ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS |
01-11-2014, 22.05.58 | #26 | |
Nuovo ospite
Data registrazione: 08-04-2014
Messaggi: 59
|
Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità
Citazione:
Beh, dialogando ci esercitiamo e dunque è anche naturale e viene spontaneo far da contrappeso a volte alle affermazioni altrui, ma per puro diletto di dibattito che a mio avviso è un ottimo esercizio per la mente, per l'equilibrio fra parte intellettiva ed emotiva, per conoscere se stessi, per esercitarsi a comunicare e per molte altre cose. Così a volte mi sono trovata a sostenere la posizione tua ed altre quella di maral, spesso sia con interlocutori per cui l'intersoggettività prende il sopravvento su tutto che con altri di posizione assolutamente opposta. Anche io condivido l'idea di interconnessione ed unità del molteplice. Come tante altre cose però è anche strumento che poi va compreso quando e come usarlo o non usarlo e con quali fini, e qui viene il bello. Ora sembrerò cerchiobottista ma per me il tavolo è, come afferma Maral, "comunque formato da quattro zampe e possiede quello specifico determinato modo d'essere" ed allo stesso tempo anche "un sintagma con cui descrivo in un certo modo l'universo", senza che l'una cosa debba escludere o negare l'altra. Maral un giorno mi chiese cosa intendesse il buddhadharma per "imputazione" approfitto dell'occasione per segnalare a Maral che, ecco, tu descrivi ciò che io chiamo imputazione sotto la voce "sintagma" (io sono sempre alla ricerca delle convergenze del buddhadharma con la cultura occidentale e delle possibilità di traduzione di un linguaggio nell'altro). Poi ho inclinazioni tecniche, quindi mi piace essere io a cambiare la ruota bucata o partecipare al tentativo di liberare una serratura dal moncone di chiave rotto rimasto dentro, avrei studiato di meccanica e persin di idraulica (questo soprattutto per fare a meno dell'idraulico naturalmente), etc. etc. che sarà strano per una donna (ho scoperto che c'è un test psicologico molto accreditato che mi chiede se "mi piaccono le riviste di meccanica" e rispondo "si" reputa che io debba avere dei significativi problemi di identità del mio sesso ) e come tutti i pratici devo conoscere e riconoscere le proprietà dell'oggetto. Poi lo spazio vuoto fra le gambe del tavolo è indispensabile altrimenti non potrei sedermi a tavola a mangiare perché non saprei dove metter le gambe. Tuttavia in altri momenti e per altre funzioni il tavolo è me, per esempio perché esisterei in un modo diverso senza il tavolo, o perché vi vedo gli elementi "non tavolo" che sono presenti nel tavolo: come dicevo non ricordo dove, il sole, l'ossigeno, la terra, il seme, l'albero, le radici, la motosega, chi lo ha lasciato crescere, chi lo ha abbattuto, chi ha trasportato il legno, chi ha lavorato il tavolo. Ed allo stesso modo se guardo me mi accorgo di essere composta di elementi non me, che formano anche gli altri, ovvero molti degli elementi me che mi fanno sintagma determinano anche altri sintagmi, a volte in modo simile ed a volte più differente. L'aspetto interessante della dibatitto su questo tema sono le ricadute, ovvero quando una posizione o l'altra diventa martello e si decide di "usarla" e come la si usa. Ad esempio fra gli estimatori del buddhadharma si verifica il fenomeno di voler applicare una delle due visioni, come opposta e negante l'altra, a tutto campo e l'interconnessione (in quel linguaggio "vacuità" o shunyata) collegata alla "sè" (o "io") finisce per dare spesso la spiacevole affermazione di fatto di un "tu non esisti" (ovviamente è sempre l'altro che finisce per non esistere) che è esattamente l'opposto dell'esito di comprensione che si auspicherebbe e ci si trova poi costretti a mille specifiche (questa è un esempio http://iniziodallafine.blogfree.net/?t=3269279 che con altro linguaggio parla di ciò di cui stiamo discutento) che vengono regolarmente ignorate Insomma il serpente (una dottrina, visione, teoria, punto di vista, chiamiamolo come vogliamo) può essere comunque sempre preso dal verso giusto o da quello sbagliato. E da qui ricomincia il ciclo: quale è quello giusto, quale è quello sbagliato, come definiamo giusto o sbagliato, chi l'ha deciso, dimostralo, e via dicendo. Di qui la necessità di alternare continuamente le visioni a seconda delle circostanze e delle necessità. Se sto fabbricando un tavolo mi occorre la visione di Maral, se voglio dare un significato più ampio ai soldi che ho guadagnato vendendo il tavolo o al mio mero egotico piacere di abbuffarmi di carbonara su quel tavolo ho bisogno anche dell'altra visione. Quando nel buddhadharma si va ad applicare tale discorso al tema della sofferenza, la creazione - concordo, artificiosa - di una linea di demarcazione fra le due perché si possa educare all'elasticità necessaria ad applicare la giusta al momento giusto per centrare obiettivi che riguardano il comportamento etico diventa indispensabile. Nietsche mi pare un ottimo esempio di uso improprio di visioni, forse proprio importate, ma parzializzate e distorte, in funzione di un uso non particolarmente costruttivo. |
|