ciao neman, il mio disappunto non è verso chi si fa domande in continuazione e che dubita scetticamente (andrei contro la mia fisma
) ma contro chi, dal dubbio radicale (quello totale) passa all'allontamamento (intellettuale) definitivo dal mondo: "tutto è soggettivo", "tutto è illisione, nulla è reale", cose del genere io non condivido.
come ho anticipato io ritengo questa una faccenda meramente linguistica.
ora cercherò di esporre la mia idea a riguardo (cercando di mostrare perchè l'idealismo, l'anti-realismo e lo scetticismo radicale siano solo degli errori linguistici), riprendendo in parte quello già scritto nel mio altro topic, quello sulla verità:
La realtà assoluta è un concetto al quale non si è dato un significato: non si capisce cos’è veramente, cosa dovremmo attenderci dalla realtà assoluta e come ci accorgeremmo di essa? Il fatto è che tale termine è nato solo da un uso improprio del linguaggio; se ci pare lecito tale uso è solo perché se ne è sentito molto parlare, o meglio, si è sentito parlare molto dello scetticismo totale, che indirettamente sorregge l’idea della sensatezza di una realtà assoluta.
Si potrebbe forse pensare ad un ente che sancisce cosa è vero e cosa è falso nel senso assoluto, ma la soluzione è estremamente ingenua: infatti, anche le parole di tale ente non sarebbero esenti dal dubbio.
Alcuni credono che la realtà assoluta sia composta da proposizioni vere in ogni contesto. Allora è ovvio che ‘La macchina è nel garage’ non è vera assolutamente perché se la macchina fosse nel giardino allora la proposizione sarebbe falsa. Se si accettasse questa impostazione allora bisognerebbe riconoscere che le uniche verità assolute sarebbero le proposizioni vere della logica: le tautologie. Ma è del tutto naturale osservare che a noi interessano quasi esclusivamente le verità non logiche (perché autentiche portatrici di informazione), e che se la macchina è effettivamente nel garage allora la proposizione è vera, anche se non lo è in ogni contesto (o come alcuni dicono metaforicamente: non è vera in ogni mondo possibile).
Il discordo è più facile di quel che sembra e può esser sintetizzato con la banale osservazione: una proposizione perché sia vera non deve esser necessariamente vera in ogni struttura.
Riconoscendo che credere ad una realtà assoluta è un non-senso (per esser precisi c’è da osservare che nell’ultima concezione che ho esposto, quella in cui si identificava la realtà assoluta come l’insieme delle tautologie, il termine ‘realtà assoluta’ non è senza senso, comunque tale convinzione non è affatto problematica), si deve ammettere che credere anche che non vi è una realtà assoluta è un non-senso. O meglio, anche lo scetticismo totale è un non-senso. Lo scettico continua a cercare tale realtà assoluta, non la trova, e sancisce che tutto è illusione. Ma è naturale come anche tale posizione sia insensata.
Lo scettico crede che esistano solamente le immagini del mondo, ossia crede che sia tutto un’illusione. Ma come abbiamo visto ciò è assurdo: io non so che cosa sia una 'realtà assoluta'. Io dico che la realtà è quella in cui vivo: questo basta. Anche perché dal punto di vista linguistico non avrebbe senso parlare di ‘illusioni sistematiche’.
Una domanda interessante e fruttuosa, in questa direzione, potrebbe essere: come fai a dire che ciò che vivi è un’illusione e non la realtà, non è forse solo una convenzione linguistica questa?
Le proposizioni sono descrizioni del mondo (di una parte di esso), ma esistono più descrizioni vere di un fatto, non solamente una.
Se getto a caso dei sassolini sul pavimento di casa mia posso basare la mia descrizioni su differenti fattori: grandezza, attiguità, colore, peso etc…
I nostri interessi determinano la descrizione, ma il mondo non cambia.
