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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
07-04-2014, 07.00.41 | #12 |
Ospite
Data registrazione: 20-08-2013
Messaggi: 67
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Riferimento: Veli di Maya.
Da un punto di vista epistemologico invece ciò che ci è da "velo" sono i nostri 5 sensi tramite il quale percepiamo la realtà, 5 filtri tramite il quale conosciamo e pensiamo. Una piovra coi suoi sensi/filtri o veli pecepirà un'altra realtà, vera quanto quella che percepiamo noi, così come una formica od un pipistrello. E siccome la realtà per essere concepita ha bisogno pur sempre d'una percezione data da un senso, sarà sempre una percezione limitata e mai totale.
Ma una curiosità, secondo voi, un uomo nato senza alcuno dei 5 sensi che immaginasse qualcosa, essa sarebbe la verità? Ciao Davide Ultima modifica di Mymind : 07-04-2014 alle ore 09.08.52. |
07-04-2014, 09.29.52 | #13 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 26-01-2008
Messaggi: 175
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Riferimento: Veli di Maya.
Citazione:
La realtà è vera, nel suo proprio ambito, e la gradazione di queste verità è data dalla loro prossimità al principio dal quale sono state generate e di cui sono una conseguenza. Una falsità è vera in quanto è una "vera" falsità. Le intelligenze non sono costituite dalle percezioni sensoriali; i sensi sono dei mezzi di comunicazione e di contatto con la realtà, ma non sono certo gli unici strumenti a nostra disposizione. Il velo non è frutto delle imprecisioni sensoriali, ma del modo in cui sono interpretate queste percezioni. È l'intelligenza del cuore che è protetta dal velo. Il cuore inteso come simbolo di una centralità che racchiude intelligenza, sentimento e volontà. In una persona non vedente e sordomuta l'intelligenza procede attraverso immagini, non potendo disporre della consequenzialità discorsiva associata al pensiero così come chi usa il linguaggio conosce. Spesso i sordomuti sono considerati incapaci di formulare pensieri, in conseguenza del loro non saper intendere il linguaggio parlato. Io sono stato per molti anni assistente di persone con serie limitazioni sensoriali, e quando i miei bimbi imparavano a parlare, tra le prime cose che mi dicevano c'era la loro incomprensione per quanto fossero stupidi gli adulti che pensavano questo di loro. L'unico modo nel quale il velo dell'illusione, data dal capovolgimento che ha prodotto la realtà relativa, può essere scostato, è attraverso il risveglio spirituale dato dall'iniziazione. È altresì ovvio che chi non è stato risvegliato neghi l'intelligenza universale, come pure l'Intuizione immediata e diretta col centro di sé, e consideri la rigorosa e stringente logica di principio, da me utilizzata per esporre metafisica in questo sito, una assurda fantasia. La cosa naturalmente non mi offende, perché conosco le ragioni di questo ignorare, e non offende nemmeno la Verità, perché è proprio la Verità a volere proteggere chi non è ancora in grado di aprirsi alla possibilità di farsi trovare, con la mente sgombra, da pregiudizi di ordine culturale ed emotivo. Ultima modifica di oroboros : 07-04-2014 alle ore 16.35.24. |
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07-04-2014, 22.16.50 | #14 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 06-04-2014
Messaggi: 193
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Riferimento: Veli di Maya.
Citazione:
Si, sono d'accordo, la realtà per essere percepita ha bisogno di un filtro sensibile; ma ancora non è conoscenza, ancora non conosciamo la realtà, perché è ancora una conoscenza passiva. Per conoscere la realtà, o come piace dire a me una realtà, la nostra percezione deve essere svelata dalla nostra ragione, che crea l'unica realtà per noi esistente, quella pensata. Ciao Mymind |
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09-04-2014, 18.03.32 | #15 | |
Nuovo ospite
Data registrazione: 08-04-2014
Messaggi: 59
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Riferimento: Veli di Maya.
