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Vecchio 22-06-2013, 11.33.57   #21
maral
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

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Secondo me quella della distinzione pensiero/materia (le cartesiane res cogitans e res extensa) è una questione diversa da quella soggettivo/oggettivo nella conoscenza, anche se l’ intersoggettività e conseguentemente la possibilità di elementi di oggettività nella sua conoscenza può essere postulata della sola res extensa.
Perché è diversa? L'oggettività può essere ottenuta solo considerando paradossalmente una conoscibilità dell'oggetto conosciuto radicalmente separato dal soggetto che lo conosce, non vedo altro modo. La formula della soggettività condivisa non implica necessariamente alcuna oggettività, ma solo una condivisione culturale tra soggetti i quali concepiranno a priori lecita un'unica metodologia cognitiva, quindi la condivisione soggettiva rafforza anziché annullare l'effetto culturale.

Citazione:
Originalmente inviato da sgiombo
Il tostapane funziona anche in mano agli indiani Hopi, [b]purché ovviamente gli si insegni come usarlo e dispongano del necessario[/B] (rete elettrica, ecc.), esattamente come in qualsiasi altro contesto culturale; ovviamente sempre alle condizioni che esige il semplice buon senso, per esempio non pretendendo di usarlo come una bacchetta magica; la quale, analogamente alla danza della pioggia, è un preteso strumento operativo senza alcuna base scientifica del tutto inefficace (se non a scopo ingannatorio, per esempio per mantenere la coesione di una tribù e la sua sottomissione al potere e la sopportazione dei privilegi di capi-tribù e stregoni. Un’ efficacia non tecnica-scientifica potrebbe averla al massimo come placebo, cioè in ultima analisi per autosuggestione ...e mi rendo conto che sto offrendoti un argomento su un piatto d' argento) in qualsiasi contesto culturale.
Come si evince dalle parole che ho sottolineato il tostapane funziona tra gli indiani Hopi se questi hanno gli strumenti culturali per farlo funzionare, ossia in generale la cultura è condizione necessaria per il funzionamento del mezzo tecnico che quella cultura produce. Non vedo perché lo stesso discorso non potrebbe applicarsi alla danza della pioggia. Per poter mostrare a un Hopi che il tostapane funziona occorre portarlo nella nostra cultura, ossia in quella prospettiva in cui ha senso dire che un tostapane sembra oggettivamente funzionare davvero per tutti. Analogamente mi sembra lecito pensare che per convincere un'occidentale che la danza della pioggia funziona occorrerebbe portarlo nella prospettiva culturale (attualmente scomparsa) di un indiano Hopi. Allora il punto non è più il funzionamento oggettivo delle cose, ma il motivo per cui un contesto culturale con i funzionamenti che gli sono confacenti si impone su un altro e lo cancella come illusorio. A mio avviso il motivo è proprio quella forza di suggestione collettiva che le cultura sono in grado di produrre in misura minore o maggiore. L'attuale cultura tecnico scientifica è in grado di produrla in misura massima proprio in quanto ha elaborato un metodo di costruzione di un'oggettività che in è un progetto assai funzionale per la suggestione e l'autosuggestione anche di chi lo pone in atto. Non è dunque in base alla verità che oggi noi diciamo che il tostapane funziona e la danza della pioggia no, ma è in base alla potenza seduttiva di credibilità che è in grado di porre in atto l'attuale cultura tecnica rispetto a quelle precedenti.
In altre parole è la capacità del bravo illusionista che presentando il suo gioco progetta con la massima accuratezza cosa il pubblico dovrà considerare e cosa no e per essere ancora più efficace, convince se stesso al di là di ogni dubbio che questa prospettiva di visione è l'unica lecita grazie alla sintonia autorinforzante che permette di creare con il pubblico e con i colleghi.

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Originalmente inviato da sgiombo
I colonizzati videro che la ruota funzionava oggettivamente, e non affatto per i radicali cambiamenti sociali e culturali che la colonizzazione impose loro
Ma la ruota oggettivamente non funziona per il trasporto laddove non ci sono strade senza troppi buchi e fango, ma solo sentieri sconnessi tra paludi e foreste. Perché la ruota funzioni occorre un mondo in cui essa possa funzionare e, poiché in grandi parti della terra questo mondo non è presente, occorre averne la visione culturale che ne consenta il progetto. I colonizzati videro che la ruota funzionava quando i colonizzatori avevano già imposto il loro mondo con tutta la sua suggestione di potenza anche se inizialmente a livello fisico solo in piccola scala e dunque erano riusciti a determinare la visione culturale che lo rendeva possibile.



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Originalmente inviato da Sgiombo
:
la distinzione fra una sensazione (per esempio la visione di un albero) e (la sensazione di) un giudizio circa una sensazione (per esempio il pensiero: “esiste quest’ albero”, “sto vedendo quest’ albero” è un’ immediata evidenza empirica (esattamente come la distinzione fra la visione di un albero e la visione di un gatto, per esempio).

Le previsioni delle eclissi sono precise al centesimo di secondo per il fatto che ciò che la scienza ci dice è vero (ometto le solite necessarie precisazioni teoriche), indipendentemente da qualsiasi contesto culturale (non è che per gli indiani Hopi un eclissi di sole o il passaggio di una cometa avviene in tempi diversi che per un’ occidentale che si trovi a passare da quei paraggi in simili frangenti, o che addirittura non avviene proprio a causa della loro diversa cultura e credenze) per la tutt’ altro che mitica oggettività (vedi sopra per le necessarie precisazioni teoriche; che sono tutt’ altra cosa dal relativismo di Feyerabend) della conoscenza scientifica.
I momenti della sensazione e del giudizio di verità sulla sensazione sono senza dubbio distinguibili, ma non isolabili e sono collegati tra loro dal dubbio e dalla necessità del suo superamento. Vedendo un albero posso dubitare che quello sia proprio un albero e mettere in atto delle strategie culturali che mi permettano di dirimere il dubbio ( come vedendo il sole sparire nel cielo in pieno giorno posso pensare che sia un'eclisse nei termini in cui la mia cultura definisce l'eclisse come fenomeno astronomico).
Ma questo non toglie che in origine ciò che vedo mi si sia già presentato nella sua possibilità di essere un albero ed è su questa possibilità originaria (pre-giudiziale) che agiscono in modo inconscio i contesti culturali i quali determinano a priori anche le possibili alternative di significato cosciente di quella cosa che mi sembra un albero. La coscienza è comunque sempre funzione rappresentativa, fin dai primi istanti, ciò che ci appare davanti agli occhi nel suo significato cosciente non è mai la realtà in sé, non può esserlo in alcun modo, ma una rappresentazione significata e significante di questa realtà e la cultura in cui siamo nati e cresciuti ne determina inevitabilmente il significato insieme (e non dopo) ai mezzi biologici che possediamo, sia in termini originari sia in termini di diversa possibilità.
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Vecchio 22-06-2013, 14.41.31   #22
maral
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

