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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 17-07-2014, 03.18.04   #11
green&grey pocket
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Riferimento: La scelta di Sisifo

Sì ma la domanda non è se esista un senso qualsiasi, la domanda è proprio quale è il senso del suicidio.

Dire che esistono infiniti sensi, va bene, all'operetta, ma come è possibile bypassarlo nella maniera proposta da tutti?

Vorrei ricordare a tutti che Camus non parla di filosofia astratta, nè di costrutti, ma di vita reale.
Cosa succede ad un corrispondente di guerra? Lo possiamo ridurre a "quale è la costruzione su cui si basa astrattamente il suo pensiero"?
Certo lo potremmo fare, al comodo riparo delle nostre scrivanie, e divani.
Ma su quel riduzionismo che nemmeno sa celare il gioco politico alle sue spalle, e su cui camus ha scritto decine di articoli , bisogna intendere il coraggio, che andava incontro all'intellighenzia francese, facendo della sua vita il perno centrale del lavoro intellettuale, lavoro instancabile di raccordo, tra la vita e la conoscenza.

Non la conoscenza come tecnica Maral, mi deludi assai .
Rifugiarsi dietro al destino dell'occidente è proprio ciò che Camus avrebbe aborrito con più veemenza.

Saranno tutti quei TU.
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Vecchio 17-07-2014, 10.33.45   #12
FMJ
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Riferimento: La scelta di Sisifo