Citazione:
Il tema è interessante: il problema grosso è che si tratta di una visione metaforica mututata dall'oriente indiano. Tale visione è sostanzialmente alla base di tutta la riflessione indiana sulla realtà, tanto è vero che alla realta come "illusione" e "samsara" sono poi abbinati concetti di liberazione, illuminazione, (ri)sveglio (che non è detto che si equivalgano: dipendono il loro significato dai contesti in cui sono inseriti) tutte parole che spesso non traducono affatto correttamente i termini originali sanscriti: il problema è che non ne abbiamo altre, e purtroppo queste parole richiamano concetti che non sono propri della cultura originale (ad esempio la parola risveglio implica uno svegliarsi di nuovo dopo essere stati addormentati ... ma per tradurre il corrispettivo sanscritto in alcuni contesti dovremmo parlare semplicemente di "svegliezza", nel senso di presenza mentale = sono concentrato su ciò che sto facendo e non sto pensando ad altro: e concentrato qui significa immerso ma non rapito, concentrato senza sforzo, concentrato e senza preoccupazione o preoccupazione di esserlo, concentrato senza ansia di conseguimento, ed un sacco di altre cose). Però vi è una grossa differenza fra oriente ed occidente e cioè che l'oriente (lo afferma Giuseppe Tucci) non ha mai schizofrenicamente frazionato l'uomo in parti, e quindi non ha mai separato l'intelletto -e dunque le facoltà logico razionali- dalla sfera emotiva, nè queste due dal corpo. Si pensa anche con i sentimenti, e si sente con il corpo quindi si pensa con il corpo e questo è corretto: quando ci si separa da esso e dalle giuste emozioni il pensiero può diventare un serpente che si morde la coda e soprattutto distruttivo negli esiti. Perciò nella cultura indiana questa tematica/visione viene immediatamente e primariamente ricondotta ad una dimensione esperienziale diretta, che è quella della pratica meditativa, dove il pensiero discorsivo concettuale viene ricondotto ad uno stato di quiete e le idee, opinioni e costrutti mentali raziocinanti - che sono uno dei tanti veli che possono distorcere la percezione della realtà delle cose così come sono - lasciano spazio all'esperienza diretta di questa modifica percettiva che costantemente operiamo sul reale: ciò che abbiamo innanzi agli occhi durante una sessione di meditazione cambierà aspetto molto volte ed è possibile vedere con chiarezza anche che cosa modifica la percezione della realtà. Dirlo, non è la stessa cosa che sperimentarlo direttamente e sperimentarlo nella pratica meditativa non è la stessa cosa che sperimentarlo al di fuori di essa. In ogni caso per proseguire mi riferirò al buddhadharma principalmente, perché elabora forme espressive compresibili a chiunque dell'antecedente pensiero indiano: ciò che distorce sono i klesha, ovvero le oscurazioni mentali prima di tutto e fra queste quella che si si cita più frequentemente è l'ignoranza. Ma occorre focalizzare di "ignoranza di cosa" si tratti. Poi le principali categorie di klesha sono 6, odio/ira/avversione e tutte le sfumature di grado inferiore ad esse collegate, avidità e tutte le sfumature di grado inferiore, ignoranza (da specificare di che cosa), pigrizia e sottocategorie o derivati, invidia e gelosia e sottocategorie o derivati, orgoglio, presunzione e superbia e sottocategorie o derivati. Non è un caso che siano citate in questo ordine. Normalmente il pensiero orientale non esprime che essa sia stata distorta da "qualcuno" (o almeno non lo ho mai sentito) se non nelle metafore, nelle favole, per intederci, nella narrativa popolare, anche se anche a livello di darshana (visioni) qualcosa del genere pure esiste (il darshana non è un corrispettivo del nostro "filosofia" nè del nostro "religione", perché anche in questo caso l'oriente non ha