ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS |
04-02-2014, 22.32.01 | #23 |
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
Messaggi: 1,314
|
Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?
Mi viene da pensare, rileggendo i vostri bellissimi interventi, che, dal punto di vista della consapevolezza che l'io ha di sé in rapporto all'altro, la morte rappresenta l'incontro con la dimensione del definitivamente altro. In questo senso la morte si avvicina certo all'amore e può essere vissuta, come dice Galvan nel presentare il suo ricordo, con disperata e tenace resistenza o con desiderio, il desiderio che emerge da una vita vissuta pienamente (nel proprio interiore sentimento di pienezza) e che ora, per questo, è pronta a trascendersi nell'altro che già ha conosciuto nella sua ineffabile presenza esteriore.
E' stato detto che ciò che terrorizza nel morire è l'incognita, l'altro è questa incognita che richiede tutto il coraggio che può consentire solo l'interiorità piena di una vita che si sente vissuta e quindi non più bisognosa. L'altro nel suo volto riflette ora il nostro volto, la sua trascendente lontananza sta diventando prossimità e da questa prossimità emerge il sentimento di un infinito che si carica in punto di morte di tutta la potenza di un'infinita gioia o di un infinito orrore. Forse è il senso della propria intima esorbitante pienezza che consente nell'ultimo istante di accogliere l'avvicinarsi dell'altro che può essere intesa una vita vissuta che rende accettabile e pure desiderabile il rischio di morire. La morte infine coinvolge direttamente e profondamente la dimensione corporea, ciò che appare al sopravvissuto è un corpo vivente diventato cadavere ed è questo cadavere che viene assorbito nella fenomenologia dell'essere. Gyta distingue giustamente tra coscienza di essere in cui si realizzano i rapporti e il possesso ove si attuano gli scambi. Vi chiedo allora in quale ambito va collocato il nostro corpo: esprime esso la coscienza del nostro essere specifico (io sono questo corpo) o un nostro possesso sia pure molto intimo (io ho questo corpo in cui vivo)? Il mio corpo vivente è l'identità stessa o qualcosa che ad essa appartiene e in cui l'io può ritrovarsi con i suoi possessi? |
05-02-2014, 00.27.42 | #24 | |
______
Data registrazione: 02-02-2003
Messaggi: 2,614
|
Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?
Citazione:
Nel medesimo ambito di ogni altro concetto, quello della mente concettuale. Può sembrare, la mia risposta, un atteggiamento per eludere la tua domanda ma non è così. La cosiddetta realtà altro non è che una visione concettuale dell’esperienza. Il nostro corpo non è che la risultanza di questa dimensione sensoriale dimensione sensoriale attraverso cui la coscienza si esprime. * Per tanto non è identità né possesso ma semplice modalità. Probabilmente questa risposta non soddisfa di molto la mente concettuale che procede secondo relazione e dialettica degli opposti. Ma un migliore linguaggio per ora non mi viene.. Non facile maneggiare questo livello di discussione.. seppure sia centrale all’emersione della consapevolezza di sé.. Questa è una delle domande prova del nove del livello autentico di consapevolezza.. Il mio massimo per ora è la risposta razionale relativa alla mia di consapevolezza mentale.. * dimensione sensoriale attraverso cui la coscienza si esprime: dimensione sensoriale attraverso cui la realtà si esprime// dimensione sensoriale attraverso cui la potenzialità si esprime// Cosa sia la potenzialità diventa la medesima domanda del cosa sia "ciò" che si esprime. E l'unica risposta ancora una volta non può che essere che ciò che si esprime viene inteso secondo modalità in cui si esprime.. ovvero la risposta non esiste al di fuori dell'ambito di ipotetica relazione di chi domanda cosa. Questo per ora ciò che razionalmente (ed intuitivamente) riesco a dedurre.. |
|
05-02-2014, 19.57.39 | #25 |
Nuovo ospite
Data registrazione: 28-11-2013
Messaggi: 23
|
Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?
Forse questa irrazionalità agita solo certi animi che non "riducono" ad un fine escatologico la fine. La domanda per eccellenza è "perché l'essere e non il nulla", il mondo greco ha dato le sue risposte dicendo che l'ente viveva nel fuoco di un suo essere proprio, ma la tradizione giudaico-cristiana ha rovesciato il problema prospettando un creazione dal nulla.
