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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
05-10-2012, 19.41.49 | #3 | |||||
Ospite abituale
Data registrazione: 17-12-2011
Messaggi: 899
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Riferimento: Il vostro rapporto con il caos e la certezza della morte
Citazione:
Se capisci il senso della vita ( e quì si apre un "mondo" di discussioni) le azioni non sono mai inutili. le emozioni che proviamo sono fondamentali. Dopo morto a che serve la casa e il conto corrente? Sono le emozioni che restano impresse nella memoria. Citazione:
Citazione:
Ci sono cose che dobbiamo fare ,ci sono cose che possiamo fare e ci sono cose che si devono lasciare vivere perchè a volte dobbiamo lasciarci andare come quando si galleggia sul mare. Noi non dobbiamo dominare il mondo e nemmeno noi stessi: è questo che genera ansie e paure.Il nostro senso della vita è in rapporto a tutti gli altri sensi e significati che vedi e osservi nel mondo: da una ameba ad una stella. Citazione:
Devi abituare la tua psiche e la tua mente a "subire": non puoi controllare tutto, nemmeno le tue emozioni. Noi non siamo padroni degli eventi che ci arrivano nella vita e spesso sono inaspettati, nel bene nel male. Bisogna imparare ad accettare , ma nello stesso tempo ad essere risoluti sul senso della vita che riteniamo importante. Citazione:
Noi siamo seminatori di pensieri ed azioni , per prima cosa dobbiamo riflettere se ciò che "lasciamo" è importante e giusto e poi lasciare che gli altri prendano o meno "i semi". Sono convinto che esista un linguaggio fatto di ragione, psiche, emozioni, sentimenti, non "divisibile", un qualcosa che unisce la logica e la poesia. La gente capisce quando vuole capire per cui è importante cercare di seminare bene e sentire di avere almeno la propria coscienza a posto e poi...vada come vada. |
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06-10-2012, 14.42.58 | #4 |
Moderatore
Data registrazione: 12-09-2004
Messaggi: 781
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Riferimento: Il vostro rapporto con il caos e la certezza della morte
L'argomento che hai deciso di affrontare spiazzerebbe chiunque, e' da sempre l'oggetto principale, anche indirettamente, delle speculazioni filosofiche di ogni tempo , e , certamente, per affrontarlo, non basterebbe una vita di riflessioni; si potrebbe tentare , comunque, di abbozzare qualche considerazione. La paura che tutta la nostra vita si vanifichi ,perdendosi nel flusso caotico della realta' che vediamo, coglie impreparati e raggela soprattutto tutti coloro che abitano i luoghi ove il sole tramonta: l'Occidente. In questa parte del mondo siamo sempre stati abituati a guardare noi stessi in continua analogia con cio' che appare della realta' che ci circonda; il nostro pensiero e' questo : se una goccia di vino cade e irreversibilmente si disperde in un bicchiere di acqua cristallina , perche' cio' non dovrebbe accadere anche per la nostra persona fisica in relazione alla terra da cui nasciamo? Tutto cio' che siamo lo leghiamo tenacemente ed unicamente alle proprieta' fisiche che osserviamo nella materia che ci appartiene; chimica, biochimica, fisica, noi ci immedesimiamo in tutto cio' che del mondo ci appare , e a questa apparenza , per analogia, leghiamo le sorti vere e reali di tutta la nostra persona. Io proporrei , invece, di riflettere ,per un momento, utilizzando lo stesso strumento della logica, che ci ha portato a produrre le spaventevoli analogie fra noi ed i fenomeni naturali in cui ci immedesimiamo; rendiamoci conto che non esiste alcuna disciplina matematica, fisica o naturale che ci abbia mai dimostrato con evidenza logica la nostra appartenenza reale ai modelli che ci siamo costruiti per descrivere cio' che la natura ci fa apparire come reale; di questo, gran parte del mondo ne e' consapevole, gran parte del mondo usa la tecnologia come mero strumento per piegare la natura alle nostre esigenze materiali, cosi' come un bimbo usa per il proprio gioco il giornale del padre e costruisce un aeroplanino senza capire nulla di relamente vero di cio' che sta utilizzando, noi osserviamo e utilizziamo la natura per i nostri scopi senza capire nulla di cio' che in realta' stiamo manipolando; di tutto questo il mondo non