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Vecchio 12-06-2013, 21.32.07   #11
sgiombo
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

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Originalmente inviato da maral
Se le verità scientifiche dipendono dal rapporto dialettico fra soggettività umana ed oggettività naturale non capisco come sia possibile escludere dal termine soggettività umana e dunque dal rapporto dialettico stesso l'apporto culturale storico e sociale. In realtà spesso nella scienza si tende a considerare la teoria verificata vera solo come oggettività naturale e non come risultato interpretativo di una dialettica tra soggetto e oggetto in cui entrambi sono ugualmente presenti in quanto si enuncia. Sappiamo che il riferimento soggettivo viene per così dire, annacquato nel concetto di soggettività condivisa (che stabilisce a priori per tutti gli osservatori accreditati come osservare, cosa osservare, cosa escludere come interferenza e come esprimere i risultati), ma a maggior ragione questa soggettività condivisa sarà più o meno coscientemente fondata su una cultura storica e sociale parimenti condivisa. Dunque non vedo perché, proprio alla luce di questa dialettica, il contesto sociale non dovrebbe avere influenza non solo sui tempi di maturazione, ma pure sui contenuti finali delle leggi scientifiche.

Penso che il “contributo” (o le conseguenze) della soggettività umana alla conoscenza scientifica consista nei caratteri e nei limiti degli organi di senso e delle capacità di pensiero, ragionamento, inferenza che ci sono propri.
E questi caratteri e limiti sono sostanzialmente sempre gli stessi malgrado il variare del contesto storico-sociale in cui gli uomini e in particolare i ricercatori operano. Certo quest’ ultimo può influenzarli in un certa misura, ma sempre quantitativamente, senza provocare “salti qualitativi”; per esempio dotando l’ uomo-ricercatore di mezzi tecnici che potenziano i suoi organi di senso come telescopi, microscopi, camere a bolle, acceleratori di particelle, ecc., oppure che ne facilitano e sveltiscono (anche sbalorditivamente) inferenze e calcoli teorici, come i computer.
Dunque il contesto sociale può accelerare o rallentare a seconda dei casi l’ acquisizione di nuove e tendenzialmente più profonde ed estese conoscenze scientifiche, ma non “modularne” ad libitum (delle classi dominanti) i “contenuti”; i quali nascono dall’ interazione fra una soggettività umana sostanzialmente “biologica”, indipendente (nel senso qui sopra precisato, con possibili potenziamenti tecnici quantitativi) dal mutevole contesto sociale e oggettività (ammissibile a certe condizioni indimostrabili) del modo materiale naturale.

Infatti in ogni epoca le classi dominanti possono anche pesantemente condizionare la “velocità” del progresso scientifico tendenziale; possono anche pesantemente “condire” le conoscenze scientifiche con interpretazioni ideologiche false e soprattutto tendenziose, ma non possono negare le evidenze empiriche falsificanti teorie superate. Possono fare di tutto pèrché non ne vengano trovate, per esempio finanziando selettivamente certi programmi di ricerca e non altri; possono fare di tutto perché non divengano di dominio pubblico se non accompagnate da determinate interpretazioni, magari dispiegando molteplici ipotesi ad hoc, ma non possono modificarle. E prima o poi le condizioni sociali mutano e consentono all’ evidenza empirica di imporsi e alla scienza di progredire, superando le ipotesi falsificate e proponendone di nuove tendenzialmente sempre più dotate di validità oggettiva (anche se pur sempre relativa e limitata).

Anche perché la stessa conoscenza scientifica oggettiva, sia pur limitatamente, relativamente (e a certe condizioni indimostrabili) è una forza produttiva e un elemento dinamico nel contesto sociale, sul quale tende a retroagire favorendone il progresso (certo, in generale, in misura anch’ essa linitata e relativa, non senza controtendenze, come tutto ciò che caratterizza la storia umana).
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Vecchio 13-06-2013, 17.06.07   #12
maral
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

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Originalmente inviato da sgiombo
Penso che il “contributo” (o le conseguenze) della soggettività umana alla conoscenza scientifica consista nei caratteri e nei limiti degli organi di senso e delle capacità di pensiero, ragionamento, inferenza che ci sono propri.
E questi caratteri e limiti sono sostanzialmente sempre gli stessi malgrado il variare del contesto storico-sociale in cui gli uomini e in particolare i ricercatori operano. Certo quest’ ultimo può influenzarli in un certa misura, ma sempre quantitativamente, senza provocare “salti qualitativi”; per esempio dotando l’ uomo-ricercatore di mezzi tecnici che potenziano i suoi organi di senso come telescopi, microscopi, camere a bolle, acceleratori di particelle, ecc., oppure che ne facilitano e sveltiscono (anche sbalorditivamente) inferenze e calcoli teorici, come i computer.
Dunque il contesto sociale può accelerare o rallentare a seconda dei casi l’ acquisizione di nuove e tendenzialmente più profonde ed estese conoscenze scientifiche, ma non “modularne” ad libitum (delle classi dominanti) i “contenuti”; i quali nascono dall’ interazione fra una soggettività umana sostanzialmente “biologica”, indipendente (nel senso qui sopra precisato, con possibili potenziamenti tecnici quantitativi) dal mutevole contesto sociale e oggettività (ammissibile a certe condizioni indimostrabili) del modo materiale naturale.

Infatti in ogni epoca le classi dominanti possono anche pesantemente condizionare la “velocità” del progresso scientifico tendenziale; possono anche pesantemente “condire” le conoscenze scientifiche con interpretazioni ideologiche false e soprattutto tendenziose, ma non possono negare le evidenze empiriche falsificanti teorie superate. Possono fare di tutto pèrché non ne vengano trovate, per esempio finanziando selettivamente certi programmi di ricerca e non altri; possono fare di tutto perché non divengano di dominio pubblico se non accompagnate da determinate interpretazioni, magari dispiegando molteplici ipotesi ad hoc, ma non possono modificarle. E prima o poi le condizioni sociali mutano e consentono all’ evidenza empirica di imporsi e alla scienza di progredire, superando le ipotesi falsificate e proponendone di nuove tendenzialmente sempre più dotate di validità oggettiva (anche se pur sempre relativa e limitata).

Anche perché la stessa conoscenza scientifica oggettiva, sia pur limitatamente, relativamente (e a certe condizioni indimostrabili) è una forza produttiva e un elemento dinamico nel contesto sociale, sul quale tende a retroagire favorendone il progresso (certo, in generale, in misura anch’ essa linitata e relativa, non senza controtendenze, come tutto ciò che caratterizza la storia umana).