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Originalmente inviato da tiziano
Domanda:
prendiamo come esempio la legge di Hom: V=RxI (ovvero: il potenziale elettico è ugaile al prodotto della resistenza di un conduttore per l'intensità del flusso di elettroni)

C'è qualcuno che può sostenere che questa legge dipende dal contesto socioculturale di un'epoca o dagli interessi della classe dominante o dalla struttura capitalistica dei rapporti di produzione o altre amenità varie?
No, essa dipende da osservazioni della natura, elaborazione di ipotesi, conferme sperimentali. Ovvero da un metodo scientifico.
Tuttavia Feyeraben ha ragione nel sostenere che non esiste un metodo scientifico, e soprattutto che non è dal metodo che consegue una verità.
Ebbene, sgombriamo il campo dalla verità, che è solo un concetto fuorviante; sgombriamo anche il campo dal metodo; sgombriamo tutto, insomma.
Parliamo allora di teorie, piuttosto che di verità.
Parliamo di intersoggettività, piuttosto che di oggettività.
Parliamo di contesto della scoperta e contesto della giustificazione, così avremo le idee più chiare (almeno in un primo momento).
La scoperta avviene attraverso sentieri tortuosi e dipende davvero anche da interessi, conflitti, credenze, ideologie, ecc. Se ne avete voglia leggetevi qualcosa a proposito del problema della longitudine: così importante che fu fatta una legge, il "Longitude Act", nel 1714, e bandito un premio di 20.000 sterline (milioni di euri, al cambio attuale) per chi lo avesse risolto; ebbene, nel mezzo degli interessi (dove vanno le navi quando vanno?), del guai (se vanno a sbattere sugli scogli per un errato calcolo, come accadde, possono morire 2000 persone), ecc. c'è anche l'interessante scontro tra astronomi e meccanici: questa è una questione scientifica, epistemica: perché si preferiva la soluzione astronomica a quella proposta da un orologiaio? Perché vigeva una certa cultura scientifica e perché gli astronomi stavano dentro la Royal Society.
Ma una volta che un problema è risolto, una teoria verificata, fine. Hom aveva i suoi buoni motivi, anche un po' meschini, per fare le sue ricerche, ma V=RI, e ogni volta che voi premete l'interruttore della luce in casa vostra lo confermate.
Piuttosto si può indagare su quali sono i modi con cui si accettano socialmente le giustificazioni (linguaggio scientifico, comitati scientifici, riviste, università, ecc.).

Un consiglio: non date troppo ascolto ai filosofi della scienza

Resta pur tuttavia il fatto che ogni volta che accendo una lampadina confermando la legge di Ohm lo faccio in un contesto culturale che vede la possibilità di accendere delle lampadine come mezzo per fare luce e per il quale solo in quel mondo dove esiste quel contesto culturale (con ciò che nasconde e ciò che mostra in evidenza in virtù delle regole di linguaggio che adotta per esprimere significati) ha senso accendere lampadine, dunque può apparire la loro accensione come la legge di Ohm, da quello stesso mondo formulata, prevede.
Le lampadine accese non sono cioè come i funghi che crescono spontaneamente nei boschi (a parte che anche per raccogliere funghi occorre un appropriato contesto culturale che li interpreti identificandoli), ma sono il prodotto di una ben precisa visione culturale con precisi rapporti significanti la quale contiene in sé tutti quei motivi sociologici e psicologici ad essa culturalmente tipici.
Pertanto la legge di Ohm resta un prodotto culturale, un modello interpretativo che ha senso emergente di verità condivisibile solo nel contesto appropriato che accetta vivendolo quel tipo di linguaggio. In un contesto diverso le lampadine non si accenderebbero semplicemente perché neanche esisterebbero in esso.
Dunque il problema su cui mi pare Feyerabend ponga l'accento è cosa determina quei contesti e il loro prevalere su altri che magari non concepiscono lampadine che si accendono, ma ad esempio dei che scagliano fulmini da dietro le nubi? Cosa genera la condivisibilità culturale soggettiva? E' possibile comprendere l'emergere di questi contesti senza pregiudizi mistificanti di oggettività in sé che vuole prescindere da essi?
Cosa fa sì che determinate interpretazioni dei fenomeni (comprese quelle scientifiche) appaiano condivisibilmente vere con tutte le implicazioni da loro generate e verificate nella loro coerenza e altre no?
Forse il problema non è risolvibile e certo non in chiave oggettiva, ma a mio avviso è giusto porselo, quanto meno perché da esso possiamo intuire quante lampadine che il contesto in cui viviamo non vede accendersi si sono accese o si potrebbero accendere in contesti che producono emergenze diverse.
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Vecchio 22-06-2013, 19.45.05   #23
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

PARTE PRIMA


Sgiombo:
Secondo me quella della distinzione pensiero/materia (le cartesiane res cogitans e res extensa) è una questione diversa da quella soggettivo/oggettivo nella conoscenza, anche se l’ intersoggettività e conseguentemente la possibilità di elementi di oggettività nella sua conoscenza può essere postulata della sola res extensa.

Maral:
Perché è diversa? L'oggettività può essere ottenuta solo considerando paradossalmente una conoscibilità dell'oggetto conosciuto radicalmente separato dal soggetto che lo conosce, non vedo altro modo. La formula della soggettività condivisa non implica necessariamente alcuna oggettività, ma solo una condivisione culturale tra soggetti i quali concepiranno a priori lecita un'unica metodologia cognitiva, quindi la condivisione soggettiva rafforza anziché annullare l'effetto culturale.

Sgiombo:
Ammettere l’ intersoggettività delle sensazioni materiali non è per niente paradossale.

