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30-10-2014, 17.59.10 | #13 |
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Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità
Ciao a tutti e scusate l'assenza, sapevo che tornando avrei avuto molto da leggere ed avete sviluppato molto.
@Maral Concordo sull'affermazione che il samsara è il nirvana @Oax Sostituendo la parola "fede" con l'allocuzione "ragionevole fiducia" mi sgancio da un termine molto collegato al linguaggio religioso dove la "fede" è diventata obbligo di "certezza" e c'è -secondo me- uno scarto fra ragionevole fiducia e certezza. Diciamo che innanzi a delle tesi contrapposte non posso aver certezza e dimostrare nè l'una e nell'altra, ma se penso in un modo andrò in una certa direzione e se penso in un altro andrò in un'altra direzione, a questo punto mi domando dunque cosa queste due direzioni faranno di me. Qui subentra la ragionevole fiducia e lo "scegliere" di poter confidare abbastanza sull'ipotesi che mi condurrebbe ai migliori esiti. Ciò dà frutti quando si affrontano ad esempio questioni etiche e permette di scendere dal piano teorico a quello pratico, altrimenti perché speculare? Ad esempio su di esse (questioni etiche) io mi trovo spesso concorde con Maral. Eppure quando si discute si avverte l'impossibilità di "dimostrare" ad altri. Un certo orientamento etico influenza la visione del mondo che lo sostiene. Allora scegliamo la visione condivisa che ci consente di "fare come se" perché questo "fare come se" in un certo modo permette delle condivisibilità, risulta aggregante e costruttiva producendo benessere condiviso. Ovviamente appena ho scritto ho pensato che anche i mafiosi si accordano, si, ma fra loro e poi anche si sparano, quindi tale condivisbilità è limitata ... quindi è chiaro che la condivisbilità di cui parlo non è solo che due o tre sono d'accordo come una banda per andare a svaligiare una banca Temo, ma non lo so, che forse questo possa essere chiamato da qualcuno "utilitarsimo". Non so se l'occidente ha mai fatto un ragionamento così sfacciato, tipo dire, si, va ben, ok, ma tanto la stiam tirando avanti da secoli, nessuno ha dimostrato niente eppure dobbiam vivere oggi e forse per molto tempo ancora così nell'incertezza. Essi, pur non rinunciando a discutere per esercizio, si sono rassegnati all'incertezza ovvero alla certezza che si può tenere in piedi il mondo e costuire confidando di non aver sprecato la propria esistenza e che questo costruire porterà un risultato purtroppo non perché un qualche ente esterno lo garantisca ma solo per scelta. Quindi prefigurati possibili scenari troviamo che un certo tipo di scenario ci condurrà se non ad una meta lineare almeno ad un regime di mantenimento di un'esistenza sensata, dove il senso lo trovo quando mi accorgo che esiste la tragica realtà e possibilità della sofferenza e che è opportuno poterla evitare o gestire per sé, per gli altri e per il futuro, al fine di procurarsi in futuro in cui ciò che ho fatto oggi sarà servito a qualcosa (e qui ci inserirei l'uomo che dice che il mondo finisce quando muore lui, cosa che la visione che sto illustrano con parole mie - come diceva la maestra a scuola - non condivide molto) @Aggressor "La stessa cosa da un punto di vista diverso non è che ci sono tanti enti che non vedo, piuttosto ce n'è uno che osservo in un certo modo ... ... ..." Quando Maral sottolinea, usando i miei linguaggi, la coincidenza fra samsara e nirvana in pratica afferma anche ciò. Condivido veramente molto del tuo intervento. Relativamente all'uomo che ritiene che il mondo muia quando lui muore ... per me è si è no, so e ni, più no che si, poiché in realtà durante la sua esistenza egli ha trasferito parti di sè stesso ed energie per ogni dove, egli è morto "per se stesso" in una certa modalità di esistenza per cui non può più incidere