai lo restituisce eternamente a se stesso, alla sua eterna volontà di compierla. E' veramente un volo di uccello per accenni questo che ti presento, un volo che meriterebbe ben più profonde disamine: la contraddizione come figura del falso nella logica formale che appare come l'insensato fenomenologico, velo di maya chiamato a celare il vuoto induista o quantistico ove il caos è totale e l'assurdo dell'alienazione esistenziale che culmina da un lato con l'assoluta negazione della posizione nichilista e dall'altro (in opposto e in contraddizione) con la più pura gioia dell'esistenza. Ma un filo conduttore tra questi momenti così diversi a mio avviso sussiste, bisogna immaginare Sisifo felice di non concludere mai la sua pena, pur lottando e soffrendo eternamente per venirne a capo. |
09-04-2015, 18.41.56 | #10 |
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria
@Maral
Proverei ad avanzare qualche obiezione che spero possa essere interessante come ulteriore spunto di riflessione (anche solo per me stesso, per chiarirmi meglio le idee), utile anche per comprendere le reciproche divergenze (evidentemente inconciliabili e che sarebbe ingenuo pretendere di superare). Affermi che “Dunque il problema sta se è ammissibile come reale un evento senza significato". Dal mio punto di vista (invece) a necessitare di un significato è (soltanto) la conoscenza di un evento (“generico”); conoscenza che a sua volta é un (ulteriore) evento, ma molto particolare appartenendo a quegli eventi decisamente peculiari rispetto a tutti gli altri, che sono i pensieri, enunciati proposizioni, predicati o giudizi: potremmo denominarli “eventi specifici” in contrapposizione (= diversità, non necessariamente contraddizione) agli “eventi generici”. Per me non significa invece alcunché (non è necessariamente dotato di significato) il reale accadere di un evento “generico” (l’ accadere di un evento in generale, che quindi si dà anche degli eventi “specifici” in quanto fatti “in sé” e non “in quanto ai loro contenuti”, poiché anch’ essi, se accadono, accadono realmente, anch’ essi sono anche -ma non solo!- caratterizzati dal fatto di essere -o meno- reali “in generale” al modo di tutti gli altri eventi: anche gli “eventi specifici” sono comunque inoltre, anche “eventi generici”; o se vogliamo tutti gli eventi sono “genericamente” eventi, ma solo alcuni lo sono anche “specificamente”, sono anche “eventi concettuali”. E secondo me un significato appartiene necessariamente solo a questi ultimi). “ente coincide fenomenologicamente proprio con il suo totale significare”. Il mio dissenso sta nel fatto che per me il significare è proprio della parola, evento specifico concettuale (anche, oltre che ovviamente e inevitabilmente anche generico) che indica o allude a un ente o evento (o a una o più caratteristiche astratte di enti o eventi) da essa distinto e che ne costituisce appunto il significato (un “gatto” è cosa diversa dalla sequenza di questi cinque caratteri tipografici: “G”, “A”, “T”, “T” ed “O”) e che si stabilisce arbitrariamente per convenzione (tra parlanti), in parte mediante ostensione o allusione a enti e/o eventi empirici concreti, in parte per definizione , cioè mettendo in determinatamente relazione più altri concetti (qui ci sarebbe da approfondire quanto di ostensivo-immediatamente empirico e quanto di concettuale-generale-nozionale, in maggiore o minor misura a seconda dei casi, v’ è nel “confezionamento” -o stabilimento- dei significati delle parole, cioè nei concetti, più o meno concreti o più o meno astratti, che esse significano). “Dunque la realtà e il dire e il pensare in merito a essa non li ritengo separabili: la realtà è sempre connessa con ciò che si manifesta al pensiero (che è già nell'immediato rendersi conto di un qualcosa, nell'atto del percepire). Questo non significa che un evento non sia distinguibile da ciò che dell'evento si dice o si pensa, ma che l'evento