Basta conversare con altri uomini, ammettere (cose indimostrabili) che abbiano esperienze fenomeniche analoghe alla “nostra propria” direttamente esperibile e che i loro discorsi linguistici siano effettivamente tali (sensati) e veritieri o in linea di principio smascherabili se falsi; a queste condizioni si può verificare facilmente che gli oggetti materiali che percepiamo noi corrispondono per filo e per segno a quelli percepiti da qualsiasi altro uomo parlante (e ragionevolmente crederlo per qualsiasi altro senziente).
Ciò che si condivide in questo modo non è l’ aspetto soggettivo delle sensazioni materiali (che invece non è condivisibile; per esempio il fatto di udire gli ultrasuoni, che é proprio dei cani e non di noi uomini), bensì l’ autonomo essere e divenire delle percezioni materiali in tutte le esperienze fenomeniche coscienti, indipendentemente dalle nostre soggettive e arbitrarie preferenze, cioè i loro aspetti oggettivi (ciò che a mio parere si può spiegare con una corrispondenza di tutti gli aspetti oggettivi delle sensazioni fenomeniche materiali ad un'unica realtà in sé o noumeno).





Sgiombo:
Il tostapane funziona anche in mano agli indiani Hopi, purché ovviamente gli si insegni come usarlo e dispongano del necessario (rete elettrica, ecc.), esattamente come in qualsiasi altro contesto culturale; ovviamente sempre alle condizioni che esige il semplice buon senso, per esempio non pretendendo di usarlo come una bacchetta magica; la quale, analogamente alla danza della pioggia, è un preteso strumento operativo senza alcuna base scientifica del tutto inefficace (se non a scopo ingannatorio, per esempio per mantenere la coesione di una tribù e la sua sottomissione al potere e la sopportazione dei privilegi di capi-tribù e stregoni. Un’ efficacia non tecnica-scientifica potrebbe averla al massimo come placebo, cioè in ultima analisi per autosuggestione ...e mi rendo conto che sto offrendoti un argomento su un piatto d' argento) in qualsiasi contesto culturale.

Maral:
Come si evince dalle parole che ho sottolineato il tostapane funziona tra gli indiani Hopi se questi hanno gli strumenti culturali per farlo funzionare, ossia in generale la cultura è condizione necessaria per il funzionamento del mezzo tecnico che quella cultura produce. Non vedo perché lo stesso discorso non potrebbe applicarsi alla danza della pioggia. Per poter mostrare a un Hopi che il tostapane funziona occorre portarlo nella nostra cultura, ossia in quella prospettiva in cui ha senso dire che un tostapane sembra oggettivamente funzionare davvero per tutti. Analogamente mi sembra lecito pensare che per convincere un'occidentale che la danza della pioggia funziona occorrerebbe portarlo nella prospettiva culturale (attualmente scomparsa) di un indiano Hopi. Allora il punto non è più il funzionamento oggettivo delle cose, ma il motivo per cui un contesto culturale con i funzionamenti che gli sono confacenti si impone su un altro e lo cancella come illusorio. A mio avviso il motivo è proprio quella forza di suggestione collettiva che le cultura sono in grado di produrre in misura minore o maggiore. L'attuale cultura tecnico scientifica è in grado di produrla in misura massima proprio in quanto ha elaborato un metodo di costruzione di un'oggettività che in è un progetto assai funzionale per la suggestione e l'autosuggestione anche di chi lo pone in atto. Non è dunque in base alla verità che oggi noi diciamo che il tostapane funziona e la danza della pioggia no, ma è in base alla potenza seduttiva di credibilità che è in grado di porre in atto l'attuale cultura tecnica rispetto a quelle precedenti.
In altre parole è la capacità del bravo illusionista che presentando il suo gioco progetta con la massima accuratezza cosa il pubblico dovrà considerare e cosa no e per essere ancora più efficace, convince se stesso al di là di ogni dubbio che questa prospettiva di visione è l'unica lecita grazie alla sintonia autorinforzante che permette di creare con il pubblico e con i colleghi.

Sgiombo:
Ripeto la banalissima ovvietà che il tostapane, del tutto indipendentemente dal contesto storico-culturale, funziona solo come tostapane (e non come bicicletta) alla più che ovvia, banalissima condizione di rispettare quelle che la conoscenza scientifica ci dice essere le condizioni oggettive del suo funzionamento.
E non funzionerà per autosuggestione ma perche rispetta l’ oggettivo divenire naturale (considerabile tale alla condizione di determinate credenze indimostrabili), funzionerà benissimo anche fra gli Hopi che non sanno nulla del suo funzionamento (OVVISSIMAMENTE, non trattandosi di bacchetta magica o altro pseudostrumento supertizioso, purché vi si faccia arrivare la corrente elettrica, o anche solo una batteria portatile a cui collegarlo).

Non così la danza della poggia, che può funzionare (e probabilmente funziona negli appropriati contesti storici-culturali) per conservare la coesione sociale della tribù e il potere e i privilegi di stregoni e capi-tribù, ma non per lo scopo che coscientemente afferma di prefiggersi, cioè di far piovere: non c’ è suggestione collettiva che tenga, se le condizioni meteorologiche non sono quelle adatte, nessuna danza della pioggia farà piovere (contrariamente al caso della scienza, non esistono condizioni alle quali il sapere -anzi: lo pseudosapere- superstizioso su cui si fonda possa essere considerato oggettivamente vero).

E’ dunque propio “in base alla verità che oggi noi diciamo che il tostapane funziona e la danza della pioggia no”, e non affatto “in base alla potenza seduttiva di credibilità che è in grado di porre in atto l'attuale cultura tecnica rispetto a quelle precedenti”.
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Vecchio 22-06-2013, 19.52.08   #24
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

SECONDA PARTE


Sgiombo:
I colonizzati videro che la ruota funzionava oggettivamente, e non affatto per i radicali cambiamenti sociali e culturali che la colonizzazione impose loro

Maral:
Ma la ruota oggettivamente non funziona per il trasporto laddove non ci sono strade senza troppi buchi e fango, ma solo sentieri sconnessi tra paludi e foreste. Perché la ruota funzioni occorre un mondo in cui essa possa funzionare e, poiché in grandi parti della terra questo mondo non è presente, occorre averne la visione culturale che ne consenta il progetto. I colonizzati videro che la ruota funzionava quando i colonizzatori avevano già imposto il loro mondo con tutta la sua suggestione di potenza anche se inizialmente a livello fisico solo in piccola scala e dunque erano riusciti a determinare la visione culturale che lo rendeva possibile.