Citazione:
C'è una differenza sostanziale fra un postulato, un assioma, una definizione e un principio, differenza che può anche sfuggire, come del resto è spesso sfuggita ed è rimasta incompresa soprattutto dal cosiddetto illuminismo filosofico in poi.
I postulati e gli assiomi, variamente intesi, hanno il particolare attributo di essere indimostrabili, ma anche quello di non essere autoevidenti; li si prende per buoni per ragionarci sopra, ma non rappresentano in sé alcuna verità. Al contrario i principi sono affermazioni assolutamente autoevidenti, e la loro indimostrabilità risiede nel fatto che il loro contrario non potrebbe esistere poichè sarebbe contraddittorio.
ASSIOMA: In epistemologia, un assioma è una proposizione o un principio che viene assunto come vero perché ritenuto evidente o perché fornisce il punto di partenza di un quadro teorico di riferimento. Un assioma in ambito geometrico viene chiamato postulato. (Wikipedia)
ASSIOMA: assioma Dal lat. tardo axioma, gr. ἀξίωµα der. di ἄξιος «degno di valore». In generale designa una proposizione il cui ruolo conoscitivo è quello di un principio evidente di per sé e mediante il quale possono essere derivate (cioè fondate e giustificate) altre proposizioni. (Dizionario di filosofia - TRECCANI).
E mi fermo qui. Non mi sembra dicano quello che dici tu. In ogni caso, basta capirsi...
Citazione:
Ad esempio affermare che vi sono infiniti infiniti (come si tende a fare in questi tempi) è un assioma che si può prendere per buono se si vuole, ma in termini di verità si scontra con la definizione di infinito. Il principio al contrario afferma che l'infinito è uno e uno solo, e questo è incontestabile dal punto di vista logico.
Chi "affermerebbe" che esistono infiniti infiniti e all'interno di quale "costruzione", secondo quale "linguaggio"? Se ti riferisci al lavoro del grande matematico Cantor (siamo nel dominio della matematica), debbo dire che non solo esistono infiniti infiniti ma esistono infiniti più infiniti di altri. Per esempio, non ci sono dubbi circa il fatto che i numeri reali siano più infiniti dei numeri razionali infiniti. Lo insegnano alle scuole medie.
Citazione:
Come insegnava il vecchio stagirita se si parte da premesse vere e il ragionamento (il "costrutto") sarà corretto si giungerà a conclusioni parimenti vere, ma se al contrario le premesse sono false anche le conclusioni lo saranno altrettanto.
Non tutti i "costrutti" sono uguali dunque, e l'intelligenza di ognuno che sia interessato alla verità sta nel risalire alle premesse su cui si fondano e, se del caso, dimostrare la loro falsità o la loro inconsistenza.
Tu sai cos'è un "costrutto" in ambito costruttivista? Dai una letta alla questione e poi ne parliamo. Sospetto che tu non lo sappia. Non c'è nulla di drammatico in questo, tuttavia, leggiti cos'è un "costrutto" e cosa lo differenzia da un "concetto", altrimenti non possiamo capirci.
Citazione:
Il principio di ragione già citato è vero per la semplice ragione che il solo fatto che un ente ci sia presuppone che la sua esistenza sia dovuta ad una causa, perchè un altro principio incontestabile afferma che ex nihilo nihil fit (che a sua volta è una ovvia deduzione logica della definizione di "nulla").
E chi lo dice? Già il costrutto di "causa", come sai, è discutibile... ma non voglio aprire, qui, questo argomento. Tuttavia, anche ASSUMENDO il tuo punto di vista, direi che la costruzione del "senso della vita" abbia ben poco a che vedere con la eventuale costruzione delle "cause della vita"... si tratta di due questioni diverse... ridurre il "significato" alle "cause" mi sembra surreale... posso osservare un evento e costruirne, su un certo piano fenomenico, le cause, e non riuscire, tuttavia, ad attribuire, a quell'evento, un "significato". Mi sembra di tutta evidenza che il piano fenomenico costruttivo della "causazione" non abbia nulla a che vedere con il piano fenomenico costruttivo del "senso". Allo stesso modo, sono in grado di attribuire un significato, anche profondo, ad eventi per i quali non riconosco alcuna "causa".
Citazione:
Senza fare il tedioso elenco delle varie gerarchie di cause formali, efficienti ecc. chiunque si può rendere conto che se non vi fosse la benchè minima ragione per il darsi di un ente qualsiasi questo semplicemente non sarebbe. Che poi questa ragione sia rintracciabile e condivisibile dalla ragione umana è tutt'altra cosa, che non incide per nulla sull'affermazione precedente.
Ognuno potrà poi affermare che il tal ente non ha senso, ma la sua affermazione sarà riferita necessariamente al suo proprio, individuale, modo di pensare e di giudicare il mondo, al suo proprio "costrutto", ma non potrà mai essere assolutizzata e considerata come "vera" in sé.
Per contro, ritieni che il TUO punto di vista sia "assoluto" e "vero", ovviamente... compresa la riduzione del "senso", alla "causa". Ma l'aspetto che mi interessa discutere con te, è quello di "autoevidenza". Si vuole sostenere che qualcosa è "vero", perché "autoevidente". La trappola mortale di ciò che è "AUTOEVIDENTE"... io rido sempre di queste cose che, a mio parere, non fanno bene alla filosofia e ai filosofi. Il fatto che qualcosa risulti A NOI e al NOSTRO RAGIONAMENTO, autoevidente, non garantisce di certo la sua VERITA'.
Scrive Nozick: "La forza e la profondità delle nostre intuizioni relative ad affermazioni, non possono essere usate come prove potenti a favore della loro necessità quando tali affermazioni siano tali che la selezione avrebbe condotto a intuizioni forti sulla loro autoevidenza anche se vere (solo) in maniera contingente". Ci sarebbero, secondo Nozick, ragioni evolutive che porterebbero una "verità" ad apparire "autoevidente". Giustamente, Nozick, porta l'esempio della geometria euclidea, geometria AUTOEVIDENTE con una forza spaventosa, ma non vera. Come mai, allora, la geometria euclidea sembra imporsi in maniera così AUTOEVIDENTE pur non essendo vera? Risposta: perché, nel nostro piccolo e misero "dominio", FUNZIONA.

I principi della logica classica sono "veri"? Lo sono nel loro dominio e sono autoevidenti esattamente come lo è la geometria euclidea. Sono apparentemente necessari e apparentemente autoevidenti. Non riapro, qui, la questione delle geometrie non euclidee e della logica fuzzy.

Veniamo alla matematica. In matematica, si sono dimostrate cose che, precedentemente, erano ritenute impossibili in maniera assolutamente AUTOEVIDENTE. Un esempio? eccolo: "Può una palla solida essere tagliata in un numero finito di pezzi e tali pezzi essere poi ricombinati (con movimenti rigidi) in maniera da dar forma a due palle solide ognuna della medesima misura di quella originale?" Diamine, certo che no. E' una VERITA' necessaria che questo non possa essere fatto. Santo dio, mi sembra AUTOEVIDENTE. Impossibile. Lo diceva anche Aristotele... chi meglio di lui... e invece, sì, si può fare e il teorema di Banach-Tarski è lì a dimostrarlo. Divertente, vero? Aristotele si rigira nella tomba...

