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22-10-2013, 16.15.58 | #52 |
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
Messaggi: 1,314
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Riferimento: Il principio di identità
Non credo che sia una questione solo lessicale, certo alla base ci sono delle definizioni lessicali che però per esprimersi in un discorso hanno bisogno di muoversi con intima coerenza. Voglio dire, se definiamo come percezione un dato (o una collezione di dati) immediato di conoscenza e come pensiero il processo elaborativo di questi dati è pur vero che anche questo processo elaborativo è percepibile come dato immediato, è immediato che io sto pensando. Poi posso prendere questo dato ed elaborarlo ulteriormente insieme ad altri dati e questo continuo rimando del processo alla percezione del processo e della percezione del processo a un ulteriore processo che a mio avviso è peculiare del fenomeno-processo della coscienza. (un riferimento interessante in proposito lo si trova in "I am a strange loop" di Douglas Hofstadter, tradotto in italiano "Anelli dell'io").
La stessa cosa si può dire della percezione della mancanza, noi non percepiamo immediatamente infatti solo le presenze positive, ma anche le mancanze, anch'esse sono dati della nostra conoscenza, proprio come percepiamo le pause (mancanze di suono) in un brano musicale. Certamente possiamo mantenere la separazione tra ciò che è percepito come presenza oggettuale, oppure come presenza processuale, oppure come presenza mancante, e trattare solo le prime come percezioni autentiche, ma a mio avviso questa semplificazione, limita di molto il modello di riferimento e, se vogliamo, la sua effettiva utilità rappresentativa. Sono poi d'accordo che sia evidente da un punto di vista epistemologico che gli altri sono utili a gestire ciò che percepisco (anche se non lo intendo in senso pragmatico, ma in chiave ontologica), il problema nasce però dallo scontro di questa evidenza epistemologica con quella fenomenologica opposta. E' questo il problema che andrebbe analizzato e rielaborato nei suoi dati problematici per tentare di risolverlo. Allo stesso modo andrebbe risolto il problema del contrasto tra le strategie a lungo termine e quelle a breve termine. Quando e perché le prime prevalgono sulle seconde o viceversa? In che modo il termine, ossia il tempo, condiziona l'utilità? Può ancora trovare senso un lungo termine nel sentire comune dopo la morte della metafisica? |
23-10-2013, 18.13.48 | #53 | |||
Moderatore
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Riferimento: Il principio di identità
Citazione:
Questo è certamente opinabile; secondo me il modello è più consistente (ed utile) con una netta separazione tra percezioni e pensieri, ma naturalmente anche il tuo punto di vista è accettabile. Citazione:
Punto interessante, ma al momento non ho un'opinione al proposito Citazione:
Perché non dovrebbe trovare senso il lungo termine? Fa parte delle scelte di ogni individuo, ed è un punto importante nelle neuroscienze, valutare quanto valga la pena "scontare" il futuro remoto rispetto a quello immediato. Senza dimenticare che "a lungo termine saremo tutti morti" |
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23-10-2013, 22.07.11 | #54 | ||
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
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Riferimento: Il principio di identità
Citazione:
Mi chiedo ad esempio che risultato produrrebbe introdurre come dato di input per una computazione il metodo stesso di computazione. Quanto alla mancanza penso sia già un dato fondamentale, è ciò che separa un dato dall'altro, pertanto segnala l'inizio e la fine di ogni successione di segni. è fondamentale per qualsiasi fenomeno sia a livello percettivo che razionale (penso che se avessi scritto questa frase con le parole tutte attaccate qualche difficoltà di comprensione in più l'avresti avuta, come se la pronunciassi senza alcuna pausa). Citazione:
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