coscientemente in tempo reale o seminare cause nè modificare alcunché ancora o più, però restano a me, per esempio, che vengo dopo, le conseguenze delle sue azioni che incideranno sulla mia esistenza. Perciò per me che sono in vita egli è morto solo da un certo punto di vista ma non da altri. Questo dialogo, questa tematica che stiamo svolgendo è affrontata da secoli, per curiosità e divertimento vi faccio parte di un piccolo brano in cui il Dalai Lama riassume qualcosa con linguaggio molto molto semplice rivolgibili a tutti, le disquisizioni più tecniche naturalmente sono assai più complesse ed è evidente che questo brano risulterà semplicistico così come è espresso http://iniziodallafine.blogfree.net/?t=4768216 La posizione della scuola madyamika prasangika a me piace, e più o meno io la riassumo così: ne stiamo discutendo da secoli ed abbiamo verificato una impossibilità di dimostrare qualunque tesi, al fine ci appare conveniente dunque assumere una posizione mediana (madyamika significa via di mezzo), non perché sia più vera delle altre o più dimostrabile degli altri due estremi o delle altre diverse variegate possibilità di combinarli, ma perché ci consente di far funzionare per noi il meccanismo della nostra esistenza umana in modo tale da poterlo vivere meglio, poiché a volte non si può fare a meno di sostenere l'esistenza di una realtà esterna ed altre volte non si può fare a meno di ignorare quanto il percepito strutturi la realtà al punto da far sembrare che essa sia solo un sogno del percipiente. Tuttavia all'atto pratico ritenere che la realtà sia solo un sogno del percipiente e basare la propria vita su questo porta dei problemi, ed anche la teoria che si trova all'estremo opposto sembra poi dimenticarsi dell'interrelazione fra percepito e percipiente. Entrambe le posizioni tendono a manifestarsi come certezza e a tentare di annullare la parte di verità che è nell'altra. Una via di mezzo ci consente di mantenere le istanze di tutti, ed allo stesso tempo di trovare concordanze che ci permettono delle condivisioni, e di operare delle scelte concrete. Diversamente è il contrasto e non possiamo usufruire di un terreno comune su cui costruire insieme la nostra esistenza. Quindi facciamo alla romana, ovvero a mezzi favorendo così gli aspetti pratici rispetto alla pura speculazione, che manteniamo per indagine ed anche come medium di relazione per verificare e allenare la nostra disponibilità a concordare o a confliggere ed apprendere a superare il conflitto e accettare l'incertezza nel mezzo della quale concordare ci permette di superare e non restare vittime di essa. L'incertezza c'è, è giustificata ma la nostra esistenza non può essere abbandonata al caso e non possiamo lasciari paralizzare e deprimere da questa incertezza, allora osserviamo e proviamo ad usare i mattoni che si appaiono sufficientemente sicuri. Tempo fa mi sono intrattenuta a scorre le diverse attuali teorie sull'origine dell'universo, rimanendo stupita di quante sono e dei relativi dibattiti. La scienza ci aveva dato una illusione di poter dirimere con maggiore certezza lo stesso problema, ma a quanto vedo tutte le tesi, tantissime, diversissime, sono sostenute in modo assolutamente "scientifico" eppur non si addiviene ad alcuna conclusione certa e il dibattito promette anche di inasprirsi con eventuali future ulteriori nuove teorie che tendono a moltiplicarsi piuttosto che il contrario. Ora, dall'inizio di tale speculazione in oriente sono trascorsi all'incirca credo 4000 anni (sempre difficile datare l'oriente data la sua concezione circolare del tempo che pare conduca a prenderne nota e poterne con meno precisione di quanto facciamo in occidente). Comunque immaginiamo una sostanza rarefatta uniforme e uniformemente omnipervasiva che per cause X sconosciute (magari semplicemente perché fa parte della sua natura) ad un certo