Ora tu potrai dirmi: santo dio, prova a dirmi che 1+1=2 è falsa e non vale. E' AUTOEVIDENTE. Uno più Uno, FA due! E invece, no. Fa due, nel dominio matematico che conosci TU. Ci sono oggetti matematici per i quali 1 + 1 non fa due, così come esistono domini logici nei quali non vale il principio di non contraddizione o il principio del terzo escluso. 1 + 1 viene invalidato nelle rappresentazioni bidimensionali monodiche associate alle forme modulari cuspidali classiche, oppure per i campi ciclotemici irriducibili semimodulari delle varietà di Shimura e per...

L'incapacità di immaginare la falsità di verità logiche e matematiche sembra trovare una ragione nella nostra struttura autopoietica. Si tratta di "costruzioni" di "verità contingenti" che vestono l'abito della NECESSITA'. Di certo, la matematica è EFFICACE. Consente ANTICIPAZIONI piuttosto precise e per questo, FUNZIONA. Funziona come funziona, in un certo dominio, la geometria euclidea e come essa, appare così autoevidente, "vera" e "necessaria". Senza esserlo.

FMJ

Ultima modifica di FMJ : 17-07-2014 alle ore 11.50.35.
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Vecchio 17-07-2014, 11.49.49   #13
FMJ
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Sì ma la domanda non è se esista un senso qualsiasi, la domanda è proprio quale è il senso del suicidio.

Dire che esistono infiniti sensi, va bene, all'operetta, ma come è possibile bypassarlo nella maniera proposta da tutti?

Vorrei ricordare a tutti che Camus non parla di filosofia astratta, nè di costrutti, ma di vita reale.
Cosa succede ad un corrispondente di guerra? Lo possiamo ridurre a "quale è la costruzione su cui si basa astrattamente il suo pensiero"?
Certo lo potremmo fare, al comodo riparo delle nostre scrivanie, e divani.
Ma su quel riduzionismo che nemmeno sa celare il gioco politico alle sue spalle, e su cui camus ha scritto decine di articoli , bisogna intendere il coraggio, che andava incontro all'intellighenzia francese, facendo della sua vita il perno centrale del lavoro intellettuale, lavoro instancabile di raccordo, tra la vita e la conoscenza.

Non la conoscenza come tecnica Maral, mi deludi assai .
Rifugiarsi dietro al destino dell'occidente è proprio ciò che Camus avrebbe aborrito con più veemenza.

Saranno tutti quei TU.

Sei recidivo come il più incallito dei criminali... :-))))
Un "costrutto", non è un "concetto" astratto. Lo vuoi capire o no? Vuoi andarti a leggere la definizione di "costrutto"? Lo vuoi fare? Un "costrutto" è sangue, soffrenza, carne... NON E' UN CONCETTO DELLA MENTE. Dai, non farmi incazzare!

Un "senso del suicidio" NON ESISTE. Non esiste nessun senso a nessun evento se non quello che TU gli attribuisci. C'è chi si spara perché è stato lasciato dalla morosa e chi, per lo stesso motivo, fa festa, mangia, si ubriaca e si porta a letto tutte le donne che conosce. C'è chi si suicida per la patria e chi, di fronte alla sola parola "patria", si mette a ridere.
Il suicidio è una possibilità a disposizione, un'azione, che ACQUISISCE un senso nel momento esatto nel quale TU gliene attribuisci uno, PER TE. Ogni atto è TUO, non MIO o di qualcun altro e il significato di quell'atto è dentro di TE. C'è chi si impicca per solitudine e chi nella solitudine ci sguazza come un pesce. Chi si ammazza per i debiti e chi nei debiti ci vive allegramente tra caviale e donnine allegre. Capisci? E' lì, nei diversi modi di costruire le situazioni, le cose, gli eventi, che si rintraccia il "senso". Lo trovi nella vita, nell'azione che lo "svela". Bisogna PARLARE con le persone per comprendere. Bisogna abbandonare le proprie costruzioni, i propri giudizi, le stronzate della logica, dell'ontologia, della matematica e immergersi nel "mondo dell'altro", nei SUOI significati, nelle SUE costruzioni, nella SUA carne, nel SUO modo d'intendere le cose. Ma per farlo, devi sospendere i tuoi giudizi, i tuoi riferimenti, il TUO sistema di valori e di significati per guardare al mondo, con gli occhi dell'altro. Questa è la "comprensione". Questa è la via. Vedi, già parlare del suicidio come di qualcosa di "importante", di "drammatico", sottolinearlo come qualcosa di "speciale" è già tradire il PROPRIO sistema di valori che vede la vita come qualcosa di "prezioso". Non è così. Dipende. La vita può essere preziosa così come può essere un tormento insopportabile. Abbiamo poi diverse "costruzioni" di "vita" a seconda del contesto: donne, vecchi e bambini che muoiono in tempi di guerra tecnologica, sono "danni collaterali"... in tempo di guerra, la vita vale meno di una caramella e si ammazza senza tanti problemi... anche il valore della vita è contingente, foriero di rapidissimi mutamenti a seconda dei casi... il valore del suicidio non fa eccezione... non fa eccezione la morte... in fin dei conti, lo stesso Gesù è stato un suicida...