occidentale ne e' consapevole, e mai si sognerebbe di affidare alla tecnologia e alla scienza le sorti del loro essere persone ; noi , invece, siamo stati talmente plagiati dalla nostra stessa scienza, che ormai crediamo in assoluto soltanto all'apparenza dei modelli che essa propone e si rimangia, che essa descrive e riscrive di continuo. Il mio invito e' quello di guardare alla goccia di vino nell'acqua come ad un fenomeno puramente apparente, noi conosciamo un nonnulla, cioe', sia di quella goccia, sia dell'acqua in cui essa sembra disperdersi, sia della relazione fra quelle due entita' fenomeniche , sia della relazione di loro con tutto il resto della realta' che le circonda; il fatto che osserviamo di continuo che una goccia di vino si disperde nell'acqua , non ci da' alcuna certezza logica sul fatto reale che questo fenomeno sia inevitabile e irreversibile in qualsiasi condizione della realta' di cui anche la nostra persona fa parte, il fatto che possiamo ripetere quel fenomeno , non ci da' alcun motivo, nemmeno indiziario, induttivo o probabilistico che possa dimostrarci alcuna analogia fra il nostro destino e quell' apparente osservazione. Il mio invito e' di affrancarci dall'integralismo delle dottrine scientiste e pseudorazionaliste che vogliono farci credere alle apparenze del modello scientifico come ad “una religione dei fatti”; la realta' a cui apparteniamo e' logicamente tutt'altro da come noi la stiamo descrivendo ed utilizzando, e' un dipinto che certamente osserviamo ancora da troppo vicino e che non siamo ancora in grado di comprendere realmente ne' per cio' che rappresenta, ne' per cio' che esso realmente e'. Non abbandoniamoci allo sconforto dettato unicamente dalle deboli ragioni di una debole ragione prigioniera delle apparenze e abbandonata dal cuore, usiamo la logica del cuore, invece, che e' la stessa da cui nasce la ragione dell'intelletto ( intelletto che crede, grazie al cuore, agli assiomi dei numeri e della geometria al pari di come si puo' credere alla dottrina di una fede), la logica del cuore ci suggerisce in ogni istante della nostra vita che il quadro della natura, che ora possiamo osservare solo troppo da vicino, potrebbe , il giorno in cui potremo distanziarci da esso, rivelarsi in tutta la sua splendida interezza.
Ultima modifica di and1972rea : 06-10-2012 alle ore 21.09.56. |
06-10-2012, 20.52.06 | #5 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 21-02-2008
Messaggi: 1,363
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Riferimento: Il vostro rapporto con il caos e la certezza della morte
Citazione:
Giustamente occorre preparare e prepararsi ...ma non troppo...per sommi capi: sono piu' importanti le strategie che i singoli fatti e gli eventi. Infatti è improbabile che accada tutto come previsto...anzi molto poco accadrà come previsto...se non sei frate indovino. Il volersi proiettare per forza in un improbabile futuro (nessuno leggerà ciò' che scrivi...se non sei almeno Josè Saramango!) mi pare psicotico: cerca di allentare! Dovresi valutare se non sia meglio impiegare il tuo tempo a fare cose per l'oggi o per il domani al massimo, piuttosto che per dopo morto... A meno che tu non sia centenario direi che non hai nessuna necessità di predisporti alla morte e pensare al ricordo che i tuoi epigoni avranno di te: di certo il ricordo svanirà presto e vivranno la loro vita ...come è diritto di ciascuno! Forse riprenderò questo discorso, ma al momento mi auguro che nessuno dei nostri colleghi del sito persegua i tuoi comportamenti e pensamenti Spero che anche tu trovi piu' festose occasioni del vivere! ...chi vuol esser lieto, sia! del doman non c'è certezza! (così ad orecchio!) Purtroppo, sembra, tu una certezza ce l'hai...quella peggiore! Ma io penso che tutto il gusto stia nel viaggio ...non nella conclusione! Poichè la conclusione è inevitabile è meglio non pensarci oltre che inutile. |
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06-10-2012, 21.39.26 | #6 |
Ospite
Data registrazione: 23-06-2012
Messaggi: 10
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Riferimento: Il vostro rapporto con il caos e la certezza della morte
sono interessanti gli spunti dati ma non si capisce quale sia la prerogativa della ragione, men che meno come possa essa coniugata con i sentimenti.