Sgiombo:
Pretendere che i mezzi tecnici funzionino in condizioni nelle quali il sapere scientifico vero e oggettivo (a certe condizioni, ecc.) ci dice che non funziona mi sembra decisamente demenziale (oppure credibile in base ad infondate e false -oggettivamente, in qualsiasi contesto sociale-culturale- credenze antiscientifiche, superstiziose, o comunque irrazionalistiche); il fatto che in tali condizioni non funzionano è anzi un’ ulteriore conferma dell’ oggettiva validità (pratica in assoluto; teorica a certe condizioni indimostrabili) della conoscenza scientifica.

Il (per moltissimi versi deprecabilissimo; fatto irrilevante in proposito) predominio culturale dell’ imperialismo occidentale è del tutto ininfluente sul funzionamento della ruota (che funzionava benissimo anche nella Cina feudale dell' epoca Ming, anche nell’ URSS di Stalin e funziona benissimo anche nel più sperduto villaggio degli Hopi o nella stessa foresta; se proprio non ci sono strade o terreni minimamente piani e regolari ove farla girare, allora un esempio pertinente è quello del tostapane, per il quale basta portare -facilissimamente- una batteria elettrica i necessari cavi di collegamento e le apposite fette di pane -preferibilmente con prosciutto e formaggio-: ti invito a provare per credere).




Sgiombo:
la distinzione fra una sensazione (per esempio la visione di un albero) e (la sensazione di) un giudizio circa una sensazione (per esempio il pensiero: “esiste quest’ albero”, “sto vedendo quest’ albero” è un’ immediata evidenza empirica (esattamente come la distinzione fra la visione di un albero e la visione di un gatto, per esempio).

Le previsioni delle eclissi sono precise al centesimo di secondo per il fatto che ciò che la scienza ci dice è vero (ometto le solite necessarie precisazioni teoriche), indipendentemente da qualsiasi contesto culturale (non è che per gli indiani Hopi un eclissi di sole o il passaggio di una cometa avviene in tempi diversi che per un’ occidentale che si trovi a passare da quei paraggi in simili frangenti, o che addirittura non avviene proprio a causa della loro diversa cultura e credenze) per la tutt’ altro che mitica oggettività (vedi sopra per le necessarie precisazioni teoriche; che sono tutt’ altra cosa dal relativismo di Feyerabend) della conoscenza scientifica.

Maral:
I momenti della sensazione e del giudizio di verità sulla sensazione sono senza dubbio distinguibili, ma non isolabili e sono collegati tra loro dal dubbio e dalla necessità del suo superamento. Vedendo un albero posso dubitare che quello sia proprio un albero e mettere in atto delle strategie culturali che mi permettano di dirimere il dubbio ( come vedendo il sole sparire nel cielo in pieno giorno posso pensare che sia un'eclisse nei termini in cui la mia cultura definisce l'eclisse come fenomeno astronomico).
Ma questo non toglie che in origine ciò che vedo mi si sia già presentato nella sua possibilità di essere un albero ed è su questa possibilità originaria (pre-giudiziale) che agiscono in modo inconscio i contesti culturali i quali determinano a priori anche le possibili alternative di significato cosciente di quella cosa che mi sembra un albero. La coscienza è comunque sempre funzione rappresentativa, fin dai primi istanti, ciò che ci appare davanti agli occhi nel suo significato cosciente non è mai la realtà in sé, non può esserlo in alcun modo, ma una rappresentazione significata e significante di questa realtà e la cultura in cui siamo nati e cresciuti ne determina inevitabilmente il significato insieme (e non dopo) ai mezzi biologici che possediamo, sia in termini originari sia in termini di diversa possibilità.

Sgiombo:
Ovvio che i fenomeni =/= cose in sé (Esse est prcipi!).

Comunque le sensazioni “brute” sono distinguibili dai giudizi (a posteriori e pregiudizi) che su di essi si possono avere e si hanno; e sono determinate dalla sola biologia e non dalla cultura (la cultura mi indurra a pensare “Toh, un’ eclissi di sole” ma la biolgia farà vedere tanto a me quanto ad un Hopi che in pieno giorno il sole viene coperto (io so che lo è dalla luna; ma sospetto anche gli Hopi, cosa peraltro del tutto irrilevante) e si fa buio.
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Vecchio 22-06-2013, 22.12.31   #25
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

Se ho capito bene maral, sostieni questa tesi, che è poi la tesi di Feyerabend, sulla base del dato empirico, ovvero, citando Einstein: nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato. Se infatti, così come non vi è prova tangibile della funzionalità della danza della pioggia, possiamo attribuire la tostatura del pane al caso o ad una causa che non sia l'irradiazione del tostapane (anche se a questo punto dovrei dubitare del fatto stesso che il pane sia effettivamente tostato, cioè dovrei dubitare di me stesso), nell'unico modo possibile, mettendo in discussione il dato sensibile.

Se il presupposto non fosse in tali termini, addentrato nella cultura indiana, la tribù non potrebbe giustificare in modo attendibile la danza della pioggia in termini di funzionalità, a differenza dell'occidentale, il quale può dimostrare la funzionalità di un tostapane, una volta che ha immerso l'indiano in questo contesto socio-culturale. Dunque, qualcosa funzionerebbe per certo, mentre qualcos'altro, quantomeno dubiteremo.

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Vecchio 23-06-2013, 10.56.50   #26
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

Citazione:
Originalmente inviato da sgiombo
Ammettere l’ intersoggettività delle sensazioni materiali non è per niente paradossale.

