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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 15-07-2014, 11.58.06   #1
tiziano
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La scelta di Sisifo

lascio la parola ad Albert Camus, un grande scrittore francese tradizionalmente definito "esistenzialista", con una sua citazione da uno dei miei libri preferiti: "Il mito di Sisifo":

Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto – se il mondo abbia tre dimensioni o se lo spirito abbia nove o dodici categorie – viene dopo. Questi sono giochi: prima bisogna rispondere. E se è vero, come vuole Nietzsche, che un filosofo, per essere degno di stima, debba predicare con l’esempio, si capisce l’importanza di tale risposta, che dovrà precedere il gesto definitivo. (…)Io non ho veduto alcuno morire per l’argomento ontologico. Galileo, che era in possesso di un’importante verità scientifica, la rinnegò con la più grande facilità, quando, per essa, si trovò in pericolo di vita. In un certo senso fece bene, poiché tale verità non valeva il rogo. E’ cosa profondamente indifferente che sia il globo che giri intorno al sole o viceversa. Per dirla in breve, è una questione futile. Per contraccambio, vedo che molti muoiono perché reputano che la vita non valga le pena di essere vissuta, e ne vedo altri che si fanno paradossalmente uccidere per idee o illusioni che costituiscono per loro una ragione di vivere (ciò che si chiama ragione di vivere è allo stesso tempo un’eccellente ragione di morire). Giudico dunque che quella sul senso della vita è la più urgente delle domande. Come rispondervi?


Già, come rispondervi?
Ma: perché dovremmo rispondervi?
Ovviamente la domanda sul senso della vita non è cronologicamente la prima domanda della filosofia, lo è logicamente, ma ha bisogno di molto ragionamento e di molto sentimento perché vi sia una risposta.

Questo brano di Camus l'ho sempre trovato inquietante, anche perché dentro l'inquietudine esistenziale c'è anche l'inquietudine (ovviamente non drammatica ma epistemologica) sulla futilità della conoscenza scientifica.

Insomma: 2 questioni:
1. futilità dell'esistenza?
2. futilità della conoscenza?
tiziano is offline  
Vecchio 15-07-2014, 23.35.31   #2
green&grey pocket
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Riferimento: La scelta di Sisifo

Citazione:
Originalmente inviato da tiziano

Insomma: 2 questioni:
1. futilità dell'esistenza?
2. futilità della conoscenza?

lo ho appena iniziato, insieme a altri cento progetti, rimane in cantiere.

Penso che dalla domanda radicale della vita e di ciò che ci viene incontro, parta l'esistenzialismo di Camus, il quale partendo dalle ultime considerazioni di Sestov sulla impossibilità della scienza di diventare "vita", propone un filosofia che si sappia coraggiosamente porre contro le aporie: si tratterebbe di uno stare sulla linea heideggeriano, ma senza il suo pessimismo. In una sorta di rivalorizzazione dell'uomo, in questo il dott. Rieux rappresenta il lavoro di fronte alla disperazione, e il protagonista il cinico stare a guardare di fronte alla peste dell'omonimo romanzo camusiamo.

direi l'esistenza come lavoro intellettuale.
green&grey pocket is offline  
Vecchio 16-07-2014, 10.18.00   #3
FMJ
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Riferimento: La scelta di Sisifo

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Originalmente inviato da tiziano
lascio la parola ad Albert Camus, un grande scrittore francese tradizionalmente definito "esistenzialista", con una sua citazione da uno dei miei libri preferiti: "Il mito di Sisifo":

Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto – se il mondo abbia tre dimensioni o se lo spirito abbia nove o dodici categorie – viene dopo. Questi sono giochi: prima bisogna rispondere. E se è vero, come vuole Nietzsche, che un filosofo, per essere degno di stima, debba predicare con l’esempio, si capisce l’importanza di tale risposta, che dovrà precedere il gesto definitivo. (…)Io non ho veduto alcuno morire per l’argomento ontologico. Galileo, che era in possesso di un’importante verità scientifica, la rinnegò con la più grande facilità, quando, per essa, si trovò in pericolo di vita. In un certo senso fece bene, poiché tale verità non valeva il rogo. E’ cosa profondamente indifferente che sia il globo che giri intorno al sole o viceversa. Per dirla in breve, è una questione futile. Per contraccambio, vedo che molti muoiono perché reputano che la vita non valga le pena di essere vissuta, e ne vedo altri che si fanno paradossalmente uccidere per idee o illusioni che costituiscono per loro una ragione di vivere (ciò che si chiama ragione di vivere è allo stesso tempo un’eccellente ragione di morire). Giudico dunque che quella sul senso della vita è la più urgente delle domande. Come rispondervi?


Già, come rispondervi?
Ma: perché dovremmo rispondervi?
Ovviamente la domanda sul senso della vita non è cronologicamente la prima domanda della filosofia, lo è logicamente, ma ha bisogno di molto ragionamento e di molto sentimento perché vi sia una risposta.

Questo brano di Camus l'ho sempre trovato inquietante, anche perché dentro l'inquietudine esistenziale c'è anche l'inquietudine (ovviamente non drammatica ma epistemologica) sulla futilità della conoscenza scientifica.

Insomma: 2 questioni:
1. futilità dell'esistenza?
2. futilità della conoscenza?

E chi lo dice che le persone si suicidano "perché reputano che la vita non valga la pena di essere vissuta"? Quale "vita"? Non esiste una "vita" lì, bell'è pronta, da vivere. La fatica di Sisifo è la fatica di "costruire" una "vita" che abbia un "significato", sottratta al CAOS. Il suicidio rappresenta l'estrema "costrizione del campo percettivo". E' uno spegnere la luce per non vedere più l'ostacolo (CAOS) e poter continuare ad "anticipare gli eventi"... E' la scelta di mantenere la coerenza del proprio "mondo" di fronte all'"invalidazione". E' la difesa ultima della propria capacità di conferire un "senso" agli "eventi" anche se lo spazio di senso si è ridotto al lumicino e fuori, c'è il caos che incombe: l'invalidazione. Proprio perché voglio continuare a "vivere", mi suicido. Questo, "spiega" anche la scelta di Galileo. Il senso della vita, non è lì, nella vita, in una vita ch'è lì, davanti a noi, da vivere. Il senso della vita è nelle nostre "costruzioni". E' nelle nostre "costruzioni di senso" il luogo nel quale giacciono le ragioni, le gerarchie, le priorita, i significati. E' da quella dinamica "costruttiva" che sorge la scelta di abiurare o di morire per un'idea, ch'è come proseguire la vita per mezzo della morte, salvaguardando un personale "senso delle cose" e sfuggendo al CAOS. Si può benissimo essere vivi biologicamente ed essere uomini "morti" travolti dal CAOS. Si può scegliere la morte per continuare a "vivere". Difendo la mia vita, sparandomi.

Quanto alla conoscenza, essa è fondamentale, futile, preziosa, utile, inutile, divertente, noiosa, "vera", "falsa", concreta, astratta, assoluta, relativa, intelligente, stupida, irrilevante, necessaria, essenziale, vana... insomma, in quanti dannati modi possimo costruire e ri-costruire la "conoscenza", qualsiasi cosa si voglia intendere con tale parola? Infiniti modi, direi... in tanti modi, quanti possono essere i costrutti a disposizione entro i quali la "conoscenza" possa entrare come elemento del "campo di pertinenza"... nessuno di questi, a dire il vero, mi fa paura, mi sorprende o mi inquieta... tutte "costruzioni" già viste, già sentite, quasi noiose... Osservo, invece, la tua inquietudine (epistemologica) nel costruirla come "futile"...