D'accordo c'è un substrato biologico comune, ma la lettura a cui questo substrato dà luogo è inevitabilmente condizionato dall'apporto culturale che struttura il dato in linguaggio scientificamente significante. D'altra parte anche l'idea che i mezzi tecnici consentano una migliore conoscenza è un presupposto culturale sul quale Aristotele ai suoi tempi non era per nulla d'accordo (il mezzo tecnico frapponendosi tra l'oggetto di conoscenza e il soggetto a suo avviso interferiva sul corretto fluire della conoscenza per via osservativa) e anche l'uso dei mezzi tecnici (a parte il problema della loro funzionalità, indicato da Aggressor) necessita di una teoria interpretativa (per usare il telescopio non solo abbiamo bisogno di un buon telescopio, ma pure di una teoria ottica che ci dica cosa vediamo quando usiamo il telescopio, anche se ottimo, rispetto a quello che vediamo a occhio nudo). Se ci attenessimo al puro dato empirico fenomenico ad esempio riterremmo in tutta evidenza che il sole gira intorno alla terra, certo questo complicherebbe non poco spiegare il moto circolare delle stelle, ma credo non sarebbe impossibile farlo, magari liberandoci del principio economico filosofico del rasoio di Occam. Tra l'altro la teoria eliocentrica nasce da un'esigenza del tutto mistico metafisica di conservazione dell'armonia universale per la quale la teoria tolemaica appariva sempre più inadeguata proprio da un punto di vista economico.
La scienza fornisce comunque modelli sulla base di intuizioni storicamente motivate, la verifica di questi modelli è sperimentale, ma gli strumenti, le metodologie, ciò che viene considerato rilevante per il senso dell'osservazione e ciò che va considerato interferente ha a sua volta motivazioni culturali.
Un altro esempio potrebbe essere la teoria dei colori: Newton riteneva che i colori fossero esclusivamente una proprietà intrinseca della luce, dovuta alla variazione quantitativa delle frequenze elettromagnetiche, Goethe sosteneva, un secolo dopo, che questa variazione non spiegava le differenze qualitative a livello percettivo ed emotivo dei colori, dunque riteneva che i colori fossero il risultato di una relazione tra l'oggetto illuminato e l'occhio (mente) del soggetto. I due personaggi vissero in epoche diverse, avevano certamente prospettive anche psicologiche diverse. La teoria di Newton fu per un paio di secoli l'unica accettata, mentre quella di Goethe finì praticamente dimenticata, al massimo considerata una curiosità intellettuale, ma a partire dal secolo scorso, grazie ai nuovi contesti culturali che si sono determinati, possiamo capire quanto probabilmente Goethe avesse ragione alla luce delle nostre attuali prospettive di senso, almeno per ciò che riguarda il principio di fondo che regge la sua teoria.
C'è ancora da sottolineare che il cosiddetto progresso verso la verità scientifica oggettiva è anch'esso una sorta di illusione ottica. Poiché nell'ambito culturale in cui si vive normalmente non ci si accorge di quanto essa agisca come preconcetto interpretativo, quindi le teorie che in esso si ritengono valide sembreranno chiaramente più oggettive rispetto al passato in cui ben più chiaramente si riconoscono gli effetti dei condizionamenti sociali e culturali, per questo si riterrà che quelle attualmente considerate veritieri siano valide in sé ed esprimano il risultato di un progressivo affinamento oggettivo della conoscenza che continuerà in futuro.
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Vecchio 14-06-2013, 09.10.33   #13
sgiombo
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

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Originalmente inviato da maral
D'accordo c'è un substrato biologico comune, ma la lettura a cui questo substrato dà luogo è inevitabilmente condizionato dall'apporto culturale che struttura il dato in linguaggio scientificamente significante. D'altra parte anche l'idea che i mezzi tecnici consentano una migliore conoscenza è un presupposto culturale sul quale Aristotele ai suoi tempi non era per nulla d'accordo (il mezzo tecnico frapponendosi tra l'oggetto di conoscenza e il soggetto a suo avviso interferiva sul corretto fluire della conoscenza per via osservativa) e anche l'uso dei mezzi tecnici (a parte il problema della loro funzionalità, indicato da Aggressor) necessita di una teoria interpretativa (per usare il telescopio non solo abbiamo bisogno di un buon telescopio, ma pure di una teoria ottica che ci dica cosa vediamo quando usiamo il telescopio, anche se ottimo, rispetto a quello che vediamo a occhio nudo). Se ci attenessimo al puro dato empirico fenomenico ad esempio riterremmo in tutta evidenza che il sole gira intorno alla terra, certo questo complicherebbe non poco spiegare il moto circolare delle stelle, ma credo non sarebbe impossibile farlo, magari liberandoci del principio economico filosofico del rasoio di Occam. Tra l'altro la teoria eliocentrica nasce da un'esigenza del tutto mistico metafisica di conservazione dell'armonia universale per la quale la teoria tolemaica appariva sempre più inadeguata proprio da un punto di vista economico.
La scienza fornisce comunque modelli sulla base di intuizioni storicamente motivate, la verifica di questi modelli è sperimentale, ma gli strumenti, le metodologie, ciò che viene considerato rilevante per il senso dell'osservazione e ciò che va considerato interferente ha a sua volta motivazioni culturali.
Un altro esempio potrebbe essere la teoria dei colori: Newton riteneva che i colori fossero esclusivamente una proprietà intrinseca della luce, dovuta alla variazione quantitativa delle frequenze elettromagnetiche, Goethe sosteneva, un secolo dopo, che questa variazione non spiegava le differenze qualitative a livello percettivo ed emotivo dei colori, dunque riteneva che i colori fossero il risultato di una relazione tra l'oggetto illuminato e l'occhio (mente) del soggetto. I due personaggi vissero in epoche diverse, avevano certamente prospettive anche psicologiche diverse. La teoria di Newton fu per un paio di secoli l'unica accettata, mentre quella di Goethe finì praticamente dimenticata, al massimo considerata una curiosità intellettuale, ma a partire dal secolo scorso, grazie ai nuovi contesti culturali che si sono determinati, possiamo capire quanto probabilmente Goethe avesse ragione alla luce delle nostre attuali prospettive di senso, almeno per ciò che riguarda il principio di fondo che regge la sua teoria.
C'è ancora da sottolineare che il cosiddetto progresso verso la verità scientifica oggettiva è anch'esso una sorta di illusione ottica. Poiché nell'ambito culturale in cui si vive normalmente non ci si accorge di quanto essa agisca come preconcetto interpretativo, quindi le teorie che in esso si ritengono valide sembreranno chiaramente più oggettive rispetto al passato in cui ben più chiaramente si riconoscono gli effetti dei condizionamenti sociali e culturali, per questo si riterrà che quelle attualmente considerate veritieri siano valide in sé ed esprimano il risultato di un progressivo affinamento oggettivo della conoscenza che continuerà in futuro.