punto inizia un movimento di addensamenti ed espansioni generando così la differenziazione e gli oggetti. Da quel momento in poi essi in qualche modo iniziano a percepirsi l'un l'altro: ma prima? Chi era il percipiente e chi era il percepito? Tale sostanza non è necessario che postulare che disponga di una coscienza (in tal caso autocoscienza) e potrebbe essere tranquillamente possibile che in tale stato non la abbia, ma che essa si sviluppi grazie ai movimenti successivi in cui differenziandosi le parti si percepiscono l'un l'altra procurando una coscienza anche complessiva di sè al magma originario che quando era tale non aveva. Osservando questa figurazione possiamo vedere che essa può rappresentare un esistente, qualcosa che esiste, pur in assenza di rapporto fra percepito e percipiente. Potrebbe benissimo non autopercepirsi neppure e tuttavia esistere. Non lo posso provare ma non posso immaginare. Dal punto di vista della filosofia occidentale, che ne pensate di tutto ciò? |
30-10-2014, 20.29.45 | #15 |
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Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità
Patrizia, io non vivo credendo di essere in un sogno che terminerà con la mia vita, non credo di poter modificare la realtà a piacimento come si fa in un sogno lucido o in un viaggio astrale.. né per il fatto che ho accennato ai viaggi astrali devi pensare che sia una sorta di spiritualista sfegatato, quelli non ne ho mai fatti (viaggi astrali), invece di sogni lucidi si. Il viaggio astrale per me è semplicemente un tipo di sogno lucido, se poi sotto vi sia di più non saprei dirlo.
Perché non vivo credendo di essere in un sogno del genere ma non credo all'esistenza di una realtà obbiettiva? è semplice, non sono l'unico ad avere una "coscienza", e siccome niente e nessuno è mai di per sé qualcosa, le altre rappresentazioni della realtà deformeranno e forgeranno la mia. Cioè come la materia costringe altra materia ad assumere certe forme (così si crede normalmente), la stessa cosa si deve applicare alla coscienza o a ciò che, ancora per correttezza, dovrei chiamare "essere" (cioè né materia né coscienza, semplicemente ciò di cui si parla ogni volta che si parla); è un po il passaggio che manca a Leibniz secondo me, che ha dato la coscienza a tutti, ma ha descritto le monadi come finestre chiuse (ma perché si deve credere questo? perché una cosa come la materia deve influenzare altra materia e la coscienza no?). Non basta che io creda una cosa perché tutti vi credano. Ma se anche convincessi tutti gli uomini che il sole gira attorno alla terra questo non basterà affinché la realtà diventi tale perché sistemi molto più semplici ma molto più numerosi del cervello umano abitano il sistema solare e l'universo; questi sistemi complessi (dagli atomi alle cellule alle piante ecc.) hanno delle credenze, reagiscono alla realtà, la deformano e ne sono deformati, e se per loro il sole è lì, prima di convincerli che non sia così non so cosa potremmo fare, poiché sicuramente non hanno molta fantasia (essendo assai semplici). Ti sto esponendo la mia credenza affinché tu possa farti un idea del perché affermo la stabilità della realtà (un certo tipo di intersoggettività) ed anche l' "esse est percipi". Se gli atomi che formano il sistema solare credessero che il sole gira attorno alla terra sarebbe davvero così, perché si comporterebbero a quel modo, come se fosse così, e noi, che siamo formati da essi e circondati da essi, subiremmo le conseguenze di tutto ciò. Invece noi subiamo le conseguenze del contrario e perciò ci conviene di credere che le cose stiano così. Non è che la terra gira obbiettivamente, di per sé, attorno al sole, ciò, invece, è ciò che i più credono, e credendolo lo rendono reale. Dici che non si può dimostrare esistere né <<solo la coscienza>> né <<anche la materia in sé stessa>>, per me, invece, la cosa è più semplice: entrambi i concetti non hanno significato. Nei post precedenti vi ho chiesto di definire la coscienza, ma nessuno ha risposto... Questo discorso, sgiombo, ovviamente, vale come una chiarificazione delle mie idee. |