... chiediti il perché... dato che c'è un tempo e un luogo nel quale tutta la conoscenza di questo mondo può benissimo essere "costruita" come assolutamente "futile". Ce lo insegna Camus... e solo i poeti possono insegnarci queste cose...

FMJ
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Vecchio 16-07-2014, 10.19.28   #4
paul11
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Riferimento: La scelta di Sisifo

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Originalmente inviato da tiziano
lascio la parola ad Albert Camus, un grande scrittore francese tradizionalmente definito "esistenzialista", con una sua citazione da uno dei miei libri preferiti: "Il mito di Sisifo":

Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto – se il mondo abbia tre dimensioni o se lo spirito abbia nove o dodici categorie – viene dopo. Questi sono giochi: prima bisogna rispondere. E se è vero, come vuole Nietzsche, che un filosofo, per essere degno di stima, debba predicare con l’esempio, si capisce l’importanza di tale risposta, che dovrà precedere il gesto definitivo. (…)Io non ho veduto alcuno morire per l’argomento ontologico. Galileo, che era in possesso di un’importante verità scientifica, la rinnegò con la più grande facilità, quando, per essa, si trovò in pericolo di vita. In un certo senso fece bene, poiché tale verità non valeva il rogo. E’ cosa profondamente indifferente che sia il globo che giri intorno al sole o viceversa. Per dirla in breve, è una questione futile. Per contraccambio, vedo che molti muoiono perché reputano che la vita non valga le pena di essere vissuta, e ne vedo altri che si fanno paradossalmente uccidere per idee o illusioni che costituiscono per loro una ragione di vivere (ciò che si chiama ragione di vivere è allo stesso tempo un’eccellente ragione di morire). Giudico dunque che quella sul senso della vita è la più urgente delle domande. Come rispondervi?


Già, come rispondervi?
Ma: perché dovremmo rispondervi?
Ovviamente la domanda sul senso della vita non è cronologicamente la prima domanda della filosofia, lo è logicamente, ma ha bisogno di molto ragionamento e di molto sentimento perché vi sia una risposta.

Questo brano di Camus l'ho sempre trovato inquietante, anche perché dentro l'inquietudine esistenziale c'è anche l'inquietudine (ovviamente non drammatica ma epistemologica) sulla futilità della conoscenza scientifica.

Insomma: 2 questioni:
1. futilità dell'esistenza?
2. futilità della conoscenza?

Gli intellettuali ......
1)Siamo nel mondo, si dice senza una nostra volontà di nascere e quindi nuotiamo per forza nel grande acquario, sperando di essere il più felici possibile. Quindi è una domanda che per me ha poco senso.
Dal punto di vista esistenziale dipende dal proprio pro-getto e dimensione di vita scelto.
2)La conoscenza aiuta ad anticipare gli eventi, in qualche modo a premunirci, ad aiutarci "nel caso in cui...", questa penso sia la cosa più pratica: è il tentativo di determinare il mondo,togliendone la indeterminatezza.
Può anche generare dolore o aiutare nella consolazione,per la propria consapevolezza
Penso sia come un estratto, se la dosi male può essere veleno oppure medicina e ognuno deve sapersi dare quindi una propria posologia.
paul11 is offline  
Vecchio 16-07-2014, 13.52.49   #5
donquixote
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Riferimento: La scelta di Sisifo

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Originalmente inviato da tiziano
Ovviamente la domanda sul senso della vita non è cronologicamente la prima domanda della filosofia, lo è logicamente, ma ha bisogno di molto ragionamento e di molto sentimento perché vi sia una risposta.

Questo brano di Camus l'ho sempre trovato inquietante, anche perché dentro l'inquietudine esistenziale c'è anche l'inquietudine (ovviamente non drammatica ma epistemologica) sulla futilità della conoscenza scientifica.

Insomma: 2 questioni:
1. futilità dell'esistenza?
2. futilità della conoscenza?