Oggi è molto difficile rispondere alla domanda "perché si muore". Difficile, molto, perché la morte è continuamente allontanata e banalizzata. Siamo sin troppo prossimi ad una qualche mortalità altrui da non pensare più alla nostra. 100 morti in Iraq, 34 in Siria, 1000 in Perù per un terremoto... La morte esposta è come esorcizzata nella forma per i molti, per i più "addomesticati". Epicuro è un filosofo per certi versi "inattuale", molto meglio Eraclito per pensare la morte. Molto Meglio Heidegger, per il quale già sempre ci si orienta alla morte. Debbo dire che non è la morte a spaventarmi, quanto l'inanità della vita. Mi inorridisce questo alone di addomesticamento al presente. Direi che la morte va ripensata, oggi più che mai è necessario ripensare alla morte. |
06-02-2014, 06.18.39 | #26 | |
Ospite
Data registrazione: 20-08-2013
Messaggi: 67
|
Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?
Condivido ampiamente ciò che afferma Gyta ai riguardi della pienezza delle coscienza dell'essere, che se raggiunta consentirebbe di accettare la morte come un ente naturale e che la natura vuole. Poichè infine nell'accettare l'essere e la vita non ci si può esimere dall' accettare anche la morte che da essa pende e l'avvalora, ed è superando e trascendendo questa dualità che si potrà essere liberi di accettare sia la vita che la morte come un qualcosa che è parte della coscienza. Credo che questo punto di vista si avvicini più ad una filosofia orientale che occidentale, ma forse è ciò che è necessario per concepire certe cose. Il raggiungimento dell'essere e la sua pienezza non è affar semplice, varie son le identificazioni di quest'essere, del sè ed è qualcosa che si trova (o raggiunge) solo dopo una lunga ricerca. Ovviamente una ricerca interiore, metafisica che passa però anche dalla parte piscologica e ambientale. La mente ed il pensiero offuscano il sè con i loro condizionamenti esterni ed i valori di solito dipendono da questo. Si dovrà andare perciò oltre i valori conosciuti, oltre il condizionamento del proprio tempo e del proprio ambiente rendendosi coscienti di cosa ha modificato la nostra visione della realtà. Dopo di ciò può iniziare la ricerca verso ciò che a seconda delle filosofie viene vista come illuminazione(buddhista) oppure la vacuità (zen). Grandi metafore di più significati, ma tutti accomunati da un superamento della condizione psicologica discernendo la realtà materiale per lasciar posto alla pura coscienza invece che al pensiero naufrago. Il raggiungimento di quelle peak experience, così come le definisce lo psicologo Maslow, sarebbero il "trampolino" per inoltrarsi in una concezione della vita e della realtà, riuscendo a identificare il proprio sè, la propria parte più intima, libera da desideri, quindi da sofferenze che non ha necessità di un qualcosa esterno ad esso per essere realizzato e soddisfatto, essendo già completo in sè. Il saggio, forse stoico, forse illuminato, forse coscienzioso di ciò che è e di cosa è la realtà, non temerà la morte nemmeno se lo indicasse. Qual sciocca pretesa è quella di non dover morire quando è giunta l'ora? Posso capirlo in un giovine immaturo, ma non in una persona che ha vissuto più di 50 anni senza rendersi e accettare a buon viso il conto che la morte è parte della vita. Si tratta infine del rapporto che sia ha con la propria weltanschauung, che se generata da un coscienzioso sè (espressione della pienezza dell'essere) , non potrà vacillare in condizione ai fatti.
Nel dire al bimbo che gioca che dovrà andarsene via lo si farà piangere, il saggio che nel sentirsi dire "E' ora di andare", dopo che ha raggiunto la soddisfazione e completezza interiore, sorriderà a qualsiasi voce, senza fretta e senza calma. Per questo indicavo come paura l'ignoto di come avverrà la morte e come paura più profonda quella di non aver vissuto, quella di non essere stati soddisfatti dalla vita, di volere ancora un po' di tempo per soddisfare la stessa voglia del bambino di giocare. In amore profondo, gli amanti hanno sempre avuto la sensazione che questo fosse il momento giusto per morire. Se la morte arrivasse, sarebbe benvenuta, perché sono aperti anche alla morte. Se sei aperto alla vita, sarai aperto alla morte. Se sei chiuso alla vita, sarai chiuso alla morte. Osho E' immortale chi non ha mai pensato alla morte. Carmelo Bene Chi non vuole morire si rifiuta di vivere, perché la vita ci è stata data a patto di morire. La morte è il termine certo a cui siamo diretti e temerla è da insensato, poiché si aspetta ciò che è certo e solo l'incerto può essere oggetto di timore. La morte è una necessità invincibile e uguale per tutti: chi può lamentarsi di trovarsi in una condizione a cui nessuno può sottrarsi? Seneca Non temiamo la morte, ma il pensiero della morte. Seneca Perciò tutto dipende dal rapporto che si ha con essa, e quindi con la vita e quanto la si conosce dopo aver prima conosciuto noi stessi. Citazione:
Sapere la risposta a questa domanda sarebbe veramente interessante, ma nel mentre non posso che dartene una delle possibili. Dal mio punto di vista ciò che noi siamo non è nè corpo nè cervello, ovvero non basta un corpo ed un cervello per far sì che si generi pensiero o coscienza di pensiero. Noi abbiamo un corpo e lo usiamo per esserci, per esser noi. Se infine si volesse isolare la coscienza, il sè, non rimmarrebbe altro che l'energia elettrica cerebrale in movimento (in divenire) , noi siamo quell'energia che per essere ha bisogno d'un cervello e d'un corpo, utilizzati come l'elettrone "utilizza" l'atomo, come l'elettricità usa un impianto elettrico. Ma non siamo l'impianto adibito a contenitore dell'energia, siamo quell'energia stessa che vive in simbiosi. Ultima modifica di Mymind : 06-02-2014 alle ore 21.25.12. |
|
06-02-2014, 21.28.15 | #27 | |
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
Messaggi: 1,314
|
Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?