Non sono d' acordo che il progresso verso la (o meglio: della) verità scientifica oggettiva sia una sorta di illusione ottica.
Credo sia un fatto reale (anche se tendenziale, relativo, limitato, non indenne da controtendenze, come tutto ciò che é umano: per esempio nel medio evo ci furono notevoli regressi) come dimostra, nel bene e nel male, l' enorme crescita recente della capacità di modificare i modi in cui viviamo e la natura in cui viviamo che ne consegue (nei momenti di pessimismo -non affatto immotivati- mi viene da pensare che magari fosse solo un' illusione ottica: non assiteremmo -fra l' altro- ai cambiamenti climatici spesso devastanti in corso e non correremmo il rischio di estinzione "prematura e di sua propria mano" dell' umanità; e forse questo dovranno pensare gli ultimi esemplari di essa poco prima di estinguersi, se non averranno per tempo profondissimi cambiamenti nei rapporti sociali dominanti).

Anche le teorie interpretative dell' uso degli strumenti, pur non essendo assolutamente libere dagli influssi del contesto sociale, sono poi sottoposte alla verifica/falsificazione empirica dai fatti di fronte alla quale i pregiudizi devono cedere (o per essere più precisi prima o poi tendono a cedere).

Non sono d' accordo su quanto affermi della teoria newtoniana della luce che mi risulta essere corpuscolare e non ondulatoria, ma questo non é rilevante.

Non vedo perché si dovrebbe abandonare il rasoio di Ockam che nella scienza é un ottimo criterio razionalistico (ma in generale, anche in fiolosofia; ovviamente se si é razionalisti) per scegliere fra diverse ipotesi teoriche ancora non sottoposte in modo decisivo al vaglio dell' osservazione empirica (per lo meno un utile criterio euristico e di valutazione della razionalità delle ipotesi alternative di cui si dispone: ovviamente relativo e limitato come tutto ciò che é umano e per lo meno quasi tutto ciò che é naturale).
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Vecchio 15-06-2013, 10.00.31   #14
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

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Originalmente inviato da sgiombo
Non sono d' acordo che il progresso verso la (o meglio: della) verità scientifica oggettiva sia una sorta di illusione ottica.
Credo sia un fatto reale (anche se tendenziale, relativo, limitato, non indenne da controtendenze, come tutto ciò che é umano: per esempio nel medio evo ci furono notevoli regressi) come dimostra, nel bene e nel male, l' enorme crescita recente della capacità di modificare i modi in cui viviamo e la natura in cui viviamo che ne consegue

Quindi il progresso in termini di conoscenza non è illusione se determina un maggior poter fare che comunque sarà inteso un fare a vantaggio del soggetto, dunque una conoscenza confermata nel suo valore oggettivo dal positivo risultato soggettivo. Ma se il positivo risultato soggettivo che dovrebbe costituire il termine di verifica non è raggiunto, anzi il risultato presenta caratteristiche sempre più minacciose per il soggetto per il quale si è operato, la verifica che dovrebbe dimostrare l'oggettività dei nostri assunti fallisce. Possiamo credere che comunque i nostri assunti fossero veritieri e oggettivi in progress, ma questa fede resta arbitraria, dettata solo da una volontà a crederci.

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Anche le teorie interpretative dell' uso degli strumenti, pur non essendo assolutamente libere dagli influssi del contesto sociale, sono poi sottoposte alla verifica/falsificazione empirica dai fatti di fronte alla quale i pregiudizi devono cedere (o per essere più precisi prima o poi tendono a cedere).
Resta il fatto che quella verifica/falsificazione empirica è culturalmente significata. Presumere che si tratti di un work in progress dipende dal fatto che, finché un campo di senso culturale resta preminente, noi non vediamo le dinamiche culturali che ci guidano nei giudizi, le viviamo, dunque ci sentiamo autorizzati a credere che le cose stiano effettivamente così, proprio come da noi vissute e significate. Questo vale in modo più o meno forte per tutte le epoche storiche.

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Non sono d' accordo su quanto affermi della teoria newtoniana della luce che mi risulta essere corpuscolare e non ondulatoria, ma questo non é rilevante.
Sì, la teoria newtoniana era corpuscolare, ma quello che mi premeva era rilevare la diversità dell'approccio interpretativo tra chi definiva il colore come una proprietà della luce in sé indipendente da chi lo vede e chi invece, un secolo dopo, lo rappresentava come il risultato di un'interazione tra oggetto e soggetto. Sono due ipotesi che fanno capo a visioni culturali (e psicologiche) diverse che fanno da sfondo a significati diversi per il medesimo fenomeno.

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Non vedo perché si dovrebbe abandonare il rasoio di Ockam che nella scienza é un ottimo criterio razionalistico (ma in generale, anche in fiolosofia; ovviamente se si é razionalisti) per scegliere fra diverse ipotesi teoriche ancora non sottoposte in modo decisivo al vaglio dell' osservazione empirica (per lo meno un utile criterio euristico e di valutazione della razionalità delle ipotesi alternative di cui si dispone: ovviamente relativo e limitato come tutto ciò che é umano e per lo meno quasi tutto ciò che é naturale).
Non dico di abbandonare il rasoio di Occam che è di grande utilità, ma solo di utilizzarlo con cognizione di causa e non come un macete. Scegliere la spiegazione più semplice e diretta per un fenomeno che ha varie spiegazioni ugualmente giustificate lo facciamo continuamente, non solo in ambito scientifico, come continuamente i nostri giudizi sono determinati dai nostri pregiudizi culturali, è inevitabile. L'importante è saperlo. Il progresso nell'oggettività che implica una conoscenza sempre più effettiva della cosa in sé è un'illusione più o meno forte, spesso indispensabile, ma è bene rendersene conto, tutto qui.
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Vecchio 16-06-2013, 21.20.14   #15
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Maral:
Quindi il progresso in termini di conoscenza non è illusione se determina un maggior poter fare che comunque sarà inteso un fare a vantaggio del soggetto, dunque una conoscenza confermata nel suo valore oggettivo dal positivo risultato soggettivo. Ma se il positivo risultato soggettivo che dovrebbe costituire il termine di verifica non è raggiunto, anzi il risultato presenta caratteristiche sempre più minacciose per il soggetto per il quale si è operato, la verifica che dovrebbe dimostrare l'oggettività dei nostri assunti fallisce. Possiamo credere che comunque i nostri assunti fossero veritieri e oggettivi in progress, ma questa fede resta arbitraria, dettata solo da una volontà a crederci.

Sgiombo:
L’ oggettività (ovviamente a certe condizioni indimostrabili; e inoltre tendenzialmente crescente ma sempre inevitabilmente relativa, limitata) del conoscere scientifico è dimostrata dall’ efficacia delle sua applicazioni pratiche (che questa efficacia sia positiva o meno ai fini del benessere e della stessa sopravvivenza umana, come che in generale sia moralmente buona o meno è del tutto irrilevante in proposito).




Sgiombo
:
Anche le teorie interpretative dell' uso degli strumenti, pur non essendo assolutamente libere dagli influssi del contesto sociale, sono poi sottoposte alla verifica/falsificazione empirica dai fatti di fronte alla quale i pregiudizi devono cedere (o per essere più precisi prima o poi tendono a cedere).