La domanda: "La vita ha un senso?" è senza senso, perché l'unica domanda corretta da porsi è "che senso ha la vita?".
Non so se Camus avesse mai considerato quello che comunemente si definisce "principio di ragione" (nihil est sine ratione) ma se lo avesse fatto non si sarebbe probabilmente posto quelle domande perché è di estrema evidenza che se un qualsiasi ente non avesse alcun senso, alcuna ragione per esistere, semplicemente non esisterebbe. Il fatto che poi si sia voluto distorcere questo basilare principio aggiungendovi arbitrariamente l'aggettivo "sufficiente" va a demerito di quegli inguaribili antropocentristi che vogliono trovare un senso "umano" a tutte le cose, e se non lo trovano o magari non appare a loro "sufficiente" decidono talvolta e in perfetta buona fede di sopprimere sic et simpliciter quell'ente, quando non addirittura tutti gli enti della medesima specie.
Si tratta dunque di trovarlo, questo senso, partendo dal fondamentale presupposto che esso c'è. Ma anche se non si riuscisse a raggiungere l'obiettivo di trovare il senso della propria vita la profonda convinzione che esso comunque sussista (e non si identifica certo con quello che noi, di volta in volta, ci possiamo scegliere sulla base di tutta una serie di suggestioni) e il dovere morale della sua continua e incessante ricerca dovrebbe quantomeno escludere il suicidio come "soluzione", come extrema ratio di fronte all'assurdo e al caos (questi, sì, veri “costrutti”). Il suicidio è da un lato provocato da una profonda incomprensione, e dall’altro si configura come l’atto di vigliaccheria estrema perché è la fuga definitiva, la diserzione assoluta, il tradimento del mondo che non contempla alcuna possibilità di redenzione o comunque di ravvedimento.
donquixote is offline  
Vecchio 16-07-2014, 15.54.41   #6
baylham
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Riferimento: La scelta di Sisifo

L'esistenzialismo come filosofia mi piace, sebbene non condivida l'angoscia dell'esistenza e della sua destinazione alla morte.
La domanda di Camus non riguarda la filosofia, è una domanda intima, individuale.
La mia risposta è che sono contento di vivere e di conoscere, una breve occasione straordinaria ed irripetibile. Il fascino delle questioni filosofiche è fortissimo.
La possibilità del suicidio è l'uscita di sicurezza.
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Vecchio 16-07-2014, 16.18.02   #7
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Riferimento: La scelta di Sisifo

Citazione:
Originalmente inviato da donquixote
La domanda: "La vita ha un senso?" è senza senso, perché l'unica domanda corretta da porsi è "che senso ha la vita?".
Non so se Camus avesse mai considerato quello che comunemente si definisce "principio di ragione" (nihil est sine ratione) ma se lo avesse fatto non si sarebbe probabilmente posto quelle domande perché è di estrema evidenza che se un qualsiasi ente non avesse alcun senso, alcuna ragione per esistere, semplicemente non esisterebbe.
Evidentemente, Camus non aveva tra le sue ASSUNZIONI/POSTULATI/ASSIOMI (INDIMOSTRATI), il TUO, e di altri, ma non suo: "Nihil est sine ratione". Quindi, è di estrema evidenza che guardando al mondo e alle cose in maniera diversa, potesse porsi, per TE, incredibilmente :-))), quesiti diversi... c'è anche chi, riconoscendo l'assoluta insensatezza della vita, fa di questo una ragione per vivere: "Il fatto che la vita non abbia alcun senso è una ragione di vivere – la sola, del resto" (Emil Cioran)... quante "costruzioni" diverse, eh!
Citazione:
Il fatto che poi si sia voluto distorcere questo basilare principio aggiungendovi arbitrariamente l'aggettivo "sufficiente" va a demerito di quegli inguaribili antropocentristi che vogliono trovare un senso "umano" a tutte le cose, e se non lo trovano o magari non appare a loro "sufficiente" decidono talvolta e in perfetta buona fede di sopprimere sic et simpliciter quell'ente, quando non addirittura tutti gli enti della medesima specie.
E chi ha mai stabilito che una "cosa" senza senso non abbia il diritto di vivere? Posso non riconoscere alcun senso alla vita di una formica ma non per questo decretarne la morte.
Citazione:
Si tratta dunque di trovarlo, questo senso, partendo dal fondamentale presupposto che esso c'è.