ma immagino sarà per un altro thread. anche per me l'assillo della morte non ha senso in quanto una volta morti non esistono assilli sensoriali. la domanda è se noi intravediamo caos una volta accertata la morte. io non credo nel momento stesso in cui noi tutti pensiamo di avere un io, in realtà stiama dando per assodato qualcosa di assai complesso, e proprio perchè cum-pleko deduciamo che esiste una concatenazione. ma il mestiere della filosofia è quello di dubitare, ovvero di mettere in krisis i suoi concetti. per questo possiamo anche ripartire da kant(il vertice di questa krisis). più interessante è se l'utente Oltre sa spiegarsi a partire da queste premesse filosofiche perchè gli è necessario ordinare tramite uno scritto e non semplicemente vivere. Un sintomo che la filosofia capisce molto bene. |
07-10-2012, 15.51.12 | #7 | ||
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
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Riferimento: Il vostro rapporto con il caos e la certezza della morte
Citazione:
Citazione:
Purtroppo non ho da offrire alcuna "considerazione" ne tanto meno me ne sono fatta un'opinione precisa. E' però sicuramente un problema che si coglie, durante l'esistenza. Ognuno però l'affronta in modo diverso. Qualcuno ci scherzerebbe pure e ti direbbe che: almeno il posto al cimitero lo vorrebbe Ma non voglio scherzare soltanto e nemmeno "argomentare" ragionevolmente su qualcosa che qualcuno sente solo in fondo all'animo. Così preferisco lasciare qualcosa che è nel mio animo. Proprio una quindicina di giorni fa, infatti, m'è venuta voglia di cimentarmi in qualcosa che assomiglia alla poesia (quand'ero piccolo mi piaceva, poi l'ho abbandonata, visto che asino ero e asino so rimasto!). Ne ho scritte cinque. Non ne capisco nulla di metrica (quindi ho gettato le parole così come venivano), ma l'intento era quello di oggettivare (mettere di fronte a me) quel che, caoticamente, pensavo. Una di queste pseudo-poesie si intitola "in fondo". Credo descriva un po' il mio rapporto con il caos interiore. Spero sia attinente. Non è coperta da copyright ma se la volete far circolare mettete almeno Il_Dubbio come psudonimo Ciao In fondo Devo dire la verità L’infinito o quel che c’è dietro La siepe, mi preoccupa. Non è angoscia, e nemmeno paura; è solo preoccupazione. Preoccupato per cosa Nemmeno lo so. Sembra una forma di fobia. Se guardo in alto Durante una notte nera L’immagine dentro di me si fa luce D’immensa inquietudine. I’oscuro spazio fuori di me Si specchia dentro l’imperdonabile silenzio Dei miei pensieri. E sento una forza Che irrompe e rattrista, quasi si materializza. Non so bene cosa succeda Sono preoccupato soltanto Che infondo all’animo, al di la Dei pochi pensieri presenti Ci sia il nulla che pervade. E il vuoto perso tra le stelle Sia il mio perso nella mente. Il_Dubbio |
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07-10-2012, 22.56.24 | #8 |
Ospite abituale
Data registrazione: 17-08-2012
Messaggi: 128
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Riferimento: Il vostro rapporto con il caos e la certezza della morte
Caro Oltre, hai descritto molto chiaramente la situazione.