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Vecchio 17-07-2014, 12.05.55   #14
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Citazione:
Originalmente inviato da green&grey pocket
Sì ma la domanda non è se esista un senso qualsiasi, la domanda è proprio quale è il senso del suicidio.

Dire che esistono infiniti sensi, va bene, all'operetta, ma come è possibile bypassarlo nella maniera proposta da tutti?

Vorrei ricordare a tutti che Camus non parla di filosofia astratta, nè di costrutti, ma di vita reale.
Cosa succede ad un corrispondente di guerra? Lo possiamo ridurre a "quale è la costruzione su cui si basa astrattamente il suo pensiero"?
Certo lo potremmo fare, al comodo riparo delle nostre scrivanie, e divani.
Ma su quel riduzionismo che nemmeno sa celare il gioco politico alle sue spalle, e su cui camus ha scritto decine di articoli , bisogna intendere il coraggio, che andava incontro all'intellighenzia francese, facendo della sua vita il perno centrale del lavoro intellettuale, lavoro instancabile di raccordo, tra la vita e la conoscenza.

Non la conoscenza come tecnica Maral, mi deludi assai .
Rifugiarsi dietro al destino dell'occidente è proprio ciò che Camus avrebbe aborrito con più veemenza.

Saranno tutti quei TU.
Greens&grey se proprio vogliamo dirla tutta la domanda non è nemmeno se esiste un senso del suicidio, ma se esiste un senso per il mio suicidio, perché dopotutto è proprio questo che all'esistenzialista interessa (ma certamente non solo a lui, dopotutto l'esistenzialista è più sincero), l'esistenzialismo è inconcepibile senza una fenomenologia dell'io sentita in modo assoluto (proprio di questo mio io che vivo o mi illudo di vivere e che anche negandolo continuamente lo riaffermo) e che diventa il centro letterale di tutto l'universo mondo patendo di conseguenza ogni sorta di tormento che gli fa persino dire, non reggendo un peso così immane, tutta questa angoscia, che il senso, dunque la sola felicità sta nel non esistere (ricordi la risposta di Sileno a re Mida? Non è forse questa risposta che ogni esistenzialista vuole sentirsi dare! Io, Mida non esistere e quanto meno morire presto, prima possibile, perché questa fatica è insopportabile, la luce di questo mezzogiorno è abbacinante).
All'esistenzialista dopotutto non occorre altro che la sua tragedia per quanto insulsa sia, anzi, sentendola insulsa essa è ancora più tragica, più beatificante e l'eroe tragico si sente felice del suo continuo suicidarsi figurato, perché il finale va pur sempre rimandato affinché la lacerazione dell'agonia continui a sanguinare sangue vero e non astratto, il mio sangue, il mio angosciato dolore che continuamente tutto il mondo mi rimanda e mi urla negli orecchi. Tutto l'universo allora si riduce a immagine del mio suicidio, come un buco nero che risucchia ogni cosa, poiché suicidio, il mio suicidio, è proprio ciò che solo ha senso per se stesso, è perfetto finché non accade e se accade è solo per stanchezza, perché sono spossato dalla mia perfetta tragedia, tragedia dell'universo intero in me medesimo riflessa.
Vogliamo uscire da questo buco nero? Vogliamo provarci? Siamo in grado di farlo? e allora chiediamoci quante siano le categorie dello spirito e quante dimensioni abbia l'universo, se la terra ruota attorno al sole o se il sole ruota attorno alla terra, chiediamoci quante dannate dimensioni occorrano per una teoria delle stringhe coerente, ma del tutto indipendentemente dal fatto che sia più o meno utilizzabile, chiediamoci pure quale sia il sesso degli angeli o se sono ammesse specie di unicorni con le ali, oltre a quelle senza. Possiamo giocare un po' anche al gioco delle perle di vetro anziché sempre e solo a quello del buco nero?
Che poi non è detto che nel primo non si trovino risposte per l'altro, risposte decisive, proprio come quello, già citato, che cercando l'ago in un pagliaio ci trova la figlia del contadino e non la butta via perché quella che ha trovato non è l'ago che cercava.
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Vecchio 17-07-2014, 12.34.44   #15
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** scritto da FMJ:

Citazione:
Tuttavia, anche ASSUMENDO il tuo punto di vista, direi che la costruzione del "senso della vita" abbia ben poco a che vedere con la eventuale costruzione delle "cause della vita"... si tratta di due questioni diverse... ridurre il "significato" alle "cause" mi sembra surreale... posso osservare un evento e costruirne, su un certo piano fenomenico, le cause, e non riuscire, tuttavia, ad attribuire, a quell'evento, un "significato". Mi sembra di tutta evidenza che il piano fenomenico costruttivo della "causazione" non abbia nulla a che vedere con il piano fenomenico costruttivo del "senso". Allo stesso modo, sono in grado di attribuire un significato, anche profondo, ad eventi per i quali non riconosco alcuna "causa".


Abbi pazienza FMJ, ma per "cause della vita" si intende da dove, come e perché, ha avuto origine la vita, l'essere, il pensiero, l'umano, sul pianeta terra?

Perché se per caso così dovesse essere, nessun senso della vita, anche se costruito personalmente, potrebbe esserne scisso, altro che trattasi di due questioni diverse (te piacesse, eh!!).
Nessuno puo' costruire un fine senza darsi un principio (ovviando la megalomania o l'utopia), anche se quell'inizio fosse costruito solo inconsciamente.
Anche se a quel principio ci si puo' credere (obbligatoriamente) solo per Fede.
Quindi tutti i significati che tu vorresti e saresti in grado di attribuire agli eventi in cui non riconosci alcuna causa, sarebbero validi solo grazie alla tua fiducia nel mistero della loro causa, fede profonda, surreale anche per qualcuno, ma niente di certo.



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Vecchio 17-07-2014, 15.23.05   #16
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Bisogna PARLARE con le persone per comprendere. Bisogna abbandonare le proprie costruzioni, i propri giudizi, le stronzate della logica, dell'ontologia, della matematica e immergersi nel "mondo dell'altro", nei SUOI significati, nelle SUE costruzioni, nella SUA carne, nel SUO modo d'intendere le cose. Ma per farlo, devi sospendere i tuoi giudizi, i tuoi riferimenti, il TUO sistema di valori e di significati per guardare al mondo, con gli occhi dell'altro.

Parlare come? Con il linguaggio che è una TUA costruzione? E come v'intendereste? Come immergersi nel "mondo dell'altro" se non si ha una piattaforma in comune? Come capire i SUOI significati se non li si paragona ai TUOI? Per intendersi c'è bisogno di una base in comune con la quale e nella quale confrontarsi. Esci dalle tue costruzioni fmj, il mondo le comprende ma non cambia per esse.
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Vecchio 17-07-2014, 15.51.23   #17
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Parlare come? Con il linguaggio che è una TUA costruzione? E come v'intendereste? Come immergersi nel "mondo dell'altro" se non si ha una piattaforma in comune? Come capire i SUOI significati se non li si paragona ai TUOI? Per intendersi c'è bisogno di una base in comune con la quale e nella quale confrontarsi. Esci dalle tue costruzioni fmj, il mondo le comprende ma non cambia per esse.
Con il linguaggio ch'è COSTRUZIONE SOCIALE. Il linguaggio che convenzionalmente assegna delle ETICHETTE ai nostri costrutti. Comprendere l'altro NEI SUOI TERMINI, significa COMPRENDERE quello che per LUI c'è dietro le etichette formalmente e socialmente assegnate. Per esempio, prendiamo l'ETICHETTA "Brava persona"... come mostrano migliaia di ricerche sul tema, se chiedessi a 10 persone di esplicitare il loro costrutto di "BRAVA PERSONA", otterrei 10 contenuti diversi che potrebbero avere anche degli aspetti comuni (piano sociale) ma certamente, aspetti soggettivi predominanti (piano personale). Comprendere l'altro è "sospendere" i nostri costrutti e assumere i suoi. Per esempio, entro nel tuo mondo e capisco perché TU non puoi farti vedere da qualcuno mentre piangi... mentre io, lo posso fare: nel tuo costrutto di "Uomo" c'è l'idea che "un Uomo non può mostrarsi debole", cosa che nel mio costrutto di "Uomo" non c'è. Quindi, io non mi "anticipo" che gli altri, vedendomi piangere, mi valutino meno "Uomo", e posso permettermi di piangere. TU, no. Ma se ti guardo dal MIO punto di vista, non capirò mai perché tu non pianga. Lo capisco, solo se guardo il mondo con i TUOI OCCHI, ovvero con il costrutto che "Un Uomo non si mostra debole piangendo in pubblico". Solo così ottengo COMPRENSIONE.