30-10-2014, 20.47.40 | #16 |
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Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità
"Il giorno che muoio io finisce il mondo" (per me) ma, come ben intuisci, la vera domanda è: " per il giorno in
cui l'umanità sarà estinta (o finchè l'umanità non c'era ancora), possiamo ipotizzare l'inesistenza del mondo? Ovvero: scomparso l'ultimo soggetto percepente scompare anche il percepito? Certo, è naturale che se non c'è un percepente non c'è neanche un percepito, e tuttavia questo percepito non può essere riferito ad altro se non ad un oggetto "fuori" (ex) dal soggetto che lo percepisce "stabilmente" (sistere). Per questo, dicevo, il termine "esistere" non è indicato affatto ad esprimere come stanno le cose, perchè un oggetto può (ex)"sistere" solo in relazione ad un soggetto. Ma, ed è il punto, senza che tutto ciò pregiudichi la particella "ex", che appunto ci indica lo "stare fuori" dell'oggetto DAL soggetto. E' questo il motivo per cui Levinas parla di "y'a" (c'è) per indicare questo, diciamo, "percepito senza percepente". Ora, l'"esserci" del percepito senza percepente è per me evidentissimo (tanto che mi riesce davvero difficile comprendere la posizione contraria); e non come, naturalmente, un articolo di fede (che evidenza sarebbe?). Diciamo allora che tale evidenza si fonda, per me, su elementi "indiziari", su deduzioni, a volte su induzioni. Alcuni decenni fa, ad esempio, fu "scoperta" l'antica civiltà di Ebla, nell'odierna Siria. Che vuol dire "scoperta"? Che prima non esisteva e dopo che è stata scoperta sì? Beh, letteralmente è così ma così, voglio sperare, non è dal punto di vista del buonsenso, che individua un "esserci" di Ebla anche prima della sua scoperta. Naturalmente esempi come questo ve sono a bizzeffe. Cosa intendo con questo? Certamente non intendo affermare la possibilità dell'esistenza, che so, dei marziani (la cui eventuale possibilità di esistenza non è suffragata da alcun "dato" indiziario), ma solo della possibilità dell'esistenza di "oggetti" non esperiti (cosa invece suffragata da una miriade di dati indiziari). Il problema, se così vogliamo chiamarlo, è che una cosa tutto sommato banale come questa assume grande importanza, dal momento che la verifica empirica sembra aver assorbito ogni nostra facoltà intellettiva. E' chiaro, infatti, che la verifica empirica esclude per sua stessa natura l'oggetto non esperito. Ma è anche chiaro che, trovo, la verifica empirica (o dimostrazione), venendosi sempre più a configurare come un sapere probabilistico, o "quantistico", sempre più dovrebbe considerare argomenti forse, rispetto ad essa, meno rigorosi ma non per questo non attendibili affatto. (leggerò con vero piacere lo scritto di Giulio). |
30-10-2014, 20.54.43 | #17 |
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Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità
Patrizia Mura:
Osservando questa figurazione possiamo vedere che essa può rappresentare un esistente, qualcosa che esiste, pur in assenza di rapporto fra percepito e percipiente. Potrebbe benissimo non autopercepirsi neppure e tuttavia esistere. Non lo posso provare ma lo posso immaginare Ma tu non immagini qualcosa che sia al di fuori della tua immaginazione. Forse se riuscissi a dirmi cosa è l'immaginazione, l'immagine, la percezione o la coscienza, potresti affermare con ragione ciò che dici. |
30-10-2014, 21.32.48 | #18 |
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Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità
Aggressor:
Non possiamo cercare la coscienza in un cervello secondo me perché è già assurda questa distinzione tra coscienza e materia o coscienza e contenuti di essa. Però, per discorrere di queste cose, spesso uso la formula linguistica "esistono solo i contenuti mentali", in quanto è il miglior mondo che ho per esprimere ciò che vorrei. Ad essere precisi dovrei solo dire "non esiste questo dualismo". Tu invece lo mantieni, come scrivi tra l'altro, facendomi storcere il naso in vista del rasoio di Occam. Sgiombo: Se dicessi: "esistono solo i contenuti di coscienza" esprimeresti con altre parole il berkeleyano "esse est percicpi". La tua formula "esistono solo i contenuti mentali" mi sembra criticabile perché fra percezioni mentali e materiali (che sono comunque sempre parimenti contenuti di coscienza fenomenici) vi é una differenza a mio parere importante: ammesse certe credenza indinostrabili che più o meno consapevolmente tutte le persone sane di mente accettano, parte del' esperienza cosciente é intersoggettiva e misurabile, e dunque passibile di conoscenza scientifica (quella materiale), altra parte non la é (quella mentale). Aggressor: Io ho cercato di far capire perché ritengo questa cosa superflua. E applicando il discorso alla meccanica quantistica mi sembra addirittura ancora più ragionevole perché lì tutta l'aleatorietà degli eventi sembra comparabile a quella delle menti coscienti. Sgiombo: La meccanica quantistica però é sì relativamente indeterminata (o aleatoria: i lanci dei dati sono relativamente imprevedibili: nel singolo caso, non nelle proporzioni in numeri sufficientemente elevati di casi), ma comunque intersoggettiva e quantificabile, contrariamente ai contenuti mentali di coscienza; e conseguentemente gli oggetti della prima fanno parte della realtà naturale materiale (di cui si può postulare che sia) scientificamente conoscibile, i secondi no. Aggressor: Vorrei, se mi permetterai, cercare di mostrarti come si possa ottenere una realtà così stabile (come quella che osserviamo) dal principio di Berkeley. E come, poi, questa realtà da noi osservata non sia neppure così stabile in effetti, definita ed obiettivabile a tutti i livelli, compreso, appunto, quello microscopico (ma questo già lo sai). Sgiombo: Permesso ovviamente accordato e anzi sollecitato (penso sia puramente retorico o pleonastico il tuo chiedermi il permesso). Ma non concordo con la pretesa dipendenza dall' osservatore (soggettività) dei rilievi quantistici, che nella loro relativa indeterminatezza sono comunque intersoggettivi (=non stabilibili ad libitum da parte degli osservatori), mentre i contenuti mentali di coscienza generalmente non lo sono (tranne casi particolari per lo meno "quasi patologici" come le idee ossessive o situazioni in cui non ci si riesce a togliere dalla mente qualche ricordo o idea che ci ha fortemente colpito o qualche sentimento fortissimo): posso immaginarmi un fiore di qualsiasi colore secondo le mie insindacabili preferenze, ma non posso secondo le mie insindacabili preferenze ottenere una certa misura della posizione o in alternartiva della quantità di moto di un elettrone: devo accettare quella che la osservazione o misurazione mi da). Aggressor: A primo impatto la mia spiegazione può sembrare fantasiosa perché estendo la coscienza a tutti i sistemi possibili (e la differenzio in base alla complessità di essi, la qual cosa -la relazione tra complessità e coscienza- è però un fatto dimostrato da ricerche scientifiche), ma come dicevo la esporrò più dettagliatamente solo se lo riterrai opportuno, dato che già potresti voler ribattere a qualcosa che ho affermato. Non è già fantasioso, tramite il tuo sistema, affermare che solo a volte il binario della coscienza sta lì a mettersi in parallelo con quello noumenico? Perché quando c'è un cervello allora c'è anche una coscienza seppur separata e armonizzata ad esso come gli orologi di Leibniz e quando c'è una cellula no? Ma se faccio corrispondere ad ogni stato materiale uno di coscienza non posso, allora, eliminare il primo o entrambi ed affermare un solo tipo di realtà?