Ritengo di poterla comprendere perché, magari con modalità diverse, la sperimento anch’io. Vorrei perciò dire alcune mie considerazioni, certo non conclusive, ma che potrebbero forse aprire uno spiraglio. Secondo me, di fronte a una problematica come questa si dovrebbe innanzitutto valutare cosa vorremmo in alternativa a questa realtà. Il caos e la morte ci creano angoscia, ma sarebbe davvero meglio se non ci fossero, ferme restando le altre caratteristiche del nostro mondo? Vediamo, se non ci fosse il caos, che vita sarebbe? Beh, sarebbe certamente ordinata. Direi di più… tremendamente ordinata! Al punto, che tutto si svolgerebbe con tale regolarità da escludere ogni nostra responsabilità: in quanto non saremmo più liberi! Il prezzo dell’assenza del caos sarebbe la nostra Libertà. Perché non vi sarebbero più possibilità ma soltanto necessità. E se non morissimo mai? Allora potremmo stare finalmente tranquilli, niente più angoscia di smettere di esserci. Ci saremmo però in che modo? Svuotati! Perché la nostra Libertà sarebbe vuoto esercizio senza valore esistenziale. Quel valore che solo la morte è in grado di dare. Ciò che in sostanza viene perduto, nell’ipotesi di assenza del caos o della morte, è la libertà che coincide con il nostro essere “esistenza possibile”. Libertà che compare nell’istante della decisione, quando scegliamo per l’eternità. Mettendo tutti noi stessi in quella decisione, perché è lì, in quella scelta, che noi siamo veramente. Quando se no? Di fronte al caos ineluttabile, così come alla morte inevitabile, il sangue si ghiaccia, ma è proprio allora che possiamo forse cogliere la situazione-limite. Che ci fa domandare a noi stessi: Se così è, cosa conta davvero per me? Dalla nostra profondità può allora nascere lo slancio che afferma cosa ha “veramente” valore. E quello noi siamo. |
08-10-2012, 03.50.05 | #9 | ||||
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Riferimento: Il vostro rapporto con il caos e la certezza della morte
Citazione:
..Sostituirei con "sperimentare".. Citazione:
Citazione:
Uhmm.. che bene mi fa leggere queste parole.. (che peraltro cerco di esprimere per iscritto non riuscendoci mai con trasparenza chiarezza quanto vorrei.. ) Citazione:
Secondo me è indispensabile farlo. Le citazioni sopra racchiudono il mio pensiero.. E' indispensabile non farsi fregare dalla naturalezza con cui certi cristallizzati e radicati pensieri vanno poi a determinare la nostra visione profonda.. L'analisi profonda introspettiva può aiutarci a cogliere la mappa di concetti sottostante attraverso cui non solo filtriamo il nostro vissuto ma diamo aspetto (e senso) al mondo "esterno". Questo punto di partenza è fondamentale in un cammino di coscienza verso la libertà possibile da quei limiti che impediscono di giungere a sperimentare la nostra vita in modo pieno e non l'altrui. Penso che l'uomo non potrà mai essere felice se non disimpara ogni addestramento mentale che lo fa sentire buono e ben accetto se scompare nel fiume di un ordinario procedere, ovvero se non giunge a imparare il suo modo di sperimentare l'esistenza, a crearla con autentica originalità. Per giungere a questo ha bisogno di credere alla sua unicità, di alimentare quella dignità insita nella spinta interiore individuale che interpreta, sperimenta, crea ex novo ogni realtà istante per instante. Questa spinta interiore ancestrale è quella della conoscenza intesa come conoscenza creativa, come l'atto stesso di creare sé e la realtà medesima. E' ciò che pallidamente incontriamo nell'ordinario come strascico nella tiepidezza dell'amore apparente, della capacità di amare negata in seno all'individuo. Le mie sono parole forti e dure, ma questo ho osservato: non esiste un'alimentazione della