mai schizofrenicamente separato le cose: una filosofia deve potersi vivere, non può essere solo una opinione, qualcosa che si pensa, si crede o si ritiene per quanto internamente logico possa apparire; inoltre ogni nuova visione non ha sentito il bisogno di "opporsi" dicotomicamente alla precedente entrandovi in conflitto, così come invece in occidente si è creato un conflitto fra religione e filosofia prima e poi fra religione e scienza e poi anche fra scienza e filosofia. No, in oriente queste cose sono rimaste piuttosto unite e quindi compatibili e sempre legate a delle prassi). Non c'è religione senza scienze del linguaggio (etimologia, grammatica, metrica, e fonologia), non c'è spiritualità senza logica/epistemologia/fenomenologia, etc., al di fuori di ciò esiste la via della Bhakti (devozione, che dunque può prescindere da queste cose ma non sostituirle). Fra le questioni più dibattute vi è ovviamente quella della "coscienza della parte" e della "coscienza del tutto" (quando e laddove la seconda viene postulata) -che mi diverte perché mi fa sempre venire in mente "il fiore della camomilla - e del rapporto fra esse: potremo mai vedere la nostra coscienza fondersi con una "coscienza del tutto"? Il dibattito è stato lungo e non a caso i darshana indiani sono tanti e ciascuno prende posizione in sfumature diverse. Quello che è interessante è che Shopenauer sembra aver mutuato da una particolare visione e non da altre, cioè da una di quelle un po' più estremistiche: la "realtà è un sogno" e quindi è tutta unicamente nel sognatore, dunque non esiste una realtà esterna oggettiva. Questa deriva estremistica è possibile laddove si perde proprio il contatto con la realtà, ci si perde nel pensiero, e ci si dimentica non solo della sfera emozionale, se ne perde consapevolezza, ma anche del corpo. Un buon maestro zen lo avrebbe immediatamente risvegliato con il fatidico pugno sul naso zen Però esiste questa visione, questo darshana esiste e di solito funziona un po' così: tutto quella che ci appare realtà è sogno, la vera realtà è l'assoluto, e quindi si abbina a visioni trascendentalistiche. Mentre ne esistono di diametralmente opposte, ovvero immanentistiche. Personalmente tifo per la visione madyamika prasangika (che sceglie la via di mezzo appunto fra gli estremismi delle altre, allo stesso tempo rappresentando gran parte di ciascuna e conciliandole anche sul tema dualismo/non-dualismo senza spingersi troppo in là in termini di certezze questioni ultime, seppure indagate). A proposito del "è stata distorta": una delle visioni possibi che giustificherebbe questo dire è che nel momento in cui un "tutto assoluto" si fraziona per dar luogo al molteplice è chiaro che la parte difficilmente conserverà la stessa coscienza del tutto, ed in questi senz'altro esiste già un primo velamento imprescindibile poichè necessario per dar luogo al reale fenomenico molteplice e quindi alla vita. Però occorre fare attenzione ad un fatto: lo stesso mito/metafora, può veicolare darshana diversi che lo estrinsecano/dipanano in modi diversi. Il racconto, la favole è, per così dire, nè esaustivo nè rappresentativo, ma, piuttosto lo spot pubblicitario: serve solo a far sapere che c'è qualcosa ... e naturalmente per questo nessuno si scandalizza se troviamo poi molti svolgimenti del medesimo racconto mitologico o metaforico. E' come se la realta si rendesse penetrabile da chi non la violenta in alcun modo. Mi è piaciuta molto questa frase perché in effetti c'è anche questo nel pensiero indiano. |
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14-04-2014, 08.05.17 | #16 |
Ospite abituale
Data registrazione: 12-01-2013
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Riferimento: Veli di Maya.
scusate la lunghezza è da bambino che studio l'induismo.
