Succede che per via della pubblicazione differita dei messaggi a volte mi perdo per strada delle risposte e non mi ero accorta di questo tuo intervento,
green.
ricordo che trascendentale io lo intendo come limite, come margine che si pone appena dopo ciò che ricostruisco tramite i sensi e l'intelletto
Ok. Dunque trascendentale per te = a un "ma non è tutto qui, sicuramente c'è altro che non so".
il punto è per quale motivo uno dovrebbe credere che esista una entità aliena - spero tu stia parlando di Dio
Son casalinga di voghera in mezzo ad esperti filosofi e per giunta rivolta ad oriente e ad altri linguaggi
Questo dialogo è anche un esperimento per vedere se e come i linguaggio possano tradursi ed integrarsi.
Trascendente per me significa solo "che va o è oltre". Es. quando elaboro un percepito, trascendo il percepito.
La consapevolezza del limite, insomma.
Non so che distinzione facciate fra trescendente e trascendentale.
Non credo in entità aliene. Sono buddhista e quindi alfateista.
Se devo parlar di "Dio" allora lo faccio apertamente in riferimento ai contesto di pertinenza del "Dio" in questione (in genere assume forma abramitica
)
Allora Patrizia mi sembra di capire che non hai seguito la mia argomentazione sul linguaggio, e sta bene così, mettiamola pure da parte.
Me ne scuso se mi è sfuggita (se vuoi linkami l'intervento cui ti riferisci che mi è sfuggito). Andate veloci, qualcosa per strada ogni tanto me lo perdo e non mi sono ancora abituata alla pubblicazione differita. Piano piano mi abituerò meglio. Poi ho capito che non ce la fò a seguire più di un 3D alla volta.
Come al solito hai affastellato una serie di considerazioni che bisognerebbe sviscerare di volta in volta.
Simpatico (l'affastellato, intendo)
. Amo i quadri generali.
L'approfondimento di un tema deve poi conciliarsi con altri.
Mi pare però che preferisci interrogarti su una visione abbastanza generica delle cose.
Generale, si. Ogni rotella deve riuscire ad andare ad incastrarsi correttamente con le altre, altrimenti il meccanismo generale si blocca.
E allora veramente creando delle macrostrutture di riferimento (e facendo finta di capirci) mi pare di capire che possiamo tranquillamente essere d'accordo sulla trascendentalità (kantiana mi sa) delle relazioni in un qualsiasi dato momento della vita quotidiana.
Si, le relazioni sono fondamentali per me.
Il problema viene dopo,
cioè sembra quasi che tu stia suggerendo una sorta di vita spensierata, senza pensieri, svuotata delle ragioni, votata ad una non precisata elastichezza di pensiero.
No. Elastichezza o elasticità è tutt'altro che spensieratezza, ma di volta in volta poter fare i conti con la diversità dei contesti.
Ma non condivido il debunking eristico tout cour in quanto tale se non per un certo scopo, che però non è oggetto del nostro Thread.
Il punto è che quella leggerezza di pensiero che pontifichi, proprio a partire da qualsiasi vacuità di pensiero buddhista (e se per questo di tutta la scuola di tokio), si risolve inesorabilmente in 2 delle società più "formali" che esistano a livello storico sul pianeta.(Giappone e India)(per inciso è il contrario! è cioè la società che fa "emergere" determinati modi di pensare).
Le scuole sino-orientali hanno i loro limiti che funzionano, a mio avviso più o meno così:
è bene che il popolo si limiti al qui ed ora e spensieratamente esegua le decisioni della gerarchia.
E' il problema grosso delle scuole orientali (pure tibetane dove il qui ed ora è sostituito dalla massa di ritualità).
Ciò non toglie che i momenti di decompressione e di ritorno al qui ed ora trovo siano utili nel fare il punto sul "perché sto elaborando ciò che sto elaborando", a cosa giova, in poche parole. Evitare gli eccessi che un autoappagamento nel pensare di poter posseredere il mondo nella propria mente può produrre che poi provoca un eccesso di
convinzioni che non vogliono poi esser più scardinati dinnanzi a nuovi dati.
Elaborata una teoria c'è poi un realtà in cui io mi sento di dover andare a vedere se funziona e come funziona.
Con formale intendo seriamente rituali, al limite dell'incomprensione per qualsiasi occidentale.
Il rito è interessante in altri ambiti visuali, ma non era nei miei pensieri.
Il pensiero politico viene dunque demandata allo stato come garante di uno stile di vita, che sinceramente (avendolo studiato e vissuto) NON PENSA.
Come viviamo è importante ed anche come pensiamo e soprattutto con quali fini pensiamo ciò che pensiamo, in funzione di quali ricadute.
Noi pensiamo (o almeno alcuni si sforzano di tentar di farlo correttamente) però continua ad esistere nella nostra società ogni forma di disagio. Anche quest'anno dei barboni moriranno di freddo.
Dunque il supposto anti-metafisico si instaura di nuovo come un metafisico, il pensiero si irregimenta e qualsiasi scuola buddhista diviene di nuovo solo pratica (per quanto spacciata per non-pratica) con l'aggravante del suo reclamarsi come identità e cioè come scuola.
Dal mio punto di vista non è così.
La pratica (delle paramita) è considerata un presupposto imprescindibile per potersi avvicinare ad un retto pensiero.
Ne hai un esempio qui dove la cortesia, l'educazione e altre qualità ci permettono di dialogare.
Altrove questo ed altri dialoghi sarebbero già terminati da un pezzo a trollate, contrasti, partiti presi, e mascherato disprezzo.
Ennesimo dispositivo volto a nuove (e sempre vecchie) gerarchie.
Ci sono anche gerarchie che nascono spontanee e condivise dal saper riconoscere le maggiori qualità di un altro più esperto, più anziano, o altro ancora.
Quelle politiche che strumentalizzano meglio lasciarle da parte.