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Ultima modifica di FMJ : 18-07-2014 alle ore 12.59.37.
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Vecchio 17-07-2014, 15.51.49   #18
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Originalmente inviato da FMJ

Un "senso del suicidio" NON ESISTE. Non esiste nessun senso a nessun evento se non quello che TU gli attribuisci. C'è chi si spara perché è stato lasciato dalla morosa e chi, per lo stesso motivo, fa festa, mangia, si ubriaca e si porta a letto tutte le donne che conosce. C'è chi si suicida per la patria e chi, di fronte alla sola parola "patria", si mette a ridere.
Il suicidio è una possibilità a disposizione, un'azione, che ACQUISISCE un senso nel momento esatto nel quale TU gliene attribuisci uno, PER TE. Ogni atto è TUO, non MIO o di qualcun altro e il significato di quell'atto è dentro di TE. C'è chi si impicca per solitudine e chi nella solitudine ci sguazza come un pesce. Chi si ammazza per i debiti e chi nei debiti ci vive allegramente tra caviale e donnine allegre. Capisci? E' lì, nei diversi modi di costruire le situazioni, le cose, gli eventi, che si rintraccia il "senso". Lo trovi nella vita, nell'azione che lo "svela". Bisogna PARLARE con le persone per comprendere. Bisogna abbandonare le proprie costruzioni, i propri giudizi, le stronzate della logica, dell'ontologia, della matematica e
immergersi nel "mondo dell'altro", nei SUOI significati, nelle SUE costruzioni, nella SUA carne, nel SUO modo d'intendere le cose. Ma per farlo, devi sospendere i tuoi giudizi, i tuoi riferimenti, il TUO sistema di valori e di significati per guardare al mondo, con gli occhi dell'altro. Questa è la "comprensione". Questa è la via. Vedi, già parlare del suicidio come di qualcosa di "importante", di "drammatico", sottolinearlo come qualcosa di "speciale" è già tradire il PROPRIO sistema di valori che vede la vita come qualcosa di "prezioso". Non è così. Dipende. La vita può essere preziosa così come può essere un tormento insopportabile. Abbiamo poi diverse "costruzioni" di "vita" a seconda del contesto: donne, vecchi e bambini che muoiono in tempi di guerra tecnologica, sono "danni collaterali"... in tempo di guerra, la vita vale meno di una caramella e si ammazza senza tanti problemi... anche il valore della vita è contingente, foriero di rapidissimi mutamenti a seconda dei casi... il valore del suicidio non fa eccezione... non fa eccezione la morte... in fin dei conti, lo stesso Gesù è stato un suicida...

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pofferbacco,....finalmente uno che tenta di capire la vita, che quanto meno ci prova, ci fatica....che ha capito gli orpelli e i fumogenì.... non so se ti ha aiutato solo il costruttivismo...da lì dove sei arrivato si parte... ed è già dura essere arrivati dove sei... ma penso che ciò che hai capito , le tue costruzioni le validificherai cercando negli altri qualcosa di te e viceversa....quello è il modello di validifcazione, capire le dinamiche delle armonie e delle melodie che ognuno suona con il suo strumento particolare di ciò che è umano, della dimensione chiamata umanità.

Ma c'è un linguaggio universale che unisce le particolarità...quello stesso che ti aiuta a capire gli altri e quello per cui gli altri capiscono te.