Schopenauer lesse la mandukya upanishad redatta da sri sankara, da cui prese la visione della filosofia come dualismo. Nella visione di Sankara da cui si originò la scuola di maggior diffusione in India oggi: il Vedanta. Il Vedanta è ciò che noi erroneamente identifichiamo con induismo, mescolandolo con un altro grande del pensiero filosofico indiano, Patanjali. Nello yoga di patanjali si parla dell'io che confluisce nel tutto, in realtà il santo parla di una tecnica meditativa che corrisponde ad un mero controllo dei guna tramite tecniche respiratorie.Coincide essenzialmente nel pensiero Democriteo di Abdera, simili influssi li troviamo in Eraclito ovviamente, dove al posto di guna leggi atomi. Nella tradizione vedanta invece e da qui i malintesi e gli errori, l'autocoscienza viene raggiunta tramite il rinnegamento del conoscimento dualistico delle cose. Viene infatti chiamata anche filosofia-non duale. E' una filosofia metafisica. La maya è un termine che in occidente è arrivato tramite il suo esatto significato: magia. E' esattamente la magia che impedisce a ulisse di tornare a casa, esattamente come maya impedisce all'uomo di avanzare nei mondi iperurarani. Questa magia non è il mondo, ma è fatta da qualcuno, vedasi tutta l'epica indiana contenuta nel Mahabarata. Shankara nel tentativo di unire la tradizione epica a quella prescrittiva e mitologica dei veda e delle upanihad rispettivamente, contribuì a individuare una cosmologia di grande acume filosofico, Shopenauer capì la parte teoretica, ma non quella in cui quella teoria si iscriveva, lesse tra l'altro da una traduzione tedesca che riprendeva la non già alla lettera versione tradotta in inglese. Quindi lo perdoninamo. La parte teorica consiste nell' individuare nel microcosmo umano, l'aporia che la realtà è sempre e solo duale, questa aporia del mondo che non è mai uno porta il meditante a capire che è necessario un atto di negazione del mondo, in quanto negazione del processo mentale di dualismo che è il mondo. Il processo mentale di dualismo che è il mondo non è però il mondo...ma fa parte del mondo come fenomeno del mondo che si presenta che come duale. In questo l'uomo non è che travisa, anzi vede molto bene, che il mondo è un travisamento. Ricordiamoci che Schopenauer recupera il mondo trascendetale e le categorie kantiane, ma proprio tramite il pensiero duale sankariano, sostituisce all'oggetto il fenomeno e al noumeno il macrocosmo. Ma siccome il noumeno non è raggiungibile Schopenauer crea una filosofia dell'agapè ossia della sopportazione del mondo come travisamento. Il travisamento come insegna la filosofia indiana, è dovuto alla mancata coincidenza tra desiderio o passioni terrene e esistenza dell'oggetto come passione e desiderio. Questo è il velo: ossia non il mondo come rappresentazione travisante, in quanto dualismo io-oggetto, ma in quanto travisamento dell'io che si pensa un io, desideroso di qualcosa che non c'è. il mondo va rappresentato secondo schopenauer consapevoli che anche il desiderio è parte di un rapporto io-oggetto, con l'oggetto nel caso del desiderio che non c'è. Ma se non c'è oggetto, il desiderio si tramuta in dolore, il dolore è la costante disillusione che la realtà è altro da noi, esattamento il contrario che il pensiero sottospinto dal desiderio (la volontà) ritiene doverci esserci. Il doverci essere che corrisponde in ultima istante a Dio, la volontà che esista un Dio è esattamente il motivo per cui il cristianesimo è da buttar via. Dunque, seppur sottile (ma la gradezza di un pensatore si vede da questo), la differenza tra magia come mondo e magia come rappresentazione desiderante dell'io come autocoscienza, si fa enorme. Il bisticcio nasce quando si intende l'autocoscienza come mondo alà patanjali. In realtà patanjali si riconosce nel mondo indiano come "mondo delle cosmogonie.", egli ritiene che si arrivi più velocemente nel macro-cosmo tramite la manipolazione delle guna, ossia tramite il dominio della shakti l'energia cosmica che trapassa i mondi chiamta anche come energia della terra madre dalla cosmogonica gnostica (che la mutua da questo pensiero indiano, quello vedico). Abbiamo visto come Schopenauer individuò la grandezza della teoretica del microcosmo Sankariana (sfido chiunque a dedurla leggendo solo i Veda e le Upanishad...incomprensibili). Ma siamo sicuri che capì la teoretica del macrocosmo? Evidentemente no, per sankara come per patanjali, l'autocoscienza va letta solo come primo gradino che porta l'uomo al samadhi, ossia alla beatitudine- Per patanjali l'autocoscienza non è un problema, è per questo che molti commentatori occidentali hanno associalto il suo yoga reale come una sorta di identificazione nel mondo. Ma patanjali non ne può parlare appartenendo ad una tradizione diversa.