Maral:
Resta il fatto che quella verifica/falsificazione empirica è culturalmente significata. Presumere che si tratti di un work in progress dipende dal fatto che, finché un campo di senso culturale resta preminente, noi non vediamo le dinamiche culturali che ci guidano nei giudizi, le viviamo, dunque ci sentiamo autorizzati a credere che le cose stiano effettivamente così, proprio come da noi vissute e significate. Questo vale in modo più o meno forte per tutte le epoche storiche.

Sgiombo:
Sono relativamente d’ accordo (senza assolutizzare il fatto di ignorare i condizionamenti sui paradigmi scientifici delle dinamiche culturali preminenti, che ritengo limitato, relativo, tendenziale come tutto ciò che è umano); inoltre i campi di senso culturali sono destinati prima o poi a mutare (anche grazie al tendenziale progresso scientifico e tecnico) e a posteriori se ne comprendono più facilmente i condizionamenti che hanno esercitato sullo sviluppo della conoscenza scientifica.



Maral:
Non dico di abbandonare il rasoio di Occam che è di grande utilità, ma solo di utilizzarlo con cognizione di causa e non come un macete. Scegliere la spiegazione più semplice e diretta per un fenomeno che ha varie spiegazioni ugualmente giustificate lo facciamo continuamente, non solo in ambito scientifico, come continuamente i nostri giudizi sono determinati dai nostri pregiudizi culturali, è inevitabile. L'importante è saperlo. Il progresso nell'oggettività che implica una conoscenza sempre più effettiva della cosa in sé è un'illusione più o meno forte, spesso indispensabile, ma è bene rendersene conto, tutto qui.

Sgiombo:
Sull’ uso cum granu salis del rasoio di Ockam sono ovviamente d’ accordo.

Ritengo la conoscenza della cosa in sé (e non solo un suo preteso progresso) un’ illusione in toto; e che la scienza sia conoscenza unicamente dei fenomeni e solo di quelli materiali, considerabili (a certe condizioni indimostrabili) intersoggettivi.

E rimango convinto della:

a) Condizionatezza ad assunzioni indimostrabili.
b) Limitatezza e relatività insuperabili.
c) Oggettività tendenzialmente crescente (ammesse le assunzioni di cui al punto "a")

Della conoscenza scientifica.
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Vecchio 18-06-2013, 12.39.50   #16
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

Citazione:
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L’ oggettività (ovviamente a certe condizioni indimostrabili; e inoltre tendenzialmente crescente ma sempre inevitabilmente relativa, limitata) del conoscere scientifico è dimostrata dall’ efficacia delle sua applicazioni pratiche (che questa efficacia sia positiva o meno ai fini del benessere e della stessa sopravvivenza umana, come che in generale sia moralmente buona o meno è del tutto irrilevante in proposito).
L'efficacia delle applicazioni pratiche è comunque tale in relazione a un contesto che è anche inevitabilmente culturale. Feyerabend porta ad esempio la danza della pioggia che oggi si dimostra inefficacie, dunque non vera nel rapporto causa effetto che dovrebbe determinare il piovere. Ma fa notare come non sia implicito che tale inefficacia sia una caratteristica in sé di quella tecnica, quanto dovuta a una mancanza di quelle condizioni al contorno (sociali e culturali) che la renderebbero efficacie. Si potrebbe fare un esempio di segno contrario con il tostapane, efficacie per tostare il pane. E' però evidente che un tostapane dato a una tribù che vive nella foresta del Borneo sarebbe del tutto inefficacie, perché nella foresta non solo mancano le condizioni fisiche di contorno per far sì che il tostapane funzioni, ma mancano anche le condizioni culturali (la visione delle cose appropriata) che sarebbero di base per costituire quelle condizioni fisiche e quelle prassi per le quali è concepibile il funzionamento del tostapane, le basi culturali sono radicalmente diverse e modificano le prospettive. Ora, non credo che possiamo ritenere che una cultura sia superiore a un'altra in quanto permette di concepire un tostapane funzionante e una danza della pioggia non funzionante o viceversa, semplicemente offrono rappresentazioni con implicazioni tecniche diverse che possono escludersi reciprocamente.
In conclusione "questo è vero perché funziona" a mio avviso dovrebbe significare "nel mio contesto questo è vero perché nel mio contesto funziona" ove il contesto ha un profondo senso culturale (in termini ecologici, storici, sociali, psicologici, economici, mitologici ecc.)


Citazione:
i campi di senso culturali sono destinati prima o poi a mutare (anche grazie al tendenziale progresso scientifico e tecnico) e a posteriori se ne comprendono più facilmente i condizionamenti che hanno esercitato sullo sviluppo della conoscenza scientifica.
Certamente sì, l'apparire di nuovi oggetti funzionanti nei campi di senso che ne rendono possibile il funzionamento hanno implicazioni sui campi di senso stessi, proprio perché l'interazione è un processo reciproco continuo. Ma il fatto che questo ci permette di comprendere i precedenti condizionamenti non ci permette però di comprendere questi attuali, almeno finché in essi non si determineranno le condizioni inconscie per un loro superamento. Il nostro giudizio è dunque effettivamente sempre un giudizio a posteriori che per esprimersi prende per oggettivamente valida la posizione attuale in quanto attuale (quindi vissuta). Mano a mano che ci allontaniamo dall'attualità verso campi di senso precedenti essi ci appariranno sempre più arbitrari in quanto con maggiori elementi lontani dal nostro. Per contro, apparendoci questa arbitrarietà diminuente dal passato al presente e immaginando il presente come un momento che in futuro sarà passato, proiettiamo sulla linea del tempo un progresso analogo verso il futuro con un miglioramento oggettivo e continuativo della conoscenza.

Citazione:
Ritengo la conoscenza della cosa in sé (e non solo un suo preteso progresso) un’ illusione in toto; e che la scienza sia conoscenza unicamente dei fenomeni e solo di quelli materiali, considerabili (a certe condizioni indimostrabili) intersoggettivi.

E rimango convinto della:

a) Condizionatezza ad assunzioni indimostrabili.
b) Limitatezza e relatività insuperabili.
c) Oggettività tendenzialmente crescente (ammesse le assunzioni di cui al punto "a")

Della conoscenza scientifica.
Il punto è che quelle assunzioni indimostrabili non nascono dal nulla, né rappresentano un partorire della mente incondizionato, esse sono il prodotto dello spirito dei tempi e dallo spirito dei tempi ciò che da esse consegue come significato (anche in termini empirici) viene giudicato vero o falso. Non solo le originarie intuizioni, ma pure il metro di giudizio che ad esse applichiamo è sempre solo quello che la nostra attuale visione culturale ci permette di avere. I nostri sensi non sono immuni da ciò che più o meno consciamente pensiamo, immaginiamo, rappresentiamo e giudichiamo.
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Vecchio 19-06-2013, 08.22.20   #17
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

Sgiombo:
L’ oggettività (ovviamente a certe condizioni indimostrabili; e inoltre tendenzialmente crescente ma sempre inevitabilmente relativa, limitata) del conoscere scientifico è dimostrata dall’ efficacia delle sua applicazioni pratiche (che questa efficacia sia positiva o meno ai fini del benessere e della stessa sopravvivenza umana, come che in generale sia moralmente buona o meno è del tutto irrilevante in proposito).