facoltà che rende l'uomo umano, la conoscenza creativa. Ogni cosa è ordinata sino a soffocarne la sua essenza. Ogni concetto, ogni valore, ogni "lavoro", ogni "studio", ogni "arte", ogni "sessualità", ogni movimento, insomma. Questa è la prassi politica, ormai da millenni. Siamo ancora allo stadio del rapporto di riconoscimento per appartenenza, così come funziona per il neonato verso la madre. Il neonato come allungamento della madre, una protuberanza della stessa madre. Il momento del taglio ombelicale ancora non è avvenuto. E si perpetua e si ripropone quel primo stadio di quasi identità seppure lievemente simbiotica con il nostro simile, incapaci, se non pochi esemplari o pochi attimi della nostra esistenza, di renderci degni padroni di quella libertà individuale che sin dalla nascita ci spetterebbe. Ma ogni conquista che non sia stata già vinta e metabolizzata all'unanimità è conquista e lotta individuale ed implica in sé una rivoluzione dell'individuo sulla totalità. Dove può allora il singolo trovare la forza di combattere quella sua stessa Madre che lo obbliga a replicare quella sua medesima esperienza di esistenza? Un assaggio simbolico di questa ribellione lo abbiamo nell'età dell'adolescenza ma presto il placido senso comune accoglie ogni residuo di quell'impeto e la spinta creativa si realizza come mera meteora pronta a impallidire di fronte al sole dei movimenti consueti. Eppure quella forza è pronta in noi. Quella dignità di essere è in noi, seppure seppellita nel dimenticatoio del facile procedere. L'esistenza senza la riscoperta della capacità di conoscere creativa, che è la reale e profondissima capacità di amare, non è che l'esperienza penosa del "subire", di uno scorrere che ci passa sopra e ci calpesta come polvere e carne da macello. " Beati gli innocenti perché Vedranno " Ovvero, privi di reale innocenza possiamo solo sperimentare la negazione in tutte le sue (innumerevoli) salse. . |
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11-10-2012, 02.02.05 | #10 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 29-09-2011
Messaggi: 47
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Citazione:
Sei colto e intelligente: usa queste tue prerogative meravigliose per revocare in dubbio le considerazioni cui ti riferisci. Credo che l'esistenza sia un compito. Un lavoro "a casa" che tutti dobbiamo eseguire. Il "compito a casa" è ciò che ci resta da fare dopo aver assolto ai compiti biologici obbligatori: quelli li facciamo a scuola. L'esistenza ha per confine da un lato le necessità biologiche del corpo che ci ospita. Dall'altro ha il limite ineludibile del neurotropio neurale che ospita gli engrammi e le articolazioni sintagmiche delle idee mediante cui io opero e creo differenze e neurotropi diversi da cui il linguaggio in cui mi esprimo decade come lo zucchero o il sale da una soluzione satura. Bene, il bello della vita è questo: nessuna soluzione è mai satura. Un vecchio intelligente sa che ogni sale della sua saggezza non è che il precipitare di esperienze "definitive". Un colpo di cucchiaio... ed esse tornano a scaldare la sua come altre esistenze! Ma l'intelligenza dei vecchi è quella di astenersi dal farlo. Lasciamo sempre qualcosa, se vogliamo vivere: lo lasciamo alle illusioni di altri, al piacere che loro se ne nutrano, come noi. In fondo alla nostra piccola fatica sta una fatica più grande, e questo è il vero problema. L'unico problema. "Morire" ha un senso piccolo se non si articola dentro un significato maggiore. Dobbiamo chiederci quale "debba" essere il senso di una volontà libera rispetto alla "Morte", dentro il contesto di una generale accettazione passiva della Morte come Fatto. |
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