Certamente. Una volta che ho POSTULATO, nel MIO sistema, che un senso c'è, posso mettermi immadiatamente in cammino per cercarlo. Ovvio.
Citazione:
Ma anche se non si riuscisse a raggiungere l'obiettivo di trovare il senso della propria vita la profonda convinzione che esso comunque sussista (e non si identifica certo con quello che noi, di volta in volta, ci possiamo scegliere sulla base di tutta una serie di suggestioni) e il dovere morale della sua continua e incessante ricerca dovrebbe quantomeno escludere il suicidio come "soluzione", come extrema ratio di fronte all'assurdo e al caos (questi, sì, veri “costrutti”).
Certamente. SCELTO il POSTULATO che un senso ci sia, là fuori, da qualche parte o chissà dove, posso mettermi a cercarlo. Poniamo che non riesca a trovarlo, questo non fa venir meno, di certo, il POSTULATO che un senso ci sia, dato che trattasi di un "principio esplicativo" (che non spiega nulla) che sussiste di per sé... un postulato Euclideo indimostrato.
Aggiungiamoci, poi, un'ulteriore POSTULATO: Postulato che un senso ci sia, POSTULIAMO pure che sia un DOVERE MORALE il cercarlo e che si debba, necessariamente escludere tra le azioni, quella del suicidio.
Citazione:
Il suicidio è da un lato provocato da una profonda incomprensione, e dall’altro si configura come l’atto di vigliaccheria estrema perché è la fuga definitiva, la diserzione assoluta, il tradimento del mondo che non contempla alcuna possibilità di redenzione o comunque di ravvedimento.
Il suicida, scusa, cosa non avrebbe compreso? I TUOI postulati?

SOCRATE un vigliacco, un fuggiasco, un disertore, un traditore... questa mi mancava. Giuro.

Comunque, esattamente all'opposto delle tue costruzioni, ci sono le costruzioni di Seneca:
"Dovunque tu volga lo sguardo, puoi trovare un fine ai tuoi mali. Vedi quel precipizio? Per di là si scende verso la libertà. Vedi quel mare, quel fiume, quel pozzo? Là in fondo c'é la libertà. Vedi quell'albero basso, secco, disgraziato? La libertà pende di lì. Vedi il tuo collo, la tua pelle, il tuo cuore? Sono tutti mezzi per evitare la schiavitù. Ti indico forse dei mezzi, per liberarti, troppo faticosi, o che esigono troppo coraggio e troppa forza? Mi chiedi la via per la libertà? Qualunque vena del tuo corpo può diventarlo!"

... il suicidio come "Via Libertatis"...

FMJ

Ultima modifica di FMJ : 16-07-2014 alle ore 19.42.50.
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Vecchio 16-07-2014, 19.37.42   #8
Davide M.
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Originalmente inviato da tiziano
lascio la parola ad Albert Camus, un grande scrittore francese tradizionalmente definito "esistenzialista", con una sua citazione da uno dei miei libri preferiti: "Il mito di Sisifo":Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia.