Maral:
L'efficacia delle applicazioni pratiche è comunque tale in relazione a un contesto che è anche inevitabilmente culturale. Feyerabend porta ad esempio la danza della pioggia che oggi si dimostra inefficacie, dunque non vera nel rapporto causa effetto che dovrebbe determinare il piovere. Ma fa notare come non sia implicito che tale inefficacia sia una caratteristica in sé di quella tecnica, quanto dovuta a una mancanza di quelle condizioni al contorno (sociali e culturali) che la renderebbero efficacie. Si potrebbe fare un esempio di segno contrario con il tostapane, efficacie per tostare il pane. E' però evidente che un tostapane dato a una tribù che vive nella foresta del Borneo sarebbe del tutto inefficacie, perché nella foresta non solo mancano le condizioni fisiche di contorno per far sì che il tostapane funzioni, ma mancano anche le condizioni culturali (la visione delle cose appropriata) che sarebbero di base per costituire quelle condizioni fisiche e quelle prassi per le quali è concepibile il funzionamento del tostapane, le basi culturali sono radicalmente diverse e modificano le prospettive. Ora, non credo che possiamo ritenere che una cultura sia superiore a un'altra in quanto permette di concepire un tostapane funzionante e una danza della pioggia non funzionante o viceversa, semplicemente offrono rappresentazioni con implicazioni tecniche diverse che possono escludersi reciprocamente.
In conclusione "questo è vero perché funziona" a mio avviso dovrebbe significare "nel mio contesto questo è vero perché nel mio contesto funziona" ove il contesto ha un profondo senso culturale (in termini ecologici, storici, sociali, psicologici, economici, mitologici ecc.)

Sgiombo:
Mi dispiace per Feyerabend, ma la danza della pioggia non funziona mai (per lo scopo coscientemente perseguito da chi la balla; tutt’ al più potrebbe forse funzionare per tener coesa la tribù) in nessun contesto socioculturale.
Mentre un tostapane, ovviamente purché esente da difetti di fabbricazione, in buono stato di manutenzione e usato correttamente per la sua funzione (non per esempio pretendendo di usarlo come si usa un arco per lanciare frecce, un sommergibile o una bicicletta) funziona in qualsiasi contesto socioculturale a dimostrazione della (sempre limitata e relativa, e a condizione della verità di alcuni presupposti arbitrari indimostrabili; cioè essendo sempre, insuperabilmente passibile del dubbio scettico a livello teorico) tendenzialmente crescente oggettività della conoscenza scientifica.

Circa il confronto fra culture, ovviamente da buon naturalista darwiniano (conseguente: NON seguace dell’ antiscientifica sociobiologia!) ritengo che non esistano criteri oggettivi (ma nemmeno per un confronto fra la specie umana e le altre viventi), ma solo possibili criteri arbitrari, soggettivi.
Invece nella possibilità di operare sulla natura (conoscendone, rispettandone, applicandone più o meno conseguentemente e lungimirantemente a fini coscienti le leggi), nel bene e nel male, è possibile stilare “classifiche” fra diversi contesti socioculturali con ottima approssimazione ed attendibilità.





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i campi di senso culturali sono destinati prima o poi a mutare (anche grazie al tendenziale progresso scientifico e tecnico) e a posteriori se ne comprendono più facilmente i condizionamenti che hanno esercitato sullo sviluppo della conoscenza scientifica.

Maral:
Certamente sì, l'apparire di nuovi oggetti funzionanti nei campi di senso che ne rendono possibile il funzionamento hanno implicazioni sui campi di senso stessi, proprio perché l'interazione è un processo reciproco continuo. Ma il fatto che questo ci permette di comprendere i precedenti condizionamenti non ci permette però di comprendere questi attuali, almeno finché in essi non si determineranno le condizioni inconscie per un loro superamento. Il nostro giudizio è dunque effettivamente sempre un giudizio a posteriori che per esprimersi prende per oggettivamente valida la posizione attuale in quanto attuale (quindi vissuta). Mano a mano che ci allontaniamo dall'attualità verso campi di senso precedenti essi ci appariranno sempre più arbitrari in quanto con maggiori elementi lontani dal nostro. Per contro, apparendoci questa arbitrarietà diminuente dal passato al presente e immaginando il presente come un momento che in futuro sarà passato, proiettiamo sulla linea del tempo un progresso analogo verso il futuro con un miglioramento oggettivo e continuativo della conoscenza.

Sgiombo:
Ribadisco la mia convinzione che la difficoltà e i limiti di comprensione dei condizionamenti dei contesti sociali e culturali sulla scienza è limitata e relativa, come tutto ciò che è umano (e non solo); anche perché seguendo Marx ed Engels anziché Fayerabend, ritengo le società finora esistite a partire dal neolitico siano divise in classi antagonistiche e che i condizionamento sociali sulla scienza e sulla “autocoscienza sociale” non siano generalizzati e uniformi, ma diversi da parte delle diverse classi e sulle diverse classi sociali (quelle progressive o addirittura rivoluzionarie sono secondo questa concezione materialistica storica che ritengo corroborata dalla prassi e dalla empiria umana, in condizioni oggettivamente migliori per comprendere il presente; in diversa misura nei vari contesti storici, ma anch’ essa tendenzialmente crescente).

Per esempio mi sembra abbastanza facile rilevare molti dei condizionamenti in atto delle multinazionali del farmaco sulle ricerche in medicina e sul tendenzialmente crescente uso dell’ accanimento terapeutico che prolunga la vita senza alcun considerazione per la sua qualità, spesso ottenendo solo un prolungamento di sofferenze e dolore per coloro cui si applica e per chi li circonda.

Anche il condizionamento in atto in generale da parte del capitalismo (intrinsecamente irrazionale!) sulla crescita quantitativa tendenzialmente illimitata delle produzioni e consumi di beni e servizi -oggettivamente sempre più ecocida (o meglio umanicida)- mi sembra abbastanza ben comprensibile.





Sgiombo:
Ritengo la conoscenza della cosa in sé (e non solo un suo preteso progresso) un’ illusione in toto; e che la scienza sia conoscenza unicamente dei fenomeni e solo di quelli materiali, considerabili (a certe condizioni indimostrabili) intersoggettivi.