Basta conversare con altri uomini, ammettere (cose indimostrabili) che abbiano esperienze fenomeniche analoghe alla “nostra propria” direttamente esperibile e che i loro discorsi linguistici siano effettivamente tali (sensati) e veritieri o in linea di principio smascherabili se falsi; a queste condizioni si può verificare facilmente che gli oggetti materiali che percepiamo noi corrispondono per filo e per segno a quelli percepiti da qualsiasi altro uomo parlante (e ragionevolmente crederlo per qualsiasi altro senziente).
Ciò che si condivide in questo modo non è l’ aspetto soggettivo delle sensazioni materiali (che invece non è condivisibile; per esempio il fatto di udire gli ultrasuoni, che é proprio dei cani e non di noi uomini), bensì l’ autonomo essere e divenire delle percezioni materiali in tutte le esperienze fenomeniche coscienti, indipendentemente dalle nostre soggettive e arbitrarie preferenze, cioè i loro aspetti oggettivi (ciò che a mio parere si può spiegare con una corrispondenza di tutti gli aspetti oggettivi delle sensazioni fenomeniche materiali ad un'unica realtà in sé o noumeno).
L'intersoggettività non è paradossale, è paradossale a mio avviso che si pensi che le cose possano essere conosciute nella loro dimensione oggettiva in sé grazie a un accordo intersoggettivo. Quell'accordo intersoggettivo proprio in quanto voluto e progettato nelle sue modalità non rappresenterà la medesima immediata datità che si presume possa presentarsi uguale a tutti i soggetti (in tal caso non ci sarebbe nemmeno la necessità di definire un metodo), ma una costruzione rappresentativa voluta inevitabilmente dalla prospettiva culturale condivisa che la sorregge. Le nostre individuali percezioni non si sottometteranno quindi a quella realtà noumenica a mio avviso irraggiungibile che è la stessa per tutti, ma a una predefinizione metodologica basata sulla volontà di un accordo culturale tra tutti i soggetti che vivono e crescono in quella cultura. A quel punto la rappresentazione verrà illusoriamente intesa da chi condivide quella cultura (ma solo finché quel contesto culturale regge) come la realtà stessa svelata nel suo significato.

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Ripeto la banalissima ovvietà che il tostapane, del tutto indipendentemente dal contesto storico-culturale, funziona solo come tostapane (e non come bicicletta) alla più che ovvia, banalissima condizione di rispettare quelle che la conoscenza scientifica ci dice essere le condizioni oggettive del suo funzionamento.
E non funzionerà per autosuggestione ma perche rispetta l’ oggettivo divenire naturale (considerabile tale alla condizione di determinate credenze indimostrabili), funzionerà benissimo anche fra gli Hopi che non sanno nulla del suo funzionamento (OVVISSIMAMENTE, non trattandosi di bacchetta magica o altro pseudostrumento supertizioso, purché vi si faccia arrivare la corrente elettrica, o anche solo una batteria portatile a cui collegarlo).

Non così la danza della poggia, che può funzionare (e probabilmente funziona negli appropriati contesti storici-culturali) per conservare la coesione sociale della tribù e il potere e i privilegi di stregoni e capi-tribù, ma non per lo scopo che coscientemente afferma di prefiggersi, cioè di far piovere: non c’ è suggestione collettiva che tenga, se le condizioni meteorologiche non sono quelle adatte, nessuna danza della pioggia farà piovere (contrariamente al caso della scienza, non esistono condizioni alle quali il sapere -anzi: lo pseudosapere- superstizioso su cui si fonda possa essere considerato oggettivamente vero).

E’ dunque propio “in base alla verità che oggi noi diciamo che il tostapane funziona e la danza della pioggia no”, e non affatto “in base alla potenza seduttiva di credibilità che è in grado di porre in atto l'attuale cultura tecnica rispetto a quelle precedenti”.

Quando si afferma che la danza della pioggia non produce mai la pioggia, mentre il tostapane tosta sempre il pane si dà un giudizio su un rapporto di causa effetto che è condizionato dalla prospettiva culturale a cui si appartiene, perché sia la danza della pioggia che il tostapane per funzionare non possono essere presi in sé, isolate dai contesti di riferimento. Che poi questi contesti siano determinati da un rapporti ecologici, sociali, materiali o quanto altro non ha rilevanza, sempre di contesti si tratta.
Se non c'è quel contesto culturale (se non c'è qualcuno che mi porti in quel contesto culturale), come faccio io, indiano Hopi, a capire che quello è un tostapane e non una bacchetta magica o un amuleto?
Per riconoscerlo nella sua funzione dovrò ovviamente avere la corrente elettrica e una batteria, ma questo non è per nulla ovvio e men che meno facile per me, indiano Hopi, perché la cultura che dà un senso alla corrente elettrica e alla batteria, che dà senso alla legge di Ohm, non è la mia cultura che dà quel significato e quel senso alle cose. Ci vuole qualcuno, istruito in quella cultura, che mi porti la corrente elettrica e la batteria che sono prodotti di quella cultura, di quel modo di pensare il mondo che produce quegli oggetti con quella funzionalità. Riesco a spiegarmi?
La scienza che mi istruisce sul come si usa il tostapane e mi mostra che se seguo le istruzioni fornitemi il tostapane funziona mi sta portando in quella cultura, mi dice di prenderla e farla mia abbandonando i miei pregiudizi culturali per adottare i suoi e questo può convincermi a farlo solo presentando la sua cultura come maggiormente potente. Quindi non più aderente al reale in sé, ma più potente a rappresentare la realtà condizionandola nei suoi significati.
Gli indiani Hopi dicono che il contesto che produceva l'efficacia della danza della pioggia non esiste più, come se non fossero più reperibili cavi elettrici e bobine per il tostapane perché è andata dispersa la cultura che sapeva produrli, ma dicono anche che un tempo quel contesto ora irriproducibile esisteva. Questo ovviamente non possiamo verificarlo, ma non possiamo nemmeno risolutamente escluderlo, neppure in termini scientifici. Perché è solo dalla nostra prospettiva culturale duale e pregiudiziale che possiamo dire che la danza della pioggia avesse esclusivamente un senso sociale senza alcuna implicazione fisica, ossia che la res cogitans e la res extensa non solo possono, ma devono restare separate per evitare fuorvianti interferenze.

Il buio è buio per tutti gli essenti che sanno percepire la differenza tra il buio e la luce, dunque sarà pur vero che esse est percipi, ma non si può limitare quel percepire a un puro fenomeno sensoriale, perché nel momento in cui il buio e la luce appaiono alla coscienza grazie al sistema sensorio che condividiamo appaiono inevitabilmente e immediatamente come significati rappresentativi e, nel loro significare (fosse pure anche solo strettamente fisico), restano determinati dal contesto culturale in cui appaiono. Non c'è (non può apparire) una natura in sé, staccata dalla mente che ce la mostra nel significato in cui ci appare, nemmeno a livello percettivo. E quella mente è sempre un prodotto culturale, anche nei termini biologici con cui la definiamo.
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Vecchio 23-06-2013, 11.15.27   #27
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Se ho capito bene maral, sostieni questa tesi, che è poi la tesi di Feyerabend, sulla base del dato empirico, ovvero, citando Einstein: nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato. Se infatti, così come non vi è prova tangibile della funzionalità della danza della pioggia, possiamo attribuire la tostatura del pane al caso o ad una causa che non sia l'irradiazione del tostapane (anche se a questo punto dovrei dubitare del fatto stesso che il pane sia effettivamente tostato, cioè dovrei dubitare di me stesso), nell'unico modo possibile, mettendo in discussione il dato sensibile.