Citazione:
Sono d'accordo, la percezione della raggiunta pienezza della propria vita vissuta rende possibile incontrare la morte senza terrore, rende pure desiderabile il suo presentarsi (perché è giusto e bello che una vita giunga al suo perfetto compimento). la morte, il muro d'ombra di cui nulla possiamo sapere se non per come vediamo gli altri morire trovo che sia propriamente la dimensione dell'infinitamente altro. Mi richiamo qui al pensiero di Levinas per il quale l'incontro con l'altro (con il suo volto e la sua parola significante) è ciò che trascende verso l'infinito il traboccante godimento egoistico dell'esistenza- frattura nell'indifferenza dell'esserci- e in questa trascendenza il bisogno che spinge ad afferrare e trattenere si tramuta in desiderio che attira verso un assolutamente ignoto. Penso allora che forse occorra aver sentito l'altro in questo modo, con tutta la responsabilità verso la sua trascendenza, per essere pronti a morire, ove morire non significa finire riassorbiti dall' essere, ma partecipare dell'infinito che l'altro (l'assolutamente altro del volto della morte) conduce serenamente verso di noi senza volerci ghermire, come mai noi vivendo ghermimmo gli altri che si mostrarono nel loro indifeso bisogno di cui ci facemmo carico. Morire significa allora rompere l'isolamento per aprirsi definitivamente a quell'infinito che nessuna totalità, nemmeno quella di tutto l'essere, può racchiudere e tenere in pugno. Morire non è quindi svelamento, ma partecipazione profonda all'infinito di cui ogni esistente per ogni altro esistente è segno, partecipazione troppo profonda e grande perché il cuore di un io possa reggervi. Il morire non ha misura: è la gioia infinita di una vita meravigliosamente vissuta. Per quanto riguarda il corpo credo che gyta dica giustamente che esso esprima la modalità sensoriale dell'esistenza che riguarda sia il rapporto con se stessi che il rapporto con gli altri. Il corpo siamo noi vivendo la dimensione sensoriale del bisogno frustrato o soddisfatto e del desiderio da cui siamo attratti, esso invece ci appartiene quando è la dimensione concettuale dell'io che coscientemente si progetta a dominare |
|
07-02-2014, 18.40.48 | #28 | |
Ospite
Data registrazione: 20-05-2013
Messaggi: 19
|
Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?
Citazione:
Infatti, "non sappiamo quello che viene dopo", è proprio questa inconsapevolezza che mi sembra irrazionale, non l'irrazionalità della paura di morire in sé, perché per me la "paura" di morire è perfettamente razionale, perché siamo troppo legati alla nostra vita, al nostro modo di pensare la vita, di considerarla tale, e solo perché non abbiamo ancora avuto coscienza di cosa sia la morte, cioè di cosa venga dopo la vita così come la intendiamo noi. Una caro saluto! |
|
08-02-2014, 22.38.39 | #29 | |
Ospite
Data registrazione: 26-12-2012
Messaggi: 111
|
Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?
Citazione:
Un caro saluto anche a te. |
|
09-02-2014, 09.25.36 | #30 |
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
Messaggi: 1,314
|
Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?
Infatti non vi è nulla di più irrazionale del non voler riconoscere il limite della razionalità. La morte ci sbatte in faccia questo limite e per questo disturba e inquieta.
|