E rimango convinto della:

a) Condizionatezza ad assunzioni indimostrabili.
b) Limitatezza e relatività insuperabili.
c) Oggettività tendenzialmente crescente (ammesse le assunzioni di cui al punto "a")

Della conoscenza scientifica.

Maral:
Il punto è che quelle assunzioni indimostrabili non nascono dal nulla, né rappresentano un partorire della mente incondizionato, esse sono il prodotto dello spirito dei tempi e dallo spirito dei tempi ciò che da esse consegue come significato (anche in termini empirici) viene giudicato vero o falso. Non solo le originarie intuizioni, ma pure il metro di giudizio che ad esse applichiamo è sempre solo quello che la nostra attuale visione culturale ci permette di avere. I nostri sensi non sono immuni da ciò che più o meno consciamente pensiamo, immaginiamo, rappresentiamo e giudichiamo.

Sgiombo:
Un qualche condizionamento su qualsiasi espressione culturale da parte dello “spirito dei tempo” (e anche da quelli dei tempi passati, in qualche misura) molto generalmente inteso mi sembra ovvio.
Ma ciò non ne inficia necessariamente la verità.

Ritengo che non i nostri sensi, bensì i giudizi che diamo sui dati dei nostri sensi, la loro conoscenza (più o meno vera, corretta, oggettiva a seconda dei casi) non sono immuni da ciò che più o meno consciamente pensiamo, immaginiamo, rappresentiamo e giudichiamo.
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Vecchio 20-06-2013, 11.12.43   #18
maral
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

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Originalmente inviato da sgiombo
Mi dispiace per Feyerabend, ma la danza della pioggia non funziona mai (per lo scopo coscientemente perseguito da chi la balla; tutt’ al più potrebbe forse funzionare per tener coesa la tribù) in nessun contesto socioculturale.
Mentre un tostapane, ovviamente purché esente da difetti di fabbricazione, in buono stato di manutenzione e usato correttamente per la sua funzione (non per esempio pretendendo di usarlo come si usa un arco per lanciare frecce, un sommergibile o una bicicletta) funziona in qualsiasi contesto socioculturale a dimostrazione della (sempre limitata e relativa, e a condizione della verità di alcuni presupposti arbitrari indimostrabili; cioè essendo sempre, insuperabilmente passibile del dubbio scettico a livello teorico) tendenzialmente crescente oggettività della conoscenza scientifica.
Non sarei così sicuro su quel mai. Il fatto è che la nostra cultura più o meno coscientemente e nella sua forma più approvata continua a basarsi sulla netta separazione soggetto-oggetto, per cui le dinamiche del soggetto vengono a priori escluse dal fenomeno in sé. Si può far risalire questa concezione alla mai risolta dicotomia res extensa - res cogitans di origine cartesiana che peraltro ha radici più antiche, nello stesso mito della caverna platonica. Il presupposto è che qualora non sia possibile separare l'aspetto psicologico da quello fisico, il fenomeno viene ritenuto contaminato, dunque illusorio, non fondato. Gli indiani Hopi non praticano più da tempo la danza della pioggia, se non una simulazione folcloristica a uso di curiosità turistica (attuando così quella demolizione culturale che è anche demolizione fisica di cui parlavo nella riflessione sulla tracotanza del pensiero unico), i vecchi dicono che non funziona più proprio perché si è spezzato quell'humus culturale condiviso a livello eco-sociale (comprendente riti, sentimenti, miti, relazioni sociali, semiotica dei rapporti naturali) che ne consentiva il funzionamento. Ora quel contesto oltrepassato non può essere in alcun modo riprodotto, dunque la loro asserzione non è in alcun modo verificabile, men che meno scientificamente. Oggi non funziona per procurare la pioggia, dire che non ha mai funzionato è un assioma inverificabile che comporta un arbitrario non fidarsi di chi sostiene o ha sostenuto il contrario.
Quanto al tostapane invece funziona perché la cultura che ne permette il funzionamento è invece non solo viva, ma più aggressiva che mai. Il funzionamento del tostapane richiede, oltre alla realizzazione artificiale di un mondo ove i tostapane funzionano (ci vorrà pur sempre una presa elettrica, una cabina di trasformazione, dei tecnici culturalmente preparati e capaci di allestire tutte queste cose che non sono nemmeno concepibili nell'ecosistema di una foresta pluviale, ) una prospettiva originaria in cui la progettazione di questo sistema che culmina nel tostapane diventa progressivamente concepibile.
Per spiegarmi meglio faccio ad esempio riferimento all'invenzione della ruota come mezzo funzionale per il trasporto, un'invenzione assai complessa a ben pensarci. Ci furono civiltà che non inventarono mai la ruota (o la inventarono, ma per funzionalità non di trasporto), pur essendo per altri versi sviluppatissime. La ruota per trasportare merci in quegli ambiti non era concepibile, perché mancavano i presupposti fisici e culturali affinche lo fosse. Sicuramente quando arrivarono i colonizzatori che usavano da millenni la ruota i colonizzati videro che la ruota funzionava, ma funzionava perché quei colonizzatori avevano cambiato radicalmente il loro mondo anche in senso culturale, vi avevano introdotto, oltre alle modifiche fisiche (strade, animali da soma ecc.), delle profonde modifiche di senso, in virtù della potenza e non della verità di quel senso.

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Originalmente inviato da sgiombo
Ribadisco la mia convinzione che la difficoltà e i limiti di comprensione dei condizionamenti dei contesti sociali e culturali sulla scienza è limitata e relativa, come tutto ciò che è umano (e non solo); anche perché seguendo Marx ed Engels anziché Fayerabend, ritengo le società finora esistite a partire dal neolitico siano divise in classi antagonistiche e che i condizionamento sociali sulla scienza e sulla “autocoscienza sociale” non siano generalizzati e uniformi, ma diversi da parte delle diverse classi e sulle diverse classi sociali (quelle progressive o addirittura rivoluzionarie sono secondo questa concezione materialistica storica che ritengo corroborata dalla prassi e dalla empiria umana, in condizioni oggettivamente migliori per comprendere il presente; in diversa misura nei vari contesti storici, ma anch’ essa tendenzialmente crescente).
Non credo che la divisione in classi sia così universalmente presente. Non lo è tra i popoli che ancora vivono come nel neolitico e pare piuttosto il frutto dell' accumularsi dei beni con la scoperta dell'agricoltura stanziale e la conseguente specializzazione del lavoro. Sto scoprendo organizzazioni sociali davvero sorprendenti, come quella dei Nuer, un popolo del Sudan meridionale che vive in una società fortemente anarchica, ma coesa, in cui la contrapposizione non si svolge in verticale (tra classi dominanti e sottomesse), ma attraverso una conflittualità orizzontale tra pari, intensa, ma regolata. ("I Nuer: un'anarchia ordinata" Evans-Pritchard)
E' straordinario pensare come nell'organizzazione sociale di questi popoli di semplice cultura pastorale appare già realizzata l'utopia di una società senza classi dominanti e senza il conseguente sfruttamento


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Originalmente inviato da sgiombo
Un qualche condizionamento su qualsiasi espressione culturale da parte dello “spirito dei tempo” (e anche da quelli dei tempi passati, in qualche misura) molto generalmente inteso mi sembra ovvio.
Ma ciò non ne inficia necessariamente la verità.