Se il presupposto non fosse in tali termini, addentrato nella cultura indiana, la tribù non potrebbe giustificare in modo attendibile la danza della pioggia in termini di funzionalità, a differenza dell'occidentale, il quale può dimostrare la funzionalità di un tostapane, una volta che ha immerso l'indiano in questo contesto socio-culturale. Dunque, qualcosa funzionerebbe per certo, mentre qualcos'altro, quantomeno dubiteremo.
Non è che occorra mettere in dubbio che il pane messo nel tostapane sia effettivamente tostato per mettere in dubbio che il tostapane possa funzionare in sé e per sé. Il punto è che non ci accorgiamo di tutto l'immenso bagaglio culturale che serve sia per concepire un tostapane sia per verificare che il tostapane funziona e che quindi è vero (o falso) quel rapporto di causa effetto. Il punto è che mentre l'occidentale può portare l'indiano nel suo ambito culturale (ma fino a un certo punto, determinato da quanto distanti sono le reciproche visioni del mondo) convertendolo a quella cultura. l'indiano non può farlo, perché l'ambito di riferimento in cui si verificava (appariva) il positivo funzionamento della danza della pioggia, non c'è più, non lo si trova più e non può essere ricostruito con una progettazione artificiale fondata su una volontà cosciente.
Il fatto che non lo si trovi più non implica però che un tempo non lo si trovasse e che in un altro tempo non possa di nuovo apparire e affermarsi.
maral is offline  
Vecchio 23-06-2013, 19.02.12   #28
tiziano
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O Maral, mi pare che tu abbia affrontato il problema dalla tangente invece che dalla secante...
cosicché si finisce infine per andar per la tangente.

Torniamo alla legge di Hom, ma potremmo prendere una qualsiasi legge o anche un qualsiasi algoritmo, tò: 2+2=4.
E' ovvio che nella nostra società ci sono gli interruttori, i tostapane, ecc. ecc., mentre invece abbiamo smesso di fare la danza della pioggia (anche se facciamo tante cose analoghe, leggere l'oroscopo ad esempio); è altrettanto ovvio che Faraday, Hom, Maxwell et alia studiavano elettricità ed elettromagnetismo perché se ne immaginava un uso industriale; è altrettanto ovvio che c'erano luridi capitalisti pronti ad investire per farci quattrini.
Ma: e allora?
Siamo partiti dalla domanda: E' dunque possibile concludere che anche la verità scientifica si afferma non in base alla sua oggettività di verifica metodologica, ma come emergenza culturale implicita ad un determinato contesto storico e sociale?
Sì: e allora?
Questo fatto non inficia la validità di una teoria. Spiego: potrebbe essere stato molto improbabile, per non dire impossibile, che Hom trovasse la sua legge fuori dall'Europa ottocentesca, nel corso della rivoluzione industriale, ma V=RI, una volta enunciata e verificata, è vera sempre e ovunque (fino a prova contraria); sarebbe vera anche in assenza di corrente elettrica, di fili di rame e di condensatori. Lo stesso vale per 2+2=4, anche se non ci fosse nulla da contare, mucchietti di sassi, palline, soldini, ecc..
Naturalmente sto semplificando, perché ad esempio, 2+2=4 solo se usiamo un sistema decimale, se ne usiamo uno quinario le cose cambiano, e la legge di Hom vale in questo universo e in questo sistema fisico. Ma credetemi: Feyerabend ha semplificato molto di più (e per capire quanto riflettete sulla questione del biglietto di Lakatos - anche se non ricordo se si trova alla fine di "Contro il metodo" o da qualche altra parte, caso mai ve lo racconto io).
La questione è quindi un altra: quali sono gli indicatori di validità di una teoria scientifica, a prescindere da chi, quando, come e perché l'ha elaborata? Perché si sono affermati quegli indicatori e non altri?
Credo comunque che sia accettabile questo elenco:
indicatori esterni (ovvero relativi al mondo):
1. spiegazione
2. controllo e conferma
indicatori interni (ovvero relativi alla giustificazione della teoria):
3. radicamento (coerenza di una teoria con altre credenze e teorie sul mondo già affermate)
4. cooperazione esplicativa (collegamento di una teoria con altre teorie
5. controllabilità
6. generalità (ampiezza dei fenomeni spiegati: E=Mcquadro spiega più di V=RI)
7.semplicità
Sicuramente mi scordo qualcosa e altrettanto sicuramente ci sarebbe da approfondire (ad esempio la popperiana distinzione tra verificazione e falsificazione, nonché la questione dei paradigmi e dei programmi di ricerca), abbiate pazienza.
Ma concludo: quali sono gli indicatori di validità della teoria che prevede che danzando si provochi la pioggia?
tiziano is offline  
Vecchio 24-06-2013, 00.21.16   #29
maral
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Originalmente inviato da tiziano
Siamo partiti dalla domanda: E' dunque possibile concludere che anche la verità scientifica si afferma non in base alla sua oggettività di verifica metodologica, ma come emergenza culturale implicita ad un determinato contesto storico e sociale?
Sì: e allora?
Questo fatto non inficia la validità di una teoria. Spiego: potrebbe essere stato molto improbabile, per non dire impossibile, che Hom trovasse la sua legge fuori dall'Europa ottocentesca, nel corso della rivoluzione industriale, ma V=RI, una volta enunciata e verificata, è vera sempre e ovunque (fino a prova contraria); sarebbe vera anche in assenza di corrente elettrica, di fili di rame e di condensatori. Lo stesso vale per 2+2=4, anche se non ci fosse nulla da contare, mucchietti di sassi, palline, soldini, ecc..
Non mi pare di aver messo in dubbio la validità della legge di Ohm relativamente al contesto (modo di pensare) in cui può essere concepita e verificata come vera o falsa se seguiamo le prescrizioni previste dal nostro modo di pensare. Ma fuori da quel contesto la legge di Ohm è valida lo stesso? Neanche qui dico che è falsa, perché mi pare una domanda che a mio avviso non ha risposta possibile, visto che per dare risposta dobbiamo comunque variare quel diverso contesto di senso introducendovi il nostro modo di pensare e i prodotti fisici di quel modo di pensare.
Certo, possiamo sempre pensare che le leggi della fisica e il conseguente funzionamento dei tostapani siano in sé universali. Per porre questo presupposto la separazione cartesiana (e ancor prima platonica) tra res cogitans e res extensa ci è molto di aiuto (magari a livello inconscio), ma un indiano Hopi che non ha conosciuto né Platone né Cartesio (nemmeno a livello inconscio) come fa ad assumerli?
Lascio da parte il discorso sul 2+2=4 per non innescare fuorvianti polemiche, mi limito ad annotare che l'uso dei numeri in termini aritmetici implica assunzioni astratte estremamente complesse che non tutte le culture hanno prodotto (è sufficiente leggere "I principi della matematica" di B. Russell per rendersi conto della complessità delle astrazioni logiche implicite nell'uso aritmetico dei numeri). Allora non è vero che ovunque 2+2 fa 4? Come sopra, laddove il pensiero non ha raggiunto questi vertici di astrazione incamminandosi su percorsi diversi (anche in senso astratto) la domanda non ha senso.