[/quote] Sgiombo: Penso che solo a volte il binario della coscienza sta lì a mettersi in parallelo con quello noumenico, in quanto ciò accade per l' appunto unicamente allorché il divenire noumenico é tale che "a chi lo osserva dall' esterno dà" (=nella sua coscienza fenomenica vi corrisponde) un contenuto fenomenico di coscienza materiale che (fra l' eventuale altro) ha una complessità superiore ad una certa soglia: sistemi nervosi sufficientemente complessi; o comunque sistemi materiali sufficientemente complessi da eguagliare in complessità per lo meno i più elementari sistemi nervosi animali (una cellula qualsiasi non supera questa soglia). E la scienza dimostra proprio questo: che il superamento di una certa soglia di complessità é una conditio sine qua non dell' esistenza di una coscienza più o meno ricca e sviluppata (a seconda della complessità del sistema), e non invece che qualsiasi sistema, di complessità purchessia (anche minima: cellule in generale, per non parlare di minerali) ha una coscienza di una ricchezza o "sofisticatezza" proporzionale alla sua complessità: per la scienza sotto una certa complessità non si dà coscienza. D' altra pare gli altri uomini ci dicono di essere coscienti e gli animali si comportano come se fossero coscienti (molto più limitatamente dei parlanti), anche se questo non prova che abbiano effettivamente una coscienza (ritengo insuperabile l' argomento degli zombi di Chalmers), mentre vegetali e minerali no. Ti ringrazio tantissimo per la lettura delle mie opinioni e ancor più di questo inizio di discussione critica, che spero continuerà in modo così interessante. Ultima modifica di sgiombo : 31-10-2014 alle ore 14.15.53. |
30-10-2014, 21.42.21 | #19 | |
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Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità
Citazione:
Ma, mi sembra che la citazione che critichi sia già la risposta alla tua critica e alla tua domanda. L' ente "luna" (o meglio l' evento "visione della luna") nella tua coscienza é una "cosa" (=determinate sensazioni) facenti parte della tua esperienza fenomenica cosciente; invece l' ente "luna" (o meglio l' evento "visione della luna") nella mia coscienza é un' altra "cosa" (=determinate altre sensazioni) facenti parte di un' altra (la mia) esperienza fenomenica cosciente; sono "cose" (insiemi di sensazioni) distinte ma uguali? Domanda che non ha senso. Infatti fra enti ed eventi che percepisco (appartenenti -tutti- alla mia esperienza fenomenica cosciente) posso fare paragoni e confronti (e fra quelli materiali anche misurazioni) e stabilire se c' é identità totale o parziale: metto i due fiori uno accanto all' altro, li vedo entrambi insieme contemporaneamente e posso stabilire se e in che misura (approssimativa, ovviamente) hanno la stessa forma, grandezza, colori, ecc.; ma fra "lo stesso (così impropriamente detto) fiore" nella mia e nella tua coscienza (che stiamo entrambi guardando) non posso farlo (non ci é possibile "sbirciare nelle altrui coscienze" per fare confronti e stabilire se i loro contenuti sono uguali a quelli della nostra propria o meno e in quale misura). Ha senso invece ipotizzare che tali distinti eventi fenomenici nell' ambito di diverse esperienze fenomeniche coscienti corrispondano entrambi ad un solo e unico (e possiamo anche dire "identico a se stesso" per far piacere ai severiniani) evento nell' ambito della cosa in sé o noumeno. Ricambio cordialmente il saluto. Ultima modifica di sgiombo : 31-10-2014 alle ore 14.33.17. |
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31-10-2014, 09.37.32 | #20 |
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Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità
@ Oxdeadbeef (ma anche Aggressor)
Per considerazioni tutto sommato simili alle tue di ieri alle ore 20, 47, 40 (non riesco a rispondere citandole perché un messaggio mi dice che ho usato troppe immagini. Boh?!), dopo l’ assunzione (che per me è un punto fermo non confutabile) che per le sensazioni fenomeniche coscienti “esse est percipi”, contrariamente ad Aggressor, respingo l’ ipotesi (malgrado sia probabilmente inconfutabile, oltre che indimostrabile: non ho ancora risolto i miei dubbi in proposito) dell’ armonia fra le esperienze fenomeniche coscienti senza qualcos’ altro di reale con esse correlato che divenga con continuità anche nei lunghi lassi di tempo nei quali la scienza ci dice che nell’ universo (fenomenico) materiale naturale non accadono eventi (non esistono enti) caratterizzati da (o meglio: ai quali è ragionevole ritenere corrisponda) un’ esperienza fenomenica cosciente (uomini e alltri animali; eventualmente anche sistemi artificiali sufficientemente complessi, ma qui siamo al limite della fantascienza). E infatti Aggressor per colmare questo gap* è costretto ad affermare la tesi a mio parere molto problematica e scarsamente convincente (ma anch’ essa né dimostrabile né confutabile) del pampsichismo: la continuità temporale delle esperienze fenomeniche coscienti armonicamente correlate fra loro (senza problematici intervalli di tempo “vuoti” e dunque non quantificabili: concetto dalla coerenza logica e significanza per lo meno dubbie) sarebbe così “salvata” dalla coscienza attribuita a qualsiasi cosa naturale materiale, anche ai minerali e magari alla forma puramente e integralmente energetica e per niente massiva della materia (fotoni). Invece trovo più convincente la tesi che “sotto” l’ intersoggettività delle componenti materiali delle esperienze fenomeniche ci sia un’ oggettività per quanto trascendente, noumenica, reale anche in assenza di fenomeni (nei lunghi intervalli di tempo nei quali la scienza ci dice che non esistono animali dotati di coscienza). Così l’ inemendabile (per me) “esse est percipi” dei fenomeni non rende assurda l’ esistenza dei resti archeologici della civiltà di Ebla (o meglio: della cosa in sé ad essi -che sono fenomeni- corrispondente) anche nei secoli nei quali nessuno l’ aveva trovata (o della cosa in sé corrispondente alla luna anche quando nessuno la vede; anche prima che sulla terra comparisse la vita). Non sono d’ accordo che la verifica empirica (o dimostrazione) si venga sempre più a configurare come un sapere probabilistico, o "quantistico". Secondo me non si deve sopravvalutare l’ estensione e la portata dell’ indeterminismo quantistico**, mentre la conoscenza probabilistica dei sistemi macroscopici complessi implica un meccanicismo oggettivo sottostante. E la verifica empirica diretta mostra fatti; ma da essi indirettamente.si possono anche dedurre altri fatti (come l' esistenza di Ebla prima che venisse scoperta), non direttamente esperiti; che dunque non esclude. _ * Sinceramente mi vergogno di usare l’ inglese ma mi suonava troppo bene: effetto anche su di me, che pure cerco di difendermene, dell’ imbarbatrimento costante della nostra splendida lingua operato da giornalisti e chiacchieroni (ma sarebbe meglio il veneto “ciacolatori”, che rende bene l’ idea della vacuità delle loro chiacchiere) radiotelevisivi vari. **Stiamo andando verso il secolo dalla scoperta dell' indeterminismo quantistico, spesso agitato polemicamente dagli scienziati per épater i filosofi (specie deterministi): da un bel pezzo non é più una novità e credo che i filosofi (in particolare i filosofi deterministi) l' abbiano già più che digerita (scusami la polemica che non é rivolta a te, malgrado il tuo -credo- indeterminismo, ma a certi scienziati presuntuosi e filosofobici: positivisti vecchi e nuovi). Ultima modifica di sgiombo : 31-10-2014 alle ore 14.47.40. |