Ma perché il «quesito» fondamentale della filosofia è il giudizio sul valore o meno della vita?
Non bisogna essere filosofi per rispondere a questo «quesito».
Il quesito fondamentale della filosofia è l'essere; il vero filosofo è colui che prende in pasto l'essere, che è l'esatto contrario del non essere, quindi non vedo come un filosofo possa chiedersi se la vita non valga la pena di essere vissuta visto che morendo non si è più e quindi non potendosi più rispondere non potrebbe più fare alcun paragone.
Ci si potrebbe chiedere se dopo che si muore si sia in qualche altro modo? Balle. Quando si è morti si è morti. Io penso che Camus ignorava Parmenide, l'essere è e il non essere non è; pur citandolo ignorava Nietzsche, che si scagliò contro Socrate proprio perché aveva sostituito alla vita il senso della vita; e riguardo l'argomento ontologico ignorava un certo Giordano Bruno.
Davide M. is offline  
Vecchio 16-07-2014, 21.08.22   #9
donquixote
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Riferimento: La scelta di Sisifo

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Originalmente inviato da FMJ
Evidentemente, Camus non aveva tra le sue ASSUNZIONI/POSTULATI/ASSIOMI (INDIMOSTRATI), il TUO, e di altri, ma non suo: "Nihil est sine ratione". Quindi, è di estrema evidenza che guardando al mondo e alle cose in maniera diversa, potesse porsi, per TE, incredibilmente :-))), quesiti diversi... c'è anche chi, riconoscendo l'assoluta insensatezza della vita, fa di questo una ragione per vivere: "Il fatto che la vita non abbia alcun senso è una ragione di vivere – la sola, del resto" (Emil Cioran)... quante "costruzioni" diverse, eh!

E chi ha mai stabilito che una "cosa" senza senso non abbia il diritto di vivere? Posso non riconoscere alcun senso alla vita di una formica ma non per questo decretarne la morte.



FMJ

Ho la sensazione che per te qualunque parola citata nel vocabolario sia un postulato, o un assioma.
C'è una differenza sostanziale fra un postulato, un assioma, una definizione e un principio, differenza che può anche sfuggire, come del resto è spesso sfuggita ed è rimasta incompresa soprattutto dal cosiddetto illuminismo filosofico in poi.
I postulati e gli assiomi, variamente intesi, hanno il particolare attributo di essere indimostrabili, ma anche quello di non essere autoevidenti; li si prende per buoni per ragionarci sopra, ma non rappresentano in sé alcuna verità. Al contrario i principi sono affermazioni assolutamente autoevidenti, e la loro indimostrabilità risiede nel fatto che il loro contrario non potrebbe esistere poichè sarebbe contraddittorio.
Ad esempio affermare che vi sono infiniti infiniti (come si tende a fare in questi tempi) è un assioma che si può prendere per buono se si vuole, ma in termini di verità si scontra con la definizione di infinito. Il principio al contrario afferma che l'infinito è uno e uno solo, e questo è incontestabile dal punto di vista logico.
Un altro assioma è l'affermazione che recita "tutti gli uomini sono uguali", mentre il principio dell'identità degli indiscernibili enunciato da Leibniz mostra come non vi possa essere alcun ente uguale ad un altro sotto tutti i rapporti.
Per quanto l'uomo abbia necessità di creare dei "costrutti", si tratta di comprendere la differenza fra quelli basati su assiomi (che possono essere falsi in sé) e quelli basati su principi (che invece devono essere veri, per poter essere definiti tali). Come insegnava il vecchio stagirita se si parte da premesse vere e il ragionamento (il "costrutto") sarà corretto si giungerà a conclusioni parimenti vere, ma se al contrario le premesse sono false anche le conclusioni lo saranno altrettanto.
Non tutti i "costrutti" sono uguali dunque, e l'intelligenza di ognuno che sia interessato alla verità sta nel risalire alle premesse su cui si fondano e, se del caso, dimostrare la loro falsità o la loro inconsistenza.
Il principio di ragione già citato è vero per la semplice ragione che il solo fatto che un ente ci sia presuppone che la sua esistenza sia dovuta ad una causa, perchè un altro principio incontestabile afferma che ex nihilo nihil fit (che a sua volta è una ovvia deduzione logica della definizione di "nulla"). Senza fare il tedioso elenco delle varie gerarchie di cause formali, efficienti ecc. chiunque si può rendere conto che se non vi fosse la benchè minima ragione per il darsi di un ente qualsiasi questo semplicemente non sarebbe. Che poi questa ragione sia rintracciabile e condivisibile dalla ragione umana è tutt'altra cosa, che non incide per nulla sull'affermazione precedente.
Ognuno potrà poi affermare che il tal ente non ha senso, ma la sua affermazione sarà riferita necessariamente al suo proprio, individuale, modo di pensare e di giudicare il mondo, al suo proprio "costrutto", ma non potrà mai essere assolutizzata e considerata come "vera" in sé.
donquixote is offline  
Vecchio 16-07-2014, 22.50.27   #10
maral
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Riferimento: La scelta di Sisifo