Citazione:
La questione è quindi un altra: quali sono gli indicatori di validità di una teoria scientifica, a prescindere da chi, quando, come e perché l'ha elaborata? Perché si sono affermati quegli indicatori e non altri?
Credo comunque che sia accettabile questo elenco:
indicatori esterni (ovvero relativi al mondo):
1. spiegazione
2. controllo e conferma
indicatori interni (ovvero relativi alla giustificazione della teoria):
3. radicamento (coerenza di una teoria con altre credenze e teorie sul mondo già affermate)
4. cooperazione esplicativa (collegamento di una teoria con altre teorie
5. controllabilità
6. generalità (ampiezza dei fenomeni spiegati: E=Mcquadro spiega più di V=RI)
7.semplicità
Sicuramente mi scordo qualcosa e altrettanto sicuramente ci sarebbe da approfondire (ad esempio la popperiana distinzione tra verificazione e falsificazione, nonché la questione dei paradigmi e dei programmi di ricerca), abbiate pazienza.
Ma concludo: quali sono gli indicatori di validità della teoria che prevede che danzando si provochi la pioggia?
Ma questi indicatori di validità sono universali o sono il prodotto di un modello culturale specifico? Perché in tal caso che senso ha verificare il prodotto di una cultura diversa dalla nostra sulla base dei modelli di pensare da noi prodotti e pretendere che essi siano oggettivamente validi per qualsiasi giudizio? Possiamo forse prescindere dal come quando e chi ha elaborato questi indicatori di validità?
Quanto agli indicatori di validità della teoria che prevede che danzando si provochi la pioggia è certo una domanda difficile se la cultura di quegli indicatori è andata dispersa. Posso presumere che fosse il semplice fatto che piovesse, ma dove l'aspetto fenomenico del piovere conservava insieme la sua valenza soggettiva e oggettiva senza le nostre pretese di incontaminata oggettività, perché l'apparire di qualsiasi fenomeno è sempre determinato da un incontro tra il soggetto e l'oggetto, è l'apparire di questo incontro, anche quando il soggetto (e dunque i suoi aspetti sociali e culturali) vorrebbe tanto non apparire nel fenomeno stesso.
Se fossi un indiano Hopi risponderei così, non essendolo presumo che per un Hopi la mia risposta sarebbe sbagliata e non posso dargli torto.
maral is offline  
Vecchio 24-06-2013, 19.43.51   #30
sgiombo
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

Maral:
L'intersoggettività non è paradossale, è paradossale a mio avviso che si pensi che le cose possano essere conosciute nella loro dimensione oggettiva in sé grazie a un accordo intersoggettivo. Quell'accordo intersoggettivo proprio in quanto voluto e progettato nelle sue modalità non rappresenterà la medesima immediata datità che si presume possa presentarsi uguale a tutti i soggetti (in tal caso non ci sarebbe nemmeno la necessità di definire un metodo), ma una costruzione rappresentativa voluta inevitabilmente dalla prospettiva culturale condivisa che la sorregge. Le nostre individuali percezioni non si sottometteranno quindi a quella realtà noumenica a mio avviso irraggiungibile che è la stessa per tutti, ma a una predefinizione metodologica basata sulla volontà di un accordo culturale tra tutti i soggetti che vivono e crescono in quella cultura. A quel punto la rappresentazione verrà illusoriamente intesa da chi condivide quella cultura (ma solo finché quel contesto culturale regge) come la realtà stessa svelata nel suo significato.

Sgiombo:
Non presumo che la “datità [fenomenica, n. d. r.]" si presenti uguale a tutti i soggetti” (umani) di esperienza; infatti non ha senso chiedersi se i dati fenomenici di due o più esperienze sensibili reciprocamente separate e trascendenti siano uguali o meno dal momento che non si possono confrontare (=osservare uno accanto all’ altro nella continuità di un'unica esperienza cosciente: sarebbe contraddittorio il sostenerlo); e men che meno che si tratti della “stessa cosa”, bensì che si possa ammettere (indimostrabilmente) che siano reciprocamente ccorrispondenti “per filo e per segno”.
E questa corrispondenza puntuale ed univoca, per quanto OVVIAMENTE di fatto possa essere ammessa nell’ ambito di una certa cultura, è accettabile nell’ ambito di qualsiasi contesto culturale. Non è “di diritto” condizionata dagli ambienti culturali (in teoria tutti) in cui si può ammettere ma solo “di fatto”, inevitabilmente (per il fatto che inevitabilmente si pensa -oltre ad agire- in un qualche contesto culturale).
In pratica (a prescindere dalle importanti precisazioni critiche che si possono e a mio avviso si devono fare in sede teorica -filosofica- in proposito) tutti, in qualsiasi ambiente culturale, vedono e sentono “le stesse cose” per così dire impropriamente ed erroneamente (in realtà si comportano COME SE VEDESSERO LE STESSE COSE); salvo casi chiaramente patologici, ben spiegati scientificamente (come il daltonismo).
E anche se OVVIAMENTE accade di fatto in determinati ambienti culturali (e non in tutti con la medesima facilità), non è in linea di principio, teoricamente per nulla dipendente dai vari contesti culturali (cioè può in linea di principio accadere in qualsiasi contesto culturale) la possibilità di ammettere che in realtà si tratti di una corrispondenza puntuale ed univoca fra diverse esperienze fenomeniche. Una volta ammessa la quale (di fatto solitamente si ammette “volgarmente” l’ identità dei fenomeni stessi nelle diverse esperienze coscienti, il che non ha alcuna conseguenza pratica apprezzabile) l’ oggettività (ovviamente relativa e limitata; e tendenzialmente crescente) della conoscenza scientifica è fondata (in qualsiasi contesto storico, sociale, culturale).
Di fatto in tutti i contesti culturali, anche fra gli Hopi, tutte le persone sane di mente (e non abbastanza filosoficamente ferrate o “smaliziate”) sono convinte che tutti vedono le stesse cose (anche se, per esempio, gli uni credono -correttamente- di vedere un tostapane e gli altri -scorrettamente- un amuleto).