comprende sempre ciò che di esso si dice o si pensa nei vari modi in cui si può dire e pensarlo e in tal senso implica sempre il suo contraddirsi che è la sua manifestazione, il suo apparire.” “Proprio fenomenologicamente ogni evento si presenta come significato (che è il risultato di tutti i significati che lo contraddicono)”. Per me invece vi sono o per lo meno in teoria vi possono essere enti ed eventi che non si manifestano al pensiero. Per esempio credo esistano infinite galassie, stelle, pianeti, mari e monti in parte di questi pianeti, ecc. che mai nessuno ha visto né vedrà, ai quali mai nessuno ha pensato né penserà (a ciascuno di essi nella sua concretezza, ciascuno dei quali dotabile di un suo particolare nome proprio, non in generale al loro insieme astratto come sto facendo io adesso). Altri notevoli elementi di dissenso da parte mia: il contraddirsi (mi scuso se qui semplicemente mi ripeto; spero di riuscire a evitarlo in futuro) per me può essere proprio solo degli enti o eventi specifici o concettuali, dei pensieri o discorsi (circa eventi o circa altri pensieri: “metapensieri”); ma pensieri o discorsi in realtà indebitamente pretesi essere tali, che però allora si autoannullano perdendo alcun significato e per così dire “degradandosi a enti o eventi generici” (perché solo nel dire, nel pensare, e non genericamente nell’ accadere, può essere compreso il dire qualcosa e il suo contrario: i fatti generici, che non significano, non dicono alcunché, a maggior ragione non possono dire qualcosa e il suo contrario). Inoltre la diversità propria dei concetti non necessariamente è contraddizione, necessariamente è solo differenza: “omnis determinatio est negatio” nel senso che il significato di qualsiasi concetto è necessariamente relativo ad altri concetti e per comprendere qualsiasi concetto è necessario comprenderne le differenze (anche le contrarietà) da altri concetti; sono soltanto i predicati o giudizi, cioè le attribuzioni (del fatto) di essere o accadere realmente ai (significati o "contenuti nozionali" di) concetti (a determinati concetti) che possono essere contraddittori (ma allora non si tratta più di autentici pensieri o discorsi -significanti!- e si degradano a eventi generici) o meno. Il singolo concetto “gatto” è diverso dal concetto “cane” e se lo si comprende necessariamente si devono comprendere anche numerosi concetti da esso diversi, complessivamente astraibili in quello generalissimo di “non-gatto”. Ma: a) un gatto (reale) non è il concetto di “gatto” ed esistono gatti reali indipendentemente dal fatto che qualcuno pensi il concetto di “gatto” con tutte le nozioni astraibili nel concetto di “non-gatto” che questo necessariamente implica; b) la diversità del concetto di “gatto” dal concetto di “cane” e anche dal concetto generalissimo di “non gatto” non è una contraddizione; una contraddizione è invece affermare: “qui ora c’ è un gatto e anche non c’ è un gatto (ovvero anche c’è un non-gatto; per esempio, fra gli infiniti possibili: c’ è un cane, oppure non c’ è nulla)”. E questo indipendentemente dal fatto che qui ora ci sia un gatto reale o meno, cioè dalla verità o falsità di ciascuna delle affermazioni reciprocamente contraddittorie (e singolarmente sensate). Per la verità anche singoli (pseudo-!) concetti possono essere autocontraddittori, come lo pseudoconcetto di cane-gatto o di cerchio-quadrato (ma per l' appunto non sono autentici concetti, dotati di significato, ma enti o eventi generici insignificanti (scarabocchi, come in questi casi qui sipra, o vocalizzi). ”se un ragionamento contraddice le sue premesse, esso è logicamente falso”. Necessariamente se le premesse erano vere. Ma se erano false non necessariamente é fenomenologicamente (ontologicamente) falso: Tutti gli uomini sono immortali (falso); Socrate è un uomo (vero); dunque Socrate è mortale (contraddittorio rispetto alla premessa maggiore, che è falsa, e vero). |