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Originalmente inviato da tiziano
...
Insomma: 2 questioni:
1. futilità dell'esistenza?
2. futilità della conoscenza?
Non sento una dicotomia tra esistenza e conoscenza, né un primato dell'una sull'altra, almeno per quanto riguarda una forma di vita cosciente di sé, dunque una forma di vita per la quale esistere significa interrogarsi sul proprio senso che non appare immediatamente dato, quindi significa dover conoscere e conoscere certo non solo il proprio io, ma anche il mondo che determina dal di fuori questo io con tutte le sue angosce e le sue speranze e ne traccia limiti e contorni disegnandolo come lo disegna.
Dopotutto porre il primato dell'esistenza sulla conoscenza per l'essere umano sarebbe come dire che per un pesce è più importante vivere che saper nuotare, non ha senso: il pesce vive nuotando e nuota vivendo esattamente come l'uomo vive conoscendo e conosce vivendo, cosa venga prima è una scelta di campo e conoscere può benissimo costituire il senso più proprio del vivere. D'altra parte per un Galileo che rinuncia a difendere la conoscenza a cui è pervenuto a vantaggio della propria esistenza c'è sempre un Giordano Bruno che non esita a salire sul rogo per proclamare la conoscenza in cui trova la propria più profonda ragione di vita e dunque, come in qualche modo dice lo stesso Camus, la propria ragione per morire, perché morire è sempre un atto del vivere dopotutto, un atto che trova senso solo nella vita, nel significato che essa e non la morte dispiega.
L'uomo in quanto autocosciente è fondamentalmente un essere orientato in modo teleologico, non può sfuggire alla ricerca/aspettativa di un senso per il proprio esistere, fosse pure la volontà di distruggere ogni senso, fosse pure l'anelito che questa ricerca si riveli solo un penoso continuo illudersi come per Sisifo, fosse pure un sonno finalmente senza sogni, che rechi il primo vero riposo che finalmente libera dal tormento di un continuo e lucido interrogare e interrogarsi senza requie, di questo dover continuamente vegliare facendo i conti con la propria coscienza, proprio come in Cioran, precedentemente citato da FMJ.
Il senso c'è e tutta l'esistenza continuamente lo proclama, qui sono d'accordo con Donquixote, ma nulla vieta che il senso sia il buio e non la luce della ragione che facilmente abbaglia. Il senso c'è e se c'è non ha senso pensare di doverselo costruire a mezzo di qualsivoglia funzionamento che lo vada a verificare, basta essere pronti ad accoglierlo quando si dà da sé (e certo si dà continuamente ma non ce ne accorgiamo, troppe cose ci distraggono e di troppo poche possiamo tener conto), ma per essere pronti occorre comunque conoscere e forse conoscere proprio ciò che appare più lontano dalla domanda diretta sul senso del proprio esistere, occorre cessare di chiedersi della ragione di se stessi per avere la risposta che si presenta sorprendentemente inaspettata, proprio lì dove mai razionalmente avremmo pensato di poterla trovare e allora potremo capire che nulla è futile e che tutto ha sempre avuto senso, pure quante categorie abbia lo spirito o quante dimensioni abbia il mondo.



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maral is offline  

 



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