Maral:
Quando si afferma che la danza della pioggia non produce mai la pioggia, mentre il tostapane tosta sempre il pane si dà un giudizio su un rapporto di causa effetto che è condizionato dalla prospettiva culturale a cui si appartiene, perché sia la danza della pioggia che il tostapane per funzionare non possono essere presi in sé, isolate dai contesti di riferimento. Che poi questi contesti siano determinati da un rapporti ecologici, sociali, materiali o quanto altro non ha rilevanza, sempre di contesti si tratta.
Se non c'è quel contesto culturale (se non c'è qualcuno che mi porti in quel contesto culturale), come faccio io, indiano Hopi, a capire che quello è un tostapane e non una bacchetta magica o un amuleto?
Per riconoscerlo nella sua funzione dovrò ovviamente avere la corrente elettrica e una batteria, ma questo non è per nulla ovvio e men che meno facile per me, indiano Hopi, perché la cultura che dà un senso alla corrente elettrica e alla batteria, che dà senso alla legge di Ohm, non è la mia cultura che dà quel significato e quel senso alle cose. Ci vuole qualcuno, istruito in quella cultura, che mi porti la corrente elettrica e la batteria che sono prodotti di quella cultura, di quel modo di pensare il mondo che produce quegli oggetti con quella funzionalità. Riesco a spiegarmi?
La scienza che mi istruisce sul come si usa il tostapane e mi mostra che se seguo le istruzioni fornitemi il tostapane funziona mi sta portando in quella cultura, mi dice di prenderla e farla mia abbandonando i miei pregiudizi culturali per adottare i suoi e questo può convincermi a farlo solo presentando la sua cultura come maggiormente potente. Quindi non più aderente al reale in sé, ma più potente a rappresentare la realtà condizionandola nei suoi significati.
Gli indiani Hopi dicono che il contesto che produceva l'efficacia della danza della pioggia non esiste più, come se non fossero più reperibili cavi elettrici e bobine per il tostapane perché è andata dispersa la cultura che sapeva produrli, ma dicono anche che un tempo quel contesto ora irriproducibile esisteva. Questo ovviamente non possiamo verificarlo, ma non possiamo nemmeno risolutamente escluderlo, neppure in termini scientifici. Perché è solo dalla nostra prospettiva culturale duale e pregiudiziale che possiamo dire che la danza della pioggia avesse esclusivamente un senso sociale senza alcuna implicazione fisica, ossia che la res cogitans e la res extensa non solo possono, ma devono restare separate per evitare fuorvianti interferenze.

Il buio è buio per tutti gli essenti che sanno percepire la differenza tra il buio e la luce, dunque sarà pur vero che esse est percipi, ma non si può limitare quel percepire a un puro fenomeno sensoriale, perché nel momento in cui il buio e la luce appaiono alla coscienza grazie al sistema sensorio che condividiamo appaiono inevitabilmente e immediatamente come significati rappresentativi e, nel loro significare (fosse pure anche solo strettamente fisico), restano determinati dal contesto culturale in cui appaiono. Non c'è (non può apparire) una natura in sé, staccata dalla mente che ce la mostra nel significato in cui ci appare, nemmeno a livello percettivo. E quella mente è sempre un prodotto culturale, anche nei termini biologici con cui la definiamo.

Sgiombo:
Che l’ uso di ogni strumento tecnico funzionante (come il tostapane) o meno (come la danza della pioggia) accade in un certo contesto culturale è una banalissima ovvietà (come dire che accade in un qualche luogo).
Ma il suo funzionamento (tostapane) o meno (danza della pioggia) è del tutto indipendente da tale contesto (tale contesto è del tutto irrilevante in proposito), bensì un fatto oggettivo (per essere precisi sul piano teorico: ammesse certe condizioni necessarie e indimostrabili della conoscenza scientifica).
Che tu, indiano Hopi, capisca o meno che un tostapane non è una bacchetta magica o un amuleto e che non sappia nulla di elettricità é del tutto irrilevante: funziona ugualmente (ovviamente se lo si usa come un tostapane e non come -che ne so?- una bicicletta), al contrario della danza della pioggia.

La scienza può superare la superstizione non solo perché più praticamente efficace, ma anche perché più oggettivamente vera (le due cose sono peraltro correlate).

Che la danza della pioggia non funzioni affatto (in quanto tale, per far piovere) mai, in nessun contesto culturale è empiricamente dimostrato (verificato, o per lo meno confermato) dalla meteorologia scientifica (e non vedo che c’ entri la distinzione fra res cogitans e res extensa).

Le sensazioni immediate non “significano” -?- nulla di per sé (non sono segni o simboli di alcunché, salvo ben precisi casi particolari): sono semplicemente quel che sono (eventi fenomenici coscienti), punto e basta.
I “significati” più svariati glieli possiamo dare o meno attraverso ulteriori, distinti eventi fenomenici (mentali); cioè possiamo o meno inoltre sottoporre le sensazioni immediate alle più diverse considerazioni e pensieri, che costituiscono diversi, successivi o al massimo contemporanei eventi fenomenici (mentali); ma di fatto sono tantissime le sensazioni “alle quali non facciamo caso”, magari perché immersi in pensieri più o meno pressanti.

E soltanto in questi eventuali diversi, ulteriori eventi mentali entra in gioco il contesto culturale, del tutto irrilevante circa le sensazioni immediate, contrariamente alla biologia (un daltonico, anche se europeo, anche se mio concittadino e contemporaneo, vede una rosa rossa diversamente da me; non invece un indiano hopi non affetto da daltonismo o altre patologie visive).
Ergo (a certe condizioni indimostrabili) c’ è una natura in sé ben distinta dalla conoscenza che di essa si può avere in diversa misura nei diversi contesti culturali (e per certi aspetti anche psicologici-esperienziali individuali ovviamente).
sgiombo is offline  

 



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