La descrizione non è una mera copia dell’oggetto che si intende copiare, bensì tale descrizione viene modellata dalle nostre scelte concettuali, influenzate dalla nostra natura, dalla nostra cultura e, in particolare, dai nostri interessi: i linguaggi sono infatti funzionali a dei particolare scopi. Kant si accorse di questo, ma sbagliò volendo andare oltre, credendo che se la descrizione è modellata dalle nostre scelte concettuali allora noi non stiamo descrivendo il mondo, non giungiamo alla cosa come essa è in realtà (notiamo che il noumeno richiama il concetto di realtà assoluta: concetto che io ritengo, nella maggior parte dei casi, vuoto, e nei rimanenti non problematico).
In particolare l’errore che fece è rappresentato dalla domanda “Se le descrizioni del mondo sono solo che le nostre descrizioni del mondo, dipendenti da fattori che ci riguardano, allora qual è la descrizione del mondo come il mondo è in sé?”.
Questo ‘in sé’ (come ‘realtà assoluta’) è un termine senza senso: chiedersi “qual è la descrizione del mondo come il mondo è in sé?” equivarrebbe a chiedersi “qual è la descrizione del mondo nel linguaggio proprio del mondo”, ma noi sappiamo che tale linguaggio non esiste, perché esistono solo linguaggi umani funzionali a scopi umani.(Notare che se non ha senso affermare che “è possibile descrivere il mondo come è in sé” non ha senso neppure la negazione “non è possibile descrivere il mondo come è in sé”.)
Di fondamentale importanza è il principi di fallibilità: si può dubitare di qualcosa, ma non si può estendere il dubbio ad ogni cosa. Che io abbia sbagliato riguardo ad alcune questioni, anche su quelle più importanti e basilari, non mi può far dubitare su ogni mia credenza. (Anche se una volta si credeva erroneamente all’esistenza di draghi, ciò non mi può far dubitare che ora io abbia un mio appartamento.)
Molti pensano che l’inevitabile conseguenza del fatto che una particolare conoscenza potrebbe essere messa in discussione sia lo scetticismo totale: questo non è affatto vero.
“Dubitare solo dove si ha ragioni per farlo” questa è la massima da seguire; ma quali sono queste ragioni? Esiste un algoritmo grazie al quale possiamo giungere all’inoppugnabile?
No, un tale algoritmo non può esistere per il semplice fatto che raggiungere certezze epistemologiche immutabili è solo una fantasia metafisica.
La ricerca non è un algoritmo, o un metodo ben precisabile, ma ciò non significato che non la ricerca non sia attuabile: la ricerca è costituita (anziché da un procedimento universale e immutabile) da un team di ricercatori che tentano di escogitare delle buone idee e le mettono alla prova costantemente: vi è un’iterazione profonda tra l’ambiente e i ricercatori, non vi è semplicemente un’osservazione passiva.
Provare a mettere costantemente sotto pressione le nostre teorie, cercando controesempi e altro che possa falsificarle, è una impostazione chiamata ‘sperimentalismo’ ed essenziale per giungere ad un fallibilismo genuino e costruttivo.
Io dico che quello di poco fa era un sogno perché posso confrontarlo con il mondo, dunque parlare della mia esistenza come fosse un sogno è privo di significato.
Chiarificazione di questo uso linguistico. Vivo una vicenda, poi mi sveglio e inizio il racconto di ciò che ho vissuto; dopo mi insegnano e mi correggono: prima del racconto (così mi dicono) metti ‘Ho sognato che’.
Ancora sul sogno: è possibile che una persona stia sognando, credendo di star vivendo realmente; ma se noi volessimo estendere tale dubbio su noi stessi si verificherebbe un problema non da poco. Affermando, nel sogno, “Noi non stiamo vivendo nel mondo, ma soltanto in un sogno” non si esprimerebbe effettivamente ciò che si vorrebbe per due distinti motivi: 1) il fatto è che tale espressione rientra anch’essa nel sogno e 2) anche il fatto che queste parole abbiano un significato rientra nel sogno.
Da ciò si deduce che non è possibile esprimere un dubbio scettico totale sulla nostra stessa vita.
continua...