Ritengo che non i nostri sensi, bensì i giudizi che diamo sui dati dei nostri sensi, la loro conoscenza (più o meno vera, corretta, oggettiva a seconda dei casi) non sono immuni da ciò che più o meno consciamente pensiamo, immaginiamo, rappresentiamo e giudichiamo.
Ma siamo sicuri che le nostre sensazioni siano separabili dal giudizio (significato) che ne diamo? E come possiamo affermarlo senza dare a queste sensazioni un giudizio (significato)?
E' evidente poi che la sensazione che ho è che il sole viaggia nella volta celeste durante il giorno, questo è il mio dato sensoriale. Perché mai dovrei metterlo in dubbio? Perché dovrei cercare correlazioni con altri fnomeni di osservazione alquanto improbabile (come la parallasse delle stelle) e utilizzare strumenti i cui dati devo imparare a interpretare affinché non determinano distorsioni del tutto fuorvianti? Io credo che tutto questo lavoro rappresentativo e reinterpretativo del dato possa essere giustificato solo da un nuovo humus culturale che ha le sue fondamenta proprio nel mutare dello spirito dei tempi, e non in una mitica oggettività (anch'essa peraltro prodotta dallo spirito dei tempi, da un substrato culturale che la pretende).
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Vecchio 21-06-2013, 14.52.07   #19
sgiombo
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

Sgiombo:
Mi dispiace per Feyerabend, ma la danza della pioggia non funziona mai.

Maral
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Non sarei così sicuro su quel mai. Il fatto è che la nostra cultura più o meno coscientemente e nella sua forma più approvata continua a basarsi sulla netta separazione soggetto-oggetto, per cui le dinamiche del soggetto vengono a priori escluse dal fenomeno in sé. Si può far risalire questa concezione alla mai risolta dicotomia res extensa - res cogitans di origine cartesiana che peraltro ha radici più antiche, nello stesso mito della caverna platonica. Il presupposto è che qualora non sia possibile separare l'aspetto psicologico da quello fisico, il fenomeno viene ritenuto contaminato, dunque illusorio, non fondato. Gli indiani Hopi non praticano più da tempo la danza della pioggia, se non una simulazione folcloristica a uso di curiosità turistica (attuando così quella demolizione culturale che è anche demolizione fisica di cui parlavo nella riflessione sulla tracotanza del pensiero unico), i vecchi dicono che non funziona più proprio perché si è spezzato quell'humus culturale condiviso a livello eco-sociale (comprendente riti, sentimenti, miti, relazioni sociali, semiotica dei rapporti naturali) che ne consentiva il funzionamento. Ora quel contesto oltrepassato non può essere in alcun modo riprodotto, dunque la loro asserzione non è in alcun modo verificabile, men che meno scientificamente. Oggi non funziona per procurare la pioggia, dire che non ha mai funzionato è un assioma inverificabile che comporta un arbitrario non fidarsi di chi sostiene o ha sostenuto il contrario.
Quanto al tostapane invece funziona perché la cultura che ne permette il funzionamento è invece non solo viva, ma più aggressiva che mai.
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Per spiegarmi meglio faccio ad esempio riferimento all'invenzione della ruota come mezzo funzionale per il trasporto, un'invenzione assai complessa a ben pensarci. Ci furono civiltà che non inventarono mai la ruota (o la inventarono, ma per funzionalità non di trasporto), pur essendo per altri versi sviluppatissime. La ruota per trasportare merci in quegli ambiti non era concepibile, perché mancavano i presupposti fisici e culturali affinche lo fosse. Sicuramente quando arrivarono i colonizzatori che usavano da millenni la ruota i colonizzati videro che la ruota funzionava, ma funzionava perché quei colonizzatori avevano cambiato radicalmente il loro mondo anche in senso culturale, vi avevano introdotto, oltre alle modifiche fisiche (strade, animali da soma ecc.), delle profonde modifiche di senso, in virtù della potenza e non della verità di quel senso.

Sgiombo:
Evidentemente se la conoscenza scientifica, attraverso le sue applicazioni tecniche, funziona (nel bene e nel male, questo è irrilevante in proposito), allora la considerazione scientifica dell’ oggetto di conoscenza nel suo divenire autonomo, nella sua oggettività “separata”, Per quanto possibile “incontaminata”, indipendente dalle eventuali preferenze soggettive, non influenzabile ad libitum, bensì solo attraverso il rispetto/applicazione a fini coscienti (e realistici, ovviamente) delle leggi oggettive del suo divenire (per le solite precisazioni teoriche rimando ai precedenti interventi), ivi compresa l’ esclusione di desideri soggettivi non realistici, credenze, preconcetti e superstizioni (che impediscono il conseguimento di scopi coscienti, se non puramente casuale, aleatorio, come qualora dopo una danza della pioggia e del tutto indipendentemente da essa -che non ha mai funzionato- piovesse,) è corretta; e le superstizioni e affini sono scorrette e false.

Secondo me quella della distinzione pensiero/materia (le cartesiane res cogitans e res extensa) è una questione diversa da quella soggettivo/oggettivo nella conoscenza, anche se l’ intersoggettività e conseguentemente la possibilità di elementi di oggettività nella sua conoscenza può essere postulata della sola res extensa.

Il tostapane funziona anche in mano agli indiani Hopi, purché (ammesso che interessi loro) ovviamente gli si insegni come usarlo e dispongano del necessario (rete elettrica, ecc.), esattamente come in qualsiasi altro contesto culturale; ovviamente sempre alle condizioni che esige il semplice buon senso, per esempio non pretendendo di usarlo come una bacchetta magica; la quale, analogamente alla danza della pioggia, è un preteso strumento operativo senza alcuna base scientifica del tutto inefficace (se non a scopo ingannatorio, per esempio per mantenere la coesione di una tribù e la sua sottomissione al potere e la sopportazione dei privilegi di capi-tribù e stregoni. Un’ efficacia non tecnica-scientifica potrebbe averla al massimo come placebo, cioè in ultima analisi per autosuggestione ...e mi rendo conto che sto offrendoti un argomento su un piatto d' argento) in qualsiasi contesto culturale.