Lascia decantare e riposare quello che scrivi....chi ha occhi e vuole vedere ...rifletterà
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Vecchio 17-07-2014, 16.06.18   #19
FMJ
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[quote=Duc in altum!]** scritto da FMJ:

Citazione:
Abbi pazienza FMJ, ma per "cause della vita" si intende da dove, come e perché, ha avuto origine la vita, l'essere, il pensiero, l'umano, sul pianeta terra?

Perché se per caso così dovesse essere, nessun senso della vita, anche se costruito personalmente, potrebbe esserne scisso, altro che trattasi di due questioni diverse (te piacesse, eh!!).
Nessuno puo' costruire un fine senza darsi un principio (ovviando la megalomania o l'utopia), anche se quell'inizio fosse costruito solo inconsciamente.
Anche se a quel principio ci si puo' credere (obbligatoriamente) solo per Fede.
Quindi tutti i significati che tu vorresti e saresti in grado di attribuire agli eventi in cui non riconosci alcuna causa, sarebbero validi solo grazie alla tua fiducia nel mistero della loro causa, fede profonda, surreale anche per qualcuno, ma niente di certo.

Scusa, ma secondo te, per dare un senso a qualcosa, se ne deve NECESSARIAMENTE costruire la presunta CAUSA? E costruendone le presunte CAUSE, se ne conferisce AUTOMATICAMENTE un SENSO?
Legittimo, eh! Sono le TUE COSTRUZIONI. Mica le MIE.
Le mie sono diverse.

FMJ
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Vecchio 17-07-2014, 16.54.17   #20
Duc in altum!
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** scritto da FMJ:

Citazione:
Un "senso del suicidio" NON ESISTE. Non esiste nessun senso a nessun evento se non quello che TU gli attribuisci. C'è chi si spara perché è stato lasciato dalla morosa e chi, per lo stesso motivo, fa festa, mangia, si ubriaca e si porta a letto tutte le donne che conosce. C'è chi si suicida per la patria e chi, di fronte alla sola parola "patria", si mette a ridere.
Il suicidio è una possibilità a disposizione, un'azione, che ACQUISISCE un senso nel momento esatto nel quale TU gliene attribuisci uno, PER TE. Ogni atto è TUO, non MIO o di qualcun altro e il significato di quell'atto è dentro di TE. C'è chi si impicca per solitudine e chi nella solitudine ci sguazza come un pesce. Chi si ammazza per i debiti e chi nei debiti ci vive allegramente tra caviale e donnine allegre. Capisci?


No, non capisco, sarà forse anche e soprattutto per il mio deficiente CV accademico, scolastico, ma, secondo il mio modesto e personale parere, le tue sovraelencate circostanze sono nient'altro che motivazioni al suicidio, e non il senso del suicidio; quello è oggettivo: noi amiamo la vita e non vogliamo trascorrerla in una condizione sgradevole, desideriamo, per liberarci da questo peso, allontanarci da essa.

Nel gesto suicida è rappresentata la massima manifestazione della volontà umana: decidere di comprendere autenticamente sé stessi (e quindi risolvere d'una volte per tutte il Perché dei perché), anticipando i tempi casuali o già prestabiliti della propria inevitabile morte terrestre.
Quindi ha lo stesso beneficio risolutivo per chiunque e non quello che uno desidera appioppargli.

E' proprio a causa di questa volontà risolutrice, come soluzione definitiva alla buona battaglia che ogni individuo affronta, che il suicida viene raffigurato da Dante, nel suo Inferno, senza corpo.
Un umano non piu' considerato umano, né in vita né da morto.

Certo si potrebbe discutere di suicidio a suicidio, ma non è mia intenzione e volere, e aggiungo, solo per chi fosse interessato, Giuda Iscariota (modello suicida) non è condannato dalla Chiesa (come si pensa) alla dannazione eterna perché disprezza il dono della vita donatogli dall'eventuale Onnipotente o perché ha tradito Gesù, ma perché trasgredisce, senza piu possibilità di confessione e riconciliazione, a due dei sei peccati contro lo Spirito Santo (quando già uno è micidiale per la salveza dell'Anima): La disperazione della salvezza; L'impenitenza finale.

Il primo è l'erronea convinzione che la misericordia di Dio non potrà salvarci perchè abbiamo commesso peccati troppo gravi, quindi a non chiedere il perdono, mentre l'impenitenza finale consiste nel non pentirsi in punto di morte dei peccati commessi.




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