(dove anche la bakti, ossia le forme devozionali, tipo la purificazione nel gange, sono considerate forme di autocoscienza). Chiaramente queste teorie sono state oggetto di studi e ben presto accantonate, perchè non rispondevano alle esigenze dell'occidente. Il Vedanta invece è oggetto sempre più esteso delle attenzioni degli studiosi perchè è innegabile che il dualismo effettuato da maya che costringe all'errore l'io ricorda tanto lo spirito malignio cartesiano per non parlare di tutti i problemi di logica veritativa formale. La posizione del mondo come dualismo, ricorda tantissimo la fenomenologia, che potrebbe essere benissimo un suo strumento. Ma andando oltre schopenauer è anche interessante perchè offre una metafisica del duale all'interno del duale, che è ricca di considerazioni e un potente strumento di soluzioni al passo con i tempi. La cosa che non tornerà mai è che quello che loro chiamano microcosmo è per noi già macrocosmo...questo ci divide in maniera preoccupante, perchè in fin dei conti anche il loro macrocosmo è una forma di teodicea. In questo senso purtroppo il rapporto teodicea-politica è assai lontanto dagli esiti prefigurati da un Pannikar o dal nostro Raphael recentemente scomparso. Rimane il fatto che il non-dualismo rimane la via più potente per via della sua forza teoretica. Spero perciò di essermi fatto capire: è importante capire che maya non è illusione del mondo, ma illusione dell'io E rimando ancora a rileggervi il mito di Circe e Ulisse, per ritrovarvi tutta i riferimenti paralleli con il nostro occidente. Magia, Viaggio, Casa, Compagno, Desiderio e Sua Rinuncia. |
15-04-2014, 19.57.54 | #17 | ||||||
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Riferimento: Veli di Maya.
Citazione:
I veli sono la manifestazione stessa, sarebbe come chiedersi quale tra i nostri sensi è quello autentico.. o quale colore fra quelli che vediamo è quello autentico.. La cosiddetta realtà non è che il risultato di una determinata dimensione di quel medesimo reale.. tutte sono vere e tutte fondamentalmente fittizie.. per questo sono reali.. Se non in qualche modo apparissero non potremmo considerarle reali eppure proprio perché appaiono le consideriamo non il fondamento.. La difficoltà a mio avviso sta nel significato che poniamo a reale come se solo ciò che resta nei tempi sia tale.. ma ciò che “resta” nei tempi è paradossalmente solo un aspetto di quel tempo ovvero la risposta speculare a ciò che intendiamo come tempo, pertanto non a fondamento poiché mutante.. eppure è proprio nell’apparente mutante che sta il gioco immutabile o come dicono alcuni il senza-forma.. Non credo che sia semplice né spiegare né chiarirsi nella mente su questo punto.. Per comprendere è necessaria quella intuizione che illustra ed entra di soppiatto nel cuore del gioco sensoriale.. Ed è persino scontato che queste immagini delle manifestazioni dei possibili reali -di un reale nel reale sino.. all’infinito- anche questo sia inderogabilmente misura di quell’intelletto e di quei sensi nei e dei quali stiamo ora facendo esperienza di coscienza o concettuale e che vi sia fondamento di differente intelletto e senso che sappia svelarli tutti.. Ma come immaginare un non colore senza partire da una sorta di concetto di mancanza? Questa è la difficoltà di ciò che appare, che appare come presenza ed ogni altra possibilità viene inderogabilmente fraintesa come mancante di qualcosa.. Non so se qualche lume utile da queste parole riesce a saltare fuori.. Non mi riesce di trovare parole migliori per tentare di illustrare il concetto senza stravolgerne l’intuizione.. Citazione:
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ci si riduce reciprocamente a brandelli.. La verità è quella bestemmia che diamo quando vediamo qualcosa di graaande e sentiamo il desiderio di mostrarlo anche agli altri.. al di là di bestemmie e grandi verità c’è quell’intuizione che nel suo sussurro conquista il cuore come la luce dell’alba sulla notte.. mostra e lascia spazio all’ombra che ne testimonia la presenza.. quello speculare, dell’ombra, attesta il lato oscuro di una entità che altro non è che personificazione dell’immaginario concettuale che recita che.. ad una affermazione né esista specularmente una compagna capace di renderla del tutto nulla. Il vero è in quanto ciò che è falso si dice non sia.. Citazione:
Forse allora ancora una volta non restano che queste parole di Blake le più indicate.. "Se le porte della percezione fossero sgombrate ogni cosa apparirebbe com'è, infinita. " Ultima modifica di gyta : 16-04-2014 alle ore 06.55.18. |
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