I colonizzati videro che la ruota funzionava oggettivamente, e non affatto per i radicali cambiamenti sociali e culturali che la colonizzazione impose loro (iniquissimamente, cosa del tutto irrilevante IN PROPOSITO, NON: IN SÉ E PER SÉ OVVIAMENTE: le nefandezze dell’ imperialismo non sono in alcun modo un argomento contro l’ oggettività -a certe condizioni indimostrabili- della conoscenza scientifica e l’ oggettiva efficacia -nel bene e nel male- delle sue applicazioni tecniche; anzi casomai ne sono una conferma, per quanto odiosa e spregevole possa essere; come il fatto di essere usata per perpetrare omicidi è una conferma, per quanto odiosa, dell’ oggettiva efficacia della polvere da sparo).



Sgiombo:
ritengo le società finora esistite a partire dal neolitico siano divise in classi antagonistiche e che i condizionamento sociali sulla scienza e sulla “autocoscienza sociale” non siano generalizzati e uniformi.

Maral:
Non credo che la divisione in classi sia così universalmente presente. Non lo è tra i popoli che ancora vivono come nel neolitico e pare piuttosto il frutto dell' accumularsi dei beni con la scoperta dell'agricoltura stanziale e la conseguente specializzazione del lavoro. Sto scoprendo organizzazioni sociali davvero sorprendenti, come quella dei Nuer, un popolo del Sudan meridionale che vive in una società fortemente anarchica, ma coesa, in cui la contrapposizione non si svolge in verticale (tra classi dominanti e sottomesse), ma attraverso una conflittualità orizzontale tra pari, intensa, ma regolata. ("I Nuer: un'anarchia ordinata" Evans-Pritchard)
E' straordinario pensare come nell'organizzazione sociale di questi popoli di semplice cultura pastorale appare già realizzata l'utopia di una società senza classi dominanti e senza il conseguente sfruttamento

Sgiombo:
Credo si tratti del comunismo primitivo che (secondo il materialismo storico cui aderisco) precede la divisione della società in classi antagoniste.
La mia affermazione circa la divisione classista della società a partire dal neolitico era probabilmente alquanto imprecisa (non ho conoscenze particolarmente estese, dettagliate e sicure in proposito; non posso parlarne che molto approssimativamente).



Sgiombo:

Ritengo che non i nostri sensi, bensì i giudizi che diamo sui dati dei nostri sensi, la loro conoscenza (più o meno vera, corretta, oggettiva a seconda dei casi) non sono immuni da ciò che più o meno consciamente pensiamo, immaginiamo, rappresentiamo e giudichiamo.

Maral:
Ma siamo sicuri che le nostre sensazioni siano separabili dal giudizio (significato) che ne diamo? E come possiamo affermarlo senza dare a queste sensazioni un giudizio (significato)?
E' evidente poi che la sensazione che ho è che il sole viaggia nella volta celeste durante il giorno, questo è il mio dato sensoriale. Perché mai dovrei metterlo in dubbio? Perché dovrei cercare correlazioni con altri fnomeni di osservazione alquanto improbabile (come la parallasse delle stelle) e utilizzare strumenti i cui dati devo imparare a interpretare affinché non determinano distorsioni del tutto fuorvianti? Io credo che tutto questo lavoro rappresentativo e reinterpretativo del dato possa essere giustificato solo da un nuovo humus culturale che ha le sue fondamenta proprio nel mutare dello spirito dei tempi, e non in una mitica oggettività (anch'essa peraltro prodotta dallo spirito dei tempi, da un substrato culturale che la pretende).

Sgiombo:
la distinzione fra una sensazione (per esempio la visione di un albero) e (la sensazione di) un giudizio circa una sensazione (per esempio il pensiero: “esiste quest’ albero”, “sto vedendo quest’ albero” è un’ immediata evidenza empirica (esattamente come la distinzione fra la visione di un albero e la visione di un gatto, per esempio).

Le previsioni delle eclissi sono precise al centesimo di secondo per il fatto che ciò che la scienza ci dice è vero (ometto le solite necessarie precisazioni teoriche), indipendentemente da qualsiasi contesto culturale (non è che per gli indiani Hopi un eclissi di sole o il passaggio di una cometa avviene in tempi diversi che per un’ occidentale che si trovi a passare da quei paraggi in simili frangenti, o che addirittura non avviene proprio a causa della loro diversa cultura e credenze) per la tutt’ altro che mitica oggettività (vedi sopra per le necessarie precisazioni teoriche; che sono tutt’ altra cosa dal relativismo di Feyerabend) della conoscenza scientifica.
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Vecchio 21-06-2013, 18.48.08   #20
tiziano
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Riferimento: In che misura il paradigma sociale di un’epoca fonda la credibilità scientifica?

Domanda:
prendiamo come esempio la legge di Hom: V=RxI (ovvero: il potenziale elettico è ugaile al prodotto della resistenza di un conduttore per l'intensità del flusso di elettroni)

C'è qualcuno che può sostenere che questa legge dipende dal contesto socioculturale di un'epoca o dagli interessi della classe dominante o dalla struttura capitalistica dei rapporti di produzione o altre amenità varie?
No, essa dipende da osservazioni della natura, elaborazione di ipotesi, conferme sperimentali. Ovvero da un metodo scientifico.
Tuttavia Feyeraben ha ragione nel sostenere che non esiste un metodo scientifico, e soprattutto che non è dal metodo che consegue una verità.
Ebbene, sgombriamo il campo dalla verità, che è solo un concetto fuorviante; sgombriamo anche il campo dal metodo; sgombriamo tutto, insomma.
Parliamo allora di teorie, piuttosto che di verità.
Parliamo di intersoggettività, piuttosto che di oggettività.
Parliamo di contesto della scoperta e contesto della giustificazione, così avremo le idee più chiare (almeno in un primo momento).
La scoperta avviene attraverso sentieri tortuosi e dipende davvero anche da interessi, conflitti, credenze, ideologie, ecc. Se ne avete voglia leggetevi qualcosa a proposito del problema della longitudine: così importante che fu fatta una legge, il "Longitude Act", nel 1714, e bandito un premio di 20.000 sterline (milioni di euri, al cambio attuale) per chi lo avesse risolto; ebbene, nel mezzo degli interessi (dove vanno le navi quando vanno?), del guai (se vanno a sbattere sugli scogli per un errato calcolo, come accadde, possono morire 2000 persone), ecc. c'è anche l'interessante scontro tra astronomi e meccanici: questa è una questione scientifica, epistemica: perché si preferiva la soluzione astronomica a quella proposta da un orologiaio? Perché vigeva una certa cultura scientifica e perché gli astronomi stavano dentro la Royal Society.
Ma una volta che un problema è risolto, una teoria verificata, fine. Hom aveva i suoi buoni motivi, anche un po' meschini, per fare le sue ricerche, ma V=RI, e ogni volta che voi premete l'interruttore della luce in casa vostra lo confermate.
Piuttosto si può indagare su quali sono i modi con cui si accettano socialmente le giustificazioni (linguaggio scientifico, comitati scientifici, riviste, università, ecc.).

Un consiglio: non date troppo ascolto ai filosofi della